LETTERA SULLA VITA
CONTEMPLATIVA
P. Pablo Sáenz, osb
Cuadernos Monásticos 42
(1977) 367-378
INTRODUZIONE
Alla
fine del secolo XI, san Bruno con sei dei suoi compagni, guidati da un altro
santo, San Ugo, vescovo di Grenoble, si inoltrarono nelle montagne di
Chartreuse: iniziava l'alba di una nuova famiglia spirituale. Erede diretta
dell’antica spiritualità monastica, questa nuova scuola del servizio divino
nacque suggellata con tratti che la caratterizzavano: la verginità del
cuore, la gioia interiore, il senso della penitenza, il silenzio, l'amore
sincero della solitudine e della vera vita nascosta. Quest’ultima
caratteristica, così tipica della spiritualità dei figli di San Bruno, è
stata storicamente come un carisma che ha segretamente protetto tutti i
certosini. I figli di San Bruno hanno ricevuto fin dalla nascita la grazia,
così dimenticata o addirittura rifiutata dagli uomini di oggi, dell’amore
per la "umbratilis vita", dell'amore per una vita che si nasconde realmente
agli occhi del mondo, agli occhi dei suoi stessi fratelli e, per quanto
possibile, ai propri occhi.
Questa è stata la causa del fatto che spesso fu difficile, se non
impossibile, penetrare nell’interno della vita dei certosini, e anche solo
arrivare a conoscere questi dettagli esteriori che la storia ama tanto
descrivere.
Ma
non è necessario per un certosino che si sappia qualcosa di lui. Non è
nemmeno necessario per noi arrivare a conoscere il suo messaggio in tutta la
sua pienezza. Al contrario. Una parte del suo messaggio, e non la meno
importante, consiste nel trasmettere ciò che ha ricevuto, in questo modo
"anonimo" nel quale la persona passa in secondo piano.
L'autore dell'opera in questione è uno di quei certosini quasi "anonimi". La
Provvidenza ha permesso che la sua biografia, per noi, si esaurisca in poche
righe. Sappiamo di Guigo II che fu Priore della Grande Certosa, il nono; che
la condusse fino al 1180, e che morì tredici anni più tardi. Forse era un
santo, un grande santo. Potrebbe essere identificato con quel certosino che,
dopo la morte, compì molti miracoli sulla sua tomba, attirando molti
pellegrini, mettendo in pericolo la solitudine della Certosa, motivo per cui
il Priore dovette dargli l'ordine di cessare di fare miracoli per la santa
obbedienza, ordine che soddisfò immediatamente. Sappiamo per certo che fu un
monaco di una vita esemplare, un monaco di una vita interiore molto
profonda, molto santa, molto sincera. Le sue "Meditazioni" e "La scala dei
monaci," uniche opere certe che conosciamo di lui
[1] , ce lo rivelano.
Soltanto in tempi recenti la paternità di quest’ultima opera, "La scala dei
monaci" o "Lettera sulla vita contemplativa", è stata attribuita a Guigo,
mentre in passato era attribuita a vari presunti autori, tra loro
sant’Agostino e san Bernardo. Nella Patrologia Latina del Migne appare
ancora tra le opere di questi due santi
[2] , ciò che può essere un indizio della
sua affinità spirituale con entrambi. È scritta in forma di lettera in cui
si descrive la vita di preghiera come una salita attraverso quattro gradini
distinti e successivi. Si collega bene con la vecchia dottrina della
progressione per gradi della vita spirituale radicata nella stessa
Scrittura, che si sviluppa attraverso la patristica con Origene, san
Gregorio di Nissa, sant’Agostino, Dionigi l'Areopagita, san Benedetto, san
Gregorio Magno, san Giovanni Climaco, ecc., e che continua da parte di
Dottori e santi fino ai nostri giorni
[3] .
L’opera di Guigo II rappresenta uno sforzo per chiarire la dottrina dei
gradi di preghiera, che negli autori prima di lui, aveva a volte una
formulazione incerta o confusa. Il suo insegnamento è molto chiaro e, da
questo punto di vista, molto utile, anche se nel suo tentativo di fare
chiarezza a volte dà l'impressione di schematizzare troppo. Forse è per
questo che bisogna capire con una certa flessibilità alcune affermazioni un
po’ rigide. La sua dottrina, certamente semplice e conveniente, il suo stile
immediato ed i suoi concetti trasparenti, ci pongono in contatto con il
grande problema di scoprire la nostra vita di preghiera, e ci fanno entrare
un po' nel mistero della Certosa, questo mistero paradossalmente così
chiaro, fatto di purezza di cuore, di gioia interiore, di solitudine, di
preghiera, di incontro con Dio.
[1]
Esiste anche un commento al
Magnificat, che si trova
nella Patrologia Latina del Migne tra le pere attribuite a san
Bernardo, che potrebbe essere stato scritto da Guigo II. Cfr. PL
184, 1121-1128.
[2]
Cfr. PL 40, 997-1004 (Tra le opera attribuite a sant’Agostino); PL
184, 475-484 (Tra le opera di san Bernardo).
[3] Si
veda nel “Dictionnaire de
Spiritualité” l'articolo “Echelle
spirituelle”, t. IV,62-86.
Nota
del traduttore: Cito la voce
“SCALA”
– in
“Dizionario di Mistica”,
a cura di L. Borriello - E. Caruana - M.R. Del Genio - N. Suffi,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998.
I. L'immagine
della
scala, usata dai mistici cristiani per rappresentare la vita
spirituale come un’ascesi progressiva verso Dio, è già presente in
Platone, che conosce il principio delle tre vie, purgativa,
illuminativa e unitiva e in Aristotele ( 322 a.C.), che distingue
tre vite: vita di godimento, vita politica e vita contemplativa.1
II. Per gli autori cristiani
il tema
della scala trova la sua origine in alcuni testi biblici. Il primo
riguarda il sogno di Giacobbe (cf. Gn 28,12-13) che sarà
indefinitamente usato dalla tradizione. Ma anche i tre piani
dell'arca di Noè (cf. Gn 6,16), i sei gradini del trono di Salomone
(cf. 1 Re 10,19), i sette o otto gradini del tempio di Ezechiele
(cf. Ez 40,26 e 31). Accanto al tema della scala, alcuni autori
insistono su quello dell'albero - l'albero del paradiso e quello
della croce: Quodvultdeus, ( 453 ca.), Metodio l'Olimpo (inizio IV
sec.), Germano II di Costantinopoli ( 1240) - sempre interpretato
come una salita verso la santità. Ma è la visione di Giacobbe che
sarà privilegiata, da Origene fino ai nostri giorni.
Questi, ispirandosi
a Filone di Alessandria distingue tre tappe, tre gradi nell'ascesi
mistica, con la loro corrispondenza biblica: 1. la purificazione
(greco katharsis, latino: purgatio) durante la quale l'uomo si
purifica dei suoi peccati con la penitenza e con la conversione che
rimandano al libro dei Proverbi; 2. l'illuminazione (greco:
phôtismos; latino: illuminatio) che si riporta al progresso nella
virtù che, dopo un'apertura alla grazia, permette di avvicinarsi al
termine e si riferisce all'Ecclesiaste; 3. l'unione, la vita
unitiva, quella dei perfetti (greco, teleiôsis; latino, perfectio)
che è la piena beatitudine dell'uomo, l'unione con Dio, e
corrisponde al Cantico dei Cantici.
E a partire da
questo quadro, o all'interno di questo, che si svilupperanno gli
altri schemi dell'ascesi mistica. Gregorio di Nissa nella sua Vita
di Mosè, riprende il tema dell'ascesi verso Dio sulla base di questa
trilogia. Dionigi l'Areopagita avvicina le tre vite, purgativa,
illuminativa e unitiva, alle due triadi della gerarchia
ecclesiastica: I. triade iniziatrice; II. triade degli iniziati di
cui i tre ordini: 1. ordine purificato (catecumeni, penitenti); 2.
ordine illuminato (popolo santo); 3. ordine perfetto (monaco),
segnano i diversi gradi gerarchicamente ordinati dell'ascesi degli
esseri a Dio. Benedetto s'ispira a Cassiano per tutto il cap. VII
della sua Regola, sull'umiltà, scala delle virtù che comprende tutta
la vita ascetica. Giovanni Climaco, abate del Sinai, diede il titolo
di Scala (greco: klimax) al suo trattato in ricordo della scala di
Giacobbe. Egli vi distingue trenta gradini (riferimento ai
trent'anni della vita nascosta del Cristo). Questi sono divisi in
tre parti: 1. principianti (distacco dai beni terreni); 2.
proficienti (acquisizione delle virtù); 3. perfetti (trattato della
vita mistica, elogio della carità). La trilogia vita purgativa, vita
illuminativa, vita unitiva fa posto ad un altro schema:
principianti, proficienti, perfetti (vedi Teresa d'Avila,
Baldassarre di santa Caterina, ecc.). Questo schema sarà ripreso e
ampliato durante tutto il Medioevo da Bernardo nel suo commento al
Cantico dei Cantici; da Bonaventura nel suo De triplici via, da
Tommaso d'Aquino nella Summa theologica (II-II, q. 24, a. 9) e nel
Super Isaiam (44,3).
Qualunque sia il
numero dei gradini di questa scala spirituale, tre, quattro in
Riccardo di San Vittore nel suo De quatuor gradibus violentae
caritatis, cinque in Bernardino di Laredo nella sua Subida del Monte
Sion, sei in Bonaventura nel suo Itinerarium mentis in Deum, sette
in Benedetto o Francesco di Assisi e i suoi sette gradi della
contemplazione, dieci in Giovanni della Croce nella Notte oscura, o
ventisei in Angela da Foligno, si tratta sempre di salire i gradini
delle virtù del Cristo.
La cima di questa
scala spirituale, che è il Cristo - Christus scala nostra -, può
essere l'umiltà come in Benedetto, il supremo amore come in
Ruusbroec, o la contemplazione perfetta come in Riccardo di San
Vittore e Giovanni della Croce. Insomma, l'ultimo scalino è sempre
Dio o il Cristo. La scala è un mezzo per arrivarci, come la croce è
l'unico luogo in cui si uniscono cielo e terra. Per giungervi, i
cristiani devono restare uniti al Cristo che nella sua ascensione è
salito verso il Padre da dove ritornerà per introdurli e porli
accanto a sé.
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giugno 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net