EUGIPPIO: VITA ED OPERE
Di Rajko Bratoz - "Dizionario Biografico
degli Italiani"- Ed. Treccani - Volume 43 (1993)
EUGIPPIO.
- Presbyter (abate)
del monastero di S. Severino in
castro Lucullano presso Napoli, nacque intorno al 460 o - al più
tardi - intorno al 467 nel Noricum
Ripense o nella Raetia
Secunda, le regioni dell'antico Impero romano corrispondenti
all'attuale Austria danubiana e all'attuale Baviera orientale. Ancora molto
giovane, entrò a far parte della Congregazione monastica fondata e guidata nel
Norico da s. Severino. Non doveva avere, allora, più di 14 anni: "ab ineunte
aetate" si legge infatti a proposito del suo ingresso in religione in un passo -
peraltro attestato solo da una parte della tradizione manoscritta - della
lettera con cui, agli inizi del secondo decennio del sec. VI, egli accompagnò
gli appunti - Indicia
o Commemoratorium vitae sancti Severini - da lui inviati al diacono
romano Pascasio, perché servissero a quest'ultimo come base per una biografia
del santo del Norico. Eugippio compì i primi passi nella vita di religioso sotto la
guida spirituale del santo e alla luce del suo esempio. Della edificante morte
del maestro, avvenuta l'8 genn. 482 nel monastero di Favianis (oggi
Mautern tra Tulln e Lorch), Eugippio, giovanissimo, fu con ogni probabilità testimone
oculare, come sembra doversi dedurre dalle parole con cui egli stesso nel Commemoratorium registra
la data e le circostanze dell'avvenimento. Infatti nel cap. 43 dell'opuscolo
egli, dopo aver riferito che il morente, esortati i monaci presenti ad unirsi a
lui nel canto del salmo 150, aveva lui stesso intonato il sacro inno di
ringraziamento e di lode, così prosegue: "Sexto itaque Iduum Ianuariarum die hoc
versiculo nobis vix respondentibus quievit in Domino" (la variante "nostris vix
respondentibus", attestata da tutta una classe della tradizione manoscritta, non
indicherebbe, da parte dell'autore, la visione e la conoscenza diretta del
fatto).
Nel 488, quando i Rugi, riprese le loro scorrerie, dopo la morte di s. Severino
vennero gravemente sconfitti da Odoacre, questi diede l'ordine di far evacuare
la regione per portarne in salvo, a Sud delle Alpi, la popolazione - "Onoulfus
vero, praecepto fratris [scil. Odovacar regis] admonitus, universos iussit ad
Italiam migrare Romanos", specifica Eugippio nel cap. 44 del Commemoratorium -,
e anche i monaci della comunità di Favianis,
di cui era allora presbyter un
certo Lucillo, si posero in cammino con gli altri profughi.
Prima di abbandonare per sempre il cenobio di Favianis,
però, "duni universi per comitem Pierium compellerentur exire", Lucillo,
"praemissa cum monachis vespere psalmodia", fece - a quanto riferisce Eugippio (ibid.)
– aprire la tomba di s. Severino e, trattone fuori il corpo del fondatore della
congregazione, lo fece deporre "in loculo multo ante iam tempore praeparato",
che venne sistemato, con la massima venerazione, in un carro solennemente
addobbato, trainato da cavalli. In tal modo le spoglie mortali del santo del
Norico vennero portate, "multis emensis regionibus" (o "mulsemensis [?]
regionis"), in Italia.
Di sicuro Eugippio fu testimone dell'esumazione dei resti di s. Severino e della sua
deposizione nel carro, con cui furono traslati dal cenobio di Favianis. Di
sicuro partecipò, insieme con la sua comunità, all'esodo dal Norico di buona
parte della popolazione romanizzata: "cunctis nobiscum provincialibus idern iter
agentibus..., oppidis super ripani Danuvii derelictis", ricorda infatti egli nel
Commemoratorium (cap. 44,7). Con i suoi confratelli e col sacro pegno che essi
trasportavano, superò le Alpi, attraversò la pianura padana e giunse sino al
"castelluni nomine Monteni Feletrem", l'odierno San Leo nella valle della
Marecchia, in provincia di Pesaro e Urbino, dove lui ed i suoi compagni si
fermarono. Lì, con ogni probabilità ed in data a noi ignota, morì Lucillo, il presbyter che
li aveva guidati nella difficile marcia verso l'esilio.
La sosta a San Leo, anche se durò diversi anni, doveva essere stata considerata
solamente provvisoria, come sembra dimostrare il fatto che le spoglie di s.
Severino non ebbero per il momento una definitiva e degna collocazione. Secondo
quanto afferma Eugippio, infatti, proprio perché aveva saputo che il "corpusculuni
sancti in Italiam multo labore perductum et usque ad illud tempus terrae
nullatenus commendatum [essel", la "illustris femina" Barbaria, una devota del
santo, "litteris frequentibus" invitò il "venerabilem presbyterum nostrum
Marcianum sed et cunctam congregationem" a stabilirsi presso Napoli, nel castrum
Lucullanum sul monte Echia, l'odierno Pizzofalcone (Commemoratorium,
cap. 46,2).
Con i suoi confratelli Eugippio riprese la marcia verso il Sud quando, durante il
pontificato di Gelasio I (1° marzo 492-21 nov. 496), il nuovo presbyter Marciano,
accogliendo infine l'invito della pia Barbaria, condusse la congregazione di s.
Severino sino al castrum
Lucullanum, dove le dette una nuova e definitiva sede e dove le
spoglie mortali del santo fondatore trovarono finalmente riposo. Riferisce
infatti Eugippio (Commemoratorium,
cap. 46) che esse, col consenso del papa, nel corso di una solenne celebrazione,
"Neapolitano populo exequiis reverentibus occurrente", vennero col massimo
decoro deposte dal vescovo della vicina città partenopea, Vittore, in un
mausoleo fatto costruire dalla stessa Barbaria.
Il nuovo cenobio divenne ben presto famoso non solo come modello di fervida vita
spirituale, ma si affermò anche, grazie alla sua biblioteca e al suo scriptorium,
come attivo e prestigioso centro di promozione e di irradiazione culturale.
Negli anni successivi Eugippio passò probabilmente un certo periodo di tempo fuori dal
monastero del castrum
Lucullanum: come risulta infatti da quanto scrive nella Epistola
ad Probam virginem, egli compose la sua opera più vasta, gli Excerpta
ex operibus s. Augustini,
su esortazione di un abate Marino e di altri pii confratelli. Poiché sappiamo
che un abate di nome Marino resse tra il 500 ed il 510 il monastero fondato da
s. Onorato nell'isola di Lerina (od.
Saint-Honorat, la seconda per estensione delle Îles de Lérins, presso la Costa
Azzurra, davanti a Cannes), è ipotesi plausibile che in lui sia da identificare
l'omonimo abate, da cui Eugippio fu indotto a scrivere gli Excerpta,
e che presso il suo monastero, durante il suo governo, lo stesso Eugippio si sia
trattenuto per qualche tempo. Rientrato nel cenobio del castrum
Lucullanum, venne eletto, probabilmente dopo la scomparsa di
Marciano, presbyter
della sua congregazione: nelle fonti egli appare così indicato solo a partire
dal 511, anche se probabilmente aveva già assunto quella carica nel 509, quando
si accingeva a scrivere il Commemoratorium
vitae s. Severini,
come si desume dalla parte iniziale della lettera da lui indirizzata al diacono
romano Pascasio.
Resse il monastero sino alla morte, avvenuta in epoca a noi ignota, ma che deve
comunque collocarsi tra il 532 ed il 543. Era infatti vivo quando il diacono e
scrittore africano Ferrando gli inviò la sua Epistola
dogmatica, composta subito dopo la scomparsa del suo maestro, il
vescovo di Ruspe Fulgenzio, avvenuta il 1° genn. 532; ma era già morto nel 543,
anno intorno a cui fu composto il De
institutione divinarum litterarum, in cui Cassiodoro lo ricorda come
scomparso da tempo.
Come presbyter del
monastero di S. Severino nel castrum
Lucullanum Eugippio fu attivamente impegnato nel campo letterario, in
quello organizzativo e nell'opera di mentore; la sua produzione ed i suoi legami
sono indicativi anche delle sue scelte politiche. La produzione letteraria
eugippiana comprende:
Il Commemoratorium
vitae s. Severini:
una biografia del maestro e modello della congregazione dall'arrivo di
quest'ultimo nel Norico, press'a poco fra il 456 e il 467 (tale evento è datato
dagli studiosi con scarti di circa un decennio), sino alla sua morte nel 482. La
biografia è completata dalla narrazione dei drammatici eventi del 488 e del
trasferimento della congregazione da Favianis al castrum
Lucullanum avvenuti negli anni tra il 492 ed il 496.
È l'opera eugippiana più importante e la principale fonte per la conoscenza
della personalità di s. Severino, nonché per lo studio delle condizioni di
difesa, sociali, economiche e religiose quali erano nel Norico Ripense e in
parte della Rezia Seconda e del Norico Mediterraneo nel periodo in questione:
condizioni determinate dal progressivo decadimento dell'autorità imperiale,
specie per le sempre più frequenti invasioni e devastazioni barbariche, dai
mutamenti provocati dalla presa di potere in Italia da parte di Odoacre; dalle
relazioni con le genti germaniche vicine, in primo luogo con i Rugi e gli
Alemanni, ma anche con gli Ostrogoti, gli Eruli e i Turingi; dal definitivo
esodo di gran parte della popolazione del Norico Ripense verso l'Italia, esodo
non solo dovuto a fattori politici e diplomatici e conforme ai desideri e alle
previsioni di s. Severino fatte prima della sua morte, ma in ultima analisi
conseguente ai rapporti fra Odoacre, Bisanzio e gli Ostrogoti, rapporti in cui i
Romani del Norico Ripense e i Rugi svolsero un ruolo sostanzialmente
subordinato.
Lo scritto fu portato a termine due anni dopo il consolato di Importuno (509),
dunque intorno al 511, tre decenni dopo la morte di s. Severino e meno di due
decenni dopo il trasferimento nel monastero di Lucullano, quando il ricordo del
maestro e della vecchia patria dovevano essere relativamente affidabili. L'opera
è redatta in una lingua elegante e concisa - "brevi stilo", scrive Isidoro di
Siviglia - e, malgrado l'estrema modestia e la poca stima che l'autore mostra di
avere nei confronti delle proprie capacità letterarie (Epist. ad
Paschasium, 4; cfr. anche Epist. ad
Probam virg.), è caratterizzata da un dettato che padroneggia la
retorica ed i suoi vari accorgimenti stilistici (cursus,
etopea, tropologia, ecc.). Nella lingua, nello stile e nella composizione è
evidente un forte influsso della Bibbia.
Il testo fu nell'alto Medioevo assai noto in Italia come risulta dagli Excerpta
Valesiana, da Paolo Diacono, da scrittori e cronisti di area
napoletana, come Giovanni Diacono che nel proemio della Translatio
s. Severini parla
di "vita eius [sc. Severini] et virtutes signorum, quas iam ab olim per totum
orbem libellus solertissimi dispersit Eugippii". Lo fu, a partire dal sec. X,
anche in Baviera e in Austria.
La questione dell'attendibilità di quest'opera quale fonte storica ed
agiografica ha portato nell'ultimo ventennio a una serie di controversi giudizi
circa la personalità dello stesso s. Severino.
Gli Excerpta
ex operibus s. Augustini (con
la lettera dedicatoria "ad Probam virginem"), pubblicati da P. Knöll in Corpus
script. eccl. Lat.,
IX, 1, Vindobonae 1885 (nuova edizione prevista in Corpus
Christ., Ser. Lat.,
58), sono un'ampia compilazione di estratti dalle opere di s. Agostino. Era
articolata in 338 capitoli, secondo quanto afferma Cassiodoro e secondo quanto
appare nei manoscritti più antichi, ma nei manoscritti più recenti e nella
citata edizione del Knöll risulta invece distribuita in 348 capitoli. L'opera fu
redatta nell'intento di compendiare in un solo codice sinottico il nucleo della
vastissima opera di s. Agostino onde rendere accessibile il grande pensatore
anche a quanti non disponevano di ricche biblioteche, come scrive lo stesso Eugippio
nella Epistola
ad Probam virginem. Tale intento fu evidentemente raggiunto, se
Cassiodoro assai apprezzava gli Excerpta e
li raccomandava per la lettura; se due secoli dopo li utilizzava Beda il
Venerabile; e se ancora quattro secoli più tardi Notkero Balbulo ne parlava come
di "utilissimurn et valde necessariuni volumen".
L'opera presenta una sintesi della vita cristiana secondo s. Agostino. Il tema
più importante è quello della carità. Risultato supplementare del lavoro di
compendio delle opere agostiniane può considerarsi il sommario eugippiano al
commento del De
genesi ad litteram dello stesso Agostino, conservatoci da tre
manoscritti, rispettivamente dei secc. VI, VIII e VIII-IX, provenienti dal
monastero di Lucullano.
La Regula,
destinata - secondo quanto scrive Isidoro di Siviglia - ai monaci di Lucullano e
conservataci da un solo manoscritto, il cod. Paris. lat. 12634E della
Bibl. nationale di Parigi, proveniente dall'Italia meridionale e databile
attorno al 600. Identificata in maniera definitiva appena vent'anni or sono, fu
pubblicata nel 1976 da F. Villegas e da A. de Vogüé in Corpus
script. eccl. Lat.,
LXXXVII, Vindobonae 1976.
Eugippio scrisse la Regula verso la fine della vita: Isidoro riferisce che l'aveva lasciata ai monaci "moriens quasi testamentario iure". I due editori (pp. XVI s.) la collocano negli anni fra il 530 e il 535. Dal punto di vista contenutistico, si tratta di un centone ispirato a tutta una serie di regole monastiche di origine orientale e occidentale: riporta infatti, nella versione integrale, la Regula di Agostino; 41 riassunti delle Regole di Basilio, delle Institutiones di Cassiano e la cosiddetta Regula Magistri. Evidenti sono certe affinità fra la Regula di Eugippio, i suggerimenti orali e la prassi monastica dei cenobi fondati da s. Severino nel Norico; pur tuttavia è difficile giudicare il grado di dipendenza di Eugippio dagli esempi del maestro.
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24 novembre 2018
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net