Valore e prassi del lavoro nelle nuove comunità monastiche
don Mario Torcivia
Studio Teologico S. Paolo - Catania
estratto da "ORA ET LABORA"
quaderni di interesse monastico
LXIV
- 1 - gennaio-marzo 2009
Redazione e amministrazione:
Monastero S. Benedetto
Benedettine dell’adorazione perpetua
Via Felice Bellotti, 10 - 20129 Milano
La presente relazione desidera esporre quanto le nuove comunità monastiche italiane (NCMI)[1] affermano, nei loro scritti fondanti (regole, costituzioni, statuti), sul tema del lavoro.
Prima di entrare in medias res, due premesse.
Non tutte queste comunità presentano lo stesso “spessore” di riflessione, vuoi per la diversità dei fondatori, vuoi per i pochi o molti anni di vita monastica.
Riguardo alla prassi, si comprende bene come risulti difficile constatare per tutte le NCMI se realmente quanto scritto sia vissuto comunitariamente e singolarmente. Molti ambiti di lavoro sono infatti difficilmente esperibili e, nelle comunità più giovani e ancora poco numerose, spesso quanto scritto risulta ad oggi soltanto un desiderio in attesa di una maggiore stabilizzazione della stessa vita comunitaria, della definizione più razionale degli spazi e della crescita del numero dei membri.
1. LE NCMI PIÙ
NOTE
Iniziamo col presentare le NCMI più note perché fondate da uomini che si sono imposti nel panorama monastico per lo spessore spirituale delle loro riflessioni e delle loro realizzazioni.
Piccola Famiglia dell’Annunziata (PFA)
Don Giuseppe Dossetti dedica il n. 10 della Piccola Regola al lavoro[2]:
«Il lavoro: è obbedienza,
prolungamento dell’Eucaristia e della Liturgia delle ore e oggetto normale della
nostra offerta: quindi preordinato, custodito e compiuto con zelo religioso;
strumento regolare della nostra mortificazione, del nostro amore per le anime [e
del nostro annuncio abituale][3],
da preferirsi normalmente a ogni altra penitenza od opera di bene. Salvo ragioni
di salute, deve essere almeno di [trentacinque ore alla settimana][4]»[5].
Si parla ancora del lavoro quando, trattando del voto e della virtù della povertà, si afferma come questi impegnano, tra l’altro «a lavorare per vivere e a versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l’abitazione e ogni oggetto di lavoro» (n. 13) [6].
Il commento a questo punto della Piccola Regola lo lasciamo allo stesso Dossetti in occasione di una catechesi dell’8 dicembre 1988 rivolta alle coppie di sposi appartenenti alla PFA:
«Il lavoro è qui definito
prolungamento dell’eucaristia e della liturgia delle ore, cioè una cosa sola,
omogenea e della stessa stoffa. Poiché l’eucaristia e la liturgia delle ore sono
gli atti in cui si realizza massimamente la nostra comunione con Dio, e quindi
la nostra comunione verticale e allargata, e poiché è nell’eucaristia e nella
liturgia delle ore che siamo un tutt’uno con Dio e con i suoi santi, dire che il
nostro lavoro è un loro prolungamento implica già tutta una concezione
ecclesiale: se ci sentiamo alla presenza di Dio nell’eucaristia, ci dobbiamo
sentire alla presenza di Dio, ancora e allo stesso modo, nel nostro lavoro.
Ricordando ancora il cap. 7 di Daniele e applicando al nostro lavoro quella
immagine che questa mattina mi viene da usare, anche qui c’è un Dio in trono al
quale noi dobbiamo avere lo stesso sguardo, un Dio che scruta le reni e i cuori
e valuta la sostanza del nostro lavoro, e cioè con quali intenzioni e in che
modo lo facciamo. Anche qui vale il salmo 139/138: Se vado lassù nel cielo, se
scendo nelle profondità della terra, tu mi scruti e mi conosci, quando seggo e
quando mi alzo (cfr. vv. 8.1.2) … anche nel nostro lavoro. Io stesso ci penso
adesso, ma la realtà è questa. Partendo da questa concezione ecclesiale di
grandissima comunione, di comunione integrata dall’alto, immergiamo in essa il
nostro lavoro e vediamo subito come acquista un tono molto preciso e cambia
volto […]»[7].
Comunità di Bose
Nel n. 24 il lavoro viene visto come un aspetto della vita di povertà che deve caratterizzare il monaco: «Fratello, sorella, tu vivrai la tua povertà anche sottoponendoti al lavoro, come tutti gli uomini». E citato quanto affermato in 2Ts 3,10, prosegue: «Tu lavorerai perché i padri e gli apostoli hanno lavorato per vivere del lavoro delle proprie mani, perché non ti è lecito farti servire dagli altri, perché il lavoro è collaborazione alla creazione in atto da parte della Sapienza di Dio, perché tu devi testimoniare la tua solidarietà con tutti gli uomini, operando in mezzo a loro».
Riguardo, poi, alla serietà con la quale il monaco deve lavorare, aggiunge:
«E bada di prendere sul serio la tua vita di lavoro. La
tentazione sarebbe di lavorare quando ti piace e come ti piace: ma così
resteresti un dilettante. Sei un uomo come gli altri, lavorerai come loro,
cercherai con loro la giustizia e la fine dello sfruttamento ma non ti esimerai
dal vivere la loro condizione. Per questo non fuggirai dal mondo e dagli uomini,
ma vivrai come loro, più o meno socializzato come le condizioni ti
richiederanno».
Il n. 25 si sofferma più dettagliatamente a trattare del nostro tema:
«In comunità i lavori sono diversi. Ognuno entrando in
comunità mantiene possibilmente il lavoro, la professione, lo stato che aveva
quando fu chiamato. La comunità veglierà affinché il lavoro di ciascuno sia
compatibile con la vita comune e non schiacci la personalità del singolo. Tu ti
guarderai dal minimizzare il lavoro del tuo fratello o dal fare confronti. Tutti
i fratelli faranno però lavori manuali in comunità: sovente questi sono i lavori
dei più umili; dunque tu li farai senza gemere, cosciente di servire così
fratelli e ospiti».
Interessante si rivela il legame tra lavoro e preghiera:
«Se la fatica, il lavoro non fa corpo con la preghiera,
allora quella che dovrebbe essere una vita di ricerca di Dio nelle difficoltà
liberatrici, diventerebbe una vita di privilegiati. Tendi dunque verso una
grande continuità di lavoro nelle ore fissate, rispetta l’orario dei fratelli e
non autorizzarti a disturbarli con le tue visite. Alle ore convenienti il
lavoro, la preghiera e tutto in Dio».
Comunità dei Figli di Dio (CFD)
Tre sono i numeri consacrati dallo Statuto[9] della CFD, valido per tutti i quattro rami della comunità fondata da don Divo Barsotti, al lavoro.
Nel primo si sottolinea il valore testimoniale del lavoro: «Non solo per il proprio sostentamento, ma anche per rendere testimonianza di vita perfetta e per servizio di amore ai fratelli, ognuno dovrà impegnarsi in qualche lavoro. Si renda conto che una vera testimonianza esige da ciascuno una seria preparazione, un aggiornamento continuo, un impegno reale di tutte le proprie capacità» (43).
I numeri seguenti evidenziano il legame del lavoro con la preghiera: «Se anche il lavoro occuperà gran parte del giorno, non per questo deve divenire l’impegno più importante cui tutto è da sacrificarsi. Al di sopra di tutto sia sempre per ognuno l’impegno di vivere l’unione con Dio nella preghiera» (44). «Allora si vivrà veramente il lavoro come impegno religioso, quando il lavoro stesso sarà divenuto preghiera» (45).
«Ci si renda conto però, che non tutti i lavori possono
essere idonei alla vita dei membri del IV° ramo. Prima di tutti s’impone,
normalmente che il lavoro stesso venga svolto all’interno della casa. Se
possibile, poi, ognuno abbia un proprio lavoro in modo tale che possa essere
rispettato il silenzio e il raccoglimento della vita monastica» (103).
Accanto poi all’economo, al sacrista e al bibliotecario, che devono essere assicurati in ogni casa di vita comune, si farà una rotazione settimanale per tutti gli altri necessari servizi (cf. 104).
Il n. 108 è dedicato al lavoro dei monaci-presbiteri:
«I sacerdoti appartenenti al IV° ramo non sono del tutto
esentati dal lavoro che svolgono gli altri fratelli, ma a loro è demandata
soprattutto l’assistenza spirituale dei fratelli e delle sorelle della Comunità
intera. Dovranno visitare, secondo il calendario stabilito dal consiglio le
varie Famiglie per dettare i ritiri mensili e gli esercizi spirituali annuali
della Comunità. Potranno, inoltre, organizzare e dirigere incontri di preghiera
e vocazionali per i giovani».
Riguardo, infine, al rapporto con i desiderata dei vescovi delle diocesi nelle quali insistono le case di vita comune: «Per la vocazione monastica che ci è propria, l’Autorità Ecclesiastica ci chiederà soltanto quelle prestazioni di attività che non impediscano il primato della vita di preghiera e l’assolvimento degli obblighi della vita comune e comunitaria» (111).
2. LE NCMI CHE SEGUONO
Presentiamo ora le NCMI che
seguono
Comunità Monastica Oblati Camaldolesi S. Maria in Colle
Essendo una comunità legata alla
Congregazione camaldolese - e, quindi, rifacentesi pienamente alla regola e alle
costituzioni dei monaci fondati da s. Romualdo - attingiamo dall’unico documento
“proprio”,
Poco prima della conclusione, incontriamo un numero dedicato esclusivamente al lavoro:
«Il lavoro manuale e
intellettuale fa parte della vita monastica. È un comando dell’Apostolo, un modo
di vivere la povertà e il servizio al Vangelo. Favorisce una vita equilibrata,
sviluppa il potere creativo della persona e ha la sua importanza per l’ascesi e
l’orazione. Non dovrà però nuocere al tempo della preghiera, della formazione
intellettuale e all’aggiornamento. Resterà finalizzato all’esperienza stessa e
condiviso dagli ospiti» (29)[11].
Comunità Monastica di Siloe
Le Costituzioni (1997) della Comunità parlano del lavoro all’interno del punto inerente alla povertà: «Un modo concreto di rendere visibile l’atteggiamento di povertà è quello di contribuire alle necessità della Comunità con il proprio lavoro, manuale o intellettuale, e con ogni attività ritenuta opportuna. Il Priore assegni pertanto un compito a ciascuno, tenendo conto delle competenze, capacità e debolezze di ogni fratello (Cfr. RB 48)» (10 c).
Comunità Monastica SS. Trinità
Le Costituzioni della Comunità,
sita nella diocesi ambrosiana, dedicano al lavoro quattro numeri all’interno del
capitolo su
L’impegno di conversione nella vita quotidiana.
Il primo articolo inizia citando
Ma quali sono i fini dell’attività lavorativa, cui ogni monaco deve intendere?
«Oltre a mantenere se stesso e
la comunità, affaticandosi con il lavoro delle proprie mani, egli accoglie
responsabilmente l’opera della creazione e della redenzione che celebra nella
liturgia; realizza se stesso divenendo in un certo senso più uomo (cf.
Gaudium et Spes 35; Giovanni Paolo
II, Laborem excercens 9); vive nella
solidarietà con gli altri uomini, impegnati nella comune legge del lavoro (cf.
Perfectae caritatis 13); fa parte dei
proventi del suo lavoro con chi si trova nella necessità (cf. Ef 4,28)» (Art.
53).
Il priore esercita la cura nei riguardi della comunità anche attraverso una sapiente distribuzione degli incarichi di lavoro: «Il lavoro è esercitato ordinariamente nella casa di Dio (cf. RB 66,6-7) e nelle ore ad esso destinate (cf. RB 48,1). Il priore ha cura che gli incarichi siano distribuiti con equilibrio tra tutti i fratelli, in modo che nessuno risulti eccessivamente affaticato, o manchi del tempo da dedicare alla preghiera, alla lectio divina, allo studio» (Art. 54).
Il lavoro, inoltre, pur svolto dal singolo monaco, resta sempre un’opera dell’intera comunità:
«Il lavoro è vissuto nell’obbedienza secondo le mansioni
affidate dal priore, il quale, da parte sua, è attento alle attitudini di
ciascuno e alle necessità della comunità. Per quanto possibile, ogni fratello ha
un incarico fisso: responsabile nel proprio settore di impegno, rimane tuttavia
disponibile ai consigli degli altri e alla collaborazione fraterna, perché anche
in questo gli uni portino i pesi degli altri (cf. Gal 6,2). È preoccupazione del
priore che i diversi ambiti di impegno siamo tra loro coordinati; che gli
incarichi siano svolti con la necessaria competenza; che tutta la comunità sia
informata sulle problematiche inerenti ciascun settore» (Art. 55).
Nessuna discriminazione, infine, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale:
«Nella comunità sono tenuti in eguale considerazione il
lavoro manuale, quello intellettuale, gli altri servizi richiesti dalla vita
domestica. Ciò che infatti conferisce vera dignità al lavoro è la sua utilità al
bene comune, la competenza e la responsabilità con le quali viene svolto,
l’amore e la gioia da cui è generato. Ogni attività è pertanto esercitata con
impegno, senso del dovere e del bene comune, autodisciplina, rispetto dei tempi
assegnati, in modo che né la pigrizia distolga dalla fatica, né un eccessivo
lavori sovrasti sugli altri impegni della giornata» (Art. 56).
Comunità Monastica Benedettina dei SS. Pietro e Paolo
Nelle Costituzioni (1994) della Comunità monastica milanese, all’interno della parte relativa a La vita nuova nella comunità monastica, trattando de La vita nuova nel monaco, ritroviamo due punti dedicati al lavoro: «Il lavoro è un fatto essenziale alla realizzazione della nostra vita monastica: “allora sono veri monaci, quando vivono del lavoro delle loro mani, come i nostri padri e gli apostoli (RB 48,8). Il monaco, “sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi… collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità (Laborem exercens 27)» (55).
Il punto seguente legifera sul lavoro manuale: «Si dia, quindi, nel corso della giornata, un tempo conveniente al lavoro manuale. Possono essere esentati solo coloro che a motivo dell’età o della salute non sono in grado di svolgere attività di carattere fisico. Si curi che anche ai monaci occupati in particolari attività o servizi alla Comunità venga riservato uno spazio, pur se ridotto, di lavoro manuale» (56).
Monastero dell’Anastasis – S. Marco
Le sorelle che costituiscono
Comunità Monastica
della Trasfigurazione
Nello Statuto (in via di approvazione) della Comunità reatina, comprendente le Costituzioni, nel capitolo su La comunità, ritroviamo, all’interno del paragrafo su Vita comune e consigli evangelici, un punto dedicato al lavoro: «Memori dell’insegnamento dell’apostolo Paolo i membri della fraternità vivono del lavoro delle loro mani, in comunione con tutti coloro che si guadagnano il pane col sudore della propria fronte. Per tale ragione assumeranno volentieri e svolgeranno con diligenza i compiti loro affidati per contribuire al decoro della casa di Dio e al sostentamento della comunità» (13).
Piccola Famiglia di Betlemme
Dal sito della Comunità ricaviamo le seguenti affermazioni sul lavoro:
«Sull’esempio degli Apostoli e dei Padri della Chiesa, il nostro stile di vita è
caratterizzato dalla
povertà e dalla
semplicità, espresse dal
lavoro manuale (lavoro artigianale
della terracotta, pittura di icone e quadri sacri, lavori agricoli), che
permette al monaco di guadagnarsi il suo pane e di essere così solidale con il
destino comune di tutti gli uomini. Secondo l’insegnamento della Scrittura e di
Gesù, il lavoro è un prolungamento dell’opera del Creatore, un contributo allo
sviluppo umano, “una partecipazione alla stessa opera redentrice di Cristo” (Concilio
Vaticano II). Il lavoro è per noi monaci una esigenza di verità, perché
vogliamo essere poveri con Cristo povero. È anche un momento di comunione
fraterna, perché tutti collaborano al bene comune, aiutandosi vicendevolmente in
un silenzio che lascia il cuore attento a Dio. Oltre ad assicurare la
sussistenza della comunità, il lavoro ci permette di condividere con i più
poveri quello che siamo riusciti a produrre»[12].
3. LE PIÙ PICCOLE
NCMI
In ultimo presentiamo le NCMI più piccole perché formate da pochissimi membri.
Fratelli Contemplativi di Gesù
«Con il lavoro manuale quotidiano la comunità dei
fratelli condivide quella stessa fatica a cui ogni uomo è sottoposto al fine di
procurarsi il proprio sostentamento: ‘Con il sudore della fronte mangerai il tuo
pane (Gen. 3,19). Il lavoro, oltre a svolgere una funzione di equilibrio e di
armonia nell’insieme della nostra vita quotidiana, costituisce un esercizio
ascetico che ci abitua ad agire in obbedienza, con senso di responsabilità, come
collaboratori dell’opera della creazione».
E continua insistendo sulla necessaria calma che deve caratterizzare l’attività lavorativa:
«Nell’insegnamento dei Padri, le parole dell’Apostolo
‘lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno’ (1 Tess. 2,9) non
sono mai disgiunte dalle altre ‘pregate incessantemente’ (1 Tess. 5,17). Per
questo è importante che il lavoro, in tutte le sue varie attività che ci sono
richieste, si faccia nella calma, evitando tutto ciò che porta agitazione e
preoccupazione, al fine di permettere ad ognuno di lavorare alla sua vita
interiore» (16).
Fraternità Monastica di Montecroce
La piccolissima Comunità piemontese, sita in provincia di Torino, non dedica un numero specifico del suo Progetto di vita (1982) - le linee di fondo del cammino comunitario - al lavoro, ma parlando dei valori scelti e attestati menziona: «il primato della Parola e dell’Eucarestia, la contemplazione, la koinonia-comunione e il loro annuncio attraverso la testimonianza, la fraternità, la provvisorietà, la condivisione, l’accoglienza e il creato» (pp. 9-10). E, spiegando nelle “scelte pratiche” cosa si intende per provvisorietà, troviamo scritto: «mantenere un lavoro umile, da svolgersi a metà tempo, disponibili a cambiarlo, di preferenza manuale e appena sufficientemente retribuito, per una condivisione diretta con i più poveri» (p. 11).
Descrivendo, infine, ne La vita monastica a S. Valeriano (1982), la modalità concreta di vita di una giornata comunitaria, troviamo poco più che una breve pagina dedicata al lavoro:
«almeno 4 ore di lavoro di
lavoro ogni giorno: coltivare i campi, accudire il bestiame, curare l’orto,
procurarsi le legna per riscaldarsi d’inverno… Lavori umili, manuali, che non
distolgono il cuore dal colloquio con Dio, che ci rendono solidali con tutti gli
uomini che faticano a vivere, che servono a procurasi il cibo necessario.
Lavori, infine, fatti con il massimo impegno ma senza mai diventare attività
febbrile, senza la preoccupazione di “quanto possano rendere” in denaro. Anzi,
una parte dei raccolti è regalata a chi è nel bisogno, anche perché i prodotti,
specie cerealicoli, sono coltivati biologicamente: è un modo semplice per
aiutare a “bonificare” l’alimentazione e l’habitat. Del tempo è dato anche ad un
lavoro più “intellettuale”: è la lettura di giornali e riviste che aiutano a
tenere lo sguardo sui drammi dell’umanità per presentarli, nella preghiera,
davanti al Signore; ed ancora studio e lettura di
testi patristici e di tutta
Fraternità di Nazareth
Anche un’altra Comunità torinese, nella sua regola monastica (1988), consacra qualche paginetta al lavoro. Citati passi di Mc 6,3 e della RB 48, la prima affermazione riguarda la calma e la taciturnitas che devono caratterizzare il lavoro monastico:
«C’è un modo contemplativo di
lavorare, in atteggiamento di preghiera, nella pace dell’obbedienza. Molte
stanchezze dell’uomo non dipendono dal tipo di lavoro, ma dalle tensioni con cui
si accosta al lavoro. Il monaco cura che la mente sia sgombra per Dio,
applicandosi con amore a ciò che sta facendo, libero da ogni ossessività. Ne
scaturisce la “taciturnitas”,
caratteristica del sistema monastico
di lavorare. Il lavoro manuale
armonizza lo spirito. Il monaco, libero dai conforti della società consumistica,
è in grado di accostare con affetto la realtà del creato» (pp. 33-34).
Importante è, inoltre, il richiamo alla memoria Dei che mai deve allontanarsi dal monaco che lavora: «Il monaco, durante il lavoro, cerca di essere occupato dalla “memoria Dei”, dal ricordo delle meraviglie del Signore, per non cadere nella tentazione della “mormorazione”. La figura di S. Giuseppe, silenzioso servo dell’Incarnazione, ci aiuta ad agire in ogni istante alla sola presenza del Signore, a scomparire agli occhi degli uomini, in umile adorazione dei misteriosi disegni di Dio» (p. 34).
Ancora: l’atteggiamento del monaco nell’esercitare il lavoro assegnatogli manifesta la qualità stessa della sua vita interiore: «Il lavoro è un elemento fondamentale e costitutivo della vocazione monastica: l’intensità della vita interiore di un monaco si può misurare dal modo di accostarsi al lavoro, dalla pazienza nell’affrontare le fatiche e dalla capacità di utilizzare il tempo» (p. 34).
In ultimo, icona del monaco che
lavora è
Fraternità di San Lorenzo
Fraternità Monastica Apostolica
La riflessione sul lavoro della Comunità torinese la ritroviamo nel primo punto dello Statuto (1995), parte consacrata al carisma e alla finalità della Fraternità Monastica Apostolica: «Il lavoro, anche professionale, dei fratelli non assume la dimensione di missione secolare che comporti responsabilità nel mondo (can. 672; 285; 286; 287). Il lavoro non deve superare il metà tempo né interferire con il ritmo monastico della vita comune e con un certo livello di presenza e di impegno nella pastorale parrocchiale» (1.8.).
Comunità Monastica Diocesana di Biella
Anche
«Vogliamo vivere una vita autenticamente donata a Dio, ma
profondamente radicata nel tessuto umano della nostra società; desideriamo
testimoniare che scegliere Cristo e nulla anteporre a lui non è una scappatoia
dalle fatiche e dalle contraddizioni cui gli uomini sono sottoposti ogni giorno.
Per questo assumiamo il lavoro quotidiano: come condivisione con l’opera
creatrice di Dio; come contributo in chiave cristologica al riscatto del lavoro
stesso, trasformandolo da maledizione in redenzione; come condivisione con
l’impegno quotidiano di ogni uomo e come rapporto con i fratelli, senza
privilegi; come modo per vivere la povertà, sottomettendoci alla disciplina che
la fatica del lavoro stesso comporta; come mezzo che permette autonomia e
libertà da condizionamenti di tipo economico».
Modelli di riferimento per la concezione del lavoro della comunità biellese sono lo stesso Signore e la tradizione monastica: «Cristo stesso non si è sottratto alla disciplina del lavoro e ci ha salvati con gli anni di silenziosa fatica non meno che con gli anni della proclamazione del Regno. Anche la tradizione monastica (soprattutto benedettina, ma non solo) concepisce il lavoro come apertura alla vita e lo reinterpreta da condanna ineluttabile a strumento di profezia umana e spirituale».
Il lavoro si presenta poi intimamente connesso all’opus Dei della monaca:
«Come tutta l’attività della
giornata (preghiera e lavoro) vuole essere lode e comunicazione con Dio, così
tutta l’attività della giornata è “lavoro”, inteso come realizzazione del piano
di Dio su di noi. Niente rimane escluso da quell’opus
Dei che, senza soluzione di continuità, si dipana nelle nostre giornate e le
unifica nell’unica opera necessaria: credere a Gesù Cristo e a Colui che lo ha
mandato».
Ma quali sono le forme di lavoro che la comunità vive nella vita quotidiana?
«Concretamente intendiamo come lavoro, in modo più
specifico, sia il lavoro professionale (che dà retribuzione), svolto, a seconda
dei casi, fuori o dentro la comunità, sia il quotidiano svolgersi delle attività
necessarie all’organizzazione ordinata alla vita comunitaria, che vedono, pur se
in diverso modo, la partecipazione di tutti i membri della comunità. Nel primo
tipo di lavoro sperimentiamo maggiormente la condivisione con tutti gli uomini,
nel secondo tipo di lavoro rendiamo visibile la diaconia reciproca, mettendoci
gioiosamente e gratuitamente gli uni al servizio degli altri, servendo prima di
tutto, nel fratello e nella sorella della comunità, il Cristo stesso».
Comunità Monastica di Pulsano
«
4. CONCLUSIONE
Al termine di questa carrellata di citazioni riproponiamo sinteticamente i tratti comuni della riflessione sul lavoro di queste nuove realtà monastiche.
Il primo tratto riguarda la decisa consapevolezza che il monaco deve lavorare perché Cristo, gli apostoli e i padri, monastici e non, hanno lavorato. Profondo si rivela così il legame che i membri della NCMI vivono con chi li ha preceduti nella condizione umana e di fede[13].
Un altro tratto da evidenziare è lo stretto legame che intercorre tra lavoro e liturgia. Ciò per due motivazioni: facilitare sempre più il processo di unificazione interiore che deve caratterizzare la quotidianità e, quindi, la vita del monaco e ricordare che tutta giornata del monaco si svolge alla presenza di Dio, sia che si preghi in chiesa sia che ci si trovi nella stanza di lavoro. Ne consegue che come la liturgia deve essere ben celebrata, così il lavoro deve essere svolto bene e con zelo religioso. La professionalità nello svolgimento del lavoro deve caratterizzare, pertanto, il monaco. Questi non deve essere dilettante, ma compiere al meglio quanto assegnato dall’obbedienza. Si crea, così un circolo virtuoso tra lavoro e preghiera. Se il primo è svolto seriamente, anche la seconda lo sarà e viceversa.
Ancora: il lavoro è la prima e fondamentale opera di ascesi del monaco, il cui fine è la redenzione stessa di ciò che grava, così come il testo di Gen. 3,19 afferma dopo il peccato di Adamo, come un peso per la condizione umana. Lavoro, quindi, come partecipazione alla stessa attività creatrice di Dio e anche come fonte di armonia ed equilibrio della condizione umana.
Parlare del lavoro significa anche toccare uno degli aspetti del voto di povertà che caratterizza la scelta monastica. Povertà che acquista anche il significato di solidarietà con tutti gli altri uomini e donne della terra che quotidianamente si guadagnano da vivere col sudore della fronte.
Lavorare significa anche pensare al proprio sostentamento e alle diverse esigenze che la vita comunitaria presenta. Si vive cioè con i proventi del proprio lavoro.
Certo il lavoro non deve attentare a tutte le altre dimensioni della vita monastica. Deve essere contenuto in ordine all’orario perché non ecceda facendo perdere di vista il necessario equilibrio tra tutti gli aspetti che compongono la giornata monastica e deve essere condotto in modo da non distrarre la diuturna memoria Dei che il monaco si sforza di realizzare.
La maggior parte delle NCMI insiste sulla necessità del lavoro manuale, anche per coloro che solitamente svolgono lavoro intellettuale. Sono infatti i lavori più umili quelli che creano sempre più uguaglianza tra i monaci e che fanno avvertire maggiormente la solidarietà con gli uomini e le donne più umili e/o meno dotati dal punto di vista culturale.
Infine l’aspetto della condivisione: si lavora anche perché si possa far parte ai più poveri dei proventi realizzati col proprio lavoro.
Concludiamo affermando, senza pericolo di essere smentiti, che quanto presente nei testi principali delle NCMI rientra perfettamente in quanto da sempre asserito e presente negli scritti fondanti la vita monastica. E la testimonianza più evidente è la continua citazione della RB.
Note:
[1] Sulle NCMI rimandiamo ai nostri seguenti scritti: Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Piemme, Casale Monferrato 2001; Le nuove comunità monastiche italiane e il monachesimo tradizionale, in Ora et Labora 55 (2000/1) 36-45; Verso un nuovo monachesimo, in Testimoni 23 (54) (2000/8) 23-29; Le nuove comunità monastiche italiane, in Vita Consacrata 36 (2000/4) 416-431; La configurazione canonico-spirituale del monachesimo nella Chiesa locale, in Vita Consacrata 36 (2000/5) 499-511; Le nuove forme di vita religiosa e le nuove comunità monastiche italiane, in Vita Consacrata 37 (2001/3) 299-309; Nuove comunità monastiche /1. Il carisma benedettino vissuto nel mondo, in Testimoni 24 (55) (2001/4) 10-11; Nuove comunità monastiche /2. La tradizione cistercense, in Testimoni 24 (55) (2001/5) 12-14; Valori della vita consacrata e nuove comunità monastiche italiane, in Consacrazione e Servizio 51 (2002/9) 19-26; Le nuove comunità monastiche italiane, in Religiosi in Italia NS n. 346 (2005/5) 38*-42*; La liturgia nelle nuove comunità monastiche, in Liturgia 39 n. 191 (2005/5) 14-16; Tratti peculiari di alcune nuove comunità monastiche italiane, in F. CONIGLIARO-A. LIPARI-M. TORCIVIA, Il carisma monastico benedettino tra passato e futuro, Abadir, S. Martino delle Scale (PA) 2007, 67-77; Essere monaci oggi nella Chiesa locale, in COMUNITÀ MONASTICHE IN DIALOGO, Il deserto e la terra. L’esperienza monastica nella chiesa locale, Il Segno dei Gabrielli editori, Negarine di S. Pietro in Cariano (VR) 2007, 25-56.
[2]
[3] Aggiunta del 1976.
[4] Così la modifica apportata nel 1978, cf. Archivio Giuseppe Dossetti IV b/56. Precedentemente il testo recitava: «sette ore al giorno».
[5]
DOSSETTI,
[6] Ib.
[7]
DOSSETTI,
[8]
[9] Ci
riferiamo all’ultimo approvato dal Consiglio della Comunità (11 maggio
1997), che ha ricevuto il nihil
obstat dell’Arcivescovo di Firenze, diocesi nella quale insiste la
casa madre della CFD, il 25 aprile 1998. Attualmente
[10]
COMUNITÀ DEI FIGLI DI DIO, Regola
per il IV° Ramo, 1992.
[11] In margine troviamo riferimenti a RB 48, 2Ts 3,10 e RB 4.
[12] www.piccolafamigliadibetlemme.org/arte/elabora.htm (14/07/2007).
[13]
Solo una breve nota sul tipo di lavoro realizzato in queste comunità:
agricoltura, manifattura, confettura di prodotti alimentari,
iconografia, falegnameria. In alcune NCMI, infine, abbondante è la
produzione intellettuale.
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8 febbraio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net