Thomas
Merton
Diario di un
testimone colpevole
Garzanti
Alcuni brani del libro
aventi per tema
l’ecumenismo vissuto da un monaco.
Prefazione
Se la Chiesa cattolica rivolge lo sguardo al mondo moderno e alle altre chiese cristiane, e se forse per la prima volta prende seriamente in considerazione le religioni non cristiane così come sono, è necessario che almeno qualche teologo contemplativo e monastico porti un proprio contributo alla discussione. E' appunto ciò che voglio tentare, fra l'altro, con questo libro. Esso presenta i problemi contemporanei nella visione personale di un monaco. La singolarità, l'esistenzialità e la poeticità della loro impostazione s'inquadrano perfettamente nella visione monastica della vita.
Pag.
15-16
Per
leggere la Bibbia bisogna essere ebrei. Chi non lo è fa meglio a richiuderla.
Essa non ha senso per chi non è “spiritualmente ebreo
»,
Il
contenuto spirituale del Vecchio Testamento non si ottiene svuotandolo della sua
sostanza israelitica. Al contrario! Il Nuovo Testamento è la realizzazione di
quel contenuto spirituale, il compimento della promessa fatta ad Abramo e nella
quale Abramo ha creduto. Perciò non
è
mai
una negazione dell'ebraismo ma la sua affermazione. Chi lo ritiene una negazione
non ne ha capito niente.
Non
c'è nulla dello spirito di ghetto in san Benedetto. Ciò che è meraviglioso nella
sua Regola e in lui stesso è quella freschezza e libertà di spirito, quella
sanità mentale e larghezza di vedute, quella salute di cui traboccava la vita
dei primi benedettini.
La
stessa sanità e lo stesso respiro ritroviamo nei primi commentari della Regola,
come quelli di Smaragdo, di Ildemaro e quindi di Warnefrido.
Ma
quando il monastero si ripiega su se stesso interpretando le interpretazioni
delle interpretazioni, diventa un ghetto. Le riforme troppo esclusivamente
concentrate su un
«ritorno
alla lettera» finiscono con l'essere prese in un groviglio di interpretazioni, e
per poco non rompono l'incanto. Mentre si propongono di immettere una ventata di
aria fresca, in realtà non fanno che aumentare il pericolo di soffocamento
perché chiudono tutte le finestre che guardano sul mondo o verso il cielo.
L'aria del mondo esterno non è aria pura. Aprire la porta e uscire per le strade
non è una soluzione. L'aria pura di cui abbiamo bisogno è il respiro nitido
dello Spirito Santo, che viene come il vento e soffia dove gli piace. La
finestra deve quindi aprirsi o potersi aprire in tutte le direzioni.
È
un
errore sprangare porte e finestre per trattenere in convento lo Spirito Santo.
L'atto stesso di sprangare porte e finestre a questo fine può essere fatale.
San
Benedetto non ha mai affermato che il monaco non debba
mai
uscire di convento,
mai
ricevere una lettera,
mai
accogliere un visitatore,
mai
parlare ad alcuno,
mai
sentire una notizia da fuori. Egli voleva che il monaco sapesse distinguere ciò
che
è
inutile o addirittura dannoso da ciò che è utile e salutare, e
in tutte le cose
glorificare Dio.
Rinnegare il mondo? Il monaco deve
vedere Cristo
nel
pellegrino e nello straniero che vengono dal mondo, specialmente se poveri.
Questo è lo spirito e la lettera della Regola.
Pag. 20-21
Essere un solitario ma non individualista: preoccupato non soltanto di
perfezionare la. propria vita (questo, come ben comprese Karl Marx, è un lusso
sconveniente e pieno di illusioni). La solitudine dell'individuo appartiene al
mondo e a Dio. Dico giusto?
La
solitudine ha un suo compito speciale da assolvere: approfondire la coscienza di
ciò di cui il mondo ha bisogno, lottare contro l'alienazione. La vera solitudine
è
profondamente consapevole delle necessità di questo mondo. Non tiene il mondo a
distanza.
«
Se
come cristiani pensiamo che tra Chiesa e Sinagoga non vi sia più alcuna
possibilità d'incontro, tutto è finito. E dove la separazione tra comunità e
popolo ebreo è stata più completa, la comunità cristiana ne ha sofferto. La
realtà della rivelazione di Dio è in tal caso segretamente negata, con il
risultato inevitabile che filosofia e teologia prendono il sopravvento e
inventano una cristianità di greci o di tedeschi o di qualche altro popolo
liberamente scelto.» (Karl Barth)
In
conseguenza
di questo principio, Karl Barth ravvisa
chiaramente
nell'antisemitismo dei nazisti anche un attacco
a Cristo.
Pag, 22
Quando saprò riunire
in me stesso
il
pensiero e la devozione della cristianità orientale c di quella occidentale, dei
Padri greci e di quelli latini, dei mistici russi e di quelli spagnoli, allora
potrò preparare in me la riunificazione dei cristiani divisi. Da questa segreta
e inespressa unità che
è
in
me, alla fine scaturirà l'unità visibile e manifesta di tutti i cristiani. Se
vogliamo mettere insieme ciò che
è
diviso non dobbiamo imporre una divisione sopra un'altra o assorbire l'una
nell'altra. In questo modo otteniamo non un'unione cristiana, ma un'unione
politica destinata a provocare nuovi conflitti. Dobbiamo invece contenere dentro
di noi tutti
i
mondi
divisi e trascenderli nel Cristo.
Pag. 40
Siamo
stati a sentire una conferenza teologica nel capitolo monastico. Ancor più
sconcertante del solito. La tesi era:
«È
impossibile conoscere con certezza di fede se uno si salva.
»
C'è
stato quindi un grande annaspare e ronzare sulla certezza, certezza morale,
questa o quella certezza, tutto fuorché la fede. Benissimo. Ma mi pare che non
ci siamo per niente ricordati del movimento ecumenico. Siamo tutti occupati a
dimostrare che i protestanti hanno torto. Ma qualcuno forse ha pensato a
nominare anche una sola volta la parola « speranza »? No, nessuno. Siamo dunque
in piena disperazione.
Pag. 44
Un giorno Gandhi
chiese:
«
Come
può essere fraterno chi crede di possedere la verità assoluta?
»
Siamo
sinceri: la storia del cristianesimo non fa che risollevare di continuo questa
domanda.
Il
problema
è
questo: Dio si
è
rivelato agli uomini nel Cristo, ma si
è
rivelato anzitutto come Amore. La verità assoluta si può quindi comprendere come
amore, ma non certamente in un modo che escluda l'amore in certe situazioni.
Solo chi ama può star certo di essere sempre a contatto con la verità, che in
realtà
è
troppo assoluta per essere capita dalla sua mente. Perciò chi si attiene alla
verità del vangelo teme di perderla per un mancamento nell'amore, non nella
conoscenza. In questo caso egli
è
umile, quindi saggio. Ma
scientia inflat.
La conoscenza gonfia l'uomo come un pallone e gli conferisce una completezza
precaria per la quale egli crede di possedere tutte le dimensioni di una verità
la cui totalità
è
negata agli altri. E finisce per ciò di sentirsi in dovere, in virtù della sua
superiore conoscenza, di punire coloro che non partecipano alla sua verità. Come
può amare gli altri, egli pensa, se non imponendo loro la verità che altrimenti
essi insulterebbero o trascurerebbero? Questa
è
la
tentazione.
Pag. 88-90
La
fede religiosa. al suo livello più profondo, è anche inevitabilmente un
principio di libertà. Difendere la propria fede equivale a difendere la propria
libertà e, almeno implicitamente, la libertà di tutti. Libertà da che cosa, e
per che cosa? Libertà da un potere che non è immanente e personale, un potere
dell'amore. La fede religiosa, nel senso più elevato, è quindi sempre una
liberazione dal dominio di ciò che
è
al
disotto dell'uomo o esteriore all'uomo.
Chi
riceve la grazia di questo tipo di illuminazione religiosa ottiene una libertà e
un'esperienza che non lo lasciano più completamente soggetto alle forze della
natura, ai propri bisogni fisici ed emotivi, alle imposizioni puramente esterne
e umane della società, alla tirannia della dittatura. Vale a dire che il suo
atteggiamento nei confronti della vita è indipendente dal potere inevitabilmente
esercitato su di lui, all'esterno, dalle forze naturali, dalle prove e dalle
difficoltà della vita, dalle pressioni di una collettività non sempre
ragionevole.
Essendo cattolico credo, naturalmente, che la mia Chiesa mi assicuri il più alto
grado di libertà spirituale. Non sarei cattolico se non lo credessi. Non sarei
cattolico se la Chiesa non fosse altro che un'organizzazione, un'istituzione
collettiva dotata di regole e di leggi che esigessero una conformità esteriore
da parte dei suoi membri.
Vedo
le leggi della Chiesa e tutti i vari modi in cui essa esercita la sua autorità
docente e la sua giurisdizione, sottomessa a sua volta allo Spirito Santo e alle
leggi dell'amore. So che la mia Chiesa non appare così agli occhi di coloro che
ne
sono fuori; per essi la Chiesa agisce in base a un principio
di
autorità, non di amore. Si sbagliano, costoro.
E’
in
Cristo e nel suo Spirito che si trova la vera libertà, e la, Chiesa
è
il
suo Corpo, che vive grazie al suo Spirito.
Al
tempo stesso, questa aspirazione alla libertà spirituale, interiore e personale,
non è estranea ad altri rami della cristianità e alle altre grandi religioni del
mondo.
È
una
cosa che
tutte
le religioni più elevate hanno in comune (anche se certamente in misura
diversa), e il cattolico non ha alcuna utilità
di
negarlo, perché ciò che mette in evidenza la dignità
e
la
grandezza di tutte le religioni segna un punto a
favore
anche
del cattolicesimo. È vero che nella Chiesa cattolica
noi
crediamo di aver ricevuto veramente lo Spirito
di
Dio,
lo Spirito di figliolanza che ci rende liberi della
libertà
dei
figli di Dio. E’ vero che i protestanti lo affermano
con
non minore fermezza di noi, e forse
è
una
loro caratteristica di affermarlo con particolare insistenza. Non
sono
certamente in grado di giudicare in errore il singolo protestante che dice la
stessa cosa di sé. Come posso sapere quanta grazia di Dio può avere e ha il
sincero cristiano protestante che obbedisce alla luce della sua coscienza
e
segue Cristo secondo la fede e l'amore che ha ricevuto? Sono persuaso che
avrebbe maggiore sicurezza e più luce se fosse nella mia Chiesa, ma egli non la
pensa come me, e perciò vi sono ragioni più profonde e complicate di quelle
che
possiamo comprendere lui e io. Cerchiamo di capirle,
ma
intanto proseguiamo ognuno per la propria strada, cercando e seguendo la luce
con sincerità.
Anche
gli ebrei, certo: la promessa fatta ad Abramo è una promessa di libertà, di
indipendenza sotto Dio, e il passaggio
del
mar Rosso fu il passaggio dalla schiavitù d'Egitto
alla
libertà del popolo che Dio aveva costituito e scelto per sé, perché fosse il suo
popolo e vivesse fedele a un patto .che è un accordo libero e un vincolo di
libertà e di amore.
La
fedeltà d'Israele al patto significava rifiuto di cedere al fascino e alla
seduzione dei culti cosmici della natura,
rifiuto
di arrendersi
al ciclo cieco della natura e al dominio delle forze della terra. Contro che
cosa protestavano maggiormente i profeti se non contro l'infedeltà con cui
Israele rinunciava alla libertà e allo sposalizio con Jahvè nella libertà e
nell’amore?
La
stessa intransigenza troviamo nell'Islam: libertà
che
innalza il credente al disopra dei limiti dettati dalla natura, dalla razza,
dalla società: incorporazione in una comunità,
più
alta, liberata dal fascino degli idoli, anche degli idoli della mente, resa
libera di viaggiare in un mondo di fede grande come il deserto, fede in un solo
Dio compassionevole e misericordioso. Che cosa sono la compassione e la
misericordia se non doni della libertà alla libertà? Che cosa sono se non
liberazione dalle limitazioni, dalla schiavitù, dal dubbio, dall' asservimento
alla passione e ai pregiudizi?
Checché si dica delle grandi religioni orientali e del loro carattere
«
cosmico
»,
in
definitiva esse mirano alla liberazione dall'eterno cerchio naturale, alla
libertà dello spirito, al vuoto, e offrono tutte all'uomo un principio di
libertà
grazie al quale egli si eleva oltre il dominio della necessità, per sottoporre a
processo, studiare e giudicare il mondo circostante, studiare e giudicare le
forze della passione e la delusione che subentra quando egli si trova a
confronto col mondo nel proprio io isolato.
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net