LETTERA SULLA VITA CONTEMPLATIVA
Di
Guigo II
il Certosino
Epistola de vita contemplativa (Scala claustralium o Scala Paradisi)
Estratto da: Un itinerario di contemplazione - Antologia di autori certosini
Edizioni S. Paolo, 1996.
(Le note sottolineate sono state aggiunte dal redattore del sito Web)
I -
Introduzione
Il
fratello Guigo al suo caro fratello Gervasio: gioisci nel Signore!
Amare
te, o fratello, è per me un debito perché tu per primo hai cominciato ad
amarmi; e mi sento obbligato a risponderti perché con la tua lettera mi hai
per primo invitato a scriverti. Mi sono perciò proposto di comunicarti
alcune mie riflessioni sulla vita spirituale dei monaci, affinché tu, che
conosci questa vita per esperienza, mentre io ne ho solo una conoscenza
teorica, sia giudice e correttore di queste mie considerazioni.
Meritatamente offro a te per primo queste primizie del mio lavoro, perché tu
raccolga i primi frutti di una pianta novella che, sottratta con lodevole
furto e delicata sollecitudine alla schiavitù di Faraone
(Cfr.
Es 13,14),
tu hai collocata nella schiera dei combattenti, innestando abilmente
sull'olivo il ramo reciso con arte dall'olivastro
(Cfr.
Rm 11,17-24).
II -
I quattro gradi della vita spirituale
Un
giorno, mentre occupato in un lavoro manuale cominciai a pensare
all'attività spirituale dell'uomo, tutt'a un tratto si presentarono alla mia
riflessione quattro gradi spirituali: la lettura, la meditazione, la
preghiera, la contemplazione:
«lectio, meditatio, oratio, contemplatio».
Questa
è la scala dei monaci, mediante la quale essi sono sollevati dalla terra al
cielo, formata in realtà da pochi gradini, ma tuttavia d'immensa e
incredibile altezza, di cui la parte inferiore è appoggiata a terra, mentre
la superiore penetra le nubi e scruta i segreti dei cieli. Questi gradini,
come sono diversi di nome e di numero, così sono distinti per ordine e per
importanza. Se qualcuno esaminerà con cura le proprietà e le funzioni che
ciascuno di essi esercita su di noi, e come differiscano tra di loro e la
loro gerarchia, stimerà breve e facile il lavoro e l'applicazione impiegati
in questo studio, di fronte alla grande utilità e dolcezza che ne ritrarrà.
La
lettura -
lectio divina" - è lo studio assiduo delle Scritture, fatto con spirito
attento.
La
meditazione
è una diligente attività della mente, che cerca la conoscenza di verità
nascoste, mediante l'aiuto della propria ragione.
La
preghiera è
un fervoroso anelito del cuore verso Dio per allontanare il male e ottenere
il bene.
La
contemplazione
è una certa elevazione della mente al di sopra di sé verso Dio, gustando le
gioie dell'eterna dolcezza.
Descritti dunque i quattro gradi, non ci resta che vedere la loro funzione a
nostro riguardo.
III -
La funzione di ciascuno dei predetti gradi
La
lettura cerca la dolcezza della vita beata,
la
meditazione la trova,
la
preghiera la chiede,
la
contemplazione la gusta.
La
lettura porta, in certo qual modo, cibo solido alla bocca,
la
meditazione lo mastica e frantuma,
la
preghiera lo assapora,
la
contemplazione è la stessa dolcezza che dà gioia e ricrea.
La
lettura si ferma alla scorza,
la
meditazione penetra nel midollo,
la
preghiera formula il desiderio,
la
contemplazione si diletta nel godimento della dolcezza raggiunta.
Perché
ciò si possa vedere in modo più chiaro, proponiamo un esempio tra i molti
che si potrebbero portare.
IV -
Funzione della lettura
Nella
lettura ascolto queste parole: « Beati i puri di cuore perché vedranno Dio »
(Mt 5, 8). Ecco una frase molto breve ma soave e piena di molteplici sensi
per il nutrimento dell'anima, offerta come un grappolo d'uva. L'anima, dopo
averla diligentemente considerata, dice dentro di sé: qui ci può essere
qualche cosa di buono, rientrerò nel mio cuore e cercherò di comprendere e
di trovare, se mi sarà possibile, questa purezza. Essa infatti è cosa
preziosa e desiderabile, lodata da tanti passi della Scrittura, i cui
possessori sono detti beati, alla quale è promessa la visione di Dio che è
la vita eterna.
Desiderando l'anima spiegarsi meglio tutto ciò, comincia a masticare e a
triturare
(questa uva)
ponendola quasi sotto il torchio, mentre stimola la ragione ad indagare che
cosa sia e come si possa acquistare questa purezza così preziosa.
V -
Funzione della meditazione
Interviene quindi un'attenta meditazione, la quale non rimane all'esterno,
non si ferma alla superficie, ma dirige più in alto i suoi passi, penetra
nell'interno, scruta le cose una per una. Essa considera che il testo non ha
detto: «Beati i puri di corpo», ma «puri di cuore»; poiché non basta avere
le mani innocenti da opere cattive, se la nostra mente non è purificata da
pensieri perversi. Lo conferma con autorità il Profeta, dicendo: «Chi salirà
il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e
cuore puro » (Sal 23, 3-4).
Poi
medita quanto desideri questa purezza di cuore lo stesso Profeta, che prega
cosi: « Crea in me, o Dio, un cuore puro » (Sal 50, 10), e ancora: « Se nel
mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe esaudito» (Sal
65, 18). E pensa quanta cura poneva in questa custodia del cuore il beato
Giobbe, che diceva: «Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare
neppure una vergine» (Gb 31, 1). Ecco quanto si mortificava questo santo
uomo che chiudeva gli occhi per non vedere vanità e per non guardare
incautamente quello che avrebbe poi involontariamente desiderato.
Dopo
aver considerato queste e altre simili cose sulla purezza del cuore, la
meditazione comincia a pensare al premio: quanta gloria e gioia darebbe la
visione del volto desiderato del Signore, « il più bello tra i figli
dell'uomo »
(Sal
44, 3),
non abbietto e disprezzato, non più con le sembianze che gli diede sua
Madre, ma rivestito di un manto d'immortalità e coronato di un diadema col
quale l'incoronò il Padre suo, nel giorno della risurrezione e della gloria,
«giorno fatto dal Signore» (Sal 117, 24). Essa pensa che in questa visione
ci sarà quella sazietà di cui dice il Profeta: «Mi sazierò quando apparirà
la tua gloria» (Sal 16, 15).
Vedi
quanto liquore sgorgò da un piccolissimo grappolo d'uva, quanto fuoco si
sprigionò da una scintilla, quanto si sia estesa sull'incudine della
meditazione questa piccola massa
(di
ferro):
«Beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio»? Ma quanto ancor più si
potrebbe estendere, se vi si applicasse uno più esperto! Io sento che il
pozzo è profondo, ma da novizio inesperto sono riuscito a stento a cavarvi
poche gocce. L'anima, infiammata da queste scintille, stimolata da questi
desideri, infranto l'alabastro, comincia a presentire la soavità del profumo
(Cfr.
Mc 14, 3),
se non ancora con il senso del gusto, quasi però con l'odorato; e ne deduce
quanto debba essere dolce fare esperienza di questa purezza di cui la sola
meditazione dà un godimento così grande.
E che
cosa farà? Brucia dal desiderio di possederla, ma non trova in se stessa il
modo di averla, e quanto più la cerca, tanto più ne ha sete. Mentre si
applica alla meditazione, aumenta anche la sua sofferenza
(Qo
1,18),
poiché non sente quella dolcezza che la meditazione le mostra esserci nella
purezza di cuore, senza tuttavia dargliela. Non è infatti di chi legge e di
chi medita solamente esperimentare questa dolcezza, se non gli è stata data
dall'alto
(Gv
19, 11).
Leggere, infatti, e meditare è comune sia ai buoni, sia ai cattivi; e gli
stessi filosofi pagani hanno scoperto con l'aiuto della ragione in che
consista l'essenza del vero bene. Ma, « poiché pur conoscendo Dio, non gli
hanno dato gloria come a Dio » (Rm 1, 2 1), e contando presuntuosamente
sulle loro forze, dicevano: «Per la nostra lingua siamo forti, ci difendiamo
con le nostre labbra» (Sal 11, 5), non meritarono di ricevere ciò che
potevano vedere. «Hanno vaneggiato nei loro ragionamenti» (Rm 1, 21) e «la
loro perizia era svanita» (Sal 106, 27), perché essa veniva loro dallo
studio delle discipline umane, e non dallo spirito di sapienza, che solo dà
la sapienza vera, sapida, quella scienza che procura gioia e ristora con un
inestimabile sapore l'anima che la possiede.
Di
essa è scritto: « La sapienza non entra in un'anima che opera il male » (Sap
1, 4). Essa procede da Dio solo, e come il Signore ha concesso a molti
l'ufficio di battezzare, riservando a sé solo il potere e l'autorità di
rimettere i peccati nel battesimo, sicché Giovanni disse per antonomasia,
precisando bene: «E’ lui che battezza», così possiamo dire di lui: E' Dio
che dà sapore alla sapienza e rende sapida all'anima la conoscenza. La
parola è data a tutti, a pochi la sapienza dello Spirito, poiché Dio, la
distribuisce a chi vuole e quando vuole
(Cfr.
1 Cor 12, 11).
VI -
Funzione della preghiera
Vedendo ora l'anima, che non può da sé sola giungere alla dolcezza
desiderata della conoscenza e dell'esperienza, e che quanto più si eleva
tanto più Dio è distante
(Accedet
homo ad cor altum: et exaltabitur Deus - L’uomo entrerà nelle profondità
del suo cuore e Dio sarà esaltato. Sal 63,7-8 Vulgata
*),
si umilia e si rifugia nella preghiera, dicendo: Signore, che sei veduto
solo dai puri di cuore, io cerco con la lettura e con la meditazione quale
sia e come si possa ottenere ciò che è la vera purezza di cuore, per
poterti, per mezzo di essa, conoscere almeno in parte.
Cercavo il tuo volto, Signore, il tuo volto, Signore, cercavo
(Sal
26,8);
ho meditato a lungo nel mio cuore, e nella mia meditazione si è sviluppata
una fiamma e si è accresciuto il desiderio di conoscerti sempre più. Mentre
mi spezzi il pane della Scrittura, tu ti fai conoscere nella frazione del
pane
(Cfr.
Lc 24, 30-35),
e quanto più ti conosco, tanto più desidero conoscerti, non già nella scorza
della lettera, ma nella conoscenza che viene dall'esperienza. E non chiedo
ciò, Signore, per i miei meriti, ma per la tua misericordia. Confesso
infatti di essere un'indegna anima peccatrice; «ma anche i cagnolini si
cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Mt 15,27).
Dammi
dunque, Signore, un pegno della futura eredità, una goccia almeno di quella
pioggia celeste, con cui spegnere la mia sete, poiché ardo d'amore.
VII -
Gli effetti della contemplazione
L'anima, con questi e altri simili infuocati eloqui, infiamma il suo
desiderio, mostra l'effetto raggiunto e chiama con questi incantamenti il
suo Sposo.
Il
Signore, i cui occhi si posano sui giusti e i cui orecchi sono attenti alle
preghiere, non aspetta che queste siano terminate; ma, interrompendo a metà
il corso dell'orazione, si affretta a presentarsi e a venire incontro
all'anima che lo desidera, circonfuso dalla rugiada di una dolcezza celeste
e cosparso di unguenti preziosi; ricrea l'anima affaticata, nutre quella che
ha fame, impingua quella arida, le fa dimenticare le cose terrene, la
vivifica mortificandola mirabilmente con l'oblio di sé e la rende sobria,
inebriandola. E come in certi atti carnali l'anima è vinta a tal punto dalla
concupiscenza della carne da perdere ogni uso della ragione facendo
diventare l'uomo un essere quasi del tutto carnale, così, al contrario, in
questa superna contemplazione i moti carnali sono in tal modo superati e
assorbiti dall'anima, che la carne non contraddice in nulla allo spirito, e
l'uomo diventa un essere quasi del tutto spirituale.
VIII -
I segni della venuta della grazia
Ma, o
Signore, come sapremo quando fai questo, e quale è il segno della tua
venuta?
(Cfr.
Mt 24, 3)
Sono forse i sospiri e le lacrime i messaggeri e i testimoni di questa
consolazione e di questa gioia? Se così è, questa è una nuova antifrasi
(contraddizione)
e un segno inusitato. Che relazione c'è infatti tra la consolazione e i
sospiri, tra la gioia e le lacrime, seppure si debbano chiamare lacrime o
non piuttosto una sovrabbondanza della rugiada interiore, infusa dall'alto,
come segno di un'abluzione interiore e quale purificazione dell'uomo
esteriore? Come nel battesimo dei bambini nell'abluzione esterna è
simboleggiata e indicata un'abluzione dell'uomo interiore, così qui, al
contrario, da un'abluzione interiore deriva una purificazione esterna.
O
beate lacrime, per mezzo delle quali sono levate le macchie interiori e sono
estinti gl'incendi dei peccati! « Beati voi che così piangete, perché
riderete» (Lc
6, 21,
Mt 5, 4). Riconosci, o anima, in queste lacrime il tuo Sposo e abbraccia il
Desiderato, inebriati ora di un torrente di delizie, succhia dalla fonte di
consolazione miele e latte
(Cfr.
Is 66, 11).
Questi gemiti e queste lacrime sono i meravigliosi piccoli doni e il
sollievo che ti ha offerto e portato il tuo Sposo. In queste lacrime ti ha
apportato una bevanda in quantità. Queste lacrime siano per te pane, giorno
e notte, pane che fortifica il cuore dell'uomo, «più dolce del miele e del
favo stillante» (Sal 103, 15).
O
Signore Gesù, se queste lacrime, suscitate dal tuo ricordo e dal desiderio
di te, sono così dolci, quanto sarà dolce la gioia contenuta nella chiara
visione di te? Se è tanto dolce piangere per te, quanto sarà dolce godere di
te?
Ma
perché riveliamo in pubblico questi colloqui segreti? Ma perché tentiamo di
esprimere con parole comuni questi affetti indicibili? Gli inesperti non
comprenderanno tali cose, e le capirebbero meglio leggendole nel libro
dell'esperienza, dove le insegna la stessa unzione divina
(1 Gv
2,20).
Altrimenti la lettera esteriore non giova per nulla al lettore. La lettura
infatti della lettera esteriore dice poco, se una spiegazione proveniente
dal cuore non rivela il senso interiore.
IX -
Come la grazia si occulta
O
anima, noi abbiamo protratto a lungo questo discorso. Infatti era un bene
per noi stare qui, e con Pietro e Giovanni contemplare la gloria dello Sposo
e rimanere a lungo con lui, se egli avesse voluto piantare qui non due, non
tre, ma una sola tenda, nella quale stare insieme e gioire insieme
(Cfr. Mt 17, 4).
Ma lo Sposo già dice: «Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora» (Gen 32,
26), già hai ricevuto il lume della grazia e la visita che desideravi. Data
dunque la benedizione, e colpita l'articolazione del femore e mutato il nome
di Giacobbe in Israele
(Gen
32, 25-32),
lo Sposo a lungo desiderato, scomparso repentinamente, si allontana per un
po’ di tempo. Egli si sottrae per quanto riguarda la predetta visita e la
dolcezza della contemplazione, ma rimane tuttavia presente per quanto
riguarda la direzione, la grazia e l’unione con lui.
X -
Come la grazia, occultandosi per qualche tempo, coopera al nostro bene
Ma non
temere, o sposa, non disperare, non crederti disprezzata se per un po' di
tempo lo Sposo ti sottrae il suo volto. Tutto ciò coopera al tuo bene
(Cfr. Rm 8, 28)
e tu trai vantaggio sia dalla sua venuta, sia dal suo allontanamento. Egli
viene per te e si allontana per te. Viene per consolarti, si allontana per
prudenza, perché tu non monti in superbia per la grandezza della
consolazione (cfr. 2 Cor 12, 7), perché se lo Sposo fosse sempre con te, tu
non abbia a disprezzare le tue compagne e ad attribuire questa consolazione,
non alla grazia, ma alla natura.
Invece
questa grazia viene data dallo Sposo quando e a chi vuole, non la si
possiede quasi fosse un diritto ereditario. Un proverbio popolare dice che
un'eccessiva familiarità genera disprezzo. Egli si allontana dunque, perché,
se troppo assiduo, non venga disprezzato, se assente venga maggiormente
desiderato, se desiderato venga più avidamente cercato, se a lungo cercato
venga infine con più gioia trovato. Inoltre, se non venisse mai meno questa
consolazione, la quale, rispetto alla futura gloria che si rivelerà in noi,
è confusa e parziale, forse riterremmo di « avere quaggiù una città stabile
e andremmo meno in cerca di quella futura» (cfr. Eb 13, 14).
E’
dunque perché non riteniamo patria l'esilio e premio la caparra, che lo
Sposo ora viene, ora s'allontana, ora portando la consolazione, ora
«mutandola interamente in un giaciglio di dolore» (cfr. Sal 40, 4). Per un
po' ci permette di gustare quanto sia soave, e prima che l'abbiamo gustato
pienamente si sottrae; e quasi volando sopra di noi ad ali spiegate ci
stimola a volare, come se dicesse: Ecco, avete gustato per un po' quanto io
sia soave e dolce, ma se volete saziarvi pienamente di questa dolcezza
correte dietro di me, nell'odore dei miei profumi, elevate i vostri cuori
fin dove io sono alla destra di Dio Padre. Ivi mi vedrete «non come in uno
specchio, in maniera confusa, ma a faccia a faccia » (1 Cor 13, 12), « e il
vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv
16, 22-23).
XI -
Con quale prudenza l'anima deve comportarsi dopo la visita della grazia
Stai
però attenta, o sposa: quando lo Sposo si assenta, non va lontano, e se tu
non lo vedi, egli però sempre ti vede; è pieno di occhi, davanti e di dietro
(Cfr.
Ez 1, 18);
non puoi più nasconderti a lui. Egli tiene presso di te i suoi inviati,
spiriti che sono messaggeri sagacissimi, perché osservino come ti comporti
in assenza dello Sposo, e ti accusino al suo cospetto se sorprenderanno in
te qualche segno di impurità e di leggerezza.
Questo
Sposo è geloso
(Cfr.
Es 34, 14):
se per caso accoglierai presso di te un altro amante, se cercherai di
piacere di più ad altri, subito si allontanerà da te, per unirsi ad altre
vergini fedeli. Questo Sposo è delicato, nobile, ricco, «il più bello tra i
figli dell'uomo» (Sal 44, 3), e perciò non si degna che di avere una sposa
bellissima. Se avrà visto in te una macchia e una ruga
(Cfr.
Ef 5, 27),
subito distoglierà da te il suo sguardo. Egli non può tollerare nessuna
impurità. Sii dunque casta, sii vereconda e umile per meritare di essere
visitata frequentemente dal tuo Sposo.
Temo
che questo discorso ti abbia trattenuto un po' troppo, ma a ciò mi ha spinto
la materia così fertile e a un tempo dolce; non fu già spontaneamente che
protraevo l'argomento, ma vi ero trascinato, mio malgrado, dalla sua
dolcezza.
XII
- Ricapitolazione
Per
vedere meglio, raggruppandolo insieme, quanto è stato diffusamente esposto,
riepiloghiamo tutto sommariamente. Come è stato notato nei precedenti
esempi, puoi vedere come i predetti gradi siano collegati tra di loro, e
come si succedano l'uno all'altro, sia nell'ordine del tempo, sia in quello
della causalità.
La
lettura, infatti, si incontra per prima come fondamento e, fornita la
materia, ci porta alla meditazione.
La
meditazione ricerca con maggiore attenzione che cosa sia da desiderare e,
quasi scavando, trova un tesoro
(Cfr.
Mt 13, 44)
e lo mostra; ma non potendolo raggiungere da sé sola, rimanda alla
preghiera.
La
preghiera, elevandosi con tutte le sue forze verso
Dio,
impetra il tesoro da desiderarsi, cioè la soavità della contemplazione.
La
contemplazione, sopraggiungendo, ricompensa il lavoro dei tre precedenti
gradi, inebriando l'anima assetata con la rugiada della dolcezza celeste.
La
lettura è un esercizio dei sensi esterni,
la
meditazione è un lavoro dell'intelletto,
la
preghiera è un desiderio,
la
contemplazione è un superamento di ogni senso.
Il
primo grado è dei principianti,
il
secondo dei proficienti,
il
terzo dei devoti,
il
quarto dei beati.
XIII
- In che modo questi quattro gradi sono concatenati gli uni agli altri
Questi
gradi sono talmente collegati fra di loro e si rendono talmente un servizio
scambievole, che i primi poco o nulla giovano senza i successivi, e i
successivi senza i primi non si possono raggiungere mai. A che giova infatti
occupare il tempo in una continua lettura, scorrere le gesta e gli scritti
dei santi, se non ne traiamo il succo masticando e ruminando queste cose e
se, inghiottendole, non le facciamo entrare fino alla parte più intima del
cuore, al fine di considerare diligentemente, alla loro luce, il nostro
stato e di compiere le opere di coloro dei quali desideriamo leggere spesso
le azioni? Ma come rifletteremo su tutto questo e come potremo guardarci dal
sorpassare i limiti posti dai santi Padri
(Cfr.
Pr 22, 28),
meditando cose false o vane, se non saremo stati istruiti in antecedenza
dalla lettura o dalla viva voce? L'istruzione a viva voce fa parte, in certo
modo, della lettura, per cui siamo soliti dire, non solo di aver letto quei
libri che abbiamo letto per noi stessi o per altri, ma anche quelli che
abbiamo appresi dalla viva voce dei maestri.
Inoltre, che giova all'uomo vedere per mezzo della meditazione le cose che
si devono compiere, se non è messo in grado di compierle, con l'aiuto della
preghiera e con la grazia di
Dio?
Infatti « ogni buon regalo e ogni dono perfetto vien dall'alto e discende
dal Padre della luce» (Gc 1, 17), senza del quale non possiamo fare nulla,
poiché è lui che opera in noi, non però senza di noi. « Siamo infatti
cooperatori di
Dio»
(1 Cor 3,9),
come dice l'Apostolo.
Dio
vuole che lo preghiamo, vuole che apriamo il seno della nostra volontà alla
grazia che viene e che bussa alla porta e vuole che gli diamo il nostro
consenso. Questo consenso domandava il Signore alla samaritana, quando
diceva: « Va' a chiamare tuo marito » (Gv 4, 16), come se dicesse: ti voglio
infondere la grazia, e tu applica il libero arbitrio. E le chiedeva pure la
preghiera: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: dammi
da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua
viva» (Gv 4, 10). Dopo aver udito ciò dal Signore, come l'avrebbe potuto
intendere da una lettura, la donna così istruita meditò nel suo cuore che
sarebbe stata per lei cosa buona e utile avere quest'acqua. Perciò, accesa
dal desiderio di averla, si rivolse alla preghiera, dicendo: «Signore, dammi
di quest'acqua, perché non abbia più sete» (Gv 4,15).
Ecco
che l'ascolto della parola del Signore e la meditazione che ne è seguita
l'avevano incitata a pregare.
Avrebbe forse potuto essere così sollecita nel chiedere, se prima non
l'avesse infiammata la meditazione? E a che cosa le sarebbe valsa la
meditazione se con successiva preghiera non avesse richiesto ciò che le era
apparso desiderabile nella precedente meditazione? Perciò, affinché dunque
la meditazione sia fruttuosa, è necessario che segua una fervida preghiera
di cui si può considerare quasi un effetto la dolcezza della contemplazione.
XIV -
Conclusione di ciò che precede
Da
tutto questo possiamo concludere che la lettura senza la meditazione è
arida, la meditazione senza la lettura è soggetta a errore, la preghiera
senza la meditazione è tiepida, la meditazione senza la preghiera è
infruttuosa, la preghiera fatta con devozione acquista la contemplazione,
l'acquisto della contemplazione senza la preghiera è raro o miracoloso.
Dio,
in verità, del quale è infinita la potenza e la cui misericordia si estende
sopra tutte le sue opere, talvolta suscita dalle pietre dei figli di Abramo
(Cfr.
Mt 3,9),
costringendo uomini duri e riluttanti a sottostare alla sua volontà, ed è
per così dire tanto prodigo, che, come si dice volgarmente, «tira il bue per
le corna», come quando s'inserisce senza essere chiamato e quando si
introduce senza essere ricercato. Il che, quand'anche leggiamo essere
avvenuto ad alcuno, come a Paolo e a qualcun altro, tuttavia non per questo
dobbiamo pretenderlo per noi, quasi tentando Dio; al contrario, dobbiamo
invece fare ciò che ci compete, ossia leggere, meditare sulla legge divina,
pregare Dio perché venga in aiuto alla nostra debolezza e perché veda la
nostra imperfezione, come e lui stesso ci insegna a fare, dicendo: chiedete
e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto » (Mt 7, 7).
Quaggiù infatti « il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne
impadroniscono» (Mt 11, 12). Ecco come, premesse le distinzioni di cui
sopra, si possono vedere le proprietà dei predetti gradi, il modo in cui
sono connessi tra di loro e gli effetti che ciascuno produce in noi.
Beato
l'uomo, il cui spirito libero dalle altre preoccupazioni desidera applicarsi
continuamente a questi quattro gradi di orazione, e che, vendute tutte le
cose che possiede, compra quel campo nel quale è nascosto un tesoro così
desiderabile
(Mt
13, 44)
quale è l'attendere a Dio e vedere quanto egli sia soave. Chi è esperto nel
primo grado, circospetto nel secondo, devoto nel terzo ed elevato sopra di
sé nel quarto, sale di virtù in virtù, per queste ascensioni che ha disposte
nel suo cuore, « finché compare davanti a Dio in Sion» (Sal 83, 8).
Beato
colui al quale è concesso di rimanere, sia pure per poco tempo, in questo
supremo grado, e che può dire veramente: Ecco che sento la grazia di Dio,
ecco che con Pietro e Giovanni contemplo la sua gloria sul monte, ecco che
con Giacobbe mi diletto degli abbracci della bella Rachele.
Ma
badi costui, dopo questa contemplazione con la quale era stato elevato fino
ai cieli, di non cadere, per un caso improvviso, fino negli abissi, e di non
abbandonarsi, dopo una visita così mirabile, alle dissolutezze del mondo,
alle lusinghe della carne. Ma quando l'inferma vista della mente umana non
potrà più a lungo sostenere l'illuminazione della vera luce, discenda piano
piano e ordinatamente ad uno dei tre gradi per i quali era salita, e
alternativamente si fermi ora su uno, ora sull'altro grado, secondo i moti
del libero arbitrio e secondo le circostanze di luogo e di tempo; e sarà
tanto più vicina a Dio, quanto più sarà lontana dal primo grado. Ma ahimè,
quanto è fragile e miserabile la condizione umana!
Ecco
che, con la guida della ragione e con le testimonianze delle Scritture,
vediamo chiaramente che la perfezione della vita beata è contenuta in questi
quattro gradi; e che in essi deve esercitarsi l'uomo spirituale. Ma chi è
che percorre questo itinerario di vita? « Chi è costui? Lo proclameremo
beato » (Sir 31,9). Volere è di tutti, ma portare a termine è di pochi
(Cfr.
Rm 7, 18).
Volesse il cielo che noi fossimo tra questi pochi!
XV -
Quattro cause che ci distolgono da questi gradi
Ci
sono quattro cause che per lo più ci distolgono da questi gradi, cioè una
necessità inevitabile, l'utilità di una buona opera, la debolezza umana, la
vanità del mondo. La prima è scusabile, la seconda tollerabile, la terza
miserabile, la quarta colpevole.
E
veramente colpevole: per chi infatti, per una causa di questo genere - ossia
per la vanità del mondo - si ritrae dal suo proposito, sarebbe stato meglio
non avere conosciuto la grazia di Dio, che retrocedere, dopo averla
conosciuta. Quale scusa infatti avrà per il suo peccato? Non potrà forse
dirgli giustamente il Signore: «Che cosa potevo fare di più per te, che io
non abbia fatto?» (cfr. Is 5, 4). Non esistevi, ed io ti ho creato, hai
peccato e ti eri reso schiavo del diavolo, e ti ho liberato, erravi per il
mondo con gli empi, e ti ho scelto
(Cfr.
Is 43 7, 11),
ti avevo dato la mia grazia al mio cospetto e volevo prendere dimora presso
di te
(Cfr.
Gv 14, 23),
e tu mi hai disprezzato, e non solo hai rigettato le mie parole, ma me
stesso, e sei andato dietro alle tue passioni
(Cfr.
Sir 18,30).
Ma, o
Dio buono, soave e mite, dolce amico, prudente consigliere, saldo aiuto,
quanto è inumano, quanto è temerario chi ti respinge, chi allontana dal suo
cuore un ospite così umile e mansueto! Quale infelice e dannosa sostituzione
rigettare il proprio Creatore e accogliere pensieri cattivi e nocivi,
lasciare ai pensieri immondi e ai porci calpestare
(Cfr.
Mt 7, 6)
così presto quella segreta cella dello Spirito Santo, vale a dire l’intimo
recesso del proprio cuore, che poco prima era rivolto alle gioie celesti!
Nel cuore sono ancora calde le vesti dello Sposo, e già s'intromettono
desideri adulterini.
E’ una
cosa sconveniente e indecorosa che le orecchie che avevano udito parole che
non è lecito riferire ad uomo
(che
non è lecito ad alcuno pronunciare. 2 Cor 12,4. Ndr.),
si abbassino così presto ad ascoltare storie e frivolezze; che gli occhi che
erano stati da poco bagnati con lacrime sacre, si volgano tutt'a un tratto a
vanità; che la lingua che or ora aveva cantato dolci epitalami e che aveva
riconciliato lo Sposo con la sposa con parole infuocate e persuasive e che
l'aveva introdotto nella cella vinaria
(Cfr.
Ct 2, 4),
si volga ora al turpiloquio, a scurrilità, a macchinare inganni e
maldicenze.
Sia
lontano da noi, o Signore, tutto questo. Ma se mai per umana debolezza
cadremo in simili casi, non dobbiamo per questo disperare, ma ricorrere di
nuovo al medico clemente « che solleva l'indigente dalla polvere,
dall'immondizia rialza il povero » (Sal 112, 7); e lui, che non vuole la
morte del peccatore
(Cfr.
Ez 33, 11),
di nuovo ci curerà e ci guarirà.
Ma
ormai è tempo di porre fine a questa lettera. Preghiamo tutti il Signore,
perché mitighi gli ostacoli che al presente ci distolgono dalla sua
contemplazione e in futuro li elimini del tutto, conducendoci per i gradi
predetti di virtù in virtù, finché vedremo Dio in Sion
(Cfr.
Sal 83, 8),
dove gli eletti proveranno la dolcezza della divina contemplazione, non
goccia a goccia, né a intermittenza, ma gusteranno senza fine un torrente di
gioia, che nessuno potrà loro togliere, e una pace inalterabile, la pace in
Lui
(Cfr.
Sal 4, 9).
Tu dunque, mio fratello Gervasio, quando ti sarà concesso di salire in cima
a questi gradi, ricordati di me e prega per me quando sarai beato. Così la
cortina tiri a sé la cortina
(Cfr.
Es 26),
e colui che ode, dica: « Vieni! » (Ap 22, 17).
*
Nel contesto del Salmo 63, nella versione della
Vulgata, questo è il
significato: Così
l'uomo malvagio
entrerà nelle profondità del
suo cuore per trovare il modo di perdere il giusto,
e allora
Dio sarà elevato;
farà apparire la sua grandezza e la sua potenza, rendendo inutili
gli sforzi di coloro che vogliono perdere l'innocente.
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giugno 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net