2.
Appare la santa koinonia
Agli albori della comunità monastica
Estratto da “KOINONIA” di
Fabio Ciardi
Città Nuova 1996
La vita
di solitudine propria dell’anacoresi, nonostante la profonda comprensione
della dimensione di comunione della vocazione cristiana, poteva ingenerare
una certa dimenticanza del fratello, quasi che esso fosse in antitesi con
Dio. È quanto accade al giovane Pacomio 1. Nel racconto di
vocazione, si narra che quando gli apparve un angelo, lo trovò preoccupato.
All’angelo che gliene chiede la ragione, Pacomio risponde: «Sto cercando la
volontà di Dio». «La volontà di Dio - risponde l’angelo - è che tu serva gli
uomini». «Sto cercando come fare la volontà di Dio - ribatte Pacomio, ancora
tutto preso dalla propria incipiente esperienza anacoretica - e tu mi vieni
a dire di servire gli uomini?». Ancora non aveva scoperto nel servizio
dell’uomo il servizio di Dio. L’angelo deve ripetere per tre volte l'invito.
Obbedendo, Pacomio costruisce una casa per accogliere i fratelli 2.
E’ l’inizio della vita cenobitica, la nascita della comunità religiosa.
La nuova
realtà appare immediatamente come un dono straordinario dall’Alto: «E per
grazia di Dio che appare sulla terra la santa
koinonia»
3. Così
Teodoro, discepolo e successore di Pacomio, vede nascere la comunità
monastica in seno alla Chiesa. Come lui Orsiesi, altro discepolo e
successore di Pacomio, sintetizza e motiva la vita comunitaria con il
ricorso al modello della Chiesa primitiva: Tutto eseguiamo «in conformità
alla legge della santa koinonia come un solo uomo (...), come sta scritto:
“Tutti i credenti formavano un cuore solo e un’anima sola" (At 4, 32)»
4. Tuttavia, prima ancora di essere oggetto di riflessione dottrinale,
la comunità pacomiana è frutto di un’esperienza di vita.
La comunità nasce
da un’esperienza
Pacomio
si era convertito al cristianesimo perché colpito dall’amore concreto che
gente sconosciuta di un villaggio aveva mostrato nei suoi riguardi mentre
veniva condotto a forza, incatenato, per essere arruolato nell’esercito
romano. «Venuta la sera - racconta la Vita copta -, gli abitanti di quella
città portarono in carcere pane e viveri e forzarono le reclute a mangiare,
poiché le vedevano in preda a un grande dolore. Quando il giovane Pacomio li
ebbe visti, si rivolse ai suoi compagni: “Come mai questi uomini ci trattano
così umanamente, visto che non ci conoscono neppure?". Gli risposero “Sono
dei cristiani, e ci trattano così amabilmente a causa del Dio del cielo”.
Egli allora si ritirò in disparte e passò la notte a pregare Dio dicendo:
“Signore mio Gesù Cristo, Dio di tutti i santi, possa la tua bontà
raggiungermi presto; salvami da questa tribolazione e io, da parte mia,
servirò il genere umano per tutti i giorni della mia vita”» 5.
La sua
vita, fin dall’inizio, è quindi segnata dall'amore. Se all'origine della
vocazione di Antonio vi era stato il passo di
Mt
19, 21,
ossia l’invito ad abbandonare tutto per seguire Cristo, e quindi l’accento
era posto sulla rinuncia, all’origine della vocazione di Pacomio vi è un
gesto concreto di carità. Antonio aveva ascoltato la parola del Vangelo in
chiesa, in un contesto liturgico. Pacomio incontra la parola di Dio fatta
carne in alcuni cristiani che vengono a visitarlo in carcere. «Il modello,
la regola della koinonia pacomiana vanno ritrovati in questo gesto concreto
di amore e di servizio fraterno» 6.
La
conversione coincide con una vocazione specifica: mettersi al servizio degli
uomini. Le tradizionali pratiche ascetiche della vita anacoretica sono
sostituite dall’impegno per aiutare i fratelli, istruendoli nel cammino di
Dio.
Un’ulteriore esperienza determina la maturazione dell’idea di una vita
vissuta nella comunione con i fratelli e segna un’ulteriore presa di
coscienza del valore dei rapporti umani. Dopo sette anni di esperienza
anacoretica, Pacomio avrebbe dovuto essere ormai maturo nella vita
interiore. Tuttavia, quando si incontra con il suo fratello Giovanni e
inizia con lui ad ampliare la propria dimora per accogliervi altri monaci,
così da rispondere all’invito dell’angelo, viene a profondo diverbio con lui
per una banalità. Si accorge allora di quanto egli sia ancora lontano da una
vita perfetta e di come Dio e il fratello siano realtà inscindibili
nell’itinerario spirituale: «Chi è in lite con il suo fratello - potrà
scrivere più tardi - è nemico di Dio e chi è in pace con il suo fratello
è in pace con Dio» 7. Di qui l’altro insegnamento:
«Un cuore solo con il tuo fratello» 8. L’esperienza lo ha reso
consapevole che l’anacoreta ha poche occasioni per praticare alcune virtù e
scoprire i propri limiti e che il rapporto con gli altri è spesso occasione
per una purificazione e crescita nella virtù.
Ancora un
esperienza significativa: il fallimento del primo tentativo di vita
comunitaria. I gravi dissensi all’interno del primo gruppo di discepoli che
si uniscono attorno a Pacomio - per la verità si trattava più di una colonia
di semianacoreti che non di una comunità come quella che poi nascerà in
seguito - lo costringono a mandare via tutti i monaci che si erano radunati
attorno a lui. La prima comunità, così come il primo rapporto a due con il
fratello Giovanni, fu un fallimento e fece comprendere la necessità di un
certo ordine comunitario. Occorreva dare alla convivenza delle regole chiare
ed esigenti. È la scoperta dell’obbedienza come elemento decisivo della vita
comunitaria.
Possiamo
dire, in definitiva, che il nascere della prima forma esplicita di comunità
è frutto di una esperienza, sia nei suoi risvolti più spirituali, come la
comprensione del valore della carità e dell’unità, sia in quelli più
istituzionali. Trattandosi della prima esperienza cenobitica, sarebbe
interessante studiare la struttura e l'articolazione della comunità
pacomiana in tutte le sue componenti. Ma fedeli al nostro obiettivo, ci
soffermiamo solo sugli aspetti più marcatamente dottrinali e spirituali
9.
Il fondamento della carità
Abbiamo
visto come la prima immagine che Pacomio ebbe del cristianesimo fu quella di
una religione tutta orientata verso il servizio degli uomini per amore di
Dio. In questa esperienza risiede il germe da cui si svilupperà la
spiritualità sua e dei suoi successori. L’autore copto della Vita di Pacomio
è talmente consapevole del valore della comunione e dell’unità che anticipa
già al periodo anacoretico l’esperienza di carità. Scrive infatti che dopo
la sua professione monastica, il rapporto con il maestro Palamone è tale che
i due «abitarono insieme, come un solo uomo» 10.
L’istituzione pacomiana è rimasta strettamente legata al monachesimo
egiziano da cui dipende. Per cui è ancora preminente la figura centrale
dell’anziano, attorno al quale i discepoli si riuniscono in forma stabile,
fino a formare una comunità. Con questa sua struttura tradizionale,
l'impostazione del cenobio risente di una notevole organizzazione
gerarchica. Tuttavia, è subentrata, come una novità, la forte visione della
fraternità. Si scopre il fratello e l'importanza dei rapporti reciproci
animati dalla carità. Entrando in monastero non si cerca più, come
nell’anacoresi, un padre spirituale che inizi alla vita solitaria, ma una
comunità di fratelli, una
koinonia, dove si
possa vivere assieme l’amore reciproco. Le fonti d'ora in poi usano
costantemente la parola
fratello
per
designare il monaco cenobita La parola
monaco era
usata per indicare i solitari, mentre i discepoli di Pacomio si riconoscono
come uomini che vivono in fraternità e che fanno dei rapporti fraterni la
loro struttura di vita.
Già nel
più antico codice legislativo, i
Praecepta atque
Iudicia, appare evidente il ruolo centrale della comunione fraterna.
Non a caso inizia con le parole di Paolo: «La pienezza della legge è la
carità»
(Rm
13, 10)
12. La maggior parte delle mancanze a cui il codice fa
riferimento sono quelle contro la carità, che punisce in maniera energica,
poiché sa che esse hanno una loro particolare gravità.
L’amore
fraterno è uno dei temi principali dell’unica catechesi di Pacomio
conservata in copto. In essa invita un fratello che serbava rancore (è il
destinatario della catechesi) ad avere, o meglio ad essere «un cuore solo
con il tuo fratello» 13. Lo prega poi di «non essere in lite con
nessuno, perché chi è in lite con il suo fratello è nemico di Dio e chi è in
pace con il suo fratello è in pace con Dio. Non hai imparato ora che niente
è più grande della pace che porta ad amarsi a vicenda? Anche se sei santo da
ogni peccato, se sei nemico del tuo fratello, ti rendi estraneo a Dio. (...)
In quale pericolo ci troviamo, allora, se ci odiamo a vicenda, se odiamo le
nostre stessa membra, una sola cosa con noi, figli di Dio, tralci della vera
vite, pecore del gregge spirituale adunate dal vero pastore, l’unigenito
Figlio di Dio che si è offerto in sacrificio per noi. (...) Che cosa
presenterai a tua difesa davanti al Cristo? Ti dirà: “Odiando il tuo
fratello odi me"» 14.
II monaco
che muore nell'odio e nell’ostilità verso il fratello, sarà giudicato senza
misericordia, perché su questa terra non ha dato prova di misericordia. La
mancanza di misericordia è una colpa mortale che verrà alla luce quando si
scopriranno i suoi peccati, che secondo
1 Pt
4, 8,
avrebbero potuto essere coperti con il manto dell'amore. Ogni ricorso alla
penitenza e all’austerità personale non serviranno a niente, perché «se hai
odiato il tuo fratello - dirà il Signore -, allora ti sei reso estraneo al
mio regno» 15. La pace con i fratelli deve essere la garanzia
della pace con Dio.
L’amore
che Pacomio insegna e un amore sempre concreto, che si manifesta in mille
espressioni. E’ compassione: «In questo consiste l’amore di Dio: soffrire
gli uni per gli altri» 16. È aiuto reciproco nel combattimento
per la salvezza e la perfezione. È correzione fraterna in vista del
raggiungimento della pienezza della legge, cioè della carità. È luogo di
mutua edificazione: «Tutti ti siano di profitto cosicché tu sia di profitto
a tutti» 17.
La Vita
copta, riproponendo in maniera simbolica il messaggio di Pacomio, racconta
che poco prima di morire, il padre della
koinonia vide la
Geenna, oscura e tenebrosa e «vide alcuni che nell’oscurità stavano come
girando intorno ad una colonna, credendo di andare avanti e di avvicinarsi
alla luce, e non si accorgevano di girare a vuoto. Guardò ancora e vide
nella Geenna tutti i monaci della congregazione, che procedevano l'uno
dietro l’altro, tenendosi stretti per il timore di perdersi, a causa della
profonda oscurità. Quelli che aprivano la marcia, avevano, per rischiararsi,
la piccola luce di una lampada; solo quattro fratelli la vedevano, mentre
gli altri non vedevano assolutamente nulla. Pacomio guardava il loro modo di
procedere: chi smetteva di stare accanto a colui che lo precedeva, si
perdeva nell’oscurità, insieme con quelli che lo seguivano». Allora, Pacomio
chiama per nome uno per uno i fratelli prima che si stacchino dagli altri:
«Tienti attaccato a chi ti precede, per non perderti!» 18.
Raggiungere la salvezza era stata la grande ricerca di tutta l’anacoresi,
costantemente testimoniata dagli
Apoftegmi. «Cosa
devo fare per ottenere la salvezza?» era la domanda di rito che il novizio
rivolgeva all’anziano. La sapienza dell’anziano era tutta condensata nella
risposta a questa domanda. Pacomio ha scoperto che la salvezza la si
raggiunge insieme, aiutandosi, sostenendosi l’un l’altro, nella concreta
attenzione reciproca. Pacomio stava tracciando un modo nuovo di andare a
Dio. «Noi siamo stati tutti come un solo uomo», poteva dire alla fine della
propria vita 19.
LO
SVILUPPO DOTTRINALE
Il tema
della fraternità è ripreso con forza dai discepoli di Pacomio, Teodoro e
Orsiesi. Anzi, saranno proprio loro a tradurre in termini teologici e
spirituali l’esperienza del maestro e la realtà della sua istituzione. L’uso
stesso del termine
koinonia per
designare la nuova comunità, è di loro conio.
La
medesima progressione che si è notata nella scoperta della vita comunitaria
si ritrova nella riflessione dottrinale. Il riferimento alla prima comunità
di Gerusalemme, intatti, non compare mai negli scritti attribuiti a Pacomio.
Occorrerà attendere Orsiesi perché l’esperienza della
koinonia
venga riletta alla luce dei riferimenti espliciti alla
comunità gerosolimitana, così da giustificare, interpretare e trovare nuovi
spunti per una maggiore comprensione della vita comunitaria. A partire da
Teodoro si scoprono i testi giovannei sul precetto del Signore (cf.
Gv
13, 34) e
quello sul segno dei discepoli (cf.
Gv
17, 21).
Emergono poi altri luoghi biblici di riferimento, quali l’esortazione di
Paolo a praticare le opere di misericordia e la comunione come sacrificio
che piace a Dio. Appare anche l’applicazione alla comunità dell’esclamazione
del Salmo 132: «Ecco com’è bello e gioioso che i fratelli stiano insieme».
Teodoro,
nelle sue catechesi, evidenzia i motivi della santa
koinonia: «E per
grazia di Dio che appare sulla terra la santa
koinonia mediante
la quale egli ha fatto conoscere la vita degli apostoli agli uomini che
desiderano essere a loro immagine davanti al Signore di tutti eternamente.
Gli apostoli, infatti, abbandonarono tutto e seguirono il Cristo con tutto
il loro cuore e perseverarono con lui nelle sue prove e parteciparono alla
sua morte di croce»
20.
La vita apostolica viene qui descritta semplicemente come una
vita nella povertà e nell’imitazione di Gesù, fino alla partecipazione alla
sua croce. E la
vita apostolica così
come era stata scoperta dalla primitiva anacoresi. Per uno sviluppo
dottrinale della comunità modellata sulla forma di vita comunitaria degli
apostoli, sulla separazione dal mondo e la comunione dei beni, dovremo
attendere Orsiesi che, come abbiamo accennato, per primo nei suoi
Regolamenti
stabilisce una relazione tra
koinonia e ideale
espressamente comunitario quale emerge dai sommari degli Atti.
Pur senza
il riferimento agli Atti, per Teodoro l'imitazione degli apostoli porta alla
vita comunitaria. La coscienza di essere insieme alla sequela del Maestro
basta a Teodoro per sapere come ci si deve amare: «Sappiamo che noi siamo i
discepoli di Cristo e per questo ci amiamo a vicenda senza ipocrisia»
21. Si lascia tutto, anche la famiglia, per entrare in un'altra
famiglia. La realizzazione della santa
koinonia non può
essere raggiunta, infatti, se non quando i legami dell’amore puramente
naturali, «secondo la carne», saranno stati frantumati e tutti i fratelli
saranno avvolti dall’amore spirituale. Di qui i regolamenti che
ripetutamente prescrivono la separazione dalla famiglia e regolano le
relazioni con i parenti. Al padre che volesse entrare a vedere il proprio
figlio si risponderà, ad esempio: «Non c’è affetto secondo la carne, né
autorità secondo la carne nella nostra vocazione, ma tutti noi siamo
fratelli, secondo la parola del Salvatore: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 81»
22.
Come per
Pacomio, anche per Teodoro la carità rimane al centro della
koinonia e le
conferisce il senso più profondo: «Scegliamo quale nostra sorte la vocazione
della santa
koinonia e
l’amore vicendevole con ciascuno» 23. «Il comandamento “ama il
prossimo tuo come te stesso” è più grande di ogni altro comandamento e solo
per grazia del Signore possiamo adempierlo» 24 «Riconosciamo
inoltre la forza dell’amore di ciascuno al vedere come ci rivolgiamo l’uno
all’altro con pace e come ciascuno giustifica il suo prossimo piuttosto che
se stesso» 25. «Custodiamo il dono che abbiamo ricevuto senza
aver fatto nulla per meritarlo. Osserviamo la legge e ciascuno di noi sia
per il suo prossimo motivo di edificazione e via per entrare nella gioia del
regno dei cieli» 26.
Per
Teodoro non c’è crimine più grave del diventare per il fratello causa di
sofferenza o di scandalo: è un crimine ben più grave dell’impurità. A questi
fratelli riferisce la frase: «Hanno cercato di tornare indietro
scandalizzando quelli che erano venuti prima di loro e che tramite loro si
erano avvicinati a Dio» «Il nostro dovere è quello di confermare i fratelli
che hanno amato con tutto il cuore le istituzioni della
koinonia». Di qui
la raccomandazione insistente rivolta a tutti: «Abbiamo cura di esortarci a
vicenda affinché produciamo frutti di ogni sorta in ciò che è gradito a Dio»
28.
Teodoro,
che si trova alla successione di Pacomio in un momento in cui la comunità è
lacerata da scismi e divisioni, invita a tornare alle origini della
vocazione. Tornare alle origini significa soprattutto tornare all’amore
fraterno. Per questo la pressante preghiera a Dio perché «faccia ritornare
ciascuno di noi alle origini della vocazione, cioè all’attesa delle promesse
che Dio ha fatto al nostro padre Apa, di cui abbiamo professato i precetti
camminando sinceramente nell’adempimento della legge, cioè formando tutti un
solo cuore, soffrendo gli uni per gli altri, praticando l’amore fraterno, la
misericordia, l’umiltà (...)» 29.
L’amore
della legge di Dio e della santa
koinonia sono
infatti un dovere per i monaci: li obbligano a vivere qui in terra come si
vive in cielo. Cosi gli uomini, vedendo le loro opere buone, possono lodare
Dio e riconoscerli quali autentici discepoli di Cristo, che conformemente
alla loro vocazione si amano reciprocamente senza falsità. La sorte della
vocazione nella santa
koinonia è
indissolubilmente legata all’«amore vicendevole con ciascuno» 30.
Fino a che punto Teodoro sia convinto dell’obbligo e della grandezza di
questo comandamento dell’amore, è evidente da queste parole: «Il
comandamento
ama il prossimo tuo come te stesso e
trattieni la tua lingua (Gc 1, 26;
1 Pt 3, 10)
avanzeranno onorevolmente alla testa del tuo popolo (cf.
Nm 10, 33) finché non giungerà nel regno di Dio, [e questo
riguarda] sia i monaci che i laici»
31.
L’insegnamento dottrinale di Orsiesi arricchisce la comprensione della
comunità con nuovi riferimenti scritturistici. Per primo collega
esplicitamente l’esperienza della comunità pacomiana con il modello della
comunità di Gerusalemme, come scrive nel suo
Liber: «Che la
nostra comunità e la
koinonia, con la
quale ci uniamo gli uni agli altri, vengano da Dio, ce lo ha insegnato
l’Apostolo (...). Leggiamo la stessa cosa anche negli Atti degli Apostoli:
“La moltitudine dei credenti era un cuore solo e un’anima sola e nessuno
considerava sua proprietà alcuna cosa, ma tutto fra loro era comune”. (...)
Con queste stesse parole concordano quelle del salmista che dice: “Ecco
com’è bello e gioioso che i fratelli vivano insieme”. Anche noi, che viviamo
nella
koinonia e siamo
uniti da carità vicendevole, facciamo in modo che come abbiamo meritato di
partecipare alla sorte dei santi padri in questa vita, possiamo parteciparvi
anche nella vita futura (...)» 32.
Questo
modello dei primi cristiani, sempre secondo l'insegnamento di Orsiesi, si
attualizza in una comunione fatta di quotidianità, che permea il vissuto
concreto. La
koinonia
della carità si vive nell’ordinario della vita di ogni giorno
e nella semplicità, informando con essa tutto quanto. Leggiamo nei
Regolamenti: «E anche
ogni altro compito che dobbiamo adempiere in conformità alla legge della
santa
koinonia
eseguiamolo come un solo uomo, con quel discernimento proprio di una fede
zelante, come sta scritto: “Tutti i credenti formavano un cuore solo e
un’anima sola”
(At 4, 32), affinché Dio benedica il nostro pane e noi lo
mangiamo con gioia e letizia nello Spirito Santo (...)» 33.
Un
ulteriore arricchimento alla concezione della comunità viene dal
considerarla luogo dove si è riuniti nel nome del Signore, e quindi luogo
della presenza del Signore stesso. «Abbiamo grande timore per non essere
assolutamente di scandalo - leggiamo sempre nei
Regolamenti - nel
luogo dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù. Egli infatti è con loro
e in mezzo a loro, come ha detto (cf.
Mt
18, 20)»
34. È colto qui in profondità il valoro teologico e il senso
mistico della comunità, costituita tale dal Signore stesso, presente in
mezzo ai monaci uniti nel suo nome.
All’orizzonte rimane sempre il precetto dell’amore scambievole: «Per questo,
obbedendo a quanto il Signore e Salvatore ha ordinato agli apostoli dicendo:
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho
amato voi. Da questo sarete veramente riconosciuti come miei discepoli",
dobbiamo amarci gli uni gli altri e mostrare che siamo veramente servi del
nostro Signore Gesù Cristo, figli di Pacomio e discepoli della
koinonia» Si
tratta di un amore che, riprendendo l’insegnamento di Pacomio, non conosce
distinzione di persone: «Bisogna che dica più spesso e ripeta le stesse
cose: guardatevi dall'amare alcuni e odiare altri, dall’aiutare l’uno e
trascurare l'altro (...)» 36.
Orsiesi,
al pari di Teodoro, rimprovera chi, nella comunità, ha perduto questo
atteggiamento di amore concreto e attento al fratello: «Vi sono alcuni che
vigilano su se stessi e vivono secondo il precetto di Dio, eppure dicono tra
sé e sé: “Che c’è tra me e gli altri? Io cerco di servire Dio e di osservare
i suoi comandamenti; quello che fanno gli altri non mi riguarda!”» 37.
Orsiesi invece sa e insegna che «dopo aver reso conto della nostra vita,
dovremo ugualmente rendere conto anche degli altri, di quelli che ci sono
stati affidati». Questo, continua, non riguarda solo i superiori, è
piuttosto compito di «ciascun fratello della comunità, poiché tutti devono
portare i pesi gli uni degli altri per adempiere la legge di Cristo
(Gal 6, 2)».
E dopo aver ricordato le parole di Paolo a Timoteo, «custodisci il
deposito», conclude: «Anche noi abbiamo un deposito affidatoci da Dio: la
vita dei nostri fratelli» 38. Orsiesi esclude così, in modo
assoluto, la ricerca di una salvezza individualistica.
Le opere
buone e la
koinonia sono il
sacrificio che piace a Dio. L’essere un cuore solo e un’anima sola come i
credenti della primitiva comunità di Gerusalemme richiede infatti l'assoluta
sottomissione ai fratelli, la non appartenenza a se stessi. Come è stato ben
scritto, nella
koinonia
pacomiana non c’è spazio «per la ricerca di una perfezione
personale o il perseguimento di un proprio progetto di santità. La frequenza
e, se vogliamo, la durezza con cui i
Praecepta
stroncano alla radice ogni individualismo, ogni ricerca di
privilegio, anche nei suoi aspetti più quotidiani e banali dalle pretese sul
cibo al considerare un qualsiasi oggetto come proprietà personale, va letta
in quest’ottica. Ormai il monaco non solo non ha più nulla di proprio, ma
non appartiene più a se stesso, ha liberamente consegnato la sua vita ai
fratelli. Tutto fin da principio è offerto, è dato» 39.
PRINCIPALI PROBLEMI EMERGENTI
1 modelli
e i luoghi di riferimento scritturistico che d’ora in poi illumineranno la
comunità monastica e religiosa sono individuati con chiarezza: il Salmo 132,
i testi giovannei sull’amore reciproco e l’unità dei credenti, i sommari
degli Atti, i testi paolini sulla carità.
La
comunità pacomiana conserva forti tratti di ascetismo, ereditati
dall’anacoresi; tuttavia, è subentrata una sensibilità nuova. «Alle pratiche
ascetiche degli anacoreti, lunghe preghiere, digiuni, a volte ascesi
bizzarre, Pacomio contrappone la via del servizio, via privilegiala per i
piccoli e i deboli» I fratelli più piccoli nel cenobio, egli insegna, «non
si danno a grandi esercizi e ad un ascetismo esagerato, ma procedono
semplicemente, in obbedienza e spirito di servizio, in purità e osservanza
delle regole: agli occhi degli anacoreti non conducono una vita perfetta, e
sono considerati di molto inferiori». Invece, «sono molto superiori agli
anacoreti, perché procedono nello spirito di servizio in cui camminò
l’Apostolo, come sta scritto: “Per amore dello Spirito, servitevi gli uni
gli altri, in spirito di affabilità e in piena longanimità”» 41.
L’ascesi
nella
koinonia
si esprime principalmente nella rinuncia in vista della
comunione, così da consentire di diventare una cosa sola, nell’obbedienza,
nella misericordia, nell’aiuto, nell’edificazione, nella custodia e nella
vigilanza degli uni nei confronti degli altri. Anche la povertà radicale è
in vista della comunione dei beni.
La
comunità ha trovato i suoi fondamenti teologici: l’origine soprannaturale
della
koinonia, in
seguito alla chiamata divina, e quindi la sua natura di dono e di carisma;
la carità come fondamento della
koinonia; la
dimensione ecclesiale che consente di utilizzare, per la
koinonia, le
immagini stesse della Chiesa: corpo, vigna, gregge, famiglia di Dio, popolo
di Dio...
I
pacomiani hanno aperto così la strada per una feconda riflessione
dottrinale, basata su un'intensa esperienza di vita, che consentirà alla
comunità monastica di iniziare il suo cammino nella Chiesa, in una ricca
molteplicità di espressioni.
2
Cf.
J.M.
LoZANO,
La comunità pacomiana: dalla comunione all'istituzione,
«Claretianum», 15 (1975), pp. 237-267. Per un’attenta analisi delle
differenti versioni della vocazione di Pacomio, cf.
H.
VAN CraneNBURGH,
Étude
comparative des récits anciens de la vocation de Saint Pachôme. «Revue
Bénédictine», 82 (1972), pp. 280-308.
3
Seconda
catechesi, 1, p.
297. I testi sono citati nell’edizione della Cremaschi, di cui viene
indicata la paginazione.
4
Regolamenti, 51, p.
166.
5
Vita copta,
p.
40.
6
Pacomio e i suoi discepoli, p. 15.
Per un primo approccio sulla dimensione comunitaria della spiritualità di
Pacomio.
cf.
H.
BACHT,
Pachôme et ses disciples,
in
Théologie
de la vie monastique, p. 69; Id.,
Monachesimo e Chiesa. Studio sulla
spiritualità di s. Pacomio, in J.
DANIELOU -
H.
VORGRIMMLER,
Sentire Ecclesiam....
Roma 1964. pp. 193-224; P.
DESEILLE,
L'ésprit du monachisme
pachômien. Bellefontaine 1968; E.
Bianchi.
La vita di comunione in S. Pacomio e i suoi
discepoli,
«Parola Spirito e Vita», 11 (1985), pp. 265-278.
7
Catechesi, 36-37,
pp. 220-221.
8
Catechesi, 8, p.
208.
9
Guardando alla comunità pacomiana, vengono immediatamente in rilievo
l'efficiente organizzazione, la forte struttura gerarchica, una certa
rigidità e un ascetismo sostenuto. Non possiamo qui seguire il complesso
sviluppo della legislazione, come pure dell’istituzione pacomiana in se
stessa. Notiamo solo che nel passaggio da Pacomio a Teodoro, la comunità
sembra si sia gradatamente istituzionalizzata. I successori di Pacomio
sembrano infatti preoccupati di disciplinare e organizzare un gruppo che è
ormai un popolo. 1 membri delle comunità si moltiplicano in pochi decenni.
Quando viene codificata la legislazione, in ogni monastero vivevano da
milleduecento a milleseicento monaci. Ogni monastero era un vero e proprio
villaggio.
10
Vita copta, p. 46,
11
«Nella
tradizione pacomiana (...) il termine monaco è evitato con cura e quello di
fratello
è
l'appellativo tecnico usato per designare un pacomiano»
(LoZano,
la
comunità pacomiana.
p. 250). Negli insegnamenti riportati dalle vite copte, emerge
la centralità della comunità e la sua superiorità rispetto all'anacoresi.
Cf.
Vita copta,
pp. 182-183.
12
Precetti e giudizi,
proemio,
p. 139.
13
Catechesi, 8, p.
208.
14
Catechesi, 36-37,
pp. 220-221.
15
Catechesi, 39, p.
225.
16
Vita
copta,
n. 42, p.
93.
17
Catechesi,
14, p.
211.
18
Vita
copta,
pp. 177
.178.
19
Vita saidica terza,
citato in
Pacomio e i
suoi
discepoli,
p, 31,
20
Catechesi seconda,
1, p. 297.
21
Catechesi
terza,
27, pp.
311 312.
22
Catechesi
terza, 17, pp.
306-307.
23
Catechesi terza.
36. p. 316.
24
TEODORO,
Frammenti,
2,2, p.
332.
25
Catechesi terza.
26, p. 311.
26 Catechesi terza.
4, pp.
299-230.
27
Catechesi terza.
20, p. 308.
28
Catechesi terza.
41. p. 417.
29
Catechesi terza. 23,
p. 310.
30
Catechesi terza,
36, p. 316.
31
Frammenti, 2,2.
p. 332.
32
Liber Orsiesi,
50, pp. 407-408.
33
Regolamenti,
51. p.
166
34
Regolamenti,
2, p 151.
35
Liber Orsiesi,
23, p. 391.
36
Liber Orsiesi, 16, p.
381.
37
Liber Orsiesi, 8, p. 380.
38
Liber Orsiesi,
11,
pp. 382-383.
39
Pacomio e i suoi
discepoli, pp. 31-32.
40
Ibid.. p. 32,
41
Vita copta,
pp. 183 -184.
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12 novembre 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net