DOROTEO DI GAZA

SCRITTI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI

II. L'UMILTA’

(Tratto da “Doroteo di Gaza, Scritti e insegnamenti spirituali”, a cura di Lisa Cremaschi - ed. Paoline, 1980)

 

 

26. Disse uno degli Anziani: «Prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno dell'umiltà», dobbiamo essere pronti a chiedere «Perdonatemi» ad ogni parola che ci viene detta, perché l'umiltà annienta ogni inganno dell'Avversario» [1]. Qual è il senso profondo di questa parola dell'Anziano? Perché dice che prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno dell'umiltà e non invece: «prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno di sobrietà»? Dice infatti l'Apostolo: «Ogni atleta è sobrio in tutto» (1 Cor 9,25) o perché non dice: «Prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno del timore di Dio»? Difatti sta scritto: «Principio della sapienza è il timore del Signore» (Sal 110,10); ed anche «Il timore del Signore tiene lontani dal male» (Pr 15,27). perché l'Anziano non dice: «Prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno di fare l'elemosina o abbiamo bisogno della fede»? Infatti, sta scritto: «L'elemosina e la fede purificano i peccati» (Pr 15,27) e l'apostolo dice: «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb 11 ,6). Se dunque è impossibile piacere a Dio senza la fede, se l'elemosina e la fede purificano i peccati e se con il timore del Signore ciascuno si tiene lontano dal male e, ancora, se principio di sapienza è il timore del Signore, se ogni atleta è sobrio in tutto, come mai l'Anziano dice: «Prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno dell’umiltà» e lascia da parte tutte queste cose che pure sono così necessarie? L'Anziano vuoi farci capire che né il timore di Dio, né il fare l'elemosina, né la fede, né la sobrietà né alcun’altra virtù possono essere realizzate senza l'umiltà. Perciò dice: «Prima di ogni altra cosa, abbiamo bisogno dell'umiltà e dobbiamo essere pronti a dire: 'Perdonatemi!' ad ogni parola che ci vien detta, perché l'umiltà annienta ogni inganno del nemico e avversario».

27. Ecco, fratelli, vedete qual è la potenza dell'umiltà, vedete quale efficacia ha il dire: «Perdonatemi!». Perché il Divisore vien chiamato non soltanto nemico, ma anche avversario? Si chiama nemico perché odia l'uomo, odia il bene, perché è sempre pronto a tendere insidie; si chiama avversario perché cerca di impedire ogni opera buona. Uno vuol pregare? Il Divisore si oppone, glielo impedisce facendo nascere in lui pensieri malvagi, continue distrazioni, oppure gettandolo nell'acedia [2]. Uno vuol fare l'elemosina? e il Divisore glielo impedisce con l'attaccamento al denaro, l'avarizia. Un altro vuole vegliare? Glielo impedisce con la pigrizia e l’indolenza, e così si oppone ad ogni opera buona che cerchiamo di fare. Per questo viene chiamato non soltanto nemico, ma anche avversario. Ed è con l'umiltà, dunque, che si possono annientare tutti gli inganni del nemico e avversario.

28. Veramente grande infatti è l'umiltà. Tutti i santi hanno camminato nella via dell'umiltà e grazie a questa fatica hanno abbreviato il cammino, come sta scritto: «Guarda la mia umiliazione e la mia fatica e perdona ogni mio peccato» (Sal 24,18). L’umiltà, infatti, anche da sola può farci entrare nel Regno dei cieli come diceva abba Giovanni [3], ma più lentamente. Umiliamoci dunque un poco anche noi e saremo salvati e se non possiamo sottoporci a grandi fatiche a motivo della nostra debolezza, cerchiamo almeno di umiliarci. Ed io ho fede nella misericordia di Dio, ho fede che per il poco che facciamo in questa via dell'umiltà, ci troviamo anche noi là dove sono i santi che hanno affrontato grandi fatiche servendo Dio. Sì, noi siamo deboli e non possiamo sottoporci a grandi fatiche, ma non potremmo almeno umiliarci?

29. Fratelli, beato chi possiede l'umiltà! Grande è l’umiltà; ha definito molto bene chi possiede la vera umiltà quel santo che dice: «L'umiltà non si adira e non muove ad ira nessuno». Sembra una cosa strana perché l'umiltà si contrappone soltanto all'orgoglio, custodisce l'uomo proprio dall'orgoglio e invece ci si adira anche a motivo delle ricchezze e dei cibi; come è possibile dire dunque: «L’umiltà non si adira e non muove ad ira nessuno»? [4] Grande è l'umiltà come dicevo; ha il potere di attirare nell'anima la grazia di Dio. E così la grazia stessa di Dio custodisce l'anima anche da queste altre due gravi passioni: perché c'è forse qualcosa di più grave che adirarsi o irritare il prossimo? Come ha detto Evagrio: «E' cosa assolutamente estranea al monaco l'andare in collera» [5]. E veramente se chi si adira non è immediatamente soccorso dall'umiltà, a poco a poco giunge ad uno stato demoniaco, turba continuamente gli altri ed è continuamente turbato. Per questo, dunque, quel santo dice: «L'umiltà non si adira e non fa adirare nessuno».

30. Ma perché mai dico che l'umiltà protegge da quelle due passioni? Ma l'umiltà protegge l'anima da ogni passione e da ogni tentazione. Quando sant'Antonio vide tutti i tranelli tesi dal Divisore e chiese gemendo a Dio: «Chi mai ne potrà sfuggire?» che cosa gli rispose Dio? «L’umiltà vi potrà sfuggire». E quale altra parola meravigliosa aggiunse? «E non hanno presa su di essa» [6]. Carissimo, vedi qual è la potenza, qual è la grazia della virtù? In verità nulla ha più forza dell'umiltà, niente può prevalere su di essa. Se qualcosa di spiacevole accade a chi è umile, se la prenderà subito con sé stesso, penserà di esserselo meritato; non si metterà certo a rimproverare un altro, né a farne ricadere la colpa su qualcun altro. Sopporta insomma senza turbarsi, senza affliggersi, in piena pace. Per questo l'umiltà non si adira e non muove ad ira nessuno. Per questo giustamente il santo ha detto: «Prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno dell’umiltà».

31. Ci sono due tipi di umiltà, così come due sono i tipi di orgoglio. Il primo tipo di orgoglio si ha quando si disprezza il fratello, quando non lo si tiene in nessun conto e ci si giudica superiori a lui. Ma se si sta attenti, se non si è vigilanti, poco per volta si giunge al secondo tipo di orgoglio che consiste nell'inorgoglirsi contro Dio stesso e nell'attribuire a sé stessi, e non a Dio, quello che si è riusciti a fare di buono. Fratelli miei, in verità ho conosciuto una volta uno che era giunto a questo stato pietoso. All'inizio quando un altro fratello gli rivolgeva la parola, lo disprezzava; diceva: «E chi è mai costui? Non ci sono che Zosima e i suoi discepoli». Poi cominciò a provar disprezzo anche di loro e a dire: «Non c'è che Macario». Poco dopo cominciò a dire: «E chi è poi Macario? Nessuno, non ci sono che Basilio e Gregorio». E dopo un po' cominciò a disprezzare anche loro dicendo: «Chi sono mai Basilio e Gregorio? Nessuno, non ci sono che Pietro e Paolo». Gli dissi: «In verità, fratello, se vai avanti così arriverai a disprezzare anche loro». Credetemi, poco dopo cominciò a dire: «Chi è Pietro, chi è Paolo? Nessuno, non c'è che la Santa Trinità». E infine diede prova d'orgoglio contro Dio stesso e fu la sua rovina. Per questo, fratelli miei, dobbiamo lottare contro la prima specie di orgoglio perché non succeda che poco per volta finiamo per cadere nell'orgoglio totale e completo.

32. Esiste poi un orgoglio tipico del mondo e un orgoglio tipico della vita monastica. L'orgoglio mondano consiste nell'innalzarsi al di sopra del fratello perché si è più ricchi, più belli, perché si indossano vesti più belle o si è più nobili di lui. Quando dunque ci accorgiamo di vantarci di queste cose o di essere orgogliosi perché il nostro monastero è più grande, più ricco o perché abbiamo molti fratelli, dobbiamo sapere che siamo ancora immersi nell'orgoglio del mondo. A volte si è orgogliosi anche per i doni naturali: se ci si vanta, ad esempio, di avere una bella voce e di cantare bene i salmi, oppure di essere abili e precisi nel lavoro [7], di saper servire correttamente. Anche se si tratta di motivi più santi dei primi, questo è ancora l'orgoglio del mondo.

L'orgoglio tipico della vita monastica consiste nel vantarsi di fare lunghe veglie, di digiunare, di essere pii, di compiere sante pratiche ascetiche, di essere pieni di fervore o addirittura nell'umiliarsi ma per riceverne gloria. Questo è l'orgoglio monastico. C'è una differenza: se proprio dobbiamo vantarci, vantiamoci per lo meno di cose monastiche e non delle cose del mondo. Ecco, abbiamo spiegato quali siano il primo e il secondo genere di orgoglio; e abbiamo parimenti definito l'orgoglio mondano e quello della vita monastica. Vediamo ora quali sono i due generi di umiltà.

33. Il primo genere di umiltà consiste nello stimare il proprio fratello più intelligente e superiore in tutto; in una parola, come disse quel santo nel «mettersi al di sotto di tutti» [8]. Il secondo genere di umiltà consiste nell'attribuire a Dio tutto quello che riusciamo a fare. Questa è l'umiltà perfetta dei santi, che nasce naturalmente dalla pratica dei comandamenti. Accade infatti come alle piante cariche di frutti; i frutti fanno piegare i rami verso terra, i rami che non portano frutti invece salgono diritti verso l'alto. Ci sono alcune piante che non danno frutto, finché i loro rami si innalzano verso il cielo, ma se si prende una pietra e la si appende ai rami per trascinarli verso terra, allora danno frutti. Così avviene anche all'anima: quando è umiliata, porta frutto, e quanto più porta frutto, tanto più si umilia, poiché quanto più i santi si avvicinano a Dio, tanto più si riconoscono peccatori [9].

34. Ricordo che un giorno parlavamo dell'umiltà; un notabile di Gaza ci sentì dire che quanto più ci si avvicina a Dio, tanto più ci si riconosce peccatori e pieno di stupore ci chiese: «Come è possibile?». Gli risposi: «Signore, tu che sei una persona importante, chi pensi di essere nella tua città?» «Mi considero il più grande, il primo della città». Gli chiesi: «E se te ne vai a Cesarea, chi penseresti di essere?» «Mi considererei inferiore ai grandi che stanno là». Gli dissi: «E se andassi ad Antiochia? come ti considereresti?» Mi rispose: «Mi considererei un provinciale». Gli dissi: «E a Costantinopoli, vicino all'imperatore, là chi ti sentiresti?» Mi rispose: «Mi considererei un miserabile». E allora gli dissi: «Ecco, così sono i santi; quanto più si avvicinano a Dio, tanto più si riconoscono peccatori. Abramo quando vide il Signore, si definì terra e cenere (Gn 18,27). E Isaia disse: 'Misero e impuro sono io' (Is 6,5). E così anche Daniele nella fossa dei leoni, quando venne Abacuc a portargli da mangiare dicendogli: 'Prendi il cibo che Dio ti ha mandato' che disse? Così esclamò: 'Dio, dunque, si è ricordato di me?' (Dn 14,36-37). Vedi quale umiltà possedeva il suo cuore! Era nella fossa con i leoni; eppure, non gli facevano alcun male, né la prima né la seconda volta (Dn 6 e 14) e nonostante tutti questi prodigi, disse pieno di meraviglia: 'Dio, dunque, si è ricordato di me?».

35. Vedete l'umiltà dei santi, vedete qual è la disposizione del loro cuore? E pure quando Dio li mandava in aiuto agli uomini rifiutavano per umiltà, perché volevano sfuggire ad ogni gloria. Se si getta uno straccio sporco addosso ad un uomo vestito di seta, questi cerca di scansarlo per non sporcare le sue vesti preziose; così anche i santi, rivestiti delle virtù, cercano di rifuggire la gloria degli uomini per non esserne macchiati. Ma chi desidera la gloria assomiglia ad un uomo nudo che è sempre in cerca di un pezzo di stoffa qualsiasi o di qualsiasi altra cosa per ricoprire la sua indecenza; così anche chi è nudo di virtù, cerca la gloria degli uomini.

I santi, dunque, inviati da Dio in aiuto agli altri uomini, non accettavano per umiltà. Mosè anzi diceva: «Ti prego, scegliti un altro che sia capace; io sono balbuziente e impacciato a parlare» (Es 4,10). E Geremia diceva: «Sono troppo giovane!» (Ger 1,6). Già lo dicevo: ciascuno dei santi insomma aveva raggiunto questa umiltà perché metteva in pratica i comandamenti. Nessuno può esprimere a parole in cosa consista questa umiltà, o come nasca nell'anima, se non la si è appresa con l'esperienza; nessuno può apprenderla a parole.

36, Un giorno abba Zosima stava parlando dell'umiltà; un professore di retorica, che era là con lui, sentendo le sue parole, desiderava capirne con precisione il senso e gli chiese: «Dimmi, come è possibile che tu ti consideri peccatore? non sai che sei santo, adorno di virtù? guarda come osservi i comandamenti! Tu che fai queste cose, come puoi considerarti peccatore?». L'Anziano non riusciva a trovare una risposta, ma si limitava a ripetere: «Non so come spiegartelo, ma è proprio così». Ma il professore di retorica lo contraddiceva perché voleva capire. Ma l'Anziano non riuscendo a trovare un modo per spiegargli la cosa, con santa semplicità cominciò a dirgli: «Non tormentarmi, ma è proprio così».

Io, allora, quando vidi che l'Anziano non riusciva a trovare una risposta, gli dissi: «Non avviene la stessa cosa anche nell'arte della retorica e della medicina? Quando si apprendono e si praticano bene queste arti, poco per volta, con l'esercizio, ci si forma la mentalità propria del medico o del retorico; e non è possibile dire o spiegare come si sia formata questa mentalità. Poco per volta, come ho già detto, senza rendersene conto, la si è acquistata praticando la propria arte.

Si può vedere la stessa cosa anche riguardo all’umiltà: la pratica dei comandamenti fa nascere un atteggiamento profondo di umiltà che non può essere spiegato a parole». Come udì queste parole abba Zosima gioì e subito mi abbracciò e mi disse: «Hai trovato la spiegazione; è proprio come hai detto tu». Anche il sofista ne rimase soddisfatto e restò noi.

37. Gli Anziani ci hanno detto alcune cose che ci fanno intravvedere questa umiltà; ma nessuno è in grado di descrivere come nasca questo atteggiamento di umiltà. Quando abba Agatone stava per morire, i fratelli gli chiesero: «Anche tu hai timore, Padre?» Rispose: «Ho fatto il possibile per osservare i comandamenti, ma sono un uomo. Come posso sapere se la mia opera è stata gradita a Dio? Una cosa è il giudizio di Dio e un'altra quello degli uomini» [10].

Ecco quest'Anziano ci ha aperto gli occhi, ci ha fatto percepire qualcosa dell'umiltà e ci ha indicato la via per raggiungerla. Ma nessuno può dire come sia l'umiltà o come nasca nell'anima; come ho ripetuto spesso, non è possibile comprenderla con un ragionamento, se non abbiamo meritato di apprenderla con le nostre opere. I Padri ci hanno però detto che cosa ci conduce all'umiltà. Nei Detti dei Padri [11] si racconta che un fratello chiese all'Anziano: «Che cos'è l'umiltà?» e l'Anziano rispose: «L'umiltà è un'opera grande e divina; la via dell'umiltà è una via di fatica per il corpo, fatiche compiute con discernimento; è mettere sé stessi al di sotto di ogni creatura e invocare Dio senza sosta». Questa è la via dell’umiltà, ma l'umiltà è divina e sfugge ad ogni comprensione.

38. Perché dice che le fatiche del corpo portano l'anima all'umiltà? Perché le fatiche del corpo sono una virtù per l'anima? Mettere sé stessi al di sotto di tutti, infatti, l'abbiamo già detto in precedenza, è il modo per combattere la prima forma di orgoglio. Se ci si mette al di sotto di tutti come è possibile ritenersi più grandi di un fratello, vantarsi per qualche motivo, lamentarsi del fratello, disprezzarlo? Ugualmente è chiaro che anche la preghiera incessante ci porta all'umiltà, perché si oppone alla seconda specie di orgoglio.

È evidente, infatti, che chi è umile, l'uomo di fede sa che non può fare nulla di buono senza l'aiuto e la protezione di Dio e così non smette mai di invocare Dio perché abbia misericordia di lui. E chi prega Dio senza sosta, se gli è dato di compiere qualcosa di buono, sa da dove gliene è venuta la capacità e non può vantarsene o attribuire questa opera buona alle sue forze, ma tutto quello che riesce a fare lo attribuisce a Dio e non smette mai di ringraziarlo e di invocarlo. Teme che gli venga meno tale aiuto, e che appaia la sua debolezza e la sua impotenza. E così grazie all'umiltà prega e grazie alla preghiera si umilia e più fa il bene e più si umilia, più riceve l'aiuto di Dio e avanza grazie alla sua umiltà.

39. Perché dunque si dice che anche le fatiche del corpo rendono umili? Che influenza può avere la fatica del corpo su una disposizione dell'anima? Ve lo dirò. L'anima, caduta dall'obbedienza al comandamento nella trasgressione, fu consegnata, l'infelice, alla concupiscenza, alla piena libertà dell'errore, come dice san Gregorio [12], amò i beni del corpo, divenne una sola cosa con il corpo, divenne carne interamente, come sta scritto: «Il mio spirito non dimorerà tra questi uomini perché sono carne» (Gn 6,3). E così l'anima infelice soffre con il corpo e subisce tutto ciò che accade al corpo. Per questo l’Anziano ha detto che anche le fatiche del corpo conducono all'umiltà. E difatti non sono identiche le disposizioni dell'anima di chi sta bene e di chi è malato, di chi ha fame e di chi è sazio. E non sono le stesse le disposizioni dell'anima di chi cavalca un cavallo e di chi cavalca un asino, di chi è seduto su un trono e di chi è seduto per terra, di chi porta belle vesti e di chi è vestito miseramente.

La fatica, dunque, umilia il corpo e quando il corpo è umiliato, anche l'anima si umilia con lui e così giustamente l'Anziano ha detto che la fatica del corpo conduce all'umiltà [13].

Per questo quando Evagrio fu tentato di proferire bestemmie, siccome era saggio e ben sapeva che la bestemmia nasce dall'orgoglio, e che l'umiliazione del corpo trascina all'umiltà anche l'anima, passò quaranta giorni senza entrare sotto un tetto a tal punto che sul suo corpo, come ci racconta il narratore, pullulavano zecche come sugli animali selvatici; non affrontò questa fatica per lottare contro la tentazione di bestemmiare, ma per ottenere l'umiltà [14].

A ragione dunque l'Anziano disse che le fatiche del corpo conducono all'umiltà. Dio nella sua bontà ci faccia il dono di essere umili, di quell'umiltà che libera l'uomo da grandi mali e lo protegge da grandi tentazioni.



[1] Apoftegmi di abba Isaia (PE, 1,44, p. 160).

[2] L’ άκηδία indica scoraggiamento, tristezza e sconforto senza una causa precisa. Cfr. Evagrio, Praktikos VII (PG 40, 1273BC). « Il demone dell’accidia, detto anche il demone meridiano, è il più opprimente di tutti. Assale ordinariamente il monaco verso l’ora quarta, e lo assedia fino all’ora ottava. Comincia col far notare, in modo deprimente, il lento girare del sole, tanto lento da sembrare immoto, e il giorno che appare di quaranta ore. Dopo spinge il monaco a occhieggiare spesso dalla finestra, o ad uscire dalla cella ed osservare il sole per fare il computo del tempo che manca ad arrivare all’ora nona; contemporaneamente lo fa guardare a destra e a sinistra per vedere se qualche fratello venga a trovarlo... Quindi lo assale con il disgusto del posto, del genere di vita e degli impegni scelti, suggerendogli considerazioni come queste: tra i fratelli non c’è nessun amore, nessuno è pronto a darti un conforto. Se nei giorni di prova qualche fratello gli ha recato offesa, il demone glielo ricorda e lo vessa con tale pensiero. Da queste suggestioni, lo spirito del male provoca nel solitario il desiderio di vivere in altro luogo, dove più agevole sia trovare il necessario, e dove l’impegno ascetico sia più lieve e proficuo. I pen­sieri malvagi sussurrano che il piacere a Dio non dipende dal posto ove uno è, perché Dio può essere venerato ovunque. Insieme a questi pensieri, unisce il ricordo del benessere goduto prima della solitudine; e prospetta il lungo tempo che ancora dovrà vivere nell’asprezza dell’ascesi; si serve, in una parola, di tutte le sue astuzie per spingere il monaco ad abbandonare la sua cella, e interrompere il suo impegno ».

Cfr. anche Cassiano, De Inst. Coenob. V-XII (S.C. 109).

[3] Giovanni il profeta Nic. 277.

[4] Apoftegma (PE 1,45, p. 165) Nau 115.

[5] Questo apoftegma non si trova sotto il nome di Evagrio citato da Zosima sotto il nome di Macario (PE 11,35, p. 112).

[6] Apoftegmi, Antonio 7 (Mortari I, p. 85)

[7] Cfr. Vita di Dositeo, 7, p.55.

[8] Apoftegmi, serie sistematica XV,82 (Mortari p. 293). Cfr. anche Sisoés 13: « Un fratello interrogò il padre Sisoés: ‘Vedo che il ricordo di Dio permane in me’. L’anziano gli dice: ‘Non è gran cosa se il tuo pensiero è con Dio. È cosa grande invece vedere sé stessi al di sotto di ogni creatura. Questo infatti e la fatica del corpo conducono al­l’umiltà » (Mortari II, p. 165).

[9] Cfr. Apoftegmi, Matoés 2: « Il padre Matoés disse: ‘Quanto più l’uomo si avvicina a Dio, tanto più si vede peccatore. Il profeta Isaia infatti, quando vide Dio, si proclamò miserabile e impuro » (Mortari II, P- 39).

[10] Apoftegmi, Agatone 29: « Raccontarono che il padre Agatone si sforzava di adempiere ogni comandamento: se saliva su un’imbarcazione, imbracciava per primo il remo; quando dei fratelli si recavano da lui, subito dopo la preghiera apparecchiava la tavola con le sue mani. Era infatti pieno d’amore di Dio. Quando fu vicino alla morte, rimase tre giorni, con gli occhi aperti, immobili. I fratelli lo scossero dicendogli: « Padre Agatone, dove sei? ». Dice loro: « Sono dinanzi al giudizio di Dio ». Ed essi: « Anche tu hai timore, padre? ». Dice loro: « Ho cercato finora con tutte le mie forze di osservare i comandamenti di Dio; ma sono un uomo. Come posso sapere se la mia opera è stata gradita a Dio? ». « Non hai fiducia nelle tue opere - dicono i fratelli - che esse siano secondo Dio? ». Dice loro l’anziano: « Non mi sento sicuro di nulla fino a che non avrò incontrato Dio; una cosa infatti è il giudizio di Dio e un’altra quello degli uomini ». Poiché volevano interrogarlo ancora, disse loro: « Fatemi la carità di non parlarmi più, perché sono occupato ». E morì nella gioia. Lo videro salire al cielo nell’atteggiamento di chi saluta i propri amici e parenti. Aveva avuto grande vigilanza in ogni cosa, e soleva dire: « Senza una grande vigilanza, l’uomo non progredisce nemmeno in virtù » (Mortari I, p. 122).

[11] Apoftegmi serie sistematica XV,82 (Mortari p. 293).

[12] Gregorio di Nazianzo, Orat. 39,7 (PG 36,341C).

[13] Cfr. Apoftegmi, Mosè c. V: «Disse il fratello: ‘A cosa servono i digiuni e le veglie dell’uomo?’ Dice a lui l’anziano: ‘Servono a umiliare l’anima. Sta scritto: Guarda la mia umiliazione e la mia fatica e perdona tutte le mie colpe. Se l’anima produce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce su di lei » (Mortari II, p. 37).

[14] Palladio, Hist. Laus. 38,11 (in it. ed Mohrmann-Bartelink-Barchiesi, p. 200).

 


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3 dicembre 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net