DOROTEO DI GAZA

SCRITTI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI

 

III. LA COSCIENZA

Estratto da "Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali", a cura di Maurizio Paparozzi - Città Nuova Editrice 1993

 

40. Quando Dio creò l’uomo, pose in lui come un seme divino e lo dotò di ima facoltà calda e luminosa come una scintilla, che illumina la mente e le mostra il bene distinto dal male. Essa si chiama coscienza, ed è la legge naturale [1]. Questi sono i pozzi scavati da Giacobbe, come hanno detto i Padri, e otturati di nuovo dai Filistei [2]. Con la docilità a questa legge, cioè alla coscienza, i patriarchi e tutti i santi vissuti prima della Legge scritta piacquero a Dio. Ma quando essa fu otturata e calpestata dagli uomini con l’avanzare del peccato, abbiamo avuto bisogno della Legge scritta, abbiamo avuto bisogno dei santi profeti, abbiamo avuto bisogno della venuta stessa del Signore nostro Gesù Cristo per rimetterla a nudo e ridestarla, per rivivificare quella scintilla sepolta per mezzo della osservanza dei suoi santi comandamenti. Dipende dunque ormai da noi seppellirla di nuovo o lasciare che essa brilli e ci illumini, se siamo disposti ad obbedirle. Quando infatti la nostra coscienza ci dice di fare una cosa, e noi la disprezziamo, e poi ce lo dice ancora, e noi non la facciamo, ma continuiamo a calpestarla, allora la seppelliamo, e non può più parlarci chiaramente per via del peso che la schiaccia; ma come ima lampada che arda attraverso la feccia dell'olio, comincia a mostrarci le cose in modo più confuso, per così dire più tenebroso, e cosi progressivamente[3]: come sull'acqua intorbidata da molto fango nessuno può vedere il proprio volto [4] così ci troviamo ad un punto in cui non percepiamo più quel che ci dice la nostra coscienza, tanto che pensiamo di non averla nemmeno più[5]. Ma non c’è nessuno che non l'abbia: essa, come abbiamo già detto, è qualcosa di divino e non può mai perite, anzi sempre ci rammenta il nostro dovere; ma noi non ce ne accorgiamo perché, come ho detto, la disprezziamo e la calpestiamo.

41. Per questo il profeta compiange Efraim e dice: Efraim ha oppresso il suo avversario ed ha calpestato il giudizio [6]. Per avversario intende la coscienza. Ecco perché anche nel Vangelo si dice: Mettiti d’accordo col tuo avversario finché sei per la strada con lui, perché non ti consegni al giudice e il giudice alle guardie, e ti gettino in prigione. In verità ti dico, non uscirai di lì finché non avrai pagato anche l’ultimo spicciolo [7]. Ma perché chiama la coscienza avversario? È detta avversario perché essa avversa sempre la nostra cattiva volontà e ci rimprovera per quel che dobbiamo fare e non facciamo [8]; e viceversa, per quel che non dobbiamo fare e che invece facciamo, è sempre lei che ci accusa. Per questo la chiama avversario, e ci esorta dicendo: Mettiti d'accordo col tuo avversario finché sei per la strada con lui. La strada, come dice san Basilio, è questo mondo [9].

40.            Studiamoci dunque, fratelli, di custodire la nostra coscienza fin quando siamo in questo mondo, non permettendole di rimproverarci in nessuna cosa e non calpestandola assolutamente mai, neppure nelle cose più insignificanti: sapete infatti che da queste cose piccole e cosiddette di poco conto arriviamo' poi a disprezzare anche quelle grandi. Quando uno comincia a dire: « E che fa, se dico questa parola? E che fa, se mangio questo boccone? E che fa, se do retta a questa cosa? », col dire: « E che fa questo? E che fa quello? », uno si prende un brutto e amaro cancro [10] e comincia anche nelle cose grandi a disprezzare e a calpestare la propria coscienza; e cosi un po’ alla volta rischia di cadere nell’insensibilità totale. Per questo badate, fratelli, che non trascuriamo le cose piccole, badate che non le disprezziamo come cose da niente: non sono piccole, sono un cancro, sono una cattiva abitudine. Vogliamo, pensiamo alle cose leggere finché sono leggere, perché non diventino pesanti. Sia il successo sia il peccato cominciano dal poco e portano a grandi beni o a grandi mali [11]. Per questo ci esorta, il Signore, a vigilare sulla coscienza, come se scongiurasse qualcuno in particolare e gli dicesse: « Guarda che cosa fai, sventurato: attento! Mettiti d’accordo col tuo avversario finché sei per la strada con lui ». E aggiunge anche l'aspetto pauroso e pericoloso della situazione dicendo: perché non ti consegni al giudice e il giudice alle guardie, e ti gettino in prigione. Come? In verità ti dico: non uscirai di li finché non avrai pagato anche l’ultimo spicciolo. La coscienza infatti, come ho detto, ci sdttopone ad esame nel bene e nel male e ci indica che cosa fare e che cosa non fare; ed è ancora essa che ci accusa nella vita futura; per questo dice: perché non ti consegni al giudice con quel che segue.

43. Ma la custodia della coscienza presenta molti aspetti: si deve custodirla nei confronti di Dio, nei confronti del prossimo, nei confronti delle cose materiali. Nei confronti di Dio, per non disprezzare i suoi comandamenti, anche nelle cose che nessun uomo vede e in quelle in cui nessuno chiede conto. Si custodisce la coscienza per Dio nel segreto, come per esempio: si è trascurata la preghiera, si è permesso ad un pensiero passionale di giungere fino al cuore senza vigilarlo e reprimerlo, ma lasciandovelo annidare; si è visto il prossimo dire o fare qualche cosa e lo si è giudicato conforme all’apparenza. Per dirla in breve, da tutto quello che accade nel segreto, che nessuno conosce se non Dio e la nostra coscienza, dobbiamo guardarci. E questa è la coscienza nei confronti di Dio.

44. Quella nei confronti del prossimo consiste nel non fare assolutamente mai nulla in cui si sappia che si affligge o si ferisce il prossimo, sia in azioni, sia in parole, sia in atteggiamenti, sia in sguardi. Si, ci sono anche atteggiamenti, come sono solito dire spesso, che feriscono il prossimo; ci sono sguardi che possono ferire; e per dirla in breve, tutto quello che l’uomo sa di fare apposta per dare turbamento al prossimo, mentre la sua coscienza è sporca, perché sa che agisce apposta per nuocere o affliggere. Bisogna guardarsi dal farlo, e questo è custodire la coscienza nei confronti del prossimo.

45. Custodirla poi nei confronti delle cose materiali consiste nel non usarle male, nel non lasciare che una cosa si rovini o sia gettata via ma anzi, se si vede ima cosa gettata via, non trascurarla, anche se è di poco valore, ma raccoglierla e rimetterla al suo posto; nel non strapazzare i propri vestiti. A volte, pensa, si può portare il vestito ancora ima o due settimane e invece si va immediatamente, lo si lava prima del tempo e lo si sbatte, e invece di utilizzarlo per altri cinque mesi o anche più, a forza di lavarlo lo si rende vecchio e inutilizzabile: e ciò è contro coscienza. Similmente anche per il letto: spesso si potrebbe essere soddisfatti di un guanciale e invece si cerca un grande materasso; talvolta lo si ha di pelo e lo si vuol cambiare e prenderne un altro nuovo e bello, per frivolezza o per accidia. Ci si potrebbe contentare di ima coperta fatta di pezze e se ne cerca una di lana, anzi ci si arrabbia anche, se non la si ottiene. Se poi si comincia a far attenzione al fratello e a dire: « Perché lui ha questo e io no? Lui, si, che sta bene! », gran progresso! 0 ancora, si stende al sole il proprio abito o il mantello e si trascura di riprenderlo e lo si lascia bruciare: e anche questo è contro coscienza[12]. Similmente anche nei cibi: si può soddisfare il proprio bisogno con un po' di verdura o legumi[13] o qualche oliva e non si accetta di farlo, ma si ricerca altro cibo più piacevole o più costoso: tutte queste cose sono contro coscienza.

46. I Padri invece dicono: Il monaco non deve mai permettere alla propria coscienza di tormentarlo in nessuna cosa[14]. Bisogna dunque, fratelli, che vegliamo sempre e ci guardiamo da tutte queste cose per non cadere in pericolo. E ce ne ha scongiurato il Signore stesso, come abbiamo detto prima. Dio ci conceda di ascoltare e di guardarci da queste cose, perché le parole dei nostri Padri non diventino la nostra condanna.

 


[1]      « Dio ha dato all’uomo la coscienza per discernere le cose», aveva già detto Barsanufio (Lettera 158; cf. anche la Lettera 518); «La coscienza è un libro naturale»: Marco Eremita, De lege spirit., 187 (PG 65, 928 C) = 186 (Philokalia, I, p. 107).

[2]     Cf. Gen. 26, 15. Il tema dei pozzi scavati da Isacco (non da Giacobbe) e riempiti nuovamente dai Filistei forma l’oggetto di uria delle più belle omelie di Origene, la XIII sulla Genesi (trad. it. in Omelie sulla Genesi e sull’Esodo, cit., pp. 295-309 e, per il commento, pp. 69-78). Origene però applica il simbolo all’acqua sorgente della Parola di Dio e del Regno che è dentro di noi (Gv. 7, 38; Le. 17, 21). L’immagine biblica torna anche in una lettera che, entrata nel corpus delle lettere di san Basilio, è però di Evagrio Pontico (si tratta della Lettera 8, 2: vedine la trad. it. in S. Basilio, Epistolario, Versione, introd. e note a c. di A. Regaldo Taccone, Alba 1966, p. 66).

[3]      « È come una lampada accesa, la cui luce è ancora forte; se la si trascura, pian piano la luce si spegne e la casa piomba nell’oscurità » (L. Th. Lefort, Les vies coptes de saint Pachóme et ses premiers successeurs, Lovanio 1943, p. 232).

[4]      Doroteo allude qui ad un apoftegma conservato da Paolo Evergetinos, Synagógé, IV, 14, p. 62 Costantinopoli.

[5]      Le stesse idee in Lefort, Les vies coptes, cit., p. 24.

[6] Os. 5, 11.

[7]  Mt. 5, 25-26.

[8] « Come ci ha insegnato nostro Signore, dicendo: "Conosci il tuo avversario, finché sei per la strada con lui”, ecc. Dicono che l’avversario sia la coscienza, perché si oppone all’uomo che vuol compiere la propria volontà carnale. E se l’uomo non la ascolta, lo consegna ai suoi nemici ». Era già questo l’insegnamento dell’abbas Isaia, Logos IV, 8 (ed. Augoustinos, p. 25; PG 40, 1117 C, trad. lat.) = Sulla custodia della mente, 3 (Philokalia, I, p. 30).

[9] Cf. Basilio, Hom. in Psal. 1 (PG 29, 220-221). 

[10] Doroteo era stato incaricato, tra l’altro, anche dell’infermeria quando era nel cenobio dell'abbas Seridos (cf. i parr. 57 e 121; inoltre Vita di san Dositeo, 1.4.6.8). Niente di strano vederlo usare, come qui, un termine medico tecnico (nome), tanto piu che, per prepararsi meglio all’ufficio di infermiere, Doroteo aveva studiato libri di medicina (Lettera 327 della raccolta di Giovanni e Barsanufio). Il termine nome applicato alle situazioni spirituali è già presente in Marco Eremita, De poenitentia, 9 (PG 65, 977 D); De his qui putant, 78 (PG 65, 941 B) = 85 (Philokdlia, I, p. 114).

[11] « Le cose cattive cominciano dal poco e nutrendosi a poco a poco aumentano », aveva già detto Marco Eremita, De lege spirit., 172 (PG 65, 926 C) = 171 (Philokalia, I, p. 106); e anche De lege spirit., 96 (PG 65, 917 A) = 93 (Philokalia, I, p. 102). Lo stesso concetto anche nell’abbas Isaia, Logos XXVII, 3 (ed. Augoustinos, pp. 189-190; trad. lat. PG 40, 1195 C); inoltre apoftegma in W. Bousset, Apophthegmata. Studien zur Geschichte des ältesten Mönchtums, Tubinga 1923, p. 118. 

[12]     Lasciare steso al sole troppo a lungo un abito era già proibito nel cenobitismo pacomiano: cf. A. Boon, Pachomiana latina ( = Bibliothèque de la Revue d’Histoire Ecclésiastique, 7), Lovanio 1932, p. 41 (Praecepta, 103); p. 55 (Praecepta et inst., 6).

[13]     Accanto al pane erano l’alimento base, e di solito unico, dell’alimentazione dei monaci (lachanon, osprion).

[14]     Apoftegmi, serie alfabetica, Agatone, 2; serie metodica, XI, 2.

 


Ritorno all'"Indice degli insegnamenti spirituali"


Ritorno alla pagina iniziale "Doroteo di Gaza"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


1 dicembre 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net