Vita e scritti di Guigo II

Estratto e tradotto da “Guigues II le Chartreux - Lettre sur la vie contemplative – Douze méditations”, a cura di Edmund Colledge, o.s.a. e James Walsh, s.j., Sources Chrétiennes n. 163, Les éditions du Cerf, Paris 1970


 

Scrisse Dom André Wilmart riguardo ai primi certosini: “Questi uomini austeri e discreti costruirono degli eremi, per abitarvi nell'ombra e nel silenzio, occupati nella meditazione delle verità che non passano. Non ci aspettiamo rivelazioni da parte loro [1]. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda Guigo, nono priore della casa madre, la Grande Certosa. Quel poco che è possibile sapere della sua vita è stato ben esposto da Wilmart [2]; dopo ciò che è stato da lui scritto, nulla è stato aggiunto alle nostre conoscenze.

Guigo II compare come testimone, nel 1173, in un accordo di interessi locali tra la Grande Certosa e la vicina abbazia di Chalais, dove si firma come "monaco e procuratore". In questo stesso anno o nel successivo, secondo Le Couteulx, divenne priore della Certosa [3]; egli è designato con questo titolo in due bolle papali del 1176 e del 1177. Intorno all'anno 1180, il re Enrico II d'Inghilterra chiese che Ugo, successore di Guigo II come procuratore della Certosa (e poi futuro Vescovo di Lincoln e santo), fosse inviato in Inghilterra per la nuova fondazione certosina di Witham, contea dell'Essex; Guigo si oppose, senza successo, a questa richiesta, dicendo che considerava Ugo il suo principale sostegno nella vecchiaia. Intorno al 1180 Guigo fu sostituito come priore, ma è ancora menzionato nel 1185 nelle cronache della casa come "ex priore".

Le più recenti autorità concordano nel datare la morte di Guigo II al 1188 [4]. Le Couteulx volle collocare tale data verso il 1198 circa, ma solo perché accettò l'erronea attribuzione a Guigo del Liber de quadripartito exercitio cellae (Libro del quadruplo esercizio di cella) di Adamo il Certosino [5]. L'epistola dedicatoria di quest'opera mostra che essa fu, con ogni probabilità, composta negli anni successivi al Capitolo generale del 1186 o 1187, quando il suo autore Adamo discuteva sullo stile da dare al Liber con Bovon, priore di Witham, al quale è indirizzato questo scritto.

Le Couteulx ci racconta che Guigo, dopo aver rassegnato le dimissioni dal suo incarico di priore, trascorse gli anni che gli erano rimasti vivendo in solitudine [6]. Altrove, l'analista certosino dichiara che, secondo la propria opinione e quella dei primi storici dell'Ordine, la cronaca della Certosa, conservata durante il governo del successore di Guigo, riguarda quest'ultimo quando essa parla di "un certo monaco, eccezionale per la sua santa vita e la sua obbedienza", e quando di lui racconta la seguente storia: presso la sua tomba avvennero così tanti miracoli di guarigione che l'arrivo dei pellegrini in cerca dei suoi favori turbò completamente la solitudine ed il buon cammino della Grande Certosa: fu così fino a quando il priore dell'epoca si recò nel luogo dove era sepolto questo monaco e gli comandò, in nome della santa obbedienza, che egli aveva così perfettamente custodito durante la sua vita, di cessare, stando in cielo, di richiedere a Dio l'elargizione di tali miracoli [7]. La storia può essere paragonata a quella dei santi religiosi agostiniani morti a Lecceto, fuori Siena, ai quali un tempo fu dato lo stesso comando per lo stesso motivo [8]. Questa storia mostra in ogni caso che Guigo,dopo la sua morte, deve aver goduto di un'eccezionale reputazione di santità tra i suoi fratelli.

A parte queste informazioni, se vogliamo sapere chi fosse Guigo, non possiamo che fare affidamento su congetture tratte dalla natura della sua vocazione religiosa, dagli uffici che ricopriva e dai dati forniti dai suoi scritti. Ma qui incontriamo una difficoltà; di gran lunga il maggior numero di manoscritti contenenti copie delle tre opere che potrebbe aver scritto, la Scala claustralium, le Dodici Meditazioni ed una Meditazione separata sul Magnificat, o le attribuiscono ad altri autori oppure non forniscono il nome dell'autore.

Questo è un problema frequente nello studio della letteratura medievale. Pochi scrittori, anche nella letteratura profana, potevano contare su un beneficio economico dal giorno in cui una prima copia veniva consegnata alla pubblicazione o presentata ad un mecenate, tanto che ancora oggi esistono molti testi classici del medioevo di cui non siamo in grado di individuarne gli autori. C'erano spesso ragioni positive per rimanere anonimi: i polemisti, in campi come la teologia o la politica, a volte trovavano più prudente non apporre il proprio nome sulle loro opere.

I Certosini, fin dai primi giorni della loro fondazione, seguirono questo modo di fare, ma per ragioni diverse. Deploravano tutto ciò che poteva interrompere il loro silenzio e nuocere alla loro solitudine ed esortavano i membri del loro Ordine a non cercare, per sé o per i colleghi, il minimo segno di distinzione, fossero essi atti di erudizione o di santità.

Ma pubblicazioni anonime di questo tipo hanno aperto la strada ad un'altra fonte di confusione: l'attribuzione di un'opera a qualcuno diverso dal suo autore, solitamente ad un nome famoso del passato. Molte false attribuzioni furono così fatte più tardi in buona fede da copisti-editori: potrebbero essere state guidate da notevoli somiglianze con il soggetto o con lo stile di una scrittura classica, somiglianze molto comuni in un'epoca in cui la dipendenza riguardo ad un'autorità era considerata un virtù letteraria; od ancora, potrebbero essere stati ingannati dalla presenza, in un volume contenente per la maggior parte gli scritti di un autore, di un'aggiunta di pochi altri scritti che non venivano presentati come estranei alla sua opera. A volte, tuttavia, le motivazioni di un copista erano meno onorevoli: se un grosso volume di "Agostino" o "Bernardo” doveva essere venduto più caro di uno più sottile ad un acquirente ignaro, molti vedevano poco male nel prendere in prestito testi da altri scrittori per ingrossare i loro volumi.

Gli scritti di Guigo hanno certamente subito un simile destino, principalmente, possiamo pensare, perché né lui né la Grande Certosa hanno mostrato il minimo interesse per la sua reputazione personale di scrittore spirituale.

 


[1] Auteurs spirituels et textes dévots du moyen âge latin, Paris 1932, p. 217.

[2] Ibid., p.218-221.

[3] Annales Ordinis Cartusiensis, tome II, Montreuil 1888, p. 373.

[4] Decima L. Douie et Hugh Farmer, The Life of St Hugh of Lincoln, tome I, Londres 1961, p. 45, n. 2.

[5] (Ndt.) In questa imponente opera, di trentasei capitoli, viene delineato l’ideale dell’Ordine certosino, ossia la ricerca di Dio nel silenzio e nella solitudine della cella. Adamo considera la cella come un vero Paradiso e, interpretando allegoricamente i quattro fiumi che sgorgano dal Paradiso terrestre, spiega i quattro esercizi che devono occupare la vita del contemplativo certosino: la lettura, la meditazione, la preghiera ed il lavoro manuale.

[6] Annales Ordinis Cartusiensis, II, p. 478.

[7] Ibid, III, p, 130-131.

[8] W. Heywood, The “ensamples of Fra Filippo” – a study of medioeval Siena, Sienne 1901, p. 11.

Ndt. Gli "Assempri" (o Esempi) di Fra Filippo da Siena sono delle leggende del secolo 14, scritte dal monaco agostiniano Filippo Agazzari (Siena, 1339 circa, Lecceto, 1442).


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5 aprile 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net