I Basiliani
Estratto da "Le organizzazioni monastiche nella storia" di Salvatore
Puledda – Centro Studi Umanista 2000
La figura di S. Basilio di Cesarea è una delle più importanti e complesse nella
storia della Chiesa. Come uomo di cultura, formatosi nella tradizione filosofica
greca, egli fu uno dei pensatori preminenti del suo secolo ed uno dei fondatori
della teologia cristiana; come titolare di un’importante sede vescovile, fu
direttamente impegnato nell’opera di organizzazione della Chiesa in Asia Minore.
Tuttavia Basilio è ricordato soprattutto come il riformatore del monachesimo
greco ed in questa veste la Chiesa Ortodossa lo venera come il suo più grande
santo. Il monachesimo di osservanza basiliana è infatti quello che ha avuto
maggiore diffusione nell’impero bizantino e nelle regioni dell’Oriente europeo,
i Balcani e la Russia, sottoposti all’influenza di questo. Soprattutto nei paesi
slavi essa ha svolto un’importantissima funzione civilizzatrice, in qualche modo
analoga a quella del monachesimo benedettino in Occidente.
Basilio nacque a Cesarea di Cappadocia, regione centrale dell’Asia Minore,
intorno al 330. La sua era una famiglia aristocratica e ricca ma profondamente
cristiana, numerosi membri della quale erano dediti alla vita ascetica.
Ricevette un’educazione molto raffinata studiando retorica e filosofia prima a
Costantinopoli e poi ad Atene. Ma già durante il periodo di studi si sentì
profondamente attratto dalla vita ascetica.
Al suo tempo il mondo spirituale era in grande fermento. La Chiesa aveva
raggiunto con Costantino lo status di religione ufficiale dell’impero, ma
la sua pace interna era continuamente scossa: da un lato sorgevano le prime
grandi eresie sui temi dottrinali, come quella di Ario, dall’altro, sotto
l’influenza dei modelli siriani, apparivano ad ondate successive movimenti
ascetici intransigenti e rigoristi che si contrapponevano duramente alle
inclinazioni mondane e politiche della gerarchia ecclesiastica.
Questi movimenti riscuotevano grandi consensi a livello dei ceti popolari per i
quali la pace di Costantino non aveva significato alcun cambio di posizione
sociale. Così la setta dei Messaliani (parola siriana che significa “coloro che
pregano”) negava l’autorità della rivelazione gestita dalla Chiesa. Essa dava
valore solo ai fenomeni religiosi sperimentali e interiori: visioni,
rivelazioni, sogni, profezie. I Messaliani vivevano in un clima di grande
tensione spirituale e di attesa apocalittica; la loro attività principale era la
preghiera continua che, secondo la loro visione, era l’unico mezzo per cacciare
il demonio che si impossessava dell’anima anche dopo il battesimo, e consentiva
allo Spirito Santo di entrare in essa. Non è difficile riconoscere nel rigorismo
e nell’ascetismo dei Messaliani influenze siriane e manichee.
Ma la grande figura di asceta di questo periodo è Eustazio di Sebaste, che ebbe
una grande influenza sul giovane Basilio e sulla famiglia di lui. Personaggio
misterioso, austero, dotato di un carattere energico, Eustazio aveva raggiunto
la dignità di vescovo ma, attratto dall’ideale monastico, aveva viaggiato a
lungo in Egitto, Siria e Mesopotamia dove aveva conosciuto le organizzazioni
monastiche di quelle regioni. Tornato in Asia Minore si era dato a diffondere le
idee ascetiche e aveva fondato numerosi conventi. Predicava la continenza
sessuale (encratismo) e la povertà assoluta per tutti i Cristiani.
Mostrava irrisione per i fedeli sposati e minacciava l’ordine pubblico con il
totale disprezzo per gli obblighi sociali: invitava a non pagare le imposte, ad
evadere il servizio militare, esortava gli schiavi a liberarsi del loro giogo.
In sintesi, predicava un Cristianesimo radicale sia in termini individuali che
sociali, cercando di estendere a tutta la Chiesa il rigorismo dei monaci
orientali. I suoi discepoli vestivano un abito poverissimo, praticavano la
continenza, la povertà e il ritiro dal mondo, dedicandosi alla preghiera
continua e agli esercizi ascetici.
Così vivevano, sotto la guida diretta di Eustazio, in una proprietà di famiglia
in Cappadocia, la madre e vari fratelli di Basilio. Erano tutti tanto entusiasti
di quel mistico ritiro che Basilio abbandonò Atene nel 357 per partecipare a
quel tipo di vita. Ma giunto in Cappadocia, Basilio non incontrò Eustazio che
aveva intrapreso un lungo viaggio di studio nei monasteri dell’Oriente. Il
giovane partì alla ricerca del maestro: non lo trovò, ma il suo viaggio gli
permise di avere un’informazione diretta sulle organizzazioni monastiche
d’Egitto, Siria e Mesopotamia. Ritornato in patria, Basilio iniziò la vita
ascetica nella sua proprietà di famiglia in Cappadocia, insieme al fratello
Gregorio e ad alcuni discepoli. Non si trattava di un cenobio vero e proprio e
neppure Basilio rinunciò ai suoi beni. Il gruppo viveva appartato e le sue
occupazioni quotidiane consistevano nel cantare in comune i Salmi, nel lavoro
manuale accompagnato dalla preghiera silenziosa, nella lettura e meditazione
delle Scritture, nella preghiera personale. Questi furono i primi semplici passi
nella carriera monastica di colui che avrebbe incanalato e ordinato le impetuose
correnti ascetiche dell’Asia Minore.
Ma in Basilio l’interesse per la vita monastica andava insieme a quello per la
vita della Chiesa. Abbandonò così il suo ritiro, prese gli ordini sacerdotali e
andò a vivere accanto al vescovo di Cesarea. Il suo incarico ecclesiastico lo
mise in contatto diretto con il problema del movimento ascetico del suo paese.
Tra la Chiesa ufficiale e i gruppi ascetici e rigoristici come i Messaliani e i
seguaci di Eustasio, era spesso guerra aperta. Fu così che in Basilio sorse la
necessità di regolamentare la vita monastica e di porla in armonia con la vita
ecclesiale. Ma ancora più in generale egli si sforzò di ridefinire il
significato, i fini e i mezzi della vita cristiana.
Il primo risultato delle sue meditazioni su questo problema furono le Regole
Morali
[1]
in cui cercò di tracciare il cammino migliore per una vita cristiana. I
destinatari di quest’opera non erano solo i monaci, ma tutti i fedeli. La tesi
di Basilio era che la forma migliore consistesse in una vita comunitaria
stabile, combinata con l’esercizio delle opere di carità, in seno alla chiesa
locale. Quindi Basilio cercò di definire le basi dell’organizzazione monastica
in Asia Minore nella sua opera fondamentale, l’Asceticon. È questa la
Regola (anche se il termine è improprio, come vedremo più avanti) del
monachesimo basiliano.
Nel 370 Basilio fu eletto vescovo di Cesarea e in questa funzione svolse un
ruolo di primo piano nella storia delle grandi controversie dottrinali che
tormentavano la Chiesa del suo secolo. Su una di queste controversie si produsse
la rottura tra lui e il suo antico maestro Eustazio. Morì nel 378 a meno di
cinquant’anni.
L’Asceticon
L’Asceticon non può essere definito una regola monastica in senso
stretto, cioè un corpo di leggi che organizza e definisce la vita esteriore di
una comunità monastica; si tratta piuttosto di una compilazione di direttive,
più o meno occasionali, che si sforzano di mettere ordine nella confusa
situazione dell’ascetismo greco del tempo. Il carattere di tali direttive è
eminentemente teologico e non giuridico; l’Asceticon è insomma un
documento spirituale più che organizzativo.
L’opera, che fu pubblicata dallo stesso Basilio in varie redazioni, viene
normalmente divisa in due parti, le “Regole Lunghe” e le “Regole Brevi”
[2].
La prima è un’esposizione dei principi dell’ascesi cristiana, la seconda è una
collezione di 313 risposte, spiegazioni o soluzioni di passaggi difficili delle
Scritture.
Pur non essendo un trattato sistematico di norme monastiche, dall’Asceticon
è possibile ricostruire l’organizzazione e lo spirito dei primi cenobi
basiliani. Basilio, come prima di lui Pacomio, prende a modello della vita
cenobitica la Comunità di Gerusalemme quale è descritta negli Atti degli
Apostoli. Di essa, egli mette particolarmente in risalto la fratellanza, a
cui attribuisce una funzione fondamentale nei rapporti tra monaci. Per questo i
cenobi sono da lui chiamati “confraternite”. Basilio non condivide la concezione
assoluta e centralizzata di Pacomio. Per lui il cenobio è sì il fine a cui deve
tendere la vita di tutti, ma ciascun membro di esso possiede un carisma
cioè un insieme di doti, di caratteristiche personali che derivano da Dio e che
non possono essere coartate o annullate da una disciplina impersonale.
Anche Basilio pone a capo del cenobio un superiore (egumeno); ma questi
non è considerato il rappresentante di Dio e neppure possiede un carisma
qualitativamente superiore a quello degli altri monaci. Possiede un carisma
ordinario ed è suo compito orientare la comunità con un atteggiamento
misericordioso e più con l’esempio che con la parola.
A parte questi principi generali, i concetti di autorità e di obbedienza negli
scritti di Basilio non sono mai chiari e, nei cenobi della sua osservanza, essi
si andarono gradualmente assestando dopo una lunga fase evolutiva. Comunque è
indubbio che il concetto di obbedienza in Basilio presuppone l’osservanza dei
Comandamenti ma non la totale subordinazione ad altri membri di carica
superiore, come nel cenobitismo pacomiano e più tardi in quello benedettino.
Sempre per quanto riguarda il superiore, Basilio afferma che egli non deve
investirsi da solo della carica, come spesso succedeva ai suoi tempi, ma deve
essere eletto dai superiori di altre confraternite dopo avere dato buona prova
di sé. Il superiore aveva un vice (il secondo) che lo sostituiva quando si
assentava dalla comunità. C’era poi un economo che si occupava dei beni
materiali e degli ispettori che vigilavano sui laboratori. Esistevano anche un
consiglio composto da tutti i membri del cenobio, che si riuniva per discutere i
problemi più importanti, ed un consiglio composto di “anziani”, cioè di fratelli
che si distinguevano per età e saggezza. Questo secondo consiglio aveva il
compito di ammonire il superiore quando questi non agiva correttamente.
I cenobi basiliani, a differenza di quelli pacomiani che costituivano
organizzazioni autonome, erano inseriti nella vita delle chiese locali.
Praticavano opere di carità ed avevano compiti di istruzione nei confronti delle
comunità cristiane. Anche la loro liturgia cercava di armonizzarsi con quella
delle chiese. Questa loro caratteristica derivava dalla necessità, molto sentita
da Basilio, di trovare una conciliazione tra la vita ascetica e quella dei
cristiani comuni. Tuttavia le confraternite non avevano vincoli giuridici tra di
loro, per cui non si può parlare di una “congregazione” basiliana del tipo di
quella di Pacomio.
Basilio consiglia semplicemente ai superiori di riunirsi ogni tanto per
scambiarsi esperienze e auspica che i cenobi più ricchi aiutino quelli poveri.
Basilio auspica che le confraternite siano di media grandezza. Sembra, ma non è
certo, che in genere esse contassero sui 30-40 monaci. Venivano fondate di
preferenza in luoghi isolati ma ne esistevano anche dentro le città e i
villaggi. L’ingresso alla confraternita era permesso solo dopo aver compiuto i
18 anni. Gli schiavi dovevano dimostrare di avere il consenso del loro padrone e
gli sposati quello delle mogli. L’aspirante doveva affrontare un periodo di
prova di durata indeterminata. Non sappiamo neppure se i novizi dovevano
sottostare ad una particolare disciplina. Risulta solo che gli era imposto il
silenzio e l’obbligo di imparare a memoria alcuni passi delle Scritture. Era
pratica comune che alla confraternita fossero affidati fanciulli da educare che
potevano, se volevano, dedicarsi alla vita monastica.
Non esisteva l’obbligo di indossare un abito uguale per tutti; bastava che esso
fosse semplice e povero. Per quanto riguarda la rinuncia ai beni e la povertà,
c’è da dire che esse non costituivano un requisito assoluto per la vita
monastica. Le varie redazioni dell’Asceticon indicano che al monaco era
concessa l’amministrazione del suo patrimonio. Certo Basilio consiglia al monaco
di consacrare i suoi beni alle opere di carità e al mantenimento della
confraternita, tuttavia non prescrive mai la rinuncia giuridica ad essi.
Gli elementi fondamentali dell’osservanza monastica basiliana erano la preghiera
e il lavoro. La preghiera era comune e si articolava in sette uffizi, alcuni dei
quali commemoravano specifici avvenimenti delle Scritture. Si cantavano i Salmi
ai quali si intercalavano preghiere e prostrazioni. Nell’Asceticon si
trovano parecchie direttive sul lavoro manuale. Per Basilio il lavoro ha la
finalità di soddisfare le necessità del prossimo più che le proprie, quindi il
monaco nel lavorare deve essere motivato soprattutto dalla carità. Spetta al
superiore la responsabilità di affidare un compito lavorativo a ciascun fratello
e questi non deve occuparsi d’altro. Basilio predilige l’agricoltura e mestieri
come quello di tessitore, fabbro, ecc., che evitano contatti con i laici e non
turbano la vita di preghiera che deve regnare nel monastero. Non è escluso il
lavoro intellettuale, come lo studio delle Scritture, e quello caritativo, come
l’assistenza ai malati negli ospedali e l’istruzione dei fanciulli.
Per quanto riguarda l’austerità della vita, si nota nell’Asceticon una
notevole moderazione. Superato l’entusiasmo giovanile per il rigorismo
ispiratogli da Eustazio, Basilio fa suo l’antico detto greco: “La misura in
tutto è la perfezione”. Così le veglie e i digiuni straordinari sono considerati
vanagloria, il regime alimentare è semplice ma sono ammessi due pasti al giorno;
un po’ di vino è permesso.
La giornata del monaco
La giornata del monaco basiliano era scandita dai sette uffizi di preghiera, tra
i quali si inseriva l’attività lavorativa e il riposo.
Il mattinale cominciava prima dell’alba e consisteva nel canto dei Salmi e nella
dedica a Dio della giornata. L’ora terza (le nove) interrompeva il lavoro e
commemorava la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. All’ora sesta (le
dodici) la recitazione dei Salmi era accompagnata da prostrazioni. All’ora nona
(le tre) si commemoravano gli apostoli Pietro e Giovanni. Sempre verso le tre si
mangiava. Nell’uffizio del vespro, al tramonto, si ringraziava Dio e si chiedeva
perdono dei peccati. Aveva quindi luogo la cena. All’inizio della notte c’era un
altro uffizio, la compieta; l’ultimo era cantato nel mezzo della notte.
L’espansione dell’osservanza
basiliana
Da quanto abbiamo detto, Basilio non fu un legislatore monastico in senso
stretto e neppure fu esclusivamente un monaco. Fu forse più un uomo di Chiesa,
che cercò di canalizzare e ordinare le forze ascetiche dell’Asia Minore e di
inserirle in modo armonico nella vita ecclesiale. Non fu neppure il capo di una
congregazione come Pacomio. Tuttavia la grande autorità morale di cui godette
nel suo tempo fece sì che l’osservanza monastica da lui indicata incontrasse un
grande favore nell’impero bizantino ed in alcune regioni limitrofe come
l’Armenia e il Caucaso.
Ma la grande espansione avvenne quando la sua osservanza fu introdotta nel IX
sec. nel famoso monastero di Studion a Costantinopoli. Nel secolo successivo
essa conquistò i monasteri del Monte Athos. Da lì fu impiantata nelle comunità
monastiche di Kiev e quindi si irraggiò sui conventi russi. Da allora
l’osservanza basiliana ha dominato la vita monastica in tutto il mondo ortodosso
grecoslavo.
Il Monte Athos, la “Santa Montagna”, è la più orientale delle tre sottili
penisole che si protendono nel mare nel nord della Grecia. Esso ha costituito
per secoli una vera repubblica monastica. Dalle notizie storiche in nostro
possesso sembra che i primi monaci che abitarono l’Athos furono degli anacoreti
che vi si stabilirono verso il sec. IX. Un centinaio di anni dopo fu fondato il
primo convento, quello della Grande Lavra (962), che fu organizzato sul modello
di Studion che aveva adottato l’osservanza basiliana.
Ma ben presto la coesistenza di eremiti e cenobiti diede luogo a varie
controversie. Per dirimerle fu invitato nell’Athos un famoso monaco di Studion,
Eutimio, il quale scrisse il primo tipico o statuto che regolava la vita
e la disciplina della Santa Montagna. Si accettò la divisione tra cenobiti e
asceti: i primi abitavano nelle lavre o conventi e dipendevano da un
egumeno o superiore secondo il modello basiliano; gli eremiti invece
vivevano in modo libero e indipendente. Fu anche organizzata un’assemblea di
superiori con a capo un “primate” al quale fu affidato il governo e il potere
giudiziario della Santa Montagna.
La storia dei secoli successivi vede il predominio della vita cenobitica su
quella eremitica e una crescita continua della popolazione monastica. Infatti
nell’Athos cominciarono a stabilirsi gruppi di religiosi provenienti dai paesi
slavi, da poco convertiti all’Ortodossia, e monaci latini dell’Italia
Meridionale. Furono costruiti numerosi nuovi conventi i cui abitanti spesso
appartenevano ad uno stesso gruppo etnico: Bulgari, Serbi, Russi, Greci, Latini.
Ben presto l’Athos divenne il centro propulsore della spiritualità della Chiesa
Ortodossa e questa funzione continuò anche dopo la caduta di Costantinopoli e
l’invasione turca.
Attualmente, nella Santa Montagna esistono venti monasteri principali, dove è
concentrata circa la metà dei monaci, e dodici sceti o conventi di grado
inferiore. Vi sono anche 240 celle che sono semplici dipendenze di monasteri e
circa 450 eremitaggi dove vivono gli anacoreti. Questi conventi formano una
federazione o repubblica monastica diretta da un consiglio di 20 membri detto
antiprosopia (cioè “rappresentanza”) che risiede a Karyes, capitale della
penisola. Ciascun membro rappresenta uno dei 20 monasteri principali che sono i
legittimi proprietari del suolo. Il consiglio si riunisce tre o quattro volte
alla settimana durante tutto l’arco dell’anno, ad eccezione dei giorni festivi.
Per il disbrigo degli affari quotidiani, il consiglio delega i suoi poteri ad
una commissione di quattro membri (gli epistates o “guardiani”) ciascuno
dei quali è eletto da un gruppo di cinque conventi.
La repubblica monastica si trova sotto la giurisdizione religiosa del Patriarca
di Costantinopoli. Fino all’inizio di questo secolo essa era formalmente
indipendente dal governo greco; oggi, però, il suo territorio è parte della
Repubblica Ellenica e i monaci –alcune migliaia– sono considerati cittadini
greci.
Nessuna donna o animale di sesso femminile può entrare nell’Athos.
La maggioranza dei conventi della Santa Montagna segue l’osservanza basiliana di
una vita cenobitica fondata sulla preghiera e il lavoro. I monaci sono
sottoposti ad un egumeno, eletto a vita da tutti i membri a titolo pieno
del convento (gli stavrofori, o “portatori di croce”) e non possono
possedere niente di proprio. L’egumeno condivide la responsabilità del
monastero con un consiglio formato da un determinato numero di anziani.
Esistono però anche alcuni monasteri, detti idioritmi (da idioritmia,
cioè “modo particolare di vita”) nei quali i monaci sono sottoposti ad un regime
speciale. Questo si basa su due principi fondamentali: la proprietà privata e la
vita cosiddetta di “famiglia”. Il monaco idioritmico non è obbligato ad
osservare il voto di povertà ma può depositare il suo denaro in una banca;
tuttavia, quando muore, tutti i suoi beni mobili passano al monastero.
La maggioranza dei monaci di questo tipo vivono in genere del proprio lavoro,
per cui cercano di mettersi alle dipendenze di un confratello ricco con il quale
vivere in “regime di famiglia”. Il capo della “famiglia” (proesto) si
prende cura dei suoi monaci e questi sono obbligati ad obbedirgli come ad un
padre. Ciascuna “famiglia” è composta da sette, otto monaci ed è formalmente
indipendente: possiede un locale proprio nel monastero e non entra in rapporto
con le altre non più di due, tre volte all’anno in occasione di funzioni
liturgiche speciali.
Il monastero e il capo della “famiglia” provvedono, ciascuno per metà, alle
necessità dei monaci. Quando il proesto muore, i membri del suo gruppo si
aggregano ad un'altra “famiglia”. Il sistema idioritmico ricorda quello
degli antichi monaci del deserto che vivevano in gruppi indipendenti sotto la
guida spirituale di un anziano.
Oltre ai cenobiti – idioritmi o no – nell’Athos esistono numerosi
anacoreti che vivono negli eremitaggi e non sono obbligati a seguire nessuna
regola di obbedienza. Tuttavia, a partire dal secolo XIV, fece la sua comparsa
negli stessi cenobi un modo di vita semi-anacoretico che viene chiamato
esichìa, parola che significa “quiete”.
Il monaco esicasta si dedica ad una vita esclusivamente contemplativa e non esce
quasi mai dalla sua cella. La sua unica attività consiste nella preghiera
continua, secondo una tecnica che associa un mantra ad una pratica
respiratoria. Questa tecnica, che sembra sia stata introdotta da un monaco
chiamato Niceforo, è chiamata “preghiera del cuore”. Ecco come lo stesso
Niceforo la descrive: “Mettiti seduto, raccogli il tuo spirito e introducilo
nelle narici: è il cammino che l’aria segue per andare al cuore. Spingilo,
forzalo a discendere nel cuore, insieme con l’aria inspirata. Quando vi sarà
giunto vedrai la gioia che eromperà...
...A questo punto, abìtuati a non fare uscire lo spirito per impazienza; le
prime volte si sentirà smarrito in questa prigione interiore. Ma quando si sarà
ambientato, non avrà alcun desiderio ad uscire nelle consuete divagazioni. Il
regno dei cieli è dentro di noi...
A questo punto hai bisogno di un altro insegnamento: mentre il tuo pensiero
dimora nel cuore, non stare silenzioso né ozioso; costantemente sii impegnato a
gridare: ‘Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, e non ti
stancare.
Questa pratica, tenendo lontano il tuo pensiero dalle divagazioni, lo rende
invulnerabile e inattaccabile alle suggestioni del nemico [il demonio], e ogni
giorno lo eleva all’amore e alla nostalgia di Dio”.
[3]
Dunque, ripetendo tutto il giorno questa preghiera, il monaco cerca di svuotare
la sua mente da qualunque immagine o pensiero per ricordarsi solamente di Dio. È
interessante notare che questa tecnica somiglia molto, per finalità e
procedimento, al dhikr kafi (“ricordo occulto”) dei sufi, come vedremo
più avanti.
Il monachesimo esicasta ebbe una straordinaria diffusione in Russia fino alla
rivoluzione. Nel secolo scorso, dopo la traduzione in russo della Filocalia
– il libro che contiene i testi fondamentali della spiritualità esicasta –
si formò un grande movimento esicasta anche tra i laici. Esso influì
profondamente su personalità della grandezza di un Tolstoi e di un Dostoevskij.
[1]
Su questo punto c’è da dire che non esiste unanimità fra gli studiosi
sull’autenticità e la datazione delle opere che vanno sotto il nome di
Basilio.
Cfr. S. Y. Rudberg, Etudés sur la tradition manuscrite de S. Basile,
Uppsala 1953.
[2]
Cfr. W. K. Klarke, St. Basil the Great. A study in Monasticism,
Cambridge 1913.
[3]
La Filocalia,
a cura di G. Vannucci, Firenze 1981, pagg. 108-9.
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12 febbraio 2019
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net