DOROTEO DI GAZA
SCRITTI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI
96. Voglio ricordarvi, fratelli, alcune cose riguardo alla menzogna
perché vedo che non vi preoccupate affatto di custodire la vostra lingua
e da questo ci lasciamo facilmente trascinare a molti mali. Vedete,
fratelli miei, in ogni cosa, come vi dico sempre, ci si abitua, sia nel
bene che nel male. Occorre dunque molta vigilanza perché non ci lasciamo
sorprendere dalla menzogna. Nessuno che menta è unito a Dio; la menzogna
è estranea a Dio. Sta scritto infatti: “La menzogna viene dal Maligno”,
e di lui: E menzognero e padre di menzogna (Gv 8,44). Ecco,
chiama padre della menzogna il diavolo. La verità invece è Dio; egli
stesso, infatti, dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv
14,6). Vedete dunque da chi ci separiamo e a chi aderiamo attraverso la
menzogna! Evidentemente al Malvagio. Se dunque vogliamo essere realmente
salvati, dobbiamo amare la verità con tutte le forze e con ogni impegno,
e guardarci da ogni menzogna per non separarci dalla verità e dalla
vita.
97. Vi sono tre forme di menzogna: vi è chi mente con il pensiero, con
le parole, con la vita stessa. Mente con il pensiero chi accoglie i
sospetti. Se costui vede qualcuno parlare con suo fratello, nutre
sospetti e dice: “E di me che parlano”, e se interrompono la
conversazione, di nuovo sospetta che l’abbiano interrotta a causa sua.
Se uno dice una parola, sospetta che l’abbia detta per ferirlo, e,
insomma, in ogni cosa sospetta il prossimo e dice: “E a causa mia che ha
fatto questo”; “E a causa mia che ha detto questo”; “Per questo motivo
ha fatto questo”. Questi è colui che mente con il pensiero. Non dice
niente di vero, ma tutto in base a sospetti. Da questo poi provengono la
curiosità, la maldicenza, l'ascoltare di nascosto, i litigi, le condanne
degli altri. Ma accade che uno sospetti una cosa e che gli eventi
mostrino che era vera; in base a questo egli dice di volersi correggere
e continua a curiosare ovunque pensando: “Se uno dice qualcosa contro di
me, vedo qual è la mancanza di cui mi si incolpa e mi correggo”.
Anzitutto l’inizio stesso di tale comportamento proviene dal Malvagio;
ha cominciato con una menzogna: non sapeva e ha sospettato ciò che non
sapeva. Come può un albero malvagio fare frutti buoni (cf. Mt 7,18)? Se
desidera veramente correggersi, quando il fratello gli dice: “Non fare
questo”, o: “Perché hai fatto questo?”, non si turbi, ma faccia una
metania e lo ringrazi; allora si correggerà. E se Dio vede che questa è
la sua intenzione, non permetterà mai che si inganni, ma gli manderà
sempre colui che deve correggerlo. Ma dire: “E per la mia correzione che
mi fido dei miei sospetti”, e restare ad ascoltare di nascosto e
curiosare ovunque è una giustificazione che viene dal diavolo.
98. Quando ero nel monastero, ero tentato di capire la situazione di una
persona dal suo modo di muoversi. Mi accadde dunque un fatto del genere.
Una volta, là dov’ero, mi passò davanti una donna che portava una brocca
d’acqua e, non so come, ne fui attirato, la guardai negli occhi e subito
il pensiero mi suggerì che era una prostituta. Come il pensiero mi
suggerì questo sospetto, rimasi molto turbato e lo manifestai
all’anziano, ad abba Giovanni: “Signore, pur non volendo, come vedo
l’atteggiamento di qualcuno, il pensiero mi suggerisce il suo stato
interiore; che cosa devo fare?”. E l’anziano mi diede questa
spiegazione: “Come dunque? Non accade che uno abbia un difetto naturale
e che si sforzi di correggerlo? Non è possibile conoscere la sua
situazione a partire da questo. Non fidarti dunque mai dei tuoi sospetti
perché una regola distorta distorce anche quello che è diritto. I
sospetti sono menzogneri e fanno del male”. Da allora se il pensiero mi
diceva del sole che è sole, o della tenebra che è tenebra, non mi
fidavo. Nulla è più grave dei sospetti; sono talmente dannosi perché
quando perdurano in noi cominciano a convincerci e a farci credere di
vedere cose che non esistono e che non sono mai esistite.
99 E a questo proposito vi racconto un fatto straordinario a cui ho
assistito quando mi trovavo ancora nel monastero. Avevamo là un fratello
che era molto importunato da questa passione; si fidava a tal punto dei
suoi sospetti che credeva che la realtà fosse tale e quale il suo
pensiero la descriveva e non ammetteva che fosse altrimenti. Con il
tempo il male peggiorò e così i demoni lo convinsero a lasciarsi
ingannare a tal punto che una volta entrò nell’orto per osservare quello
che succedeva - sempre infatti se ne stava a spiare e ad ascoltare - e
gli sembrò di vedere un fratello rubare dei fichi e mangiarseli. Era per
giunta un venerdì e non erano ancora le otto. Persuaso di aver visto
veramente la cosa, si nascose, uscì senza dir nulla e al momento della
liturgia
[1] osservò per vedere che cosa
avrebbe fatto alla comunione il fratello che aveva rubato e mangiato i
fichi. Come vide che si lavava le mani per andare a ricevere la
comunione, corse a dire all’abba: “Vedi quel fratello che va a ricevere
la comunione con gli altri fratelli? Ordina che non gli sia data perché
l’ho visto stamattina rubare fichi dal giardino e mangiarli”. In quel
momento quel fratello stava andando a ricevere la santa comunione con
grande compunzione; era infatti uno dei più fervorosi. Come l’abba lo
vide, lo chiamò prima che si avvicinasse al presbitero che distribuiva
la comunione, lo prese in disparte e gli disse: “Dimmi, fratello, che
cosa hai fatto oggi?”. Quello si meravigliò e gli rispose: “Dove,
signore?”. Gli disse l’abba: “Nell’orto dove sei andato stamattina. Che
cosa ci facevi?”. Il fratello, stupito, gli disse: “Signore, non l’ho
nemmeno visto l’orto quest’oggi e non ero neppure qui, in monastero
stamattina; sono appena rientrato. Subito dopo la fine della preghiera
notturna, l’economo mi ha mandato a fare la tal commissione”. La
commissione di cui aveva parlato richiedeva un cammino di molte miglia e
il fratello era arrivato giusto all’ora della liturgia eucaristica.
L’abba mandò a chiamare l’economo e gli disse: “Dove hai mandato questo
fratello?”. L’economo rispose quello che aveva già detto il fratello:
“L’ho mandato nel tal villaggio”, e fece una metania dicendo:
“Perdonami, mio signore. Tu riposavi dopo la veglia e per questo non
l’ho mandato da te per ricevere il permesso”. L’abba, pienamente
rassicurato, non ebbe dubbi e li mandò a ricevere la comunione con la
sua benedizione. Poi fece chiamare il fratello che nutriva sospetti, lo
rimproverò e gli proibì di fare la santa comunione. Non solo, ma fece
anche chiamare tutti i fratelli dopo la liturgia, raccontò piangendo
quello che era accaduto, svergognò il fratello davanti a tutti,
ottenendo con ciò un triplice risultato: confuse il diavolo e lo
denunciò come seminatore di sospetti, procurò al fratello il perdono per
il suo peccato e l’aiuto di Dio per l’avvenire, e rese i fratelli più
saldi nel non accogliere mai i propri sospetti.
Dopo molte ammonizioni su questo tema rivolte a noi e al fratello, disse
che niente è più dannoso dei sospetti e ci portò a esempio l’accaduto.
100. E in diversi modi i padri ci hanno detto altre cose simili per
metterci al sicuro dal danno procurato dai sospetti. Cerchiamo dunque
con tutte le nostre forze, fratelli, di non fidarci mai dei nostri
sospetti; niente distoglie tanto l’uomo dall’essere attento ai propri
peccati e fa sì che si interessi costantemente di ciò che non lo
riguarda. E non ne viene nulla di buono, ne derivano turbamenti e
tribolazioni senza numero, e l’uomo finisce per non dedicarsi mai ad
acquistare il timore di Dio. Anche se, a causa della nostra malvagità,
vengono seminati in noi sospetti, trasformiamoli subito in buoni
pensieri e non ne patiremo danno. I sospetti sono malvagi e non lasciano
mai che l’anima sia in pace. Ecco, questo è la menzogna nel pensiero.
101. È menzognero con le parole chi, ad esempio, quando si alza in
ritardo per la preghiera della notte non dice: “Perdonami! Sono stato
pigro nell’alzarmi!”, ma dice: “Ho avuto la febbre e le vertigini, non
potevo alzarmi, ero senza forze”, e dice dieci parole menzognere per non
fare una sola metania e umiliarsi. Se poi lo si rimprovera per qualcosa,
stravolge il discorso e lo aggiusta per non portare il peso del
rimprovero. Ugualmente, se gli accade di litigare con un fratello, non
smette di giustificarsi e di dire: “Ma sei tu che hai detto, ma sei tu
che hai fatto, ma non l’ho detto io, ma è stato quell’altro a dirlo, ma
questo, ma quello”, soltanto per non essere umiliato. E ancora, se
desidera una cosa, non osa dire: “Desidero questo”, ma rigira il
discorso e dice: “Soffro di questo e ho bisogno di questa cosa”, oppure:
“Mi è stata prescritta questa cosa”, e dice tante bugie fino a quando il
suo desiderio viene soddisfatto. Ogni peccato infatti nasce dall’amore
per il piacere o dall’amore per il denaro o dall’amore per la gloria.
Ugualmente, anche la menzogna nasce da queste tre cose: si mente per non
essere rimproverati e umiliati, o per soddisfare un desiderio o per
ottenere un guadagno e non si smette di girare e rigirare le cose
inventandosi che cosa dire per realizzare il proprio scopo. Chi fa così
non è mai creduto, ma anche se dice una parola vera, nessuno può fidarsi
di lui e anche quello che dice di vero non è certo.
102. A volte però si presenta un caso di estrema necessità e, se non si
dissimula un poco, ne conseguono turbamento e tribolazione ancor più
grandi. Quando si presenta una situazione del genere, se ci si vede
costretti, si stravolga il discorso perché non ne venga, come ho detto,
turbamento, tribolazione, pericolo maggiore. Come ha detto abba Alonio
ad abba Agatone: “Ecco che due uomini hanno commesso un omicidio davanti
a te e uno dei due fugge nella tua cella. Ed ecco che il magistrato lo
cerca e ti chiede: ‘C’è stato un delitto in tua presenza?’. Se non
cerchi sotterfugi, consegni quell’uomo alla morte”
[2]. Anche in caso di estrema
necessità, non si deve restarsene tranquilli, ma pentirsi, piangere
davanti a Dio e considerare l’accaduto come un’occasione di prova, e
questo non avvenga continuamente, ma una sola volta su mille! Avviene
come per un antidoto contro il veleno o un lassativo: presi
continuamente fanno del male, se invece li si prende ogni tanto in caso
di assoluta necessità, sono di giovamento. Così bisogna fare anche nel
ricorrere alla menzogna; se è necessario mentire, lo si faccia, ma una
volta su mille, se si vede, come ho detto, che è assolutamente
necessario e lo si faccia una volta ogni tanto mostrando a Dio con
timore e tremore sia la nostra intenzione sia lo stato di necessità, e
così si è al riparo perché altrimenti anche in questo caso ci si fa del
male.
103. Ecco, abbiamo detto chi è colui che mente con il pensiero e chi è
che mente con la parola; vogliamo dire ora anche chi è quello che mente
con la sua vita stessa. Mente con la propria vita chi, pur essendo
dissoluto, simula di essere casto oppure chi è avaro e parla di
elemosina e tesse le lodi della compassione, oppure chi è orgoglioso e
ammira l’umiltà, ma non l’ammira con l’intenzione di tessere le sue
lodi. Se infatti parlasse a questo scopo, dapprima confesserebbe con
umiltà la propria debolezza dicendo: “Povero me! Sono privo di ogni
bene”. E dopo aver confessato la propria debolezza, potrebbe ammirare e
tessere le lodi della virtù. Ma non tesse le lodi della virtù per non
scandalizzare qualcuno; anche in questo caso, infatti, dovrebbe pensare:
“Sì, sono infelice e pieno di passioni; perché scandalizzo anche un
altro? Perché faccio del male anche a un’altra anima e impongo su di me
un carico ulteriore?”, e anche se ha peccato nei confronti di se stesso,
potrebbe tuttavia raggiungere il bene, perché è umiltà considerare
misero se stesso ed è compassione darsi pena del prossimo. Ma chi mente
non ammira la virtù per uno dei motivi elencati, come ho detto, ma fa
proprio il nome della virtù e parla di essa come se lui stesso la
possedesse per ricoprire la propria vergogna oppure spesso per far del
male a qualcuno e ingannarlo. Nessuna malvagità, infatti, nessuna eresia
né il diavolo stesso è in grado di ingannare uno se non simulando la
virtù, come dice l’Apostolo: il diavolo stesso si traveste da angelo
di luce (2Cor 11,14). Non è gran cosa dunque se anche i suoi servi
si travestono da angeli di giustizia
[3]. Così dunque anche chi mente
perché vuole evitare l’umiliazione per timore della vergogna, sia, come
ho detto, perché vuole sedurre e ingannare qualcuno, parla delle virtù,
le loda e le ammira come se se ne fosse appropriato nella pratica.
Questi è colui che mente con la vita stessa, questi non è un uomo
semplice, ma doppio: è uno all’interno e un altro al di fuori. Tutta la
sua vita è doppia, è tutta una commedia.
Ecco, abbiamo detto quanto riguarda la menzogna che viene dal Maligno,
abbiamo anche detto della verità che la verità è Dio. Fuggiamo dunque la
menzogna, fratelli, per sfuggire alla sorte del Malvagio e lottiamo per
acquistare la verità, per essere uniti a colui che ha detto: Io sono
la verità (Gv 14,6). Dio ci renda degni della sua verità!
[1]
Letteralmente: “sinassi” (riunione). In questo caso indica la
liturgia eucaristica.
[2]
Cf. Detti dei padri, Serie alfabetica, Alonio 4, p. 140.
[3]
Cf. Ep. 405, pp. 370-371.
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1 gennaio 2025 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net