CHI È L’AUTORE DEGLI «ESERCIZI
SPIRITUALI»?
A cura di p. C. Chiappini S.J.
(Estratto da “Ignazio di Loyola – Esercizi
spirituali”, a cura di Gaetano Piccolo S.J., Ed. Garzanti 2016)
1. Il pellegrino Ignazio
In una lettera scritta da Venezia il 16 novembre 1536, Ignazio di Loyola cerca
con forza di convincere il destinatario a vivere l’esperienza degli
Esercizi, e spiega: «Sono tutto il
meglio che io in questa vita possa pensare, sentire e comprendere, sia per il
progresso personale di un uomo sia per il frutto, l’aiuto e il progresso
rispetto a molti altri». (Sant’Ignazio di Loyola,
Gli scritti, ADP, Roma 2007, p. 945.)
Chi è l’autore degli Esercizi e come
arriva a comporre un testo di cui fa un così grande elogio?
Ignazio nasce nel 1491 a Loyola, nella regione basca, da una famiglia della
piccola nobiltà locale, ultimo di tredici figli. Secondo i costumi dell’epoca,
già a quindici anni comincia a essere introdotto nell’ambiente di corte, dove
riceve l’educazione nello stile e negli ideali cavallereschi; quando, verso la
fine della vita, dopo aver fondato e ormai divenuto superiore generale della
Compagnia di Gesù, racconterà e lascerà come testamento la propria storia,
riassumerà questo periodo dicendo che «fino a ventisei anni fu uomo dedito alle
vanità del mondo e trovava soprattutto piacere nell’esercizio delle armi, con
grande e vano desiderio di procurarsi fama». (Ivi, p. 83.) È un proiettile di
bombarda che interrompe bruscamente i suoi sogni: nel mese di maggio del 1521,
mentre con un gruppo di valorosi difende la cittadella di Pamplona dall’assalto
dei francesi, viene ferito gravemente e trasportato nel castello di famiglia a
Loyola, costretto a un lungo periodo di convalescenza. Ignazio è
caratterialmente uomo di azione, ma in quelle condizioni di immobilità non gli
resta che pensare, sognare e leggere. Vorrebbe continuare a proiettarsi nelle
grandi gesta che immagina di intraprendere una volta guarito, ma la lettura
degli unici libri che ha a disposizione, cioè una vita di Cristo e una raccolta
di biografie di santi, comincia poco a poco a conquistare il suo animo generoso
e a orientare diversamente le sue intenzioni. Permane in lui la spinta a
compiere grandi imprese, ma – come nelle storie di santi che lo affascinano –
non più a favore di un sovrano o di una nobile dama, bensì al servizio di colui
che negli Esercizi chiamerà l’«Eterno
Signore di tutte le cose». (Cfr. Es.
Spirit. [98]) Ignazio scopre con sorpresa che quando accoglie dentro di sé
questo nuovo desiderio, nel cuore prova una gioia profonda e duratura. Nel
racconto della sua vita, parlando di sé in terza persona ricorderà: «C’era però
questa differenza: quando pensava alle cose del mondo, ne provava molto piacere,
ma quando, per stanchezza, le abbandonava, si ritrovava arido e scontento:
quando invece pensava di andare scalzo fino a Gerusalemme e di non cibarsi che
di erbe o di praticare tutte le austerità che vedeva essere state fatte dai
santi, non solo trovava consolazione nel tempo in cui restava con questi
pensieri, ma anche dopo che essi lo avevano abbandonato restava contento e
allegro». Il compagno che raccoglie e trascrive le confidenze di Ignazio
aggiunge alla fine del paragrafo un commento personale importante: «Questo fu il
primo ragionamento che fece sulle cose di Dio. In seguito, quando fece gli
Esercizi, proprio di qui cominciò a prendere luce su quanto si
riferisce alla diversità degli spiriti». (Sant’Ignazio di Loyola, op. cit., p.
87)
A partire da tale esperienza la vicenda di Ignazio percorre strade avventurose e
imprevedibili, che lo portano a definirsi – nel seguito del racconto – «il
pellegrino»: dapprima solitario, con il proposito di recarsi a Gerusalemme e
vivere per sempre nei luoghi santificati dalla presenza di Gesù; poi, data
l’impossibilità di rimanervi per il protrarsi della guerra tra la repubblica di
Venezia e l’impero ottomano e perciò obbligato a rientrare in Europa, con un
gruppo di amici che raduna nel contesto universitario di Parigi. Lì Ignazio, ben
più che trentenne, decise di dedicare sette anni allo studio della filosofia e
della teologia – dal 1528 al 1535 – affinché il proprio apostolato, il proposito
di «aiutare le anime» ad avvicinarsi a Dio, fosse fondato e riconosciuto nella
Chiesa. Ignazio termina il racconto della sua vita quando ormai l’ideale di
predicare in povertà il Vangelo, sullo stile dei dodici apostoli, è diventato un
progetto comunitario e condiviso; nel 1540 il papa Paolo III aveva sancito la
nascita della Compagnia di Gesù, approvando la nuova regola di vita.
2. Non solo un diario di viaggio
Mentre ormai la narrazione giunge alle ultime battute, l’interlocutore osa porre
a Ignazio alcune domande più generali. Una di queste domande riguarda proprio la
modalità della composizione del libretto degli
Esercizi, e la risposta è estremamente interessante: «Egli (Ignazio)
mi disse che gli Esercizi non li aveva
fatti tutti in una volta, ma che osservava alcune cose nella sua anima e,
trovandole utili, gli sembrava che potessero servire anche ad altri e perciò le
metteva per iscritto». (Ivi, p. 162.) Abbiamo qui una conferma al «primo
ragionamento delle cose di Dio» che Ignazio aveva fatto durante la convalescenza
a Loyola, riferito più sopra: Ignazio non scrive gli
Esercizi seduto alla scrivania in
un’aula accademica o in una biblioteca, magari consultando una varietà di testi
di teologia. È piuttosto durante il pellegrinaggio della vita che, dopo la
conversione, comincia a prendere note e a stendere una specie di diario di
viaggio, per non dimenticare gli insegnamenti di Dio; e gli
Esercizi nascono da un’ulteriore e
successiva rielaborazione, nella quale ordina e sceglie solo alcune delle cose
che avvenivano nella sua anima, cioè quelle «che gli sembrava che potessero
servire anche ad altri».
Davvero ci troviamo di fronte a un processo straordinario, soprattutto se
pensiamo che Ignazio era allora una persona senza formazione culturale e
spirituale, eccetto la generica iniziazione cristiana che rientrava
nell’educazione di corte, e privo di qualsiasi aiuto da parte di un esponente
qualificato o comunque più esperto in materia di Chiesa. Nella storia delle
religioni esiste un’ampia letteratura autobiografica, cioè sono numerosi coloro
che ci hanno lasciato una testimonianza della loro personale ricerca di Dio e
dell’illuminazione o conversione sperimentata, a volte attraverso cammini
tortuosi e ascese pazienti, a volte in maniera improvvisa. Pensiamo per esempio,
in ambito cristiano, alle Confessioni
di Agostino d’Ippona o al Libro della vita
di Teresa d’Avila, testi che hanno nutrito la vita spirituale di tante
generazioni di credenti. A loro differenza, Ignazio non intende riportare
direttamente negli Esercizi i
contenuti della propria esperienza di Dio, magari cercando con attenzione le
parole giuste per esprimere gli stati d’animo vissuti. Tutto parte sempre dal
discernimento, ossia da una coscienza attenta ai movimenti interiori e ai loro
frutti; ma, scrivendo gli Esercizi,
colui che riceve le grazie di Dio si fa poi giudice della loro possibile utilità
per gli altri, rileva ciò che supera il suo caso particolare e smette in qualche
misura di appartenergli perché potrebbe «servire anche ad altri». Quindi non
tutto è trasmesso: rimane il silenzio su una parte dell’esperienza personale,
non per volontà di segreto ma semplicemente perché non viene ritenuta utile.
In tal senso, risulta illuminante il paragone tra il libretto degli
Esercizi e un’altra opera di Ignazio,
il così detto Diario spirituale.
Torniamo alle ultime pagine dell’autobiografia: poco dopo la confidenza sulla
stesura degli Esercizi, Ignazio rivela
che «ogni giorno scriveva ciò che gli passava nell’anima» e dà grande risalto a
questo diario; infatti, annotando le grazie ricevute, piano piano avanza nel
discernimento su alcune questioni cruciali per l’organizzazione della Compagnia
di Gesù, di cui ormai da quindici anni è il superiore generale.
Comprensibilmente l’interlocutore vorrebbe avere tra le mani e consultare con
calma il fascio di fogli, che Ignazio gli mostra, ma la risposta è netta e
negativa: «Io [l’interlocutore, a cui Ignazio racconta] desideravo vedere quelle
carte di tutte le Costituzioni, e lo
pregai che me le lasciasse per un poco. Ma egli non volle». (Ivi, p. 163.)
Perché? Perché di tutto quello che il Diario contiene, e che in forma
provvidenziale per altra via almeno in parte si è conservato ed è oggi leggibile
– cioè l’intimità delle visioni, le lacrime, i dialoghi con le persone della
Trinità, le luci e le ombre ecc. –, Ignazio intende rivelare solamente quanto
può essere utile.
3. Ignazio scrittore
Abbiamo visto che, spiegando la genesi degli
Esercizi, Ignazio considera quasi una
conseguenza ovvia la decisione di scriverli: gli sembrava che alcune cose che
gli accadevano potessero essere utili pure agli altri «e perciò le metteva per
iscritto». Vogliamo provare ad allargare lo sguardo ad altri testi di cui è
autore, oltre agli Esercizi, per
cogliere meglio alcuni tratti della sua personalità. Subito osserviamo che non
abbiamo di Ignazio opere filosofiche o teologiche che prendano in esame le
grandi questioni dibattute nel suo tempo. Ignazio vive in un’epoca che possiamo
definire di passaggio, nella quale tanti confini perdevano di consistenza:
l’invenzione della stampa apriva a molti la possibilità della lettura e delle
informazioni, la scoperta di nuove terre faceva vacillare la centralità
geografica e culturale dell’Europa, all’interno del cristianesimo stesso la
riforma protestante e le posizioni illuministe di Erasmo da Rotterdam rompevano
l’omogeneità e l’unità della Chiesa.
Come Ignazio vive tale instabilità, a cavallo tra il medioevo e l’età moderna?
Dal racconto della sua vita, al quale già più volte abbiamo fatto riferimento,
appare in realtà la figura di un pellegrino che procede deciso sulla propria
strada, senza interessarsi troppo del mondo circostante. Da un’altra fonte
sappiamo, per esempio, che Ignazio interrompe presto la lettura degli scritti di
Erasmo da Rotterdam, perché – spiega – sente che rischiano di raffreddare il suo
fervore; e attraversando l’Europa in lungo e in largo, fino a Gerusalemme e poi
di ritorno in Spagna e in Francia, porta con sé solo l’Imitazione di Cristo, opuscolo di un autore anonimo del XV secolo
che presenta i chiari tratti di una spiritualità e di un’ascetica medioevale.
Quasi alla conclusione del libro degli
Esercizi inserisce alcune regole da osservare per conquistare l’autentico
sentire nella Chiesa militante, nelle quali è esplicito l’invito a «lodare la
dottrina positiva e scolastica… in modo da confutare e chiarire tutti gli errori
e tutte le falsità». (Cfr. Es. Spirit.
[363])
Nonostante ciò, non si può negare che i fermenti della nuova epoca emergano in
diversi aspetti dell’esperienza di vita di Ignazio, e quindi anche dei suoi
scritti. Oltre agli Esercizi, sono
tutti testi composti in circostanze concrete, per rispondere attraverso il
discernimento alle domande che la storia gli pone: il racconto della vita, a cui
già più volte ci siamo riferiti, nasce dalla richiesta insistente dei primi
gesuiti per ottenere da Ignazio una specie di testamento spirituale che fondi
nel tempo lo spirito della Compagnia; la
Formula dell’istituto (cioè la sua
Regola) e le Costituzioni, che
Ignazio compone in un arco ampio di tempo, coadiuvato in maniera decisiva dal
segretario, forniscono la struttura sapiente e agile che tiene insieme un ordine
religioso così disperso in tante missioni; l’imponente epistolario (conserviamo
di Ignazio circa 14.000 lettere, scritte direttamente da lui o attraverso il suo
segretario) tratta ogni genere di questione che dalle terre più lontane giunge
nelle stanze di Roma, dove il superiore generale risiede.
In questo materiale così diverso, quello che ci fa percepire la situazione di
crisi e di passaggio da un’età all’altra è soprattutto la costante tendenza di
Ignazio a coniugare insieme il particolare e l’universale, a non sacrificare mai
l’uno all’altro. Da un lato, è chiarissima l’attenzione che egli pone a quelli
che potremmo chiamare i diritti della soggettività, che rappresentano una nota
caratteristica della modernità e che, nello stesso tempo di Ignazio, portano
nella riflessione e nella posizione ecclesiale di Martin Lutero a un esito ben
distinto. Sia negli Esercizi sia nelle
Costituzioni non viene mai
sottovalutata la mediazione della coscienza, che costituisce il luogo
fondamentale della rivelazione di Dio.
Passando invece al versante dell’universalità, colpisce che Ignazio ragioni già
in termini di mondialità, anticipando in un certo senso di parecchi secoli le
problematiche della globalizzazione oggi così attuali. Quando negli
Esercizi descrive il contesto nel
quale Dio decide di incarnarsi, invita a «vedere le persone sulla faccia della
terra, in tanta diversità tanto nei vestiti quanto nei gesti: alcuni bianchi e
altri neri, alcuni in pace e altri in guerra, alcuni che piangono e altri che
ridono, alcuni sani e altri infermi, alcuni che nascono e altri che muoiono
ecc.». (Cfr. Es. Spirit. [106]) E
nella Formula dell’istituto immagina
che ogni gesuita sia disposto ad andare ovunque: «In qualsivoglia paese vorranno
mandarci, noi immediatamente senza alcuna tergiversazione o scusa saremo
obbligati a eseguirlo, per quanto dipenderà da noi; sia che giudicheranno
inviarci presso i Turchi, sia ad altri infedeli esistenti nelle regioni che
chiamano Indie ecc.». (Cfr. Formula
dell’istituto, Cap. 3) In tali precisazioni è possibile riconoscere l’eco di
un mondo i cui confini sono in espansione.
4. Chi è l’autore degli Esercizi
spirituali?
Alla conclusione della nostra presentazione, torniamo alla domanda del titolo.
Se per autore intendiamo colui che materialmente redige un testo, di sicuro
possiamo affermare che gli Esercizi
sono stati scritti da Ignazio. In un certo senso, è questo l’unico testo che ha
scritto integralmente e da solo, perché gli altri li ha dettati (il racconto
della vita) o si è avvalso dell’aiuto di collaboratori (le
Costituzioni); mentre più sopra abbiamo descritto il processo
originale attraverso cui gli Esercizi
hanno preso forma.
Forse è però un po’ superficiale limitarci a questa risposta. Roland Barthes ha
dedicato un saggio importante agli
Esercizi spirituali, studiando non tanto i contenuti ma le parole che li
veicolano. E ha individuato almeno tre livelli di discorso, e quindi tre autori
che intervengono. Il primo è ovviamente Ignazio stesso: come già abbiamo visto,
gli Esercizi nascono dalla sua
esperienza personale e però non la raccontano. Ignazio come soggetto negli
Esercizi scompare; il testo che scrive
è indirizzato a una persona spiritualmente esperta, affinché riceva le
indicazioni e gli aiuti necessari per dirigere l’esercitante che a lei si
affida.
Il secondo è proprio colui che guida e accompagna gli esercizi: Ignazio lo
chiama «colui che li dà». Anche lui è autore, perché dare gli esercizi sempre
richiede di adattare e tradurre i loro contenuti all’interno di un dialogo,
rendendo vivo nell’oggi l’itinerario imprevedibile che il libretto degli
Esercizi vuole suscitare.
Il terzo è l’esercitante (colui che riceve e pratica gli esercizi): anch’egli, a
suo modo, è autore degli Esercizi dal
momento che in essi trova una pedagogia per imparare a pregare, cioè per
diventare responsabile di una parola direttamente rivolta a Dio, attraverso
colloqui, richieste, offerte. Così ogni volta che una persona si ritira e fa gli
esercizi crea un testo nuovo, e i livelli precedenti – ossia il libretto scritto
da Ignazio e la proposta orale da parte di chi dà gli
Esercizi – sono finalizzati a tale elaborazione.
Barthes nella sua analisi si ferma qui, ma intuisce che oltre ai tre livelli di
discorso rimane uno spazio vuoto, che non è in grado di esplorare con i consueti
strumenti della ricerca linguistica. Dal punto di vista dell’esperienza
religiosa, sarebbe il luogo dell’intervento di Dio, autore di una parola che
solo l’esercitante a cui è rivolta è capace di ascoltare.
Forse Ignazio direbbe con convinzione che qui troviamo alla fine il vero e unico
autore degli Esercizi spirituali, e
ricorderebbe il modo in cui dopo la conversione si sentiva condotto da Dio. Nel
racconto della vita, confidava al suo interlocutore: «Durante questo tempo Dio
lo trattava come un maestro di scuola tratta un bambino: gli insegnava». (Ivi,
pp. 101-102.)
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13 settembre 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net