CONTEMPLAZIONE E RISPETTO DELLA PERSONA
Conferenza pronunciata all'Università Cattolica di
Puerto Rico
il 7 ottobre 2004.
ALFREDO SIMON, OSB
Monaco dell'Abbazia di Valle de los Caídos.
Professore di Storia Monastica e Storia della Teologia nel
Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo (Roma).
Quando mi fu indicato il titolo di questa conferenza -
“Contemplazione e rispetto della persona„ – mi ritrovai un po'
sorpreso perché non è comune collegare questi due termini di
“contemplazione„, che ci fa pensare ad un'esperienza spirituale, e
“rispetto della persona„, che è più in relazione con l'antropologia,
i diritti dell'uomo o la teoria della società. Ma, oltre alla
sorpresa iniziale ed alla sfida che mi si presentava, ho pensato che
si potessero effettivamente mettere in relazione questi argomenti
che, in fondo, hanno più di un punto in comune, anche se quasi
nessuno lo sottolinei esplicitamente. Nella mia relazione affronterò
tre punti: La persona tra trascendenza e relazione interpersonale, i
quattro passi verso la contemplazione, rispetto della persona.
Io sono un monaco ed articolerò la mia conferenza in accordo con la
mia esperienza monastica della contemplazione e con la concezione
della persona, che deriva da questa, provando a sottolineare
l'attualità di queste questioni per la nostra vita e per il nostro
mondo di relazioni: che cosa e chi è la persona umana e perché
occorre rispettarla? - Cosa è la contemplazione, a cosa serve nella
vita e come contribuisce alla nostra configurazione di persone ed al
rispetto interpersonale?
La persona tra trascendenza e relazione interpersonale
La persona ha molte dimensioni vitali che, seguendo S. Paolo,
possiamo elencare come corporale, spirituale, intellettuale e
sociale. Abbiamo un corpo, un’anima, abbiamo una facoltà razionale e
ci mettiamo in relazione con gli altri. Sono dimensioni in relazione
tra di loro. Non esiste una persona che non abbia un corpo e
un'intelligenza
[1] . Sottolineerò tuttavia due
dimensioni, la spirituale e la sociale. La persona umana si
proietta, si interpreta, si riconosce, si comprende in un contesto
di relazione con gli altri, in continuo confronto con gli altri. La
persona si sviluppa principalmente nella convivenza. Una convivenza
che si forma e si configura col tempo, con l'esperienza e con il
dinamismo della vita. È per questo che José Ortega y Gasset
(1883-1955: filosofo e saggista spagnolo. Ndt.) diceva che
l'esperienza è “pensare con i piedi„, è la stessa cosa che camminare
per la vita. Non si riferisce con quest'espressione ad un tipo di
pensiero, ma ad un'esperienza vitale. L'uomo è un essere che convive
in un ambito personale di vita. Ciascuno è e si sente figlio o
figlia di qualcuno, padre o di madre di qualcuno, fratello o sorella
di qualcuno, amico o amica di qualcuno, marito o moglie di qualcuno.
La vita ci definisce in gran parte tramite la nostra relazione con
gli altri
[2] . La vita stessa si sviluppa
nel tempo e, di conseguenza, la persona ha una dimensione temporale.
Ciò non significa che tutto cambia. Cambiano alcune cose. Siamo “lo
stesso„ ma non “il medesimo„. L’identità non è la stessa cosa della
medesimezza (mismidad in
spagnolo. Ndt.). Pedro è sempre lo stesso Pedro poiché la sua
identità non cambia. Ma non è lo stesso Pedro da bambino, da
giovane, da adulto e da anziano. Il suo corpo ed il suo modo di
ragionare cambiano. Cambia quindi la sua medesimezza. Oltre
all'aspetto interpersonale, la relazione tra persona e cosa aiuta a
capirci. La differenza tra cosa, uomo e persona è stata definita
precisamente soltanto dal cristianesimo; concretamente da parte dei
cappadoci
[3] . L'essere umano non è
soltanto un essere vivo razionale, come hanno pensato i filosofi
greci, ma è persona. E nella persona, secondo Zubiri (José Xavier
Zubiri Apalategui, 1898-1983: filosofo spagnolo), si distingue l’individualità e
la personalità (personeidad
e personalidad
in spagnolo. Ndt.)
[4]
. L’individualità è
ciò che si è ed è sempre la stessa, è la sostanza e non cambia,
fornisce la base del valore assoluto e della dignità propria ed
inviolabile della persona. La
personalità si forma nel corso del processo psico-organico, è un
divenire costante lungo le circostanze temporali, relazionali e
spaziali dell’esistenza
[5] .
Una persona non è una cosa ed ha una dimensione autoteleologica (che
ha il proprio fine in sé stessa. Ndt.) che precede il senso
prasseologico (La prasseologia o prassiologia è la teoria che si
occupa dell'agire umano (praxis) dal punto di vista della sua
efficacia. Ndt.)
[6] . È come dire che la persona
non è un mezzo ma un fine in sé stessa e questo fine non dipende
dalla praxis, non può essere uno strumento o un mezzo della sua
praxis. Come dice la Gaudium et Spes (n. 24), l’uomo “è la
sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso„. E’ ciò che
aveva già espresso Kant nel suo secondo imperativo categorico quando
disse: agisci in modo che la persona sia sempre il fine e non il
mezzo del tuo agire
[7] .
La persona non è un puro
oggetto, ma che si attua, si realizza nella relazione di simpatia
io-tu. In realtà, la persona è l’essere ed il dinamismo, ambedue le
cose. L'uomo si richiama principalmente al dialogo, alla
comunicazione, alla socievolezza, all’incontro. Ha molti modi per
manifestare il rispetto della persona: nel rispetto di un saluto,
nella simpatia, nella fiducia, nell'amore. L'atteggiamento
contemplativo ci innalza a vedere dietro gli esseri, le cose e,
soprattutto, le persone, un po' più della semplice realtà del loro
aspetto esterno, della loro materialità. Ci fa vedere il senso, il
significato, il valore…[8]
. L’incontro tra due persone assume diverse forme: può essere una
“discussione„, una “lotta„ per gli alimenti, per il potere, per il
prestigio… in questo caso l'altro non è visto come una persona con
uno scopo in sé stesso, ma come un oggetto dal quale ci si deve
allontanare perché ostacola la soddisfazione del proprio egoismo. A
questa relazione, a questo incontro, manca la contemplazione, il
senso del mistero e, quindi, l'amore. Il mistero si rivela soltanto
nell'amore, e soltanto nell'amore si può conservare il mistero. Lo
Spirito Santo, che è amore, rivela ciò che è occulto nell'intimità,
nell’interiorità. Nel silenzio si rivela il mistero, il mistero di
Dio, il mistero dell'uomo, che nella sua libertà accoglie tale
rivelazione. La persona possiede una dignità assoluta, ma questa non
proviene dal suo essere, che è finito, ma da qualcosa assoluto in sé
stesso, e non da un assoluto in astratto, come un'idea, un valore o
una legge, ma da Dio e del fatto che Lui le ha conferito la
condizione di persona… attraverso la chiamata, la chiamata ad essere
un Tu per Lui, e Lui il Tu per l'uomo.
Ogni persona ha una dimensione trascendente che la differenzia dalle
cose e la mette in una relazione potenziale di disinteressata
comunione con la verità, il bene e la bellezza. Per i credenti, per
noi cristiani, la dimensione religiosa è più chiara, perché crediamo
in Dio e ci mettiamo in contatto con lui attraverso la preghiera. Ma
ogni persona umana ha questa dimensione trascendente, a stento
capace di aprirsi a qualcosa che sta molto al di là di sé stessa.
L'uomo cerca, desidera, aspira, anela un al di là perché qualcosa
nel suo cuore, nel suo essere, lo spinge a ciò. Non sa forse
definirlo bene ma lo sperimenta fortemente in un modo o nell’altro.
La persona ha, dunque, un carattere trascendente che la porta a
pensare e ad agire con senso e con responsabilità, e ad aspirare ad
una felicità infinita che la supera e che la perfeziona allo stesso
tempo. Questa trascendenza si esprime quando conosciamo un'altra
persona. Quando vediamo un'altra persona non la stiamo conoscendo;
in realtà vediamo soltanto il suo corpo, la sua faccia, e questo non
è sufficiente. A questa conoscenza esterna, superficiale e generica
manca la conoscenza della parte interiore, trascendentale, della
persona, quella che più definisce e dice chi è, il suo pensiero, il
suo cuore, il suo progetto, la sua aspirazione, ecc. La persona è
aperta ed ha una capacità di trascendenza che le permette di
superare la sua finitudine costitutiva concretizzata nelle sue
azioni più materiali come mangiare, bere, ballare o nella sua
preoccupazione per il denaro. Molti aspetti della vita umana sono
indizi evidenti della propria costituzione trascendente che si
concretizza in esperienze come la creatività artistica e culturale,
l'acquisizione di nuove conoscenze, l'amore vero, la donazione
personale, l'educazione di un bambino o la retta organizzazione
della società
[9] . A proposito della
creatività estetica, l'altro giorno ho avuto la soddisfazione di
visitare il Museo d'Arte di Ponce ed ho potuto avvicinarmi e godere
delle opere pittoriche che sono là esposte e che comprendono quasi
tutta la storia della pittura; alcune sono dei veri capolavori.
All'entrata del museo ho potuto leggere alcune frasi del fondatore
del museo: “Non tutto è materiale. Esiste la bellezza, l'espressione
della creatività dello spirito umano “.
Ma la massima espressione del suo essere trascendente è la
dimensione religiosa in cui l'uomo entra in contatto con Dio. Il
cristiano, che crede in Cristo, può comprendere senza grande
difficoltà la sua dimensione trascendente attraverso la conoscenza
della rivelazione. Dio ha voluto manifestarsi, rivelarsi, e farsi
conoscere dall'uomo in modo che questo possa raggiungere la sua
pienezza e la sua felicità, perfetta ed infinita, per cui è stato
originariamente creato. Dio si è comunicato attraverso la sua Parola
in modo che lo possiamo conoscere e così Dio è entrato in dialogo
con l'uomo. Questa è la più grande meraviglia nella storia
dell'umanità, senza confronto con qualsiasi altra scoperta umana ...
Poiché l'uomo ha potuto conoscere Dio, ha potuto conoscere sé stesso
ed ha potuto conoscere il bene personale ed interpersonale o
sociale. Se guardiamo le prime pagine della Bibbia, in particolare
il cap. 3 della Genesi, possiamo vedere che le prime parole
pronunciate da Dio direttamente all'uomo sono al fine di stabilire
un dialogo con lui e, ancora di più, per trovare l'uomo,
"Dove sei?" (Gen 3,9).
Scoprire che l'uomo è cercato da Dio, anche se Dio non ha bisogno di
lui, costituisce un'esperienza religiosa fondamentale. L'uomo si
scopre come immagine di Dio. Sentirsi cercato da Dio, amato da Dio è
la radice del nostro incontro con Dio, della contemplazione, ed è a
sua volta l'origine della nostra ricerca di Dio ed il fondamento del
nostro essere persona e, di conseguenza, del rispetto radicale e
massimo che dobbiamo alla nostra persona ed a quella degli altri.
All'origine, dunque, è la parola di Dio. Più al di là della nostra
possibilità, troviamo che Dio stesso mette in noi il seme iniziale
della contemplazione e della nostra capacità di svilupparci come
persone e fino all'altezza delle massime potenzialità umane che
scopriamo nel nostro interno, siano esse intellettuali, artistiche,
mistiche, sociali, morali o comunicative… Il Concilio Vaticano II
nella Dei Verbum [10]
ha esposto il ruolo fondamentale che esercita la Sacra Scrittura
nella vita della Chiesa (cap. VI) in tutte le sue manifestazioni, la
spiritualità, la pastorale, la teologia… “alimento dell’anima, fonte
pura ed eterna della vita spirituale„ (n. 21), “anima della
teologia„ (n. 24), fondamento del pensiero cristiano. Nella parola
di Dio ci si rivela il vero volto di Dio ed il vero essere della
persona come immagine di Dio, la qualità ed il valore della sua vita
e, quindi, il supremo rispetto che merita. Dio è amore - secondo la
definizione dell'evangelista Giovanni - e la persona è amore.
Un'idea corretta dell'amore influenza la nostra concezione di
persona ed il rispetto che le si deve. Dalla parola di Dio possiamo
estrarre qualcosa di fondamentale per la nostra vita, un'idea
corretta di Dio, della persona e dell'amore. Soprattutto nel Vangelo
scopriamo il cosa ed il come di queste idee basilari. Importa anche
il come, cioè la lingua e lo stile che ha utilizzato Gesù per dirci
chi è Dio e chi siamo noi. Gesù ha dato origine ad un nuovo modo di
vivere e di pensare, ad un nuovo stile di relazione interpersonale e
ad un nuovo modo di guardare il mondo e di guardare l'altro.
Giovanni Paolo II ha affermato che il problema principale del mondo
contemporaneo è l'assenza di interiorità e di contemplazione.
Parliamo un po' di contemplazione.
I quattro passi verso la contemplazione
La contemplazione ha origine nella parola di Dio
[11] e, secondo la tradizione
monastica benedettina, segue un processo di quattro fasi che sono
diventate classiche e che vanno dalla lectio divina
fino alla contemplazione:
- Lectio (lettura della Sacra Scrittura)
- Meditatio (meditazione)
- Oratio (preghiera)
- Contemplatio (contemplazione)
Il primo nella storia che ha parlato della lectio divina è
stato Origene (185-253), che è stato una figura importante della
chiesa primitiva di lingua greca, fondatore o ispiratore
dell'interpretazione allegorica della Scrittura che è stata
sviluppata ad Alessandria, in Egitto, e che ha influenzato durante
molti secoli tutta l'interpretazione cristiana della Scrittura.
Durante l'anno 238 scrisse una lettera al suo discepolo Gregorio
Taumaturgo nel quale gli raccomandava la lettura delle divine
Scritture per piacere a Dio, la ricerca e la comprensione del
significato che esse hanno, per comprendere il quale era necessaria
la preghiera. Origene sottolinea la perseveranza nella lettura
divina anche quando ci troveremo come davanti ad una porta chiusa,
vale a dire davanti ad un passaggio nel quale non comprendiamo il
significato di ciò che leggiamo. La chiave per aprire la porta, cioè
per comprendere il significato che può sembrare occulto, è la
preghiera, facendo allusione alle parole del Vangelo “bussate e
vi sarà aperto„ (Mt 7,7).
Questa pratica della lettura della Scrittura collegata alla
preghiera è stata molto comune durante l'epoca patristica e fu
consolidata dai maestri della spiritualità monastica fino alla
sistematizzazione classica effettuata da Guigo II il Certosino
(+1188) con le sue quattro fasi di lettura, meditazione, preghiera e
contemplazione. In tal modo descrisse tutto l'itinerario spirituale
dell’anima verso Dio utilizzando le metafore dei sensi corporali
udito, olfatto, vista, gusto e tatto per attribuire loro
analogicamente un significato mistico. Attualmente Giovanni Paolo II
raccomanda espressamente la
lectio divina
nella sua Carta Apostolica
Novo Millennio
Ineunte (n. 39) del 6-1-2001 in quanto esperienza che
rende l'ascolto della Parola un incontro vitale
[12] . Era stata precedentemente
raccomandata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992)
- n. 1177; 2708 - e da parte della Commissione Biblica Pontificia
nel suo documento “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa„
(1993), n. 49.
Cosa è allora la lectio divina? Non è una semplice lettura,
come potrebbe essere quella che facciamo leggendo il periodico
mentre pranziamo, o una rivista sull'autobus o un romanzo prima di
dormire. Non assomiglia neppure alla lettura culturale o scientifica
che risponde generalmente ad un interesse intellettuale. La
lectio divina è in realtà la lettura e l'ascolto orante,
personale o comunitario, della parola di Dio. Costituisce così tutta
un’esperienza di tutto il mio essere personale, simile a quella che si
legge nel Deuteronomio (6,5) relativa all'amore di Dio
con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima, con tutte
le forze. Il contatto con la parola di Dio non può essere
superficiale perché tocca qualcosa di profondo della mia persona,
del mio essere, della mia storia, della mia fiducia. Di conseguenza
la lettura divina, come esperienza trascendente, comincia con
l'ascolto. Un ascolto qualificato, che sa distinguere la parola di
Dio e le molteplici parole degli uomini. È più importante ascoltare
che parlare. (I rabbini dicono che Dio ci ha dotati di due orecchie
ed una bocca - e non di due bocche ed un orecchio per indicare che
dobbiamo ascoltare il doppio di ciò che diciamo). “Quando leggiamo
noi ascoltiamo Dio, quando preghiamo parliamo a Lui„
(sant’Ambrogio). La Parola chiama, invita ed interpella.
L'esperienza della Parola, tuttavia, termina e non può essere
separata da ciò che costituisce il suo culmine, cioè l'azione
liturgica. Scrittura ed Eucaristia, Parola e Sacramento (Dei Verbum
21; Sacrosanctum Concilium 9). Era tradizionalmente
praticata in modo personale; ora viene praticata anche in gruppi ed
in comunità. Vediamo brevemente ognuno dei quattro passi:
1. Il primo momento è la lectio o lettura di una pagina della
Bibbia. È una lettura rallentata nella quale si prova a comprendere
ciò che dice il testo ed il suo significato, il messaggio che
trasmette. Questo primo passo è stato anche chiamato “lettura
spirituale„ o lettura “sapienziale„. Si tratta di ascoltare
attentamente ciò che Dio dice nella Parola, senza cercare altro
scopo al di fuori della Parola stessa. La Parola trasmette la storia
della salvezza ed ognuno di noi fa anche parte della storia
salvifica. Se uno vuole conoscere il suo presente, il suo passato ed
il suo futuro, lo troverà nella parola di Dio. Ma questo è ciò che
occorre scoprire. E cosa è questa storia? È nel fondo la storia
dell’Alleanza, di una relazione d'amore di Dio con noi, nella quale,
come nella vita stessa, c'è incontro e scontro (ricordiamo il popolo
di Israele), accordo e disaccordo (pensiamo a Marta e Maria), bene e
male (David), grazia e peccato (Pietro), presenza e nascondimento
(Mosè), verità e menzogna (Giuda), vita e morte (Lazzaro), potenza e
debolezza (Paolo), felicità e disgrazia (Giobbe), luce ed oscurità
(Giovanni), giorno e notte (Samuele), canto e pianto (Maria
Maddalena). Una storia, in definitiva, sempre dialettica che
accompagna l'esistenza umana personale e sociale.
2. Il secondo passo è la
meditatio o
meditazione della pagina biblica e la ricerca di ciò che mi dice
personalmente la Parola. Questo passo era anche chiamato
ruminatio o ruminare
la Parola, volendo indicare così la riflessione personale della
Parola, il “rimasticarla„ a somiglianza di ciò che fanno i
ruminanti, le mucche, quando digeriscono ciò che mangiano. Sarebbe
metaforicamente assaporare la Parola, gustarla, masticarla. In
questo momento ognuno fa sua ed assimila la Parola personalmente,
come gli alimenti che si mangiano ed il corpo li assimila. Quando
cerco il significato del testo per la mia vita entro in una
relazione personale tra la Parola e la vita nella quale la Parola
feconda la mia vita e, al contrario, la mia vita incarna la Parola.
Applico la Parola alla mia vita per far piacere a Dio, illuminare la
mia vita e svilupparla come persona umana. La Parola illumina ed
interpreta la mia vita come storia della salvezza. Devo lasciarmi
interpretare dalla Parola.
3. Il terzo passo è lo oratio o preghiera nella quale si
intensifica la relazione con Dio. Qui io parlo a Dio, rispondo a ciò
che Lui mi ha detto con la sua Parola. Posso parlargli in molti
modi: nel silenzio interiore o supplicando, adorando, riconoscendo,
ringraziando, elogiando, cantando, invocando lo Spirito Santo,
chiedendo perdono, sperando… Lo Spirito Santo e la Parola meditata
illuminano la mente nella preghiera.
4. L'ultimo passo è la contemplatio o contemplazione che non
si riferisce, come a volte intendiamo questo termine, ad un momento
d'estasi come hanno avuto alcuni santi, come santa Teresa di Gesù ed
altri, in cui si elevavano in estasi o sospendevano i propri sensi.
La contemplazione è un'esperienza nella quale uno si lascia riempire
ed impregnare dalla Parola gratuitamente e senza altri interessi né
pensieri. Cessano le parole ed uno vede, ama, contempla con gioia
interiore e luminosa la bellezza della Parola, si unisce a Dio
stesso e si lascia penetrare dall'azione della grazia che si
trasmette e trasforma la persona. Qui si sente e si gusta la
bellezza di essere figlio di Dio, famiglia di Dio e, così, si cresce
nella fiducia e nella fede.
Guigo II il Certosino ha parlato di questo processo con una metafora
molto utilizzata nella tradizione monastica: le quattro fasi
sarebbero come una “scala„ che collega la terra al cielo con quattro
gradini che rappresentano ogni fase spirituale. Guigo li definisce
così: “La lettura cerca la dolcezza della vita beata, la meditazione
la trova, la preghiera la chiede, la contemplazione la gusta„
[13] . Guigo prende come base una
frase di Gesù nel vangelo di san Matteo (5,8):
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio„, per spiegare che là
non si parla dei puri di corpo ma di cuore, che è più spirituale e
più interiore. Questa frase, dice, è come un grappolo di uva
appetitoso che uno desidera gradire. D'altra parte, stabilisce un
parallelismo tra le quattro fasi ed i sensi corporali (udito,
olfatto, gusto, tatto e vista) ai quali attribuisce un significato
simbolico nelle fasi dell'esperienza spirituale che conducono alla
contemplazione
[14] . L'udito è associato alla
prima fase di lettura, perché nella lettura della Parola uno si pone
all'ascolto di Dio. Dio ci parla attraverso la sua Parola ed ognuno
sente ed ascolta. L'olfatto acquisisce il significato mistico della
meditazione e della preghiera, cioè delle fasi seconda e terza,
nelle quali si inizia a sentire la “soavità del profumo„ che
annuncia la presenza dello Sposo, cioè di Cristo. Il profumo libera
una fragranza che si sente a distanza, ed in modo simile la
presenza, attraverso l'olfatto spirituale, è percepita anche se non
la si vede e favorisce il desiderio. La meditazione e la preghiera
hanno questa funzione. Il gusto indica direttamente la
contemplazione. Il gusto spirituale denota l'esperienza
contemplativa, l'unione mistica con Dio che produce la gioia di
sentire spiritualmente la soave presenza di Dio in un'esperienza
inenarrabile, traboccante, confortante, pacificante, vivificante,
interamente spirituale. La vista si riferisce alla stessa esperienza
del gusto ma da un altro punto di vista. Essendo un'esperienza
ineffabile, il gusto indica l'aspetto più emozionale e la vista
l'aspetto più visivo e conoscitivo dell'illuminazione che è
percepita dalla coscienza. Si vede attraverso la luce. Come
risultato, emerge un'esperienza contemplativa illuminante. È un modo
di “vedere„ Dio in un certo modo, fino a che si arriva alla
“visione„, alla luce definitiva nella vita eterna.
La contemplazione costituisce dunque un itinerario spirituale della
persona basato sulla Sacra Scrittura e che porta nella sua ultima
fase ad un'esperienza gioiosa e luminosa di grazia ed unione con
Dio. È un esercizio che, se è praticato con regolarità, produce
frutti di una grande esperienza spirituale di bellezza, di amore, di
luce, di vita eterna, che, in definitiva, unifica la persona in una
crescita interiore chiamata “santificazione„ o “divinizzazione„
(Padri greci) nella quale interviene lo Spirito Santo. O, come si
esprime san Gregorio Magno: “Conosciamo, mediante l'amore, la
bellezza del nostro creatore offerta alla nostra contemplazione,
alla quale tendiamo„
[15] . Nel suo Commento al
Cantico dei Cantici, Gregorio parla di una scala di tre gradini
nella sua considerazione della morale e delle cose del mondo per
arrivare alla contemplazione di Dio:
“Prima certamente viene il mettere in ordine il comportamento; poi
il considerare tutte le cose presenti come se non fossero; ed in
terzo luogo viene il guardare le cose pure con una celeste e
interiore penetrazione di cuore. Così, per questi gradi dei libri si
fa una scala verso la contemplazione di Dio: perché, mentre prima le
cose oneste del mondo sono gestite bene, in seguito vengono
disprezzate anche le cose oneste del mondo, infine si contemplano le
cose intime di Dio fino all'estremo
[16] .
“La Parola di Dio, come dice Giovanni Paolo II, è la fonte prima di
tutta la spiritualità cristiana„ [17]
. O, come ricorda il C. Vaticano II, Dio parla agli uomini come
amici (Gv 15,14-15)
per invitarli ed ammetterli alla comunione con Lui
[18] .
Rispetto della persona
La contemplazione ci introduce in una percezione nuova ed adeguata
della rivelazione divina ed umana. Ci illumina sul nostro essere
persone e, soprattutto, produce in noi un modo nuovo di guardare il
mondo e di concepire le relazioni umane. Conoscendoci a fondo, noi
conosciamo anche gli altri e si originano tra noi relazioni nuove
basate sull'ammirazione e sul rispetto del “tesoro„ che Dio ha messo
nel cuore di ogni persona umana. Le cose, il loro desiderio, il
desiderio di possedere, di comperare, di consumare, possono
appannare la percezione di ciò che siamo. D'altra parte, le
relazioni interpersonali modificano di fatto la nostra personalità,
ci migliorano o ci peggiorano. Il nostro essere come persone rimane
intatto, ma la nostra personalità, il nostro sviluppo morale, no
[19] . Oltre alle relazioni
interpersonali, il rispetto della persona è una conseguenza del
nostro comportamento morale che si manifesta nelle nostre “virtù„ o
nei nostri “vizi„, nei nostri costumi buoni o cattivi. Senza fede e
senza conoscenza della parola di Dio perdiamo una profonda visione
della nostra interiorità e della fonte di rispetto che essa
costituisce. È difficile rispettare profondamente l'altro senza
questa prospettiva. Senza conoscere la persona in profondità ed in
tutto il suo valore, partendo dalla contemplazione, è impossibile
rispettarla, riconoscerla ed ammirarla nella misura che si merita.
La Parola permette anche un'esperienza personale fondamentale come è
il trovare sé stesso e la chiamata radicale che sentiamo verso la
comunione con Dio. Il desiderio di Dio, il desiderio di trasformarci
in Dio, è un regalo dello Spirito che portiamo dentro, molto dentro.
In Cristo abbiamo il modello e il perfetto culmine di ciò che noi
siamo e di ciò che sono le nostre relazioni personali. Ogni
cristiano ha in Lui uno “specchio„ dove potersi esaminare come
figura trasparente del nuovo modo di vivere, di pensare e di
relazionarsi che si deduce dalla contemplazione del mistero di Dio
rivelato in Cristo. Nel Gesù del Vangelo abbiamo vari esempi di come
Gesù si relazionava, di come Lui rispettava la gente: si mise in
relazione, di fatto, con i peccatori, con gli anziani, con i poveri,
con gli uomini, con le donne, con i lavoratori, con i bambini, con i
suoi amici… La contemplazione ci facilita la conoscenza profonda,
vitale con l'essere stesso di Gesù ed anche la conoscenza di noi
stessi. Da qui noi siamo nella disposizione di vivere la nuova
relazione con l'altro, il nuovo sguardo sull’altro che si basa sul
rispetto della persona. Ma il rispetto è soltanto l’inizio della
relazione. Il rispetto è l'atteggiamento di un cristiano che
nell'altro vede anche l'immagine di Dio che egli scopre, con la
contemplazione, in sé stesso, e che vede nell'altro il figlio di Dio
che egli scopre anche in sé stesso. In questo modo un cristiano
quando vede un'altra persona la rispetta e la ammira. Diamo
un’occhiata al modo di mettersi in relazione di Gesù. Gesù quando si
mette in relazione con un'altra persona, inizialmente la rispetta,
ma in seguito l’ama, nel disinteresse e nella gratuità di un amore
che è donazione, per terminare nel grande “segno„ che è il servizio.
Ricordiamo la scena della lavanda dei piedi dei suoi discepoli
nell'ultima cena. Che cosa significa questa scena? Non credo sia un
segno di igiene o di cortesia, e neanche d'umiltà o di carità. In
realtà, è il segno del suo potere che è l'amore ed il servizio
all'altro. Questa è la chiave di lettura di tutto il vangelo nella
nuova relazione interpersonale che Gesù ha inaugurato nel mondo.
Questa è la relazione di rispetto interpersonale veramente umana che
porta al bene, che porta alla felicità. Al contrario, vedere l'altro
con l'interesse di ottenere un profitto a proprio vantaggio e del
suo sfruttamento per il proprio benessere è la conseguenza
dell'egoismo che portiamo dentro di noi come principio del male e
che distrugge le relazioni umane giuste, rispettose, di amore e di
servizio reciproco. Ugualmente contrario ad una relazione umana
degna si potrebbe dire del fatto di vedere l’altro o l’altra come
oggetto di soddisfazione dei miei istinti sensuali. La falsità,
l’inganno o l’inganno di sé stessi attorno a Dio od a noi stessi
danneggia, pregiudica le nostre relazioni ed offusca, oscura, di
conseguenza, il rispetto della persona.
La contemplazione implica un ascolto, un silenzio, una meditazione,
un discernimento. La parola di Dio è libera ed ha il suo ritmo, il
suo tempo, il suo modo di agire che è diverso dalle parole umane che
hanno le loro previsioni calcolate, a volte con forme retoriche e
fini manipolatori. Ogni pagina biblica sorprende, affascina,
rinnova, fortifica, illumina e ci permette sempre di riconoscersi in
Dio ed in noi stessi. La contemplazione ci introduce dunque nel
mondo inevitabile della nostra conoscenza profonda e perciò nella
conoscenza di noi stessi e degli altri, essendo così la via che
permette un atteggiamento reale di rispetto verso me stesso e verso
l'altro. Ognuno, per primo, deve rispettare sé stesso, nel caso
contrario non può rispettare l'altro. La contemplazione ci fa
scoprire il tesoro, l'immagine divina, che portiamo dentro di noi,
io e l'altro, e ci fa conoscere la persona nelle sue aspirazioni,
nelle sue esperienze. Guardarsi come in uno specchio nella parola di
Dio
[20] attraverso l'itinerario e
l'esperienza della contemplazione ci permette di guardarci e di
riconoscerci così come siamo, fragili e limitati, ma fatti ad
immagine di Dio e portatori intenzionalmente di un rispetto infinito
verso noi stessi e verso gli altri. La nostra realtà è dialettica, è
di vita e di morte, di luce e di oscurità, di potenza e di
debolezza, ma la parola di Dio è l’unica che è capace di parlarci
con verità di Dio e di noi stessi, di permetterci di contemplare la
bellezza affascinante di Dio alla luce del quale consideriamo anche
la nostra. Dalla Parola scaturisce di fatto un nuovo modo di vivere
che sorge dalla nuova fraternità costituita dalle persone rigenerate
dalla stessa Parola. Il rispetto della persona e l'alta qualità di
relazioni umane che genera, ha bisogno di una base solida, vera e
permanente che lo sostiene e che può essere trovato pienamente
soltanto attraverso la fede e la contemplazione della Parola.
Perez de Laborda
(Alfonso Pérez de Laborda (San Sebastián, 1940) filosofo e teologo
spagnolo)
ha parlato dell'uomo come metafora di Dio
[21] in un tentativo di
comprendere il linguaggio “iconico„ che utilizziamo spesso quando
proviamo a comprendere l'uomo. Concretamente egli si riferisce ad un
capolavoro della teologia monastica medioevale come il Commento
al Cantico dei Cantici di san Bernardo. In quest'opera si trova,
in tutta la sua provocazione ed attraverso tutto un linguagio
poetico e mistico, tutta la profondità che prova l'uomo nel suo
desiderio di Dio. San Bernardo offre una meditazione affettiva, “più
dolce del miele e di un favo stillante „ (Sal 19(18),11), di tutto
l'itinerario dell'amore umano verso Dio.
Troviamo là i simboli del desiderio e dell'amore: il bacio, le
labbra, la bocca… i sentimenti, l'evocazione simbolica dell'intimità
dell’anima che cerca Dio, l'effusione della gioia e della luce che
provoca l'unione mistica con Dio. Bernardo è capace di configurare
in una linguaggio simbolico la sua esperienza di desiderio, di amore
ed unione con Dio. Utilizza i simboli dell'amore matrimoniale per
descrivere la sua esperienza. Ma si riferisce anche al bacio che Dio
ha dato all'umanità quando Cristo si è incarnato e si è fatto uomo.
L’umano ed il divino svolgono il loro ruolo: lo sposo è Dio, la
sposa è l’anima umana. L'amore divino trasforma la persona in
un'esperienza trascendente unica ed al di fuori di ogni sospetto. È
un'esperienza di estasi.
Termino con le parole di sant’Anselmo, un grande pensatore ed un
grande mistico, che parlava così della contemplazione: “Che io ti
cerchi col mio desiderio, ti desideri con la mia ricerca, ti trovi
col mio amore, e ti ami col mio trovarti... Davvero, Signore, questa
è la luce inaccessibile dove abiti (1 Tm 6,16), poiché veramente non
vi è nessun'altra realtà che possa penetrarla... Il mio intelletto
non può arrivare fino a lei. Splende troppo:... È abbagliato dal
fulgore, è vinto dalla grandezza, è schiacciato dalla immensità, è
confuso dalla ampiezza di quella luce.... Quanto sei remota dal mio
sguardo, da me che pur sono così presente al tuo sguardo! “
(Proslogion 1).
(Estratto da “Anselmo
d’Aosta, Opere filosofiche” – Ed. Laterza 1969. Ndt.).
Abadía de Santa Cruz
E-28209 Valle de los Caídos (Madrid)
España
[1]
San Tommaso riassume così questo concetto nella Summa
Theologica: “Idem ipse homo est qui percipit se intelligere
et sentire; sentire autem non est sine corpore” (parimenti
l'uomo percepisce se stesso come entità intelligente e
sensibile; la sensibilità però non esiste senza il corpo).
Ndt.
[2]
Cf. K. WOJTYLA, El hombre y su destino, Madrid 1998,
pp. 47, 79.
[3]
Cf. X. ZUBIRI, El hombre y Dios, Madrid 1984, p. 323.
[4]
Secondo Zubiri la personalità (personalidad) è il carattere
della persona in senso operativo, mentre personeità
(personeidad) è il carattere costitutivo della persona,
cioè, la sua realtà strutturalmente «propria». Ciò che
cambia — con la terminologia di Zubiri — è la « personalidad
», cioè l'atteggiamento generale dell'uomo di fronte alla
vita e alle cose. Ciò che permane, invece, è la «
personeidad », termine inventato dallo stesso Zubiri per
indicare quel qualcosa — per cui una persona è persona — che
la creatura umana possiede fin dal primo momento della sua
concezione e che non varia mai. Ndt.
[5]
Cf. J. L. LEMOS MONTANET, La persona a la luz de la
encíclica Fides et Ratio, en AA.VV., Antropología y
fe cristiana, Santiago de Compostela 2003.
[6]
Cf. El hombre y su destino, p. 193. Sobre el concepto
de experiencia, pp. 31-32.
[7]
Cfr. Kant I.,
Grundlagen der Metaphysik der Sitte (1785), trad. it.
Fondazione della
metafisica dei costumi in
Scritti morali di
Chiodi P., Unione
tipografico-editrice torinese, Torino, 1970, p.88:
"Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona
sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai
semplicemente come mezzo". Ndt.
[8]
Cf. R. GUARDINI, Mundo y persona, Madrid 2000, pp.
114-118.
[9]
Cf. J. MARÍAS, Antropología metafísica, Madrid 1995.
A. LÓPEZ QUINTÁS, Inteligencia creativa. El
descubrimiento personal de los valores, Madrid 2002.
[10]
DV 21-26.
[11]
Cf. G. CAPPELLETTO
(ed.), Ascoltate “oggi” la sua voce. La Parola di Dio
nella vita della Chiesa, Padova 2003. G. M. COLOMBÁS,
La lectura de Dios, Zamora 1982. M. MASINI, La lectio
divina, Madrid 2001. A. M. MARTÍN FERNÁNDEZ-GALLARDO,
La Scala Claustralium de Guigo II el Cartujo. Experiencia y
Método de la lectio divina, Zamora 1994. M. MAGRASSI,
Bibbia e preghiera. La lectio divina, Milano 1987. C.
VAGAGGINI (ed.), La preghiera nella Bibbia e nella
tradizione patristica e monastica, Cinisello Balsamo
1964.
[12]
Cf. B. STUDER, L’esegesi patristica, un incontro con
Cristo: osservazioni sull’esegesi dei Padri latini, «Augustinianum»
30 (2000), pp. 321-344.
[13]
A. M. MARTÍN FERNÁNDEZ-GALLARDO, La Scala Claustralium,
cap 3.
[14]
Ibid.,
cap 4, 5.
[15]
“Per amorem agnoscimus auctoris nostri contemplandam
speciem, quam sequamur”, Mor. X, VIII, 13, OGM I/2,
p. 144. (OGM= Opere di Gregorio Magno, lat.-it., Roma
1990-2001).
[16]
“Prius quippe est mores conponere; postmodum omnia, quae
adsunt, tamquam non adsint considerare; tertio vero loco
munda cordis acie superna et interna conspicere. His itaque
librorum gradibus quasi quandam ad contemplationem Dei
scalam fecit: ut, dum primum in saeculo bene geruntur
honesta, postmodum etiam honesta saeculi despiciantur, ad
extremum etiam Dei intima conspiciantur”, In Cant. 9, SCh
314, p. 84. GREGOIRE LE GRAND, Commentaire du Cantique des
Cantiques, ed. R. Belonger, Sources Chrétiennes 314, Paris
1984. Cf. MÜLLER, S., “Fervorem discamus amoris”. Das
Hohelied und seine Auslegung bei Gregor dem Großen, St.
Ottilien 1991. (Testo italiano estratto da: "L'eredità
spirituale di Gregorio Magno tra Occidente e Oriente" a cura
di Innocenzo Gargano OSB Carm - Il Segno dei Gabrielli
editori, 2005. Ndt.).
[17]
GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata, 1996, n. 94.
[18]
Dei Verbum 2.
[19]
G. BASTI, Filosofia dell’uomo, Bologna 1995, pp. 313, 345.
[20]
AELREDO DI RIEVAULX, Lo specchio della carità, Milano 1999,
p. 215.
[21]
Cf. A. PÉREZ DE LABORDA, Sobre quién es el hombre,
Madrid 2000, pp. 173-176.
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giugno 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net