DOROTEO DI GAZA
SCRITTI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI
III. LA COSCIENZA
40. Quando Dio creò l’uomo, pose in lui come un seme divino e lo dotò di
ima facoltà calda e luminosa come una scintilla, che illumina la mente e
le mostra il bene distinto dal male. Essa si chiama coscienza, ed è la
legge naturale
[1]. Questi sono i pozzi scavati
da Giacobbe, come hanno detto i Padri, e otturati di nuovo dai Filistei
[2]. Con la docilità a questa
legge, cioè alla coscienza, i patriarchi e tutti i santi vissuti prima
della Legge scritta piacquero a Dio. Ma quando essa fu otturata e
calpestata dagli uomini con l’avanzare del peccato, abbiamo avuto
bisogno della Legge scritta, abbiamo avuto bisogno dei santi profeti,
abbiamo avuto bisogno della venuta stessa del Signore nostro Gesù Cristo
per rimetterla a nudo e ridestarla, per rivivificare quella scintilla
sepolta per mezzo della osservanza dei suoi santi comandamenti. Dipende
dunque ormai da noi seppellirla di nuovo o lasciare che essa brilli e ci
illumini, se siamo disposti ad obbedirle. Quando infatti la nostra
coscienza ci dice di fare una cosa, e noi la disprezziamo, e poi ce lo
dice ancora, e noi non la facciamo, ma continuiamo a calpestarla, allora
la seppelliamo, e non può più parlarci chiaramente per via del peso che
la schiaccia; ma come ima lampada che arda attraverso la feccia
dell'olio, comincia a mostrarci le cose in modo più confuso, per così
dire più tenebroso, e cosi progressivamente[3]:
come sull'acqua intorbidata da molto fango nessuno può vedere il proprio
volto
[4] così ci troviamo ad un punto
in cui non percepiamo più quel che ci dice la nostra coscienza, tanto
che pensiamo di non averla nemmeno più[5].
Ma non c’è nessuno che non l'abbia: essa, come abbiamo già detto, è
qualcosa di divino e non può mai perite, anzi sempre ci rammenta il
nostro dovere; ma noi non ce ne accorgiamo perché, come ho detto, la
disprezziamo e la calpestiamo.
41. Per questo il profeta compiange Efraim e dice:
Efraim ha oppresso il suo avversario ed ha calpestato il giudizio
[6]. Per avversario intende
la coscienza. Ecco perché anche nel Vangelo si dice:
Mettiti d’accordo col tuo avversario
finché sei per la strada con lui, perché non ti consegni al giudice e il
giudice alle guardie, e ti gettino in prigione. In verità ti dico, non
uscirai di lì finché non avrai pagato anche l’ultimo spicciolo
[7].
Ma perché chiama la coscienza
avversario? È detta avversario perché essa avversa sempre
la nostra cattiva volontà e ci rimprovera per quel che dobbiamo fare e
non facciamo
[8]; e viceversa, per quel che
non dobbiamo fare e che invece facciamo, è sempre lei che ci accusa. Per
questo la chiama avversario, e ci esorta dicendo:
Mettiti d'accordo col tuo avversario finché sei per la strada con lui.
La strada, come dice san Basilio, è questo mondo
[9].
40.
Studiamoci dunque, fratelli, di custodire la nostra coscienza fin quando
siamo in questo mondo, non permettendole di rimproverarci in nessuna
cosa e non calpestandola assolutamente mai, neppure nelle cose più
insignificanti: sapete infatti che da queste cose piccole e cosiddette
di poco conto arriviamo' poi a disprezzare anche quelle grandi. Quando
uno comincia a dire: « E che fa, se dico questa parola? E che fa, se
mangio questo boccone? E che fa, se do retta a questa cosa? », col dire:
« E che fa questo? E che fa quello? », uno si prende un brutto e amaro
cancro
[10] e comincia anche nelle cose
grandi a disprezzare
e a calpestare la propria coscienza; e cosi un po’ alla volta rischia di
cadere nell’insensibilità totale. Per questo badate, fratelli, che non
trascuriamo le cose piccole, badate che non le disprezziamo come cose da
niente: non sono piccole, sono un cancro, sono una cattiva abitudine.
Vogliamo, pensiamo alle cose leggere finché sono leggere, perché non
diventino pesanti. Sia il successo sia il peccato cominciano dal poco e
portano a grandi beni o a grandi mali
[11].
Per questo ci esorta, il Signore, a vigilare sulla coscienza, come se
scongiurasse qualcuno in particolare e gli dicesse: « Guarda che cosa
fai, sventurato: attento!
Mettiti d’accordo col tuo avversario finché sei per la strada con lui
». E aggiunge anche l'aspetto pauroso e pericoloso della situazione
dicendo:
perché non ti consegni al giudice e il giudice alle guardie, e ti
gettino in prigione.
Come?
In verità ti dico: non uscirai di li finché non avrai pagato anche
l’ultimo spicciolo.
La coscienza infatti, come ho detto, ci sdttopone ad esame nel bene e
nel male e ci indica che cosa fare e che cosa non fare; ed è ancora essa
che ci accusa nella vita futura; per questo dice:
perché non ti consegni al giudice
con quel che segue.
43. Ma la custodia della coscienza presenta molti aspetti: si deve
custodirla nei confronti di Dio, nei confronti del prossimo, nei
confronti delle cose materiali. Nei confronti di Dio, per non
disprezzare i suoi comandamenti, anche nelle cose che nessun uomo vede e
in quelle in cui nessuno chiede conto. Si custodisce la coscienza per
Dio nel segreto, come per esempio: si è trascurata la preghiera, si è
permesso ad un pensiero passionale di giungere fino al cuore senza
vigilarlo e reprimerlo, ma lasciandovelo annidare; si è visto il
prossimo dire o fare qualche cosa e lo si è giudicato conforme
all’apparenza. Per dirla in breve, da tutto quello che accade nel
segreto, che nessuno conosce se non Dio e la nostra coscienza, dobbiamo
guardarci. E questa è la coscienza nei confronti di Dio.
44. Quella nei confronti del prossimo consiste nel non fare
assolutamente mai nulla in cui si sappia che si affligge o si ferisce il
prossimo, sia in azioni, sia in parole, sia in atteggiamenti, sia in
sguardi. Si, ci sono anche atteggiamenti, come sono solito dire spesso,
che feriscono il prossimo; ci sono sguardi che possono ferire; e per
dirla in breve, tutto quello che l’uomo sa di fare apposta per dare
turbamento al prossimo, mentre la sua coscienza è sporca, perché sa che
agisce apposta per nuocere o affliggere. Bisogna guardarsi dal farlo, e
questo è custodire la coscienza nei confronti del prossimo.
45. Custodirla poi nei confronti delle cose materiali consiste nel non
usarle male, nel non lasciare che una cosa si rovini o sia gettata via
ma anzi, se si vede ima cosa gettata via, non trascurarla, anche se è di
poco valore, ma raccoglierla e rimetterla al suo posto; nel non
strapazzare i propri vestiti. A volte, pensa, si può portare il vestito
ancora ima o due settimane e invece si va immediatamente, lo si lava
prima del tempo e lo si sbatte, e invece di utilizzarlo per altri cinque
mesi o anche più, a forza di lavarlo lo si rende vecchio e
inutilizzabile: e ciò è contro coscienza. Similmente anche per il letto:
spesso si potrebbe essere soddisfatti di un guanciale e invece si cerca
un grande materasso; talvolta lo si ha di pelo e lo si vuol cambiare e
prenderne un altro nuovo e bello, per frivolezza o per accidia. Ci si
potrebbe contentare di ima coperta fatta di pezze e se ne cerca una di
lana, anzi ci si arrabbia anche, se non la si ottiene. Se poi si
comincia a far attenzione al fratello e a dire: « Perché lui ha questo e
io no? Lui, si, che sta bene! », gran progresso! 0 ancora, si stende al
sole il proprio abito o il mantello e si trascura di riprenderlo e lo si
lascia bruciare: e anche questo è contro coscienza[12].
Similmente anche nei cibi: si può soddisfare il proprio bisogno con un
po' di verdura o legumi[13]
o qualche oliva e non si accetta di farlo, ma si ricerca altro cibo più
piacevole o più costoso: tutte queste cose sono contro coscienza.
46. I Padri invece dicono:
Il monaco non deve mai permettere alla propria coscienza di tormentarlo
in nessuna cosa[14].
Bisogna dunque, fratelli, che vegliamo sempre e ci guardiamo da tutte
queste cose per non cadere in pericolo. E ce ne ha scongiurato il
Signore stesso, come abbiamo detto prima. Dio ci conceda di ascoltare e
di guardarci da queste cose, perché le parole dei nostri Padri non
diventino la nostra condanna.
[1]
« Dio ha dato all’uomo la coscienza per discernere le
cose», aveva già detto Barsanufio (Lettera
158; cf. anche la
Lettera
518); «La coscienza è un libro naturale»: Marco Eremita,
De lege spirit.,
187 (PG 65, 928 C) = 186 (Philokalia,
I, p. 107).
[2]
Cf. Gen. 26, 15. Il tema dei pozzi scavati da Isacco (non
da Giacobbe) e riempiti nuovamente dai Filistei forma l’oggetto
di uria delle più belle omelie di Origene, la XIII sulla Genesi
(trad. it. in
Omelie sulla Genesi e sull’Esodo,
cit., pp. 295-309 e, per il commento, pp. 69-78). Origene però
applica il simbolo all’acqua sorgente della Parola di Dio e del
Regno che è dentro di noi (Gv. 7, 38; Le. 17, 21). L’immagine
biblica torna anche in una lettera che, entrata nel
corpus
delle lettere di san Basilio, è però di Evagrio Pontico (si
tratta della
Lettera
8, 2: vedine la trad. it. in S. Basilio,
Epistolario,
Versione, introd. e note a c. di A. Regaldo Taccone, Alba 1966,
p. 66).
[3]
« È come una lampada accesa, la cui luce è ancora forte;
se la si trascura, pian piano la luce si spegne e la casa piomba
nell’oscurità » (L. Th.
Lefort,
Les
vies coptes de saint Pachóme et ses premiers successeurs,
Lovanio 1943, p. 232).
[4]
Doroteo
allude qui ad un apoftegma conservato da Paolo Evergetinos,
Synagógé,
IV, 14, p. 62 Costantinopoli.
[5]
Le stesse idee in Lefort,
Les
vies coptes,
cit., p. 24.
[6]
Os. 5, 11.
[7]
Mt. 5, 25-26.
[8]
« Come ci ha insegnato nostro Signore, dicendo: "Conosci il tuo
avversario, finché sei per la strada con lui”, ecc. Dicono che
l’avversario sia la coscienza, perché si oppone all’uomo che
vuol compiere la propria volontà carnale. E se l’uomo non la
ascolta, lo consegna ai suoi nemici ». Era già questo
l’insegnamento
dell’abbas Isaia,
Logos IV, 8 (ed. Augoustinos, p. 25; PG 40, 1117
C, trad. lat.) =
Sulla custodia della mente, 3 (Philokalia,
I, p. 30).
[9]
Cf. Basilio,
Hom. in Psal. 1 (PG 29, 220-221).
[10]
Doroteo era stato incaricato, tra l’altro, anche dell’infermeria
quando era nel cenobio dell'abbas Seridos (cf. i parr. 57 e 121;
inoltre Vita di san Dositeo, 1.4.6.8). Niente di strano vederlo
usare, come qui, un termine medico tecnico (nome), tanto piu
che, per prepararsi meglio all’ufficio di infermiere, Doroteo
aveva studiato libri di medicina (Lettera 327 della raccolta di
Giovanni e Barsanufio). Il termine nome applicato alle
situazioni spirituali è già presente in Marco Eremita, De
poenitentia, 9 (PG 65, 977 D); De his qui putant, 78 (PG 65, 941
B) = 85 (Philokdlia, I, p. 114).
[11]
« Le cose cattive cominciano dal poco e nutrendosi a poco a poco
aumentano », aveva già detto Marco Eremita,
De
lege
spirit.,
172 (PG 65, 926 C) = 171
(Philokalia, I, p. 106); e anche
De
lege
spirit.,
96 (PG 65, 917 A) = 93
(Philokalia, I, p. 102). Lo stesso concetto anche
nell’abbas
Isaia,
Logos XXVII, 3 (ed. Augoustinos, pp. 189-190;
trad. lat.
PG 40, 1195 C); inoltre apoftegma in W. Bousset,
Apophthegmata. Studien zur Geschichte des ältesten Mönchtums,
Tubinga 1923, p. 118.
[12]
Lasciare steso al sole troppo a lungo un abito era già
proibito nel cenobitismo pacomiano: cf. A. Boon,
Pachomiana latina
( = Bibliothèque de la Revue d’Histoire Ecclésiastique, 7),
Lovanio 1932, p. 41 (Praecepta,
103); p. 55 (Praecepta
et inst., 6).
[13]
Accanto al pane erano l’alimento base, e di solito unico,
dell’alimentazione dei monaci (lachanon,
osprion).
[14]
Apoftegmi,
serie alfabetica, Agatone, 2; serie metodica, XI, 2.
Ritorno alla pagina iniziale "Doroteo di Gaza"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
1 dicembre 2024 a cura
di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net