Eucherius Lugdunensis

Sententia ad monachos

Eucherio di Lione

Sentenze per i monaci

Patrologia Latina, Vol. 50 - J. P. Migne 1846

Auctor incertus 

(Tradotto da "Patrologia Latina", Vol. 50, Paris, J. P. Migne 1846)

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[1207C] In hunc fere modum artifex mundi Deus cum caetera animalia prona in humum fingi jusserit, solum hominem rectum sublimemque factum habitudine ipse corporis ad contemplationem sui provocavit. Hunc non intellexisse, laesisse est. Intelligimus autem, si observantiam mandatis ejus afferamus. Maxima vero mandata haec sunt: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota mente tua, et ex tota anima tua (Deut. VI, 5; Matth. XXII, 37). Intolerandum, quaeso, aliquid aut ingratum praecipitur? Diligi se a nobis jubet, cujus donum est, quae in nobis, quaeque intra nos nostra sunt. Hic immortalitatem tribuit; hic eamdem decepto reparavit; hic nobis constituens legem; hic prophetas emisit; hic postremo propter nos unicum Filium suum a coelo descendere, nasci, attrectari, mori passus est. Nonne hic diligi se, si non admoneat praeceptis, cogit beneficiis: Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi (Ps. CXV, 12)? Ut diligam eum ex toto corde meo, et ex tota mente mea, et ex tota anima mea. Sequens mandatum est: Diliges proximum tuum sicut teipsum (Levit. XIX, 18; Matth. XXII, 39). Ad hujus vero mandati obedientiam non tam praecepto, sed natura ducimur.

[1207c] Dio, artefice del mondo, mentre stabilì di modellare tutti gli altri animali chini sulla terra, fece solo l'uomo eretto e sublime, stimolandolo alla sua contemplazione grazie alla stessa conformazione del corpo.  Non apprezzare (Dio) significa offenderlo. Lo apprezziamo se gli offriamo l'osservanza dei suoi comandamenti. I più importanti di questi comandamenti sono: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" (Dt 6, 5; Mt 22,37). Per amor del cielo! Ti viene forse comandato qualcosa di intollerabile o di ingrato? Ci ordina di amarlo con i doni che ci ha fatto, con ciò che è in noi e con ciò che è nel nostro profondo. Costui dà l'immortalità; Costui l'ha rinnovata (all'uomo) ingannato; Costui costituì una legge; Costui ha inviato i profeti; Costui, infine, ha permesso che il suo Figlio unigenito scendesse dal cielo, nascesse, soffrisse, morisse. Non è forse vero che l'amore per Lui, se non ce lo rammenta con i comandamenti, ce lo induce coi benefici? "Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?" (Sal 116(115), 12), al fine di amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l'anima. In seguito ci fu comandato: "Ama il tuo prossimo come te stesso" (Lv 19,18; Mt 22,39). Certamente siamo indotti ad obbedire a questo ordine non tanto perché ci è stato comandato, ma per natura.

Quid enim tam commune cunctis, quam diligere proximum? aut quid tam proprium humano generi, quam haec quae etiam ex nomine ipso tracta est humanitas? Nam quid aliud magis quam hic affectus nos a belluis discernit? Ita non reservata charitate, feritas est. Et tamen non in hac, ut in plerisque rebus, beneficium tantum damus, sed mutuas connexae charitatis vices, fructum ejus non magis praestamus quam capimus. Namque dum proximum amamus, ut a proximo amemur necesse est. Diligamus ergo omnes eum ex toto corde nostro, qui legem sancit, ut mutuo nosmetipsos diligamus. Reliqua mandatorum Domini his praeceptis continentur. Namque ista hujusmodi sunt, ut si quis ea tantum custodiat, omnia implet. Atque haec etiam ante adventum Dei Salvatorisque nostri servata sunt. Nobis vero recentioribus insuper praeceptis, et Christo, cujus sumus, inhaerendum est dicente Apostolo: Nostri enim non sumus, et non estis vestri; empti enim estis pretio magno: glorificate et portate Deum in corpore vestro (I Cor. VI, 20). Dedit nobis pretium, id est, qui et pretium est; ut jam non nostrae, sed voluntati pareamus suae. Hinc itaque Redemptor noster ad electos suos loquitur: Vos de hoc mundo non estis (Joan. XV, 19). Hinc et ille: Exite de medio eorum et separamini (II Cor. VI, 17); cujus voces assecuti, secedentesque, velut post tergum cum vitiis suis mundum reliquimus. Quod ergo secessionis hujus erit pretium, ipse Dominus noster Jesus Christus indicat dicens: Si quis venit ad me, abneget semetipsum, et tollat crucem suam, et sequatur me (Matth. XVI, 24).

Che cosa, infatti, è comune a tutti, quanto l'amore per il prossimo? O che cosa è così peculiare al genere umano, quanto quei sentimenti (d'amore) dal cui stesso nome è stata anche fatta derivare l'umanità? [1] In realtà, che cos'altro ci differenzia dagli animali più di questa disposizione? Infatti, la ferocia non è mantenuta in vita dalla carità. E tuttavia non è in essa, come nella maggior parte delle cose in cui soltanto offriamo dei benefici, ma è nel mutuo scambio ininterrotto di carità che noi riceviamo più frutto di quanto ne offriamo. Amiamo, dunque, il prossimo, perché è necessario essere amati dal prossimo. Perciò amiamo tutti con tutto il nostro cuore Colui che ci impone la legge di amarci gli uni gli altri. Tutti gli altri comandamenti del Signore sono contenuti in questi precetti. Infatti, sono fatti in modo tale che se custodiamo solo quelli, adempiamo a tutti (gli altri). Inoltre, sono osservati anche da prima della venuta di Dio nostro Salvatore. Ma noi dobbiamo aderire, oltre che ai più recenti comandamenti, anche a Cristo, a cui apparteniamo, come dice l'Apostolo: "Noi non apparteniamo a noi stessi e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (1 Cor 6,20). Egli ci ha dato il prezzo, ovvero (ci ha donato lui stesso) che è il prezzo; in modo tale che ci conformassimo non più alla nostra, ma alla sua volontà. Di conseguenza il nostro Redentore ai suoi eletti parla così: "Voi non siete di questo mondo" (Gv 15,19). Ed ancora il Signore (ci dice): "Perciò uscite di mezzo a loro e separatevi" (2 Cor 6, 17.); seguendo la sua voce e appartandoci, abbiamo lasciato alle spalle il mondo coi suoi vizi. Quale, dunque, sarà la ricompensa di questa separazione ce lo indica lo stesso nostro Signore Gesù Cristo dicendo: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).


[1] Probabilmente l'autore si riferisce al fatto che san Girolamo, traducendo il Nuovo Testamento greco in lingua latina, ha reso l'espressione greca filantropia (philanthrōpia) di Dio, contenuta nella lettera di san Paolo a Tito, con humanitas Dei. Come se per descrivere la benevolenza, l’amabilità, l’affabilità di Dio, non se ne metta in risalto la divinità, ma l’umanità. Quasi a dire: il nostro Dio, il Dio di Gesù, è «umano».

Questo è il testo della lettera a Tito, cap.3,4 (Bibbia C.E.I.):

"Quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini", ("cum autem benignitas et humanitas apparuit salvatoris nostri Dei").

Portemus ergo crucem nostram, carnis desideriis, id est, vitiis repugnantes, voluptatibusque ejus pravis nihil indulgendo. Crucifixit corpus qui non vivit corpori. Hujus igitur curam ne feceritis in desideriis (Rom. XIII, 4); quia non minus per illecebras suas infestum est nobis et adversum, quam ille princeps aeris hujus indefessus hostis noster, qui retrahere nos a coelorum nitendi regno contendi. Denique haec ipsa illi ad decipiendum hominem saepe machina est. Et revera cum ipsi nos in anima simus constituti, extrinsecus sit corpus; ideo a Deo, ut hic ibi datum est, hic interim dum ille resurrectionis dies venerit, relinquendum est. Dubiumne est magis nos custodire debere quod est proprium, quam quod externum nobis est? Nobis potius consulamus quam corpori, quod plane non minus quam divitiae ac reliqua, quae quondam nostra diximus, deserendum? Mortificemus enim membra nostra, ut vivamus vita, quae hanc non tam vitam quam pretium vitae esse probat. Non nunc quidem primo de turbidi saeculi coeno emergimus. Cui tempori quippe apud haec praeceptorum ars videri potest. Inculcandum tamen nobis est, vana hujus mundi gaudia, vana illa omnia, quae semper volentes invitosque amisit, pie nos quod mortalitati debent Deo reddere. Angusti abjectique est animi, qui non spes suas ultra hoc saeculum porrigit. Quapropter in futura nos extendentes facultatum et voluptatum praeteritarum obliviscamur. Lot beati conjux testis in aeternum manet, respicientem retrorsum evadere ad superiora non posse (Gen. XIX). Quid negotii est converti ad ea quae semel spreveris? quamquam si consideremus, et ne vel hinc vanae sit locus gloriae, non sprevimus ea neque abjectimus; sed fenore majore commutavimus.

Noi, quindi, porteremo la nostra croce combattendo i desideri della carne, cioè i vizi, e non concedendo nulla ai perversi piaceri. Chi non vive per il corpo crocifigge il corpo. Pertanto: "non lasciatevi prendere dai desideri della carne" (Rom. 13,14); poiché (il corpo) è pericoloso e ci è ostile per le sue lusinghe, non meno di quel principe (delle Potenze) dell’aria (Cfr. Ef 2,2), il nostro indefesso nemico, che si sforza di allontanarci dallo splendore del regno dei cieli. Infine, queste stesse cose (corporali) sono spesso un suo stratagemma per ingannare l'uomo. Ed effettivamente, essendo stati proprio noi costituiti di anima, il corpo è posto all'esterno di proposito; perciò, come ci è stato donato qui (sulla terra) da Dio, così qui deve essere lasciato per il momento, finché non giungerà il giorno della resurrezione. Mettiamo forse in dubbio il fatto che dobbiamo custodire di più ciò che ci appartiene rispetto a ciò che è esterno a noi? Noi dobbiamo prenderci cura più della nostra interiorità che non del corpo, che sicuramente dovremo abbandonare, così come le ricchezze ed altre cose del genere che un tempo dicevamo essere nostre. Mortifichiamo le nostre membra, affinché viviamo la vita, perché ciò è dimostrato essere utile non tanto alla vita, quanto per la ricompensa della vita. Certamente non siamo ancora usciti dal fango del torbido secolo. Senza dubbio, a causa di ciò, si può considerare di questa epoca la disciplina delle regole. Tuttavia, dobbiamo calpestare le vane gioie di questo mondo e tutte quelle vuote cose che ci hanno allontanato (dalla vita), sia di proposito che forzatamente, noi che devotamente dobbiamo rendere a Dio la mortalità. Colui che non estende la sua speranza al di là di questo mondo è (una persona) di animo meschino ed abietto. Quindi, proiettandoci verso le cose future, dimentichiamo le nostre ricchezze ed i nostri piaceri del passato. La moglie del beato Lot rimane a testimoniare in eterno che non si può ascendere alle cose superiori guardando all'indietro (Gen 19). Che bisogno c'è di rivolgere l'attenzione a ciò che abbiamo disprezzato una volta per tutte? Però, se facciamo in modo che neanche il monastero diventi il luogo della vana gloria, non disprezziamo queste cose e neanche le trascuriamo; ma le scambiamo in un migliore profitto.

Contempseramus sane quae reliquimus, si ob hoc coelum coeli non speraremus. Nec tamen ea ipsa, quae reliquimus nostra sunt; nam cum ipsi nos simus ejus a quo instituti videmur; agnoscendum est ejus esse quae reliquimus et quae desideramus. His igitur apud animum oblitteratis quae jam repudiata sunt, sectemur justitiam, benevolentiam, pietatem, mansuetudinem, fidem, charitatem. Custodiamus thesaurum, quem Christi pauperes gerunt, et in vasis fictilibus depositum teneamus. Firmis est insistendum vestigiis, quia quod scandimus iter lubricum est, et quo difficilius carere delicto potest, in hoc esse debet major custodia. Sed ne dubietas in laboris fideique hujus spe sit, audiamus quae justis injustisque merces maneat. Qui credit in me habet vitam aeternam, ait Dominus (Joan. VIII, 24). Quis ergo credentibus vel timentibus Deum finis est, quibus aeterna vita erit finis? At econtrario praeceptis Domini non obtemperantibus quis denuntiator exitus? Discedite a me, maledicti, ait Dominus, in ignem aeternum, qui praeparatus est diabolo et angelis suis (Matth. XXV, 41). Videtis qui utrumque meritum terminus consequatur. Si ex hac quae promittitur, vel poena vel gloria, una tantum res nobis remota, alia denuntiaretur infinita; sic quoque incitamenta ad bene vivendum proponi putarem. Nunc vero an illud magis refugiendum sit, an istud magis ambiendum, cum hinc magna sint supplicia, hinc magna sint praemia? Et tamen etiam si merita nostra retributio digna non sequeretur, quid fieri rectius ab homine possit, quam indultam vitam caste ac pie vivere; sanctitatemque ejus, cujus imaginem gestaret, aemulari? Adde quod per ineffabilem Domini nostri misericordiam ad beatam vitam minis praemiisque etiam sollicitamur.

Senza dubbio noi abbiamo dato poca importanza alle cose che abbiamo abbandonato, poiché in cambio di ciò abbiamo sperato nel Cielo dei Cieli (Cfr. Dt 10,14). Né, tuttavia, le stesse cose che abbiamo lasciato sono nostre; poiché, infatti, noi stessi apparteniamo a Colui che è considerato il nostro fondatore; dobbiamo riconoscere che ciò che lasciamo e ciò che desideriamo appartiene a Lui. Dopo aver cancellato dall'animo queste cose che già abbiamo ripudiato, desideriamo la giustizia, la benevolenza, la pietà, la mitezza, la fede e la carità. Custodiamo il tesoro che tengono con sé i poveri di Cristo e teniamo il deposito in vasi di creta (Cfr. 2 Cor 4,7). Dobbiamo calcare orme sicure poiché ciò che scaliamo è un percorso scivoloso e, dato che è più difficile tenersi lontani dalla colpa, in questo (percorso) ci deve essere una più forte sorveglianza. Ma, affinché non sussista alcun dubbio riguardo alla speranza (racchiusa) nella fatica e nella fede di questo (percorso), abbiamo ascoltato che la ricompensa attende i giusti e gli ingiusti. Chi crede in me ha la vita eterna, dice il Signore (Gv 6,47). Quale termine c'è per coloro che credono e temono Dio, per i quali la morte sarà la vita eterna? Al contrario per coloro che non ottemperano ai precetti del Signore quale fine è preannunciata? Via, lontano da me, maledetti, dice il Signore, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41). Vedete chi ottiene alla fine una delle due ricompense. Se tra queste cose che sono promesse, sia la condanna che la gloria, soltanto la prima di queste ci è estranea, l'altra è preannunciata infinita; così ho valutato di esporre anche delle esortazioni a vivere bene. Ma, in verità, è la prima più da rifuggire, oppure è la seconda più da desiderare, poiché mentre da una parte grandi sono le pene, dall'altra parte grandi sono i premi? Tuttavia, anche se i nostri meriti non saranno seguiti da una degna ricompensa, cosa può fare l'uomo di più retto che vivere una casta e santa vita; ed emulare la santità di Colui del quale è l'immagine? Oltre a questo, grazie all'ineffabile misericordia del Signore, noi siamo anche incitati alla vita beata con minacce e ricompense.

 

O quam pulchra illa, spretis fideliter saeculi hujus rebus, adveniet post Domini in vos fidelis remuneratio, cum in illa coruscanti sede gloriae, sanctorum choris mixti verum Dei Filium Agnum sequemur; pariterque in hac vita Christo consepulti, in illa pariter exsultantes regnabimus! Indignae sunt passiones hujus temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Atque idcirco ut hujus gloriae non expertes simus, vitae hujus voluptate non capiamur. Vita enim nostra abscondita est in coelo. Nihil in hoc mundo speremus. Spes enim quae videtur non est spes. Nec multitudinis refugiamus exemplo: Multi enim sunt vocati, pauci vero electi (Matth. XXII, 14). Nec inchoato studio lassemur; non enim qui coepti, sed qui perseveraverit salvus erit (Marc. X, 12). Gulae, libidinis, avaritae, irae, vanitatis, superbiae, una est debellatrix [1210C] tot criminum continentia: cujus optimus erit custos timor, si meminerimus in conspectu Domini nos semper sitos. Gaudium ac tristitiam tunc magis nostram ducamus, cum proximorum sunt. In obtrectationibus aeque detestanda nobis sit linguae et aurium prurigo. Haec, filii mei, memoriae, haec observationi mandate; nec longus in his custodiae labor erit. Quantuli enim ut sumus vitae hujus sunt dies in nobis? Propterea, quia, sicut scriptum est, saeculorum fines decurrerunt (I Cor. X, 11), non esse diuturnum potest, quin nos si non communis, propria saltem absolutio, ad judicem nostrum sponsoremque meritorum Dominum transferat.

 

Haec audientes tacitis ora lacrymis rigant: tantus eorum erga beatitudinem futuram in hujusmodi exhortationibus affectus est. Sic itaque beatissimus Paulus mysticis imbutus disciplinis, devovens militiam Regi saeculorum Deo, per stipendia innocentis vitae praemia consectatur aeterna.

Quale gloriosa ricompensa del fedele Signore giungerà a voi, dopo aver disprezzato rettamente le cose di questo mondo, quando in quella sede di splendente gloria seguiremo il vero Agnello Figlio di Dio congiunti ai cori dei santi; una volta sepolti con Cristo in questa vita regneremo nell'altra insieme esultanti! Le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi (Rm 8,18). Ed al fine di non diventare esperti della gloria di questo (tempo), non dobbiamo farci catturare dai piaceri di questa vita. La nostra vita è, infatti, nascosta in cielo. Non speriamo nulla in questo mondo. Ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza (Rm 8,24).  Non sottraiamoci all'esempio della moltitudine: "Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti" (Mt 22,14). Non stanchiamoci di portare avanti un impegno iniziato; infatti, non chi ha iniziato, ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Mc 13,13). La gola, la lussuria, l'avarizia, l'ira, la vanità, l'orgoglio, una sola è la vincitrice di così tanti misfatti: la continenza. Il miglior custode di questa è il timor (di Dio), che ci ricorda che noi siamo sempre alla presenza di Dio. Allora portiamo dentro di noi una maggiore gioia e persino tristezza quando queste appartengono al prossimo. Allo stesso modo dobbiamo detestare la licenziosità della lingua e dell'udito nelle maldicenze. Queste cose, figli miei, sono affidate alla memoria, quelle all'osservanza; non dovremo faticare a lungo per la loro custodia. Quanto pochi, infatti, sono i giorni che ci rimangono in questa nostra vita? Poiché, come sta scritto, è arrivata la fine dei tempi (1 Cor 10,11), questa vita non può essere di lunga durata. Che una assoluzione, anche se non universale, ma per lo meno personale, ci trasferisca al Signore nostro giudice e garante dei meriti.

Sentendo queste cose in silenzio i volti si bagnano di lacrime, tanto è grande la loro commozione d'animo riguardo alla beatitudine futura durante esortazioni di questo tipo. Perciò il beatissimo Paolo, istruito da mistici insegnamenti, consacrando la battaglia a Dio re dell'eternità, aspira ai premi eterni come tributo di una vita innocente.


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4 marzo 2020        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net