DOROTEO DI GAZA
SCRITTI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI
1. In principio, quando Dio fece l’uomo,
lo pose nel paradiso
(Gen 2,15)[1];
come dice la santa Scrittura, dopo averlo adornato di ogni virtù, e gli
diede il comando di non mangiare dell’albero che si trovava in mezzo al
paradiso (cf. Gen 2,16-17)[2].
E l’uomo stava tra le delizie del paradiso, nella preghiera e nella
contemplazione, circondato di ogni gloria e onore; tutte le sue facoltà
erano integre e viveva in quello stato di natura[3]
in cui era stato creato. Dio infatti
fece l’uomo a sua immagine
(Gen 1,27), immortale e libero[4],
adorno di ogni virtù; ma quando trasgredì il comando e mangiò
dell’albero di cui Dio gli aveva comandato di non mangiare, allora egli
fu scacciato dal paradiso (cf. Gen 3,23); decadde dal suo stato secondo
natura a uno stato contro natura, cioè nel peccato, nell’amore per la
gloria e per i piaceri di questa vita e nelle altre passioni da cui era
dominato, poiché con la trasgressione ne era diventato schiavo. Da
allora il male crebbe progressivamente e regnò la morte (cf. Rm 5,14);
non c’era più alcun luogo in cui si adorasse Dio, ovunque lo si
ignorava. Pochi e molto rari, come dicono i padri, mossi dalla legge
naturale, lo conoscevano; tale era Abramo e gli altri patriarchi, Noè e
Giobbe. Allora il Nemico dispiegò tutta la sua malvagità, così che
regnò il peccato
(Rm 5,21); allora cominciarono l’idolatria, il politeismo, la magia, gli
omicidi e ogni altra malvagità suggerita dal Divisore[5].
2. Allora dunque, il Dio buono ebbe compassione della sua creatura;
attraverso Mosè diede la Legge, nella quale proibì alcune cose e ne
prescrisse altre, come per esempio: “Fate questo, non fate quello”.
Diede dei comandamenti, e subito disse:
Il Signore Dio tuo è un unico Signore
(Dt 6,4) per distogliere le profondità del loro cuore[6]
dall’adorare molti dèi e:
Amerai il Signore Dio tuo con tutta l’anima e con tutta la mente
(Dt 6,5). Ovunque annuncia che Dio è uno solo e che non ce n’è un altro,
poiché dicendo
Amerai il Signore Dio tuo
mostrò che Dio è uno solo ed è un unico Signore. E di nuovo nelle dieci
parole dice:
Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo renderai culto; ti attaccherai
a lui e giurerai nel suo nome
(Dt 6,13), e poi aggiunge:
Non ci saranno per te altri dèi, né alcuna immagine di ciò che vi è in
alto nel cielo e di quanto vi è in basso sulla terra
(Dt 5,7-8), poiché gli uomini adoravano tutte le creature.
3. Il Dio buono diede dunque la Legge per aiutare l’uomo, per spingerlo
a conversione, per correggerlo dal male e, tuttavia, il male non fu
corretto. Dio inviò i profeti e anch’essi non poterono far nulla. Il
male infatti si rafforzò, come dice Isaia:
Non è una ferita, né una lividura, né una piaga bruciante; non c’è
unguento da applicare né olio né fasce
(Is 1,6), vale a dire che non è un male che ha colpito solo in parte,
che è localizzato, ma ha leso tutto il corpo, avvolge l’intera anima,
opprime tutte le sue facoltà.
Non c’è unguento da applicare
vale a dire che tutto è asservito al peccato, tutto è dominato da esso.
Anche Geremia dice:
Abbiamo curato Babilonia e non è guarita
(Ger 51,9), cioè: “Abbiamo manifestato il tuo nome, abbiamo annunciato i
tuoi co- mandamenti, le opere buone da te compiute, le promesse; abbiamo
preannunciato a Babilonia gli assalti dei nemici e tuttavia non è
guarita, non si è convertita, non ha provato timore, non si è distolta
dalla sua malvagità”. Come dice anche altrove: “Non hanno accettato la
correzione” (cf. Ger 2,30), cioè l’avvertimento, l’insegnamento. E nel
salmo è detto:
La loro anima provò disgusto per ogni cibo, e si avvicinarono alle porte
della morte
(Sai 106,18).
4. Allora dunque, il Dio buono e amico degli uomini mandò il suo Figlio,
l’unigenito (cf. Gv 3,16), perché Dio soltanto poteva guarire e vincere
un male simile; e questo i profeti non lo ignoravano. Perciò David
diceva apertamente:
Tu che siedi sui cherubini, manifestati, risveglia la tua potenza e
vieni a salvarci
(Sai 79,2-3); e:
Signore, piega i cieli e scendi
(Sal 143,5) e altre parole simili. Anche tutti gli altri profeti,
ciascuno in modo diverso, hanno levato simili grida sia per pregarlo di
venire sia per esprimere la certezza[7]
della sua venuta. Venne dunque il nostro Signore, divenuto uomo a causa
nostra “per guarire il simile con il simile - come dice san Gregorio -
l’anima con l’anima, la carne con la carne. Si è fatto uomo in tutto
tranne che nel peccato”[8].
Ha preso il nostro essere stesso, le primizie della nostra natura, ed è
diventato un nuovo Adamo
a immagine di colui che l’aveva creato
(Col 3,10). Egli infatti rinnova il nostro stato secondo natura e
restituisce l’integrità originaria alle nostre facoltà. Divenuto uomo,
ha rinnovato l’uomo decaduto, ha liberato colui che era schiavo del
peccato e trascinato dalla sua violenza. L’uomo era trascinato infatti
con violenza e tirannia dal Nemico, e anche quelli che non volevano
peccare erano quasi costretti a peccare, come dice l’Apostolo parlando
per noi tutti:
Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio, questo faccio
(Rm 7,19).
5. Dio, dunque, divenuto uomo a causa nostra, ha liberato l’uomo dalla
tirannia del Nemico. Ha abbattuto tutta la sua potenza, ha spezzato la
sua forza e ci ha liberato dal suo potere e dalla sua schiavitù, a meno
che noi stessi vogliamo peccare di nostra volontà. Ci ha dato
il potere,
come ha detto,
di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra ogni potenza del Nemico
(Lc 10,19), purificandoci da ogni peccato attraverso il santo battesimo.
Il santo battesimo infatti perdona e cancella ogni peccato. E ancora, il
Dio buono, conoscendo la nostra debolezza e prevedendo che anche dopo il
santo battesimo avremmo di nuovo peccato - come sta scritto:
Il pensiero dell’uomo è incline al male dalla sua giovinezza
(Gen 8,21) - ci ha dato, nella sua bontà, i santi comandamenti perché,
se vogliamo, grazie alla loro custodia, possiamo essere di nuovo
purificati[9]
non solo dai nostri peccati, ma anche dalle passioni stesse. Una cosa
infatti sono le passioni, e un’altra i peccati. Le passioni sono la
collera, la vanagloria, l’amore per i piaceri, l’odio, i desideri
malvagi e le altre cose simili. I peccati, invece, sono le azioni
derivanti dalle passioni quando le si traduce in atto, quando con il
corpo si fa ciò che le passioni suggeriscono.
6. Dio, come ho detto, ci ha dato dunque dei comandamenti per
purificarci anche dalle nostre stesse passioni, dalle stesse cattive
disposizioni del nostro uomo interiore (cf. Rm 7,23; Ef 3,16). A lui
infatti dona il discernimento del bene e del male, lo ridesta, gli
mostra i motivi per i quali giunge a peccare e dice: “La Legge ha detto:
Non commettere adulterio
(Es 20,14), ma io dico: ‘Non avere cattivi desideri’ (cf. Mt 5,27). La
Legge ha detto:
Non uccidere
(Es 20,13), ma io dico: ‘Non adirarti neppure’ (cf. Mt 5,21)”. Se tu hai
cattivi desideri, anche se oggi non commetti adulterio, il desiderio che
ti tormenta interiormente però non si placa finché non ti trascina
all’atto. Se vai in collera e ti irriti contro tuo fratello, prima 0 poi
finirai per parlare male di lui e poi tendergli insidie, e così, poco
per volta, giungerai anche a ucciderlo.
La Legge dice ancora:
Occhio per occhio e dente per dente
(Es 21,24), e il seguito. Ma il Signore esorta non solo ad accogliere
con pazienza il colpo di chi ci percuote, ma a presentare con umiltà
l’altra guancia (cf. Mt 5,39). Allora, infatti, lo scopo della Legge era
quello di insegnarci a non fare quello che non volevamo patire, e ci ha
dunque trattenuto dal fare il male per il timore di patirlo. Ma ora
quello che ci è chiesto, come ho detto, è di scacciare l’odio stesso, lo
stesso amore per i piaceri, la stessa vanagloria e le altre passioni.
7. Insomma, ora lo scopo del nostro Signore Cristo è quello di
insegnarci come siamo giunti a tutti questi peccati, come siamo finiti
in tutti questi giorni malvagi. Dapprima, dunque, come ho già detto, ci
ha liberato per mezzo del santo battesimo, accordandoci il perdono dei
peccati e ci ha dato la possibilità di fare il bene, se vogliamo, e di
non essere trascinati per forza al male, come qualcuno potrebbe
sostenere. Chi è schiavo dei peccati ne è appesantito e trascinato, come
dice la Scrittura:
Ciascuno è catturato dai lacci dei suoi peccati
(Pr 5,22). Poi il Signore ci insegna per mezzo dei santi comandamenti
come venire purificati anche dalle stesse passioni così da non ricadere
di nuovo a causa loro negli stessi peccati. In seguito ci mostra anche
il motivo per il quale si giunge a disprezzare e a trasgredire gli
stessi comandamenti di Dio; ci offre così il rimedio anche per questo
male, affinché possiamo obbedire ed essere salvati.
Qual è dunque questo rimedio e quale il motivo del disprezzo? Ascoltate
ciò che dice lo stesso nostro Signore:
Imparate da me che sono mite e umile di cuore,
e troverete riposo per le vostre anime
(Mt 11,29). Ecco che qui, brevemente, con una sola parola, ci ha
mostrato la radice e la causa di tutti i mali, e il suo rimedio, causa
di tutti i beni; ha mostrato che è stata la superbia a farci cadere e
che è impossibile trovare misericordia in altro modo se non attraverso
il suo contrario, cioè l’umiltà[10].
La superbia infatti genera il disprezzo e la funesta disobbedienza, così
come l’umiltà genera l’obbedienza e la salvezza delle anime. Intendo
parlare della vera umiltà, non quella fatta di sole parole o di
apparenza, ma di una disposizione veramente umile che si forma nel cuore
stesso, nell’animo stesso; così dice infatti il Signore:
Sono mite e umile di cuore.
8. Chi dunque vuole trovare il vero riposo per la sua anima impari
l’umiltà e veda che in essa vi è ogni gioia, ogni gloria e ogni riposo,
così come nell’orgoglio vi è tutto il contrario. Come siamo giunti a
tutte queste tribolazioni? Perché siamo finiti in tutta questa miseria?
Non è forse a motivo del nostro orgoglio? Non è forse a motivo della
nostra follia? Non è per aver perseverato nel nostro cattivo proposito?
Non è per esserci attaccati all’amarezza della nostra volontà? Ma da
dove viene tutto questo? L’uomo non è stato creato nella pienezza delle
delizie, della gioia, del riposo, della gloria? Non era nel paradiso?
Dio gli aveva ordinato: “Non fare questo”, ed egli lo ha fatto. Vedi
l’orgoglio? Vedi la testardaggine? Vedi la mancanza di sottomissione?
Dio vedendo quell’arroganza dice: “Costui è folle, non sa essere felice.
Se non vivrà giorni cattivi, se ne andrà alla completa distruzione,
perché se non impara che cos’è la tribolazione, non impara che cos’è il
riposo”. Allora gli diede ciò che era degno di lui e lo scacciò dal
paradiso. L’uomo fu consegnato all’amore di sé e alle proprie volontà
perché si spezzassero le sue ossa, perché imparasse a non seguire se
stesso ma il comandamento di Dio, perché la miseria stessa della
disobbedienza gli insegnasse il riposo dell’obbedienza, come è detto nel
profeta:
La tua ribellione ti correggerà
(Ger 2,19)
[11].
La bontà di Dio, tuttavia, come ho detto spesso, non ha trascurato la
sua creatura, ma di nuovo si volge verso di lei, di nuovo l’esorta:
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò riposo
(Mt 11,28), vale a dire: “Ecco, vi siete affaticati, avete conosciuto la
miseria, avete sperimentato il male della vostra ribellione; su,
ritornate e riconoscete la vostra debolezza, la vostra indegnità, per
entrare nel vostro riposo e nella vostra gloria. Su, vivete grazie
all’umiltà, voi che siete stati messi a morte a motivo dell’orgoglio.
Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le
vostre anime
(Mt 11,29).
9. Oh, fratelli miei, che cosa non fa l’orgoglio! Oh, quanto può
l’umiltà! Che bisogno c’era di tutti questi rigiri? Se fin da principio,
infatti, l’uomo si fosse umiliato, avesse obbedito a Dio, avesse
custodito il comandamento, non sarebbe caduto. Dopo che si era
comportato in modo vergognoso, Dio gli offrì ancora una volta
l’occasione di pentirsi e di ricevere misericordia, ma egli continuò a
tener alta la testa. Dio venne da lui e gli disse:
Adamo, dove sei?
(Gen 3,9), invece di dirgli: “Da quale gloria sei caduto e a quale
vergogna sei giunto?”. Poi gli chiese: “Perché hai peccato? Perché hai
disobbedito?”; voleva proprio spingerlo a dire: “Perdonami!”. Ma dov’è
il “Perdonami!”? Non vi fu né umiltà, né pentimento, ma l’opposto.
L’uomo replica:
La donna che tu mi hai dato
(Gen 3,12); non dice: “La mia donna si è presa gioco di me”, ma:
La donna che tu mi hai dato,
come se dicesse: “La sventura che hai posto sul mio capo”. Così accade,
fratelli, quando l’uomo non persevera nel rimproverare se stesso; non
esita neppure a incolpare Dio stesso. Dio va poi dalla donna e le dice:
“Perché anche tu non hai osservato il comando?”, come per dirle: “Di’
almeno tu: ‘Perdonami!’, perché la tua anima si umilii e tu trovi
misericordia”, ma di nuovo non vi fu nessun “Perdonami!”. Anch’essa
risponde:
Il serpente mi ha ingannata
(Gen 3,13), quasi a dire: “Se quello ha peccato, io che c’entro?”. Che
fate, infelici? Fate una metania, riconoscete la vostra colpa, abbiate
pietà della vostra nudità! Ma nessuno di loro si degnò di accusare se
stesso, nessuno mostrò di avere un minimo di umiltà.
10.
Ed ecco, vedete chiaramente a quale situazione siamo giunti; ecco a
quali e quanto grandi mali ci ha portato il fatto di giustificare noi
stessi, di fidarci di noi stessi, di attaccarci alla nostra volontà,
cose tutte generate dall’orgoglio, nemico di Dio; allo stesso modo sono
cose generate dall’umiltà l’accusare se stessi, il non fidarsi del
proprio giudizio, l’odiare la propria volontà. Grazie a queste siamo
fatti degni di riprenderci e di ritornare allo stato secondo natura[12]
attraverso la purificazione operata dai santi comandamenti di Cristo.
Senza umiltà, infatti, non è possibile obbedire ai comandamenti, né
giungere a un qualsiasi bene, come ha detto abba Marco: “Senza
contrizione del cuore, è impossibile allontanarsi dal male, è
assolutamente impossibile acquistare una virtù”[13].
E attraverso la contrizione del cuore, dunque, che si accolgono i
comandamenti, ci si allontana dal male, si acquistano le virtù e si
ritorna così al proprio riposo.
[1]
Cf.
Everghetinos
IV,22,2,4, pp. 372-373.
[2]
Troviamo un identico inizio in Abba Isaia,
Discorsi
2,1, p. 40 ( = PG 40,11070).
[3]
Per tutta la tradizione patristica orientale la nozione
di “natura” designa la condizione dell’essere umano creato
buono, a immagine di Dio. Chiamato a vivere “secondo natura”,
cioè secondo l’immagine di Dio deposta in lui, con il peccato
agisce “contro natura”.
[4]
In greco:
autoexousion,
dotato di libero arbitrio.
[5]
Preferiamo tradurre letteralmente il greco
diábolos.
Su questo passo cf. Ireneo di Lione,
Esposizione della dottrina apostolica
18, in Id.,
Contro le eresie e gli altri scritti,
a cura di E. Bellini, Milano 1981, p. 495.
[6]
Così rendiamo il greco
noûs,
da altri tradotto con “mente”, “intelletto”, “spirito”. Designa
la suprema facoltà umana, ove sono deposte l’immagine e la
somiglianza con Dio; esso si trova nelle profondità del cuore
dell’uomo, inteso in senso biblico, quale centro vitale
dell’essere umano, sede non solo della vita affettiva,
intellettuale, morale, ma anche dell’intelligenza e della
sapienza.
[7]
II verbo greco qui impiegato
plerophoréo
indica la comunicazione di un’intima certezza da parte di Dio.
[8]
Gregorio di Nazianzo,
Discorsi
28,13; 45,9, PP- 668-671, 1142-1144.
[9]
Cf. Zosima,
Colloqui
3, p. 103: “II nostro Signore è buono; ci ha dato per guarirci
dai nostri mali i santi comandamenti perché ci purifichino come
un ferro rovente e come un medicamento atto a purificare. Chi
dunque vuole e desidera essere curato per guarire dalla sua
malattia deve sopportare ciò che fa il medico”.
[10]
Insegnamento tradizionale nei padri del deserto: cf. Detti dei
padri,
Serie alfabetica,
Antonio 7, p. 83; Teodora 6, p. 227; Macario l’Egiziano 11, p.
309; eccetera.
[11]
Cf. Ireneo di Lione,
Contro le eresie
IV,37,7, p. 398: “Dio ha mostrato la sua magnanimità
nell’apostasia dell’uomo e l’uomo è stato istruito per mezzo di
essa, come dice il profeta:
Ti istruirà la tua apostasia
(Ger 2,19); perché Dio ha preordinato tutte le cose per portare
l’uomo alla perfezione
[12]
Cf.
supra,
n. 3.
[13]
Marco l’Asceta,
A quelli che credono di essere giustificati
197, in
La filocalia
I, a cura di M. B. Artioli e M. F. Lovato, Torino 1982, p. 207.
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1 dicembre 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net