Martiri d’Algeria
La beatificazione e le sue conseguenze
[1]
Dom Thomas
Georgeon,
O.C.S.O.
Estratto da “Tibhirine - Fratelli per il nostro tempo”
Sant'Anselmo (Roma) 3-4 dicembre 2021
Ed. Academic Press Friburg 2023
Prima di iniziare a parlarvi dell'andamento della
causa di beatificazione, vorrei fare una premessa sulla fecondità dei nostri
martiri. È ovvio che la Croce di Gesù ha permesso loro di trasformare la
morte in un dono fecondo di se stessi, dove la vita si rinnova e si
intensifica. Il Vescovo Pierre Claverie, Vescovo di Orano, ha espresso
questo dono radicato alla luce della Croce:
Siamo lì a causa di questo Messia crocifisso. Per nient'altro e per
nessun altro! Non abbiamo alcun interesse a salvare, nessuna influenza da
mantenere. Non siamo guidati da qualche perversione masochista o suicidaria.
Non abbiamo potere, ma siamo lì come al capezzale di un fratello malato, in
silenzio, stringendogli la mano, tamponandogli la fronte. A causa di Gesù
perché è lui che vi soffre, in questa violenza che non risparmia nessuno,
crocifisso di nuovo nella carne di migliaia di persone innocenti. Dare la
propria vita. Questo non è riservato ai martiri o almeno possiamo essere
chiamati a diventare martiri-testimoni del dono gratuito dell'amore, il dono
gratuito della propria vita. Questo dono ci viene dalla grazia di Dio donata
in Gesù Cristo.
La scelta di rimanere, spesso dopo un
discernimento vissuto serenamente, porta a un'evidenza:
La possibilità della nostra presenza, come cristiani in Algeria, è
quella di riportarci costantemente all'essenziale della nostra fede e di
cercare di viverla senza sottrarci alle sue esigenze fondamentali. Più che
mai, le attuali condizioni in cui viviamo ci impongono di essere uomini e
donne di speranza. Gli algerini sono tentati dalla disperazione e dalla
rassegnazione, quindi hanno bisogno più che mai di incontrare delle persone
che vivono della speranza. Sperare è vivere con la convinzione che il Dio
vivente è con noi, che è in noi, che chiede solo il nostro impegno per agire
Lui stesso. La morte e la vita di Gesù ci ricordano costantemente che sono
la vita e l'amore ad avere sempre l'ultima parola.
Queste righe, scritte da suor Odette, avrebbero
potuto essere firmate da ciascuno dei diciannove beati. E tutti avrebbero
insistito sull'amicizia che legavano loro a questo popolo, come amava
ricordarci con forza il Vescovo Claverie: «Non siamo né profeti, né
fanatici, né eroi [...] ma abbiamo stabilito con gli algerini dei rapporti
che nulla può distruggere, nemmeno la morte. In questo siamo i discepoli di
Gesù Cristo e questo è tutto».
L'andamento
della causa
Subito dopo la tragedia, la morte dei diciannove
religiosi e la loro testimonianza hanno avuto e continuano ad avere un
impatto notevole, ben oltre i confini della Chiesa. I fratelli di Tibhirine
sono molto «portabandiera» di questo. La fama del martirio fu immediata e
duratura, e Papa Giovanni Paolo II fu uno dei primi artefici, seguito dai
suoi successori, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Questo è stato il
primo e più importante segno per considerare una procedura di
beatificazione.
Durante la celebrazione del Giubileo dei Testimoni
della Fede al Colosseo, il 7 maggio 2000 a Roma, l'Arcivescovo di Algeri,
Mons. Henri Teissier, ha ricevuto da alcune delle congregazioni religiose
colpite dall'ondata di omicidi in Algeria durante quegli anni bui, e dalle
famiglie dei religiosi assassinati, la richiesta di aprire una causa di
beatificazione.
Tuttavia, dopo aver consultato ciascuna delle otto
congregazioni religiose e in mancanza di un consenso, il progetto non è
andato avanti. Inoltre, ad alcuni dei religiosi assassinati mancavano i
cinque anni richiesti dalla Congregazione delle Cause dei Santi tra la loro
morte e l'apertura di una causa. Infine, la situazione politica in Algeria -
come la situazione della Chiesa in Algeria — richiedeva prudenza e pazienza.
Questo non ha impedito ad alcune congregazioni religiose di iniziare un
lavoro di raccolta di documentazione e testimonianze, in particolare da
parte delle Suore Missionarie Agostiniane di Spagna.
Nel maggio 2002, una nuova riunione ha portato ad
un accordo sull'opportunità di aprire una causa comune per i diciannove, pur
discernendo che era ancora troppo presto per iniziare la procedura. Ma a
partire da questa riunione, ogni congregazione è stata invitata a preparare
una documentazione sostanziale su ciascuno dei religiosi per essere pronta
al momento opportuno.
Infine, nell'aprile 2005, il dossier è stato
aperto. La procedura si è basata sul gran numero di pubblicazioni già
disponibili al pubblico in molte lingue, il che ha evidenziato
l'universalità del messaggio.
Il 6 giugno 2005, Henri Teissier ha nominato fr.
Giovanni Maria Bigotto, marista, come postulatore della causa. Il sistema è
stato messo in moto e sono state istituite le varie autorità necessarie per
una causa di beatificazione, in particolare un collegio di sei teologi
incaricati di esaminare gli scritti dei diciannove, così come una
commissione storica
che doveva raccogliere documentazione inedita
riguardante il gruppo nel suo insieme.
Un processo diocesano è stato avviato nell'ottobre
2007: il suo compito era quello di ascoltare i testimoni come in ogni caso.
Sono state effettuate anche notevoli ricerche d'archivio e uno studio
meticoloso da parte dei teologi censori degli scritti di ciascuno dei
martiri per verificare l'ortodossia della loro fede. In totale, sono state
raccolte più di settemila pagine.
Questo lungo processo si è concluso nel luglio
2012, quando tutti i documenti e le testimonianze sono stati consegnate alla
Congregazione delle Cause dei Santi. Bisognava nominare un nuovo
postulatore: la mia appartenenza all'ordine cistercense della Stretta
Osservanza, cioè i trappisti, come i monaci di Tibhirine, spiega in parte la
mia nomina. Inizialmente questa causa di beatificazione sembrava essere un
processo a lungo termine: mi è stato detto che ci sarebbero voluti venti
anni, forse di più, perché si trattava di un evento estremamente recente la
cui storia non era ancora stata scritta. Tuttavia, i responsabili della
Congregazione delle Cause dei Santi erano molto ricettivi al messaggio e
volevano che le cose non si prolungassero.
Per tre anni è stato necessario conoscere tutto il
dossier, incontrare vari attori e membri dei dicasteri romani, continuare la
ricerca documentaria e scrivere la
positio, un documento finale che sintetizza i punti essenziali
e argomenta a favore della causa, sempre con una preoccupazione di verità.
Nel luglio 2016, ho presentato ufficialmente questo documento alla
Congregazione per le Cause dei Santi, che servirà come base per il giudizio
della Santa Sede. In questa fase del lavoro su una causa, un postulatore di
solito sa che dovrà essere paziente, a volte molto paziente, prima che il
suo fascicolo sia messo sotto esame. Questo non è stato il nostro caso, dato
che già nel gennaio 2017 sono stato informato che la
positio era in
esame.
È stato dopo lo studio di questo documento da
parte di un collegio di teologi tra marzo e maggio 2017, e poi da un
collegio di Cardinali e Vescovi, che Papa Francesco ha aperto la strada alla
loro beatificazione nel gennaio 2018. Il processo è stato estremamente
rapido, poiché la beatificazione sarà celebrata poco più di venti anni dopo
la morte di questi religiosi e religiose.
I frutti
Nel settembre 2017, con Mons. Desfarges,
Arcivescovo di Algeri, siamo stati ricevuti da Papa Francesco. Nel corso
dell'incontro, Egli ci ha detto: «Questa beatificazione deve assolutamente
essere celebrata in Algeria però, dovete fare capire perché». Questa
beatificazione è una luce per il nostro presente e per il futuro. Essa dice
che l'odio non è la risposta giusta all'odio, che non esiste un'inevitabile
spirale di violenza. Vuole essere un passo verso il perdono e la pace per
tutti i popoli, a partire dall'Algeria ma oltre ai confini algerini. È una
parola profetica per il nostro mondo, per tutti coloro che credono e
lavorano al vivere insieme.
Ora, la cosa più difficile è di far entrare
qualcosa di questa grazia della beatificazione nella nostra vita quotidiana.
La testimonianza di questi religiosi e religiose che sono rimasti al fianco
del popolo quando esso si è trovato totalmente isolato, ha avuto un profondo
impatto sugli algerini. L'8 dicembre 2018, gli algerini si sono sentiti
guardati, rispettati, amati. Magari, senza saperlo, celebrare la
beatificazione di questi martiri in Algeria ha creato una novità: l'Algeria,
che non aveva volto, che era un paese sottovalutato, ha acquisito un nome,
una libertà.
Sono certo che a tre anni dalla beatificazione ci
siano già frutti, anche se non immediatamente percepibili. Credo che il Papa
abbia scelto con cura il momento per quella storica celebrazione, era una
fase in cui provava a compiere dei passi decisivi verso il dialogo con
l'Islam: pochi mesi dopo ci fu l'incontro di Abu Dhabi con il Grande Imam di
Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb e la firma del Documento sulla Fratellanza Umana,
poi la visita in Marocco. Secondo la mia visione, c'è stata una volontà di
Francesco di innescare una catena di avvenimenti che andavano nella
direzione del dialogo tra persone di buona volontà. Credo che il Papa abbia
presente l'esperienza dei martiri di Algeria e che per lui sia un costante
riferimento. Basta ricordare alcune parole pronunciate a Napoli nel giugno
2019 per sentire, sullo sfondo, la logica della vita dei monaci di
Tibhirine:
«Dialogo» non è una formula magica, ma certamente la teologia viene
aiutata nel suo rinnovarsi quando lo assume seriamente, quando esso è
incoraggiato e favorito tra docenti e studenti, come pure con le altre forme
del sapere e con le altre religioni, soprattutto l'Ebraismo e l'Islam. Gli
studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l'Ebraismo e
con l'Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre
identità religiose, e contribuire così più efficacemente all'edificazione di
una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la
fratellanza e la convivenza pacifica.
Sappiamo che
Papa Francesco insiste sul fatto che il dialogo non ha semplicemente un
valore antropologico, ma anche teologico. Nel suo discorso a Bari (02.2020),
egli diceva:
Ascoltare il fratello non è solo un atto di carità, ma anche un
modo per mettersi in ascolto dello Spirito di Dio, che certamente opera
anche nell'altro e parla al di là dei confini in cui spesso siamo tentati di
imbrigliare la verità. Conosciamo poi il valore dell'ospitalità: «Alcuni,
praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2) [...] C'è
bisogno di elaborare una teologia dell'accoglienza e del dialogo [...] che
può essere elaborata solo se ci si sforza in ogni modo di fare il primo
passo e se non si escludono i semi di verità di cui anche gli altri sono
depositari.
Questo mi fa pensare a Padre Christian quando egli
diceva che era nella vita concreta (ospitalità e dialogo) la chiamata alla
condivisione con tutti.
Poi, anche per la stesura dell'enciclica
Fratelli tutti, ritengo che i diciannove
religiosi abbiano rappresentato come «un'icona della fratellanza». È assai
evidente per me che il magistero del Papa in tutto ciò che riguarda il
dialogo con l'Islam è segnato dall'esperienza dei fratelli di Tibhirine.
Penso che il Papa nell'esplicito riferimento ai
monaci di Tibhirine nella
Gaudete et exsultate, abbia voluto sottolineare l'esperienza
di comunità e di collegialità profonda, oggi si direbbe di
sinodalità. In questo modo Francesco
vuole mostrare che la santità non è un cammino personale ma di Chiesa, un
percorso comunitario. Così per tutti i battezzati e per i consacrati assume
le sembianze di un cammino di santità da proseguire insieme, in modo forte:
cosa faccio io, singolo membro, per promuovere santità, per viverla e farla
vivere a ciascun confratello? I sette monaci trappisti hanno sperimentato
questo cammino in un modo molto netto. È chiaro che non possiamo tutti
seguire le loro orme, ma al di là del martirio, resta il valore di una
scelta, specie negli ultimi tre anni, che esaltava il desiderio di
progredire insieme e capire insieme quale fosse la chiamata di Dio per
ciascuno e per la comunità. Alla fine hanno raggiunto una decisione dopo un
percorso complesso di discernimento che li ha condotti a un consenso unanime
verso la permanenza nel loro monastero, accanto alla popolazione, nonostante
il pericolo.
I Vescovi d'Algeria hanno testimoniato, a modo
loro, dei frutti che già possiamo intravedere nella terra tanto amata dei
fratelli. Mons. Desfarges scriveva:
Nelle nostre varie attività, biblioteche, attività umanitarie
(Caritas) e altre, i fratelli e le sorelle algerini che gestiscono queste
attività con noi sono felici e a loro agio nelle nostre attività di
servizio, di aiuto ai più vulnerabili, fragili, bisognosi, attenti al valore
di ogni persona. Questi valori sono i loro valori. Non so se questi sono
frutti diretti della beatificazione, ma è sempre lo stesso Spirito che opera
nella nostra Chiesa e in coloro con cui siamo in contatto, nel nostro
quartiere. Vivere insieme nella pace, nella fraternità, nella diaconia...
allarga costantemente le frontiere della nostra Chiesa che non ha più
frontiere.
Per Mons. Desfarges i beati sono le loro guide e li accompagnano.
Per Mons. Vesco, Vescovo di Orano
[2],
i frutti si trovano nella fratellanza
vissuta:
È nel DNA della nostra Chiesa in Algeria non limitare l'orizzonte
della fratellanza alla comunità cristiana. La quasi totalità delle nostre
azioni, individuali e collettive, non solo non tiene conto dell'appartenenza
religiosa, ma è tutta tesa verso l'ambiente umano musulmano nel quale
viviamo e che ci è dato da amare. Si tratta per noi di un'evidenza, ma tale
evidenza non è scontata. E
sempre emerge
la domanda lancinante: "Ma perché lo fanno?". È in questa domanda sempre
aperta che risiede la forza della nostra testimonianza, più che nelle parole
che spendiamo nel tentativo di rispondervi.
Questa fratellanza la viviamo con gli abitanti di questo paese.
Tale fratellanza è la vocazione particolare della nostra Chiesa dal momento
dell'indipendenza dell'Algeria, come cristiani e come Chiesa con uomini e
donne di religione musulmana. Questa fratellanza che tende la mano al di là
dei pregiudizi religiosi e delle ferite della storia non è scontata, ed è
questo che ne ha determinato il prezzo. Le nostre istituzioni, i centri di
attività, di istruzione, le nostre biblioteche, queste piattaforme di
incontro - secondo l'espressione di Pierre Claverie - sono strumenti al
servizio di questa fratellanza nella quale trovano la loro finalità, più che
nel servizio stesso, anche di qualità, che rendono. Le nostre iniziative
hanno una doppia valenza: un vero e proprio servizio reso, un prezioso gesto
compiuto.
La beatificazione e l'incontro di Abu Dhabi hanno stimolato nella
diocesi - in particolare a Orano, Mascara, Sidi Bel Abbès - la creazione di
piccoli gruppi interreligiosi d'incontro e di scambio. È stata realizzata
una raccolta di testi di Pierre Claverie particolarmente propizia a tali
scambi. Cristiani e musulmani, dobbiamo passarci il testimone, moltiplicare
queste iniziative di incontro e di fratellanza con ogni mezzo. Nella diocesi
abbiamo la fortuna di essere testimoni privilegiati della bella avventura
islamo-cristiana del Focolare, iniziata una quarantina di anni fa a Tlemcen.
Cristiani e musulmani, di condizione ed età diverse, celibi consacrati o
sposati, vivono una vera comunione al servizio di uno stesso carisma di
unità. Gli uni e gli altri ne sono trasformati. Ancora una volta, nessun
confronto teologico, bensì il primato del rispetto
e del riconoscimento della fede dell'altro, e gli sguardi rivolti sia verso
un mondo da costruire, sia verso un Dio unico presente nel più intimo della
vita di ognuno.
Si capisce che è ancora molto presto per trarre
dei frutti, vediamo che nell'ambito teologico c'è un campo enorme da arare,
siamo solo all'inizio ma il lavoro è già iniziato. Sta a noi essere pazienti
e lasciare che i frutti maturino, senza volerli raccogliere troppo in
fretta.
[1]
Il giorno 8 dicembre 2018, 19 religiosi e religiose, di 8 diverse
congregazioni, sono stati proclamati beati ad Orano, in Algeria, nel
Santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, nella messa presieduta dal
card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei
Santi e inviato speciale del Papa. Questi martiri sono rimasti in
Algeria negli anni bui del terrorismo, e integrati fra i musulmani,
hanno testimoniato l’amore universale di Cristo fino al martirio,
tra il 1991 e il 2002. (Fonte: Vatican News)
[2]
Da allora è stato nominato arcivescovo di Algeri da Papa Francesco.
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4 febbraio 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net