Cluny

Anna Maria Rapetti

Estratto da “Storia del monachesimo medievale” – Ed. Il Mulino 2013

 

Lo stesso intreccio di motivazioni spirituali e mondane sta alla radice della fondazione di Cluny, nato sotto l'insegna della stretta osservanza della Regola riletta dall'abate di Aniane; essa divenne rapidamente, ad appena un ventennio dalla nascita, l'esponente più avanzato e dinamico del movimento di riforma della vita cenobitica. Non solo: fu il primo monastero a raggiungere molto rapidamente presenza e rilevanza continentali, pur nella relativa modestia degli esordi. All'apice del suo successo, nell'XI secolo, fu il cuore di un vero e proprio «impero monastico» inteso in termini istituzionali, e non solo spirituali, comprendente centinaia di case sparse in tutta l'Europa occidentale, vivaio di predicatori colti e devoti, e i cui abati furono consiglieri di papi e di sovrani.

Cluny fu fondata intorno al 909-910 nella contea di Macon, nel cuore della Borgogna, dal potente duca Guglielmo di Aquitania come monastero privato (quello che la storiografia denomina Eigenkloster). L'iniziativa riformatrice era passata infatti, con la fine della dinastia carolingia, nelle mani di principi e grandi aristocratici desiderosi di avere sotto il loro controllo monasteri modello, per accrescere il proprio potere e prestigio politico. Il nuovo cenobio si strutturò secondo il principio della stretta osservanza benedettina, riprendendo l'interpretazione riformatrice che ne aveva dato Benedetto di Aniane, il suo rigore e la sua esuberanza liturgica. Furono il duca Guglielmo e il primo abate Bernone, da lui nominato, a imprimere le caratteristiche fondamentali e decisive per gli ulteriori sviluppi. Cluny ebbe fin dalla carta di fondazione un grado di autonomia dai poteri esterni del tutto inconsueto per quell'epoca. Il duca Guglielmo stabilì infatti che la comunità, alla morte di Bernone, dovesse scegliere il proprio abate senza nessuna interferenza da parte di chicchessia, ecclesiastico o laico, compresi i discendenti del duca stesso. Questa libertà avrebbe assicurato all'abate e alla comunità il controllo completo delle proprietà del cenobio, libero da ingerenze esterne. Come ulteriore garanzia, Cluny venne posta sotto la protezione - ma «non sotto la signoria» (apostolicae sedis ad tuendum, non ad dominandum), come notarono gli storici del tempo - degli apostoli Pietro e Paolo, vale a dire della sede pontificia; il censo ricognitivo versato in cambio, cioè un tributo in denaro, sarebbe servito per alimentare in perpetuo le lampade a olio poste sulla tomba di San Pietro a Roma. Non era la prima volta che l'autorità dei papi veniva utilizzata a protezione dei monaci. Sempre più spesso dalla fine del IX secolo, laici potenti avevano posto le loro fondazioni monastiche sotto la tutela di Roma, allo scopo di limitare le possibilità di controllo da parte dei vescovi diocesani e di potenziali rivali in seno all'aristocrazia. Il tentativo di centralizzazione messo in atto dai sovrani carolingi era ormai, in quell'epoca, solo un lontano e sbiadito ricordo; la protezione accordata ai monasteri dal re era spesso inefficace, e poteva risultare persino pericolosa nei torbidi politici e militari che insanguinarono la prima metà del X secolo. La protezione papale, invece, aveva il vantaggio di essere lontana e puramente simbolica, ciò che lasciava completa mano libera ai fondatori e alle loro famiglie nel controllo delle comunità. Tuttavia, la storia successiva fece dell'abbazia borgognona e del suo speciale legame con Roma un caso unico, non soltanto nell'ambito della storia monastica, ma di tutta l'Europa dei secoli centrali del medioevo. Il rapporto tra le due parti si strinse sempre più, con reciproci crescenti vantaggi; da un lato esso consentì a Cluny di raggiungere un livello di indipendenza, privilegio e potere senza uguali, dall'altro la presenza pontificia in regioni molto lontane dalla penisola, garantita dal legame con Cluny, fu un elemento che favorì la formazione del potere politico romano, come si vide a partire dall'XI secolo.

Anche se l'eccezionalità di Cluny si misura dunque, in larga parte, col senno di poi, è indubbio che le scelte iniziali furono decisive. La dotazione terriera originaria non era più rilevante delle donazioni ricevute da altre abbazie del tempo, beneficate da nobili dello stesso rango. L'enorme sviluppo, anche economico, di Cluny fu determinato quindi da altri fattori: il primo fra tutti, come ormai la storiografia ha unanimemente riconosciuto, fu il sistema di autonomia garantito dalla carta di fondazione, che sottraeva il nascente cenobio a ogni potere sulla terra, a ogni forma di signoria, compresa quella dei sovrani: parenti del duca, potestà terrene, la maestà regia, principi secolari, conti, vescovi, persino il pontefice della sede romana, a tutti si fece divieto di imporre il proprio giogo ai monaci, di invadere i loro beni, diminuirli, permutarli, darli in beneficio ad alcuno [1]. Il duca Guglielmo garantì la libera elezione dell'abate da parte dei monaci, anche se Bernone e i quattro abati che lo seguirono furono tutti designati dal predecessore. Le concessioni di immunità sempre più ampie, espressione del favore di cui godeva presso l'aristocrazia e le dinastie reali, sottrassero progressivamente all'autorità degli ufficiali pubblici laici porzioni sempre più estese di quell'impero monastico, mentre il privilegio di esenzione, concesso dal papato, tolse a un numero crescente di vescovi la possibilità di esercitare qualsiasi forma di sorveglianza.

Cluny, e poi anche le comunità da essa dipendenti o variamente collegate, vennero dunque sottratte alle autorità giurisdizionali ecclesiastiche e laiche, ma la libertà lasciò il giovane cenobio in balia di se stesso, o quantomeno lo costrinse a far conto esclusivamente sulle proprie risorse. Fu dunque una fortunata circostanza la serie di abati che si succedettero tra il 909 e il 1109; pochi uomini (cinque abati nell'arco di duecento anni) dotati di personalità e doti politiche e spirituali davvero fuori dal comune, che rimasero in carica per periodi eccezionalmente lunghi, lasciando la loro impronta non solo sul governo di Cluny, ma sull'intera vita religiosa del loro tempo. Tre soli abati, Maiolo, Odilone e Ugo, successori dei primi due, governarono Cluny dal 954 al 1109. L'attività di riforma di molte comunità, vecchie e nuove, a favore della stretta osservanza benedettina, condotta con grande energia da questi uomini, testimonia il favore di cui essi cominciarono a godere assai presto presso l'aristocrazia europea, che fece a gara nel collocare i propri monasteri privati sotto il controllo cluniacense. Evidentemente quei patroni erano convinti che il loro prestigio familiare sarebbe cresciuto se nelle proprie comunità si fosse seguito il rigoroso stile di vita monastica dei Cluniacensi, senza contare la protezione giuridica che derivava dall'aggregazione a un monastero esente. Da parte loro, gli abati intendevano la riforma non solo come imposizione ai monaci di una stretta osservanza della Regola, ma come rinnovamento che doveva salvare tutta la cristianità; a differenza di altri riformatori del tempo, essi dimostrarono una capacità del tutto fuori dal comune di attrazione e di coinvolgimento di coloro che non vivevano nel chiostro, cosa che moltiplicò i legami tra l'interno e l'esterno. La continua preghiera che si levava dai numerosi altari di Cluny, la fortissima accentuazione di una liturgia fastosa ed elaborata la posero come intermediaria tra il mondo degradato che si avvicinava alla fine e la Gerusalemme celeste di cui essa era figura, modello e aspirazione. Le stesse strutture materiali del monastero, a Cluny come altrove, in cui i monaci pregustavano le beatitudini della vita ultraterrena, erano una rappresentazione del paradiso terrestre: la fontana che si trovava di solito al centro del chiostro, dalla quale l'acqua si divideva in quattro corsi, rappresentava appunto il giardino dell'Eden con i suoi quattro fiumi, descritto nel libro della Genesi. Il culto dei santi, il suffragio per tutti i defunti (la festa di tutti i santi il 1 ° novembre, seguita dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti il 2 novembre, furono stabilite nel 998 dall'abate Odilone), l'abbondanza di canti e processioni solenni esprimevano l'idea forte di una comunità unita, nella preghiera corale, all'intera comunità dei credenti vivi e morti, una comunità perfetta nel suo splendore, rappresentazione terrena e anticipazione dello splendore della Corte degli angeli e dei santi, della Gerusalemme celeste.

Questo insieme di fattori e dinamiche fece di Cluny, già entro la metà del X secolo, il vertice di un gruppo di monasteri che partecipava delle sue consuetudini e, in parte, delle sue libertà: era il primo passo verso un sistema più saldo e strutturato, verso una vera e propria congregazione, la prima che l'Europa cristiana abbia visto, di dipendenze sempre più sottoposte al controllo centralizzato degli abati della casa madre. Si trattava del resto di un movimento diffuso di concentrazione e collegamento tra comunità in cerca di protezione dalle continue ingerenze o dalle vere e proprie spoliazioni da parte dei potenti locali. Queste comunità (o i loro protettori in loro vece) sceglievano di raggrupparsi intorno a un centro, un'abbazia particolarmente prestigiosa e potente, e si articolavano in raggruppamenti di case che aspiravano a sottrarsi ai poteri locali, cessando di essere centri autonomi sottoposti all'autorità giurisdizionale del vescovo diocesano; la strada percorsa per ottenere questo risultato era la richiesta di esenzione rivolta ai pontefici romani. Privilegi e consuetudini di vita comuni furono la base delle congregazioni che, proprio grazie ai loro privilegi e alla loro autorevolezza, attiravano sempre nuovi monasteri; il loro rafforzamento le poneva al centro delle questioni religiose e politiche più scottanti, ne faceva dei soggetti attivi e dinamici degli eventi. Cluny rappresentò il caso più clamoroso di questo movimento, e fu per così dire il motore primo di processi istituzionali che, tra XI e XII secolo, si moltiplicarono e si consolidarono: molti altri centri monastici, tra cui Camaldoli, San Vittore di Marsiglia, Vallombrosa, Citeaux, per citarne solo alcuni dei più influenti, sarebbero diventati il cuore di grandi congregazioni che estendevano la loro influenza e le loro consuetudini di vita in regioni molto lontane dal centro.

L'attività riformatrice di Cluny favorì i contatti con i poteri politici che andavano emergendo e definendosi nei loro equilibri proprio in quei decenni cruciali e pose l'abbazia al centro dei principali avvenimenti della scena europea. Il rapporto con Roma, coltivato, come si è detto, con grande cura, divenne operante assai precocemente, se già nel 930 l'abate Oddone fu invitato a riformare i monasteri romani. Oddone e i suoi successori furono attivissimi propagatori della riforma, fecero continui e ripetuti viaggi in ogni parte d'Europa, facendo crescere la fama del monastero e favorendo l'aggregazione di altre comunità, desiderose di unirsi all'ormai celebre cenobio abbracciandone le consuetudini. L'XI secolo, occupato dai lunghissimi abbaziati di Odilone (994-1048) e di Ugo (1049-1109), vide la fondazione borgognona partecipare attivamente sia al movimento di riforma della chiesa sia allo scontro tra impero e papato, tra potere spirituale e potere temporale, noto come lotta delle investiture. Odilone e Ugo furono amici e consiglieri di re e di papi. Grazie alla loro influenza, un numero crescente di monasteri in Francia, Spagna e Italia si aggregarono a Cluny spesso diventandone vere e proprie dipendenze, nel senso che l'abate di Cluny era abate anche di queste comunità. Odilone riuscì a ottenere dal papato un privilegio per cui nessun vescovo poteva celebrare messa o ordinare sacerdoti entro l'abbazia se non dietro esplicito invito dell'abate. Nel 1024 l'esenzione fu ampliata togliendo al vescovo di Mâcon ogni autorità giurisdizionale sul cenobio. Da quel momento Cluny godette a pieno titolo della romana libertas. Grazie a questo privilegio, più volte riconfermato in una lunga serie, Cluny e, progressivamente, tra XI e XII secolo, anche le sue dipendenze sparse per l'Europa furono sottratte dai pontefici all'autorità e al controllo dei rispettivi vescovi diocesani, per passare sotto la diretta ed esclusiva autorità di Roma; una serie di concessioni, sempre più estese nei contenuti e nella dimensione territoriale, che avrebbe fatto di questa «famiglia» di monasteri una vera e propria congregazione, una specie di «corpo separato» in seno alla struttura istituzionale diocesana. Anzi, la congregazione cluniacense si definì giuridicamente proprio come l'insieme delle comunità che godevano dell'esenzione concessa a Cluny. I suoi abati divennero dei reggitori dotati di larghissima autorità spirituale e giurisdizionale su un numero enorme di uomini: tutti i monaci, o buona parte di essi, che vivevano in comunità cluniacensi. La loro influenza sulla vita della chiesa e sulle vicende politiche del tempo crebbe proporzionalmente.

La congregazione si caratterizzò per l'accentuato verticismo della struttura istituzionale e per la centralizzazione del governo di tutte le dipendenze. Le comunità aggregate non erano abbazie autonome, cioè dotate di un proprio abate (condizione fondamentale, secondo la Regola di Benedetto, perché una comunità monastica possa dirsi appunto autonoma); al momento dell'aggregazione, nella maggioranza dei casi, erano ridotte al rango di priorati, comunità benedettine del tutto simili alle altre, a eccezione del fatto di essere dipendenti dall'unica abbazia madre. La differenza sostanziale tra Cluny e i suoi priorati è che la prima aveva un proprio abate eletto dai monaci, mentre i secondi avevano a capo un priore, che svolgeva le funzioni di abate, ma che, sempre in ottemperanza alla Regola, era nominato dall'abate di Cluny, e non eletto dalla comunità che guidava. I priorati erano sottoposti all'abbazia madre, integrati nel suo dominio. In questo modo era garantito il controllo sulle dipendenze e la coesione tra comunità sparse in tutta Europa. All'inizio del XII secolo, raggiunta la massima espansione, vi erano oltre 1.000 priorati cluniacensi, di cui circa 800 in Francia, gli altri in Inghilterra, Italia, Germania, penisola iberica, Terrasanta e altrove. Altri monasteri, in aggiunta ai priorati, si aggregarono stringendo legami meno vincolanti ma pur sempre diretti. Alcuni si limitarono ad adottare la riforma e le consuetudines, altri conservarono un proprio abate eletto dalla comunità, il quale però riceveva ordini e la visita di ispezione dell'abate di Cluny e prestava a quest'ultimo un giuramento di obbedienza.

A partire dal X secolo, terre e chiese, che insieme ai monasteri erano affluiti in quantità crescenti grazie alle numerosissime donazioni, entrarono a far parte di questo organismo, e finirono sotto l'amministrazione sempre più rigorosa e centralizzata dell'abate di Cluny. La capacità di concentrazione del potere nelle mani dell'abate contrastava con la crisi generale dell'ordinamento politico ben visibile in tutti i regni dell'Occidente, che vedeva affermarsi processi inversi, di polverizzazione piuttosto che di accentramento. Questo sistema unitario favorì un enorme afflusso di uomini e di ricchezze; la comunità passò dalla dozzina di monaci degli inizi agli oltre 100 dell'epoca di Maiala, per raggiungere i 400 alla morte dell'abate Ugo, nel 1109. Questa potenza ebbe una manifestazione visibile e tangibile in particolare nel grande sviluppo architettonico del complesso abbaziale e della chiesa, ampliata una prima volta verso la metà del X secolo e una seconda dal 1088. Questa cosiddetta «Cluny III», con una lunghezza complessiva di quasi 190 metri, cinque navate di 33 metri di altezza, sette torri, doppio transetto e numerose cappelle radiali, fu per oltre quattro secoli la più grande chiesa della cristianità, fino alla ricostruzione della basilica di San Pietro nel XVI secolo. I pochi ruderi sopravvissuti alla sistematica demolizione avvenuta durante la Rivoluzione francese e il primo ventennio del XIX secolo, tutt'ora visibili, danno un'idea abbastanza precisa dell'imponenza degli edifici e della potenza economica dispiegata nella loro costruzione. Tuttavia, la complessità istituzionale e l'ampiezza della congregazione - e, non da ultimo, le spese enormi del cantiere di Cluny III - suscitarono, dalla fine dell'XI secolo, vere e proprie crisi di crescita, che si manifestarono in una serie di difficoltà finanziarie sempre più gravi, nonostante il patrimonio cluniacense fosse divenuto immenso.

Il ruolo di Cluny nelle cruciali vicende dell'XI secolo è un ennesimo indizio della sua rilevanza nella società del tempo. L'intera società fu in quei decenni attraversata in tutte le sue componenti, laiche ed ecclesiastiche, da un'istanza profonda di rinnovamento morale e istituzionale della chiesa e dei suoi membri. È importante ricordare che, se il movimento di riforma non fu certo affare di una parte soltanto della società, quella ecclesiastica, come sarebbe ovvio pensare, ma invece coinvolse direttamente tanto le gerarchie ecclesiastiche quanto il laicato, persino quello non appartenente ai gruppi dirigenti (basti pensare alla Pataria); ciononostante, le prime istanze di rinnovamento si manifestarono in ambienti monastici, che sostenevano la necessità di una trasformazione di tutta la chiesa secondo il modello e lo stile di comportamento monastico. Come si spiega questa assoluta preminenza culturale del monachesimo? La riflessione teologica e culturale condotta nei monasteri aveva disegnato uno schema di società che doveva ricalcare, nella sua struttura, le forme organizzative tipiche del cenobio. Questo diventava la società perfetta, vera e propria cittadella che sola poteva offrire rifugio contro la serie irrazionale di miserie, violenze e catastrofi che travagliavano il mondo. L'idea che solo il monastero potesse offrire la salvezza dava fondamento e giustificazione alla pretesa preminenza del monaco in tutti gli ambiti della vita associata. Lo schema tripartito della società di tradizione carolingia - oratores, bellatores, laboratores (quelli che pregano, quelli che combattono, quelli che lavorano) - era stato rielaborato in ambiente monastico secondo una gerarchia dei meriti individuali che poneva al vertice i monaci. Alla fine del X secolo, l'abate di Saint-Bênoit-sur-Loire, Abbone di Fleury, prefigurava una diversa remunerazione dei fedeli nell'aldilà in base al loro stato durante la vita: 100 ai monaci, 60 agli ecclesiastici, 30 ai laici. Era evidente ed esplicita la profonda svalutazione di qualsiasi forma di vita diversa da quella monastica, che non avesse dunque come proprio carattere specifico la castità, virtù appunto tipicamente monastica.

Tutto ciò spiega la centralità del monachesimo, e di alcuni settori in particolare, nel movimento di riforma della chiesa dell'XI secolo. Cluny fu uno dei protagonisti in questo movimento, soprattutto fino all'avvento sul trono papale di Gregorio VII, nel 1075. All'abbazia borgognona appartennero molti personaggi di spicco del partito che sosteneva il rinnovamento della chiesa e delle sue gerarchie, diversi dei quali divennero poi vescovi. Da Cluny proveniva il papa che più si impegnò, dopo Gregorio VII, nell'applicazione dei principi riformatori, Urbano II. Del resto, nei decenni decisivi della lotta per la riforma, di sei papi, da Gregorio VII (1073 -85) a Callisto II (1119-24), solo quest'ultimo non era stato in precedenza monaco.

Tuttavia, il ruolo di Cluny come motore del rinnovamento non fu esclusivo e cominciò a esaurirsi proprio nella fase di maggior asprezza dello scontro, all'aprirsi della lotta per le investiture. Cluny mostrò, in questa fase, un atteggiamento quantomeno prudente, se non proprio conservatore, che si spiega considerando la complessa rete di relazioni in cui era inserita, i rapporti di reciproco aiuto intrattenuti tanto con il papato quanto con i laici potenti. Cluny si era servita largamente in passato, e continuava a farlo nell'XI secolo, di pratiche che ora, nel clima nuovo, venivano aspramente criticate dal partito riformatore come fattori di disordine istituzionale e di corruzione morale. La grande abbazia possedeva moltissime chiese private, considerate causa della decadenza morale del clero, godeva della protezione di imperatori e signori feudali, si serviva dei laici come di uno strumento della propria politica di espansione. Nel momento dello scontro più violento, quando l'imperatore Enrico IV, nelle vesti di penitente, dovette invocare il perdono del papa a Canossa, l'abate Ugo, anch'egli presente a Canossa, che dell'imperatore era padrino di battesimo, tenne una posizione conciliante, senza schierarsi apertamente a favore di Gregorio.

La riserva di Cluny circa la politica pontificia si spiegava considerando la diversa interpretazione di quello speciale vincolo con Roma, su cui si fondava in buona misura la potenza cluniacense: l'esenzione. Questo privilegio, che secondo il papa avrebbe dovuto sottoporre l'abate alle sue decisioni anche in materia politica, facendone un alleato fedele e acritico contro tutte le forze antiriformatrici allora presenti, era invece intesa da Ugo come una garanzia di libertà e indipendenza che lo metteva al riparo dall'obbligo di ubbidire a qualsiasi autorità, laica e religiosa, compreso il papa. In sostanza, Cluny non voleva essere considerata e utilizzata come un mero strumento di pressione nelle mani di Roma, cosa che ne avrebbe largamente intaccato l'autonomia e il prestigio universale di cui godeva. D'altro canto, nuove tendenze spirituali e nuove concezioni ecclesiologiche misero in discussione il monachesimo tradizionale, anche se riformato, come era quello cluniacense. Proprio verso la fine dell'XI secolo, mentre era all'apice della potenza, nuovi protagonisti sorti nel medesimo ambiente cominciarono a mettere in discussione il suo prestigio, mentre si definiva con sempre maggior chiarezza il primato romano a fondamento di tutta l'opera di riforma.

 


[1] Una traduzione in italiano della carta di fondazione si trova in G.M. Cantarella, I monaci di Cluny, Torino, 1993.

 


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23 febbraio 2025  a cura di Alberto "da Cormano"       Grazie dei suggerimenti          alberto@ora-et-labora.net