Quale spiritualità per l’ecumenismo?
Don Emanuele Bargellini O.S.B.
(fino al 2005 Priore Generale Congregazione Camaldolese dell'Ordine di San Benedetto)
Estratto da “Vita monastica”, Anno LV, n. 219
Edizioni Camaldoli 2001
Da molti decenni una profonda inquietudine
attraversa la coscienza di uomini e donne appartenenti alle diverse chiese.
Perché restare divisi come se gli eventi storici che hanno provocato la
situazione attuale fossero strade senza ritorno e le diversità consolidate,
barriere invalicabili? Il peccato contro la buona novella della possibile
comunione universale in Dio affidata da Gesù all'unità tra i suoi discepoli
è davvero la nostra tomba sigillata?
Da tale inquietudine suscitata dallo Spirito si
sono sviluppati un senso sempre più acuto del peccato costituito dalla
divisione tra cristiani, un impegno tenace ad operare per il suo
superamento, una preghiera incessante per invocare perdono e forza
vivificante dallo Spirito che ha risuscitato Gesù da morte.
Nel segno dello Spirito, vincolo di comunione tra
il Padre e il Figlio, è sbocciato, come preannunzio di una nuova Pentecoste
per il nostro tempo, il lento ma costante cammino di ritorno all'originaria
unità dei discepoli di Gesù, riflesso della comunione trinitaria nella
storia.
Un vero processo di conversione dei cristiani e
delle chiese al Signore. Un dialogo reciproco alimentato dal dialogo
interiore con la Parola di Dio e da una rinnovata attenzione da parte di
tutti verso la comune missione evangelizzatrice.
Cammino e dialogo ecumenico come rinnovato «modo
di essere e di relazionarsi» reciprocamente tra cristiani e nei riguardi del
mondo, nel segno di una rinnovata obbedienza allo Spirito del Signore.
Nella chiesa cattolica il concilio Vaticano II e
il successivo costante magistero dei papi e di molti vescovi ispirato dagli
orientamenti conciliari, hanno interpretato la rinascita della coscienza
ecumenica tra i cristiani come uno dei segni più sorprendenti e certi del
soffio vivificante dello Spirito dentro la trama spesso così contraddittoria
della nostra epoca.
Documenti ufficiali di grande peso, dal decreto
conciliare
Unitatis redintegratio
(1964), sino alla recente enciclica di Giovanni Paolo II
Ut unum sint (1995), hanno segnato in
modo irreversibile il cammino della chiesa cattolica in questa direzione e
non hanno mancato di influenzare nello stesso senso anche le altre chiese.
Molto attivo per iniziative di carattere
dottrinale e sul piano della collaborazione per la pace e la giustizia è
stato il
Consiglio Mondiale delle Chiese
che
ha sede a Ginevra.
Commissioni miste di
lavoro su importanti questioni che dividono le chiese sono state molto
operose in questi decenni: commissioni miste tra cattolici e anglicani, tra
cattolici e luterani, tra cattolici e ortodossi, ecc... Sono stati raggiunti
anche significativi accordi di massima, a partire dai quali ogni chiesa si è
impegnata a far crescere una nuova coscienza tra i propri membri e forme di
collaborazione più stretta tra le chiese.
Non sono mancate grandi difficoltà. Persistono
infatti radicate diffidenze degli uni verso gli altri, anche di fronte ad
accordi raggiunti e firmati o a gesti di apertura compiuti da esponenti
delle varie chiese e guardati con sospetto da altri.
Nella chiesa cattolica a dare voce e direzione
decisiva alla nuova coscienza ecumenica è stata soprattutto una lunga serie
di coraggiosi gesti spesso unilaterali compiuti dal pontefice Giovanni Paolo
II in questi decenni. In alcuni ambienti cattolici conservatori sono stati
considerati talora al limite del temerario, e sono stati guardati con
malcelata diffidenza dalle gerarchie di altre chiese.
Un momento particolarmente difficile è stato
costituito dalla pubblicazione di un documento della Congregazione per la
Dottrina della fede presieduta dal card. Joseph Ratzinger (ex- Sant'Uffizio)
dal titolo
Dominus Jesus
(agosto 2000). Secondo le parole del suo autore, il documento voleva
indicare ai cattolici alcune precisazioni per rendere più sicuro il dialogo
ecumenico e il dialogo interreligioso richiamando la centralità della
persona di Gesù nell'economia della salvezza data da Dio a tutti gli esseri
umani. Invece ha diffuso molte inquietudini in tutti e due gli ambiti.
Ma i gesti di dialogo ecumenico compiuti dal papa
prima e dopo la pubblicazione del documento, hanno segnato per sempre il
cammino ecumenico della chiesa cattolica e contribuito alla costruzione di
un nuovo stile più evangelico nei rapporti tra fratelli nella fede e tra
credenti delle diverse religioni.
Il piccolo seme di senape sta diventando un grande
albero ospitale per gli uccelli del cielo (cfr.
Mt 13,31-32). Il pugno di lievito sta
fermentando la pasta con la sua energia nascosta (cfr.
Mt 13,33). Chi può conoscere la
misteriosa fecondità del regno di Dio e i tempi della sua maturazione (cfr.
Mc 4,26-29)? È prodigio divino che ci
sorprende, ci riempie di speranza, ci carica di responsabilità.
Si è consolidata la consapevolezza che la
divisione tra i cristiani
e le lotte tra i credenti delle diverse religioni,
sono negazione della croce di Cristo e soffocamento della buona novella per
il mondo (cfr. Ef
2,11-22;
Col 1,18-20). Questa consapevolezza sta
trasformando le lacrime di pentimento dei cristiani in fiume di acqua viva
che risana e feconda il deserto della storia umana, perché sgorga dal trono
di Dio e dell'Agnello immolato al quale i cristiani si sono nuovamente
rivolti (cfr.
Ap 22,1-7).
Quale spiritualità in questo nuovo orizzonte ecumenico?
Nel linguaggio corrente spesso il termine
«spiritualità» ha un'accezione molto riduttiva e impropria. Qualcosa di
intimistico e moraleggiante, qualcosa che attiene ai sentimenti interiori
della persona, alla sua «vita spirituale»: insomma
un aspetto importante della vita, ma pur sempre un aspetto
accanto ad altri e che talora ha poco a che vedere con la vita pratica.
Secondo la Scrittura invece, è uomo/donna
«spirituale» colui/colei che è animato/a dallo Spirito di Cristo e si lascia
guidare, nel proprio modo di sentire l'esistenza, di giudicare, di scegliere
e di agire, dai criteri che sgorgano dalla partecipazione alla vita dello
stesso Spirito di Cristo (cfr.
Rm 8,1-17; 1 Cor 2,1-16).
Nella prospettiva dunque della Scrittura e
dell'iniziazione cristiana al mistero pasquale di Cristo, la «vita
spirituale» è il «nuovo modo di essere e di agire» che al credente è dato
per grazia dall'alto, dallo Spirito, lo investe di energia divina e lo
modella come una nuova creatura, lo alimenta come acqua viva che sgorga da
una sorgente a lui interiore (cfr.
Gv 7,37-39).
La «spiritualità» è l'anima e lo stile di vita del
credente battezzato, immerso esistenzialmente in Cristo. Egli «dimora» in
Dio perché Dio dimora in lui (cfr.
1 Gv 4,15). Per questo l'uomo e la donna spirituali, nati e
cresciuti nel grembo della gratuità di Dio, sanno riconoscere con umiltà,
stupore e adorazione la presenza e l'azione dello stesso Spirito ben «oltre»
se stessi (cfr.
At 11,15-18). I Padri
dell'antica chiesa parlavano della presenza misteriosa dei «semi del Verbo
di Dio» sparsi nella storia umana, nelle varie culture ed esperienze
religiose che i cristiani devono imparare a riconoscere e valorizzare perché
anch'essi provenienti dalla grazia di Dio.
Un'esistenza, quella dell'uomo e della donna
spirituale del nostro tempo, più che mai nel segno dell'obbedienza della
fede. Riconosce nel gratuito amore divino la radice e il sigillo del proprio
dinamismo di vita (cfr.
Rm 13,8-10;
Gal 5,14).
Accoglie la testimonianza interiore dello Spirito (cfr.
Mt 10,16-20) e la parola da lui pronunziata
attraverso le vicende personali di ciascuno e gli eventi storici del nostro
tempo. Questa duplice testimonianza dello Spirito a favore del credente
rende possibile da parte di questi l'autentica professione di fede (cfr.
1 Cor 12,3) e la testimonianza a Cristo
nei tribunali della storia (cfr. Mt
10,19-20).
Una spiritualità in sintonia con il nostro tempo
non può fare a meno di lasciarsi profondamente ispirare da questa nuova
autocoscienza della chiesa di fronte al suo rapporto esistenziale con lo
Spirito di Gesù e con la sua azione misteriosa nelle coscienze dei credenti.
Questa nuova consapevolezza va modificando il loro modo di essere e il loro
modo di relazionarsi con gli altri cristiani, con i credenti delle altre
religioni e con il mondo.
Spiritualità pasquale.
Il cammino di fede in tempo di ecumenismo è cammino pasquale con Cristo.
Cammino di conversione interiore, di morte alle proprie presunzioni e alle
paure che ci paralizzano. Impegno a trasformare gli eventi storici segnati
dal peccato per orientarli secondo la volontà di Cristo. Una rinascita nello
Spirito Santo (cfr.
Gv 3,3-8) che conosce le doglie e le
gioie del parto (cfr.
Rm 8,22).
Questo è anche il cammino di rigenerazione
interiore che il S. Padre Benedetto indica al monaco/a come percorso e
obiettivo ultimo della sua scelta monastica: «Progredendo nella vita
monastica e nel cammino della fede, il cuore si dilata e con l'inesprimibile
dolcezza dell'amore si corre nella via dei comandamenti di Dio. Avverrà che,
non allontanandosi mai dal magistero del Signore e perseverando sino alla
morte nel suo insegnamento in monastero, prenderemo parte con la nostra
sofferenza ai patimenti di Cristo, e avremo il dono di condividere un giorno
la gloria del suo regno» (RB,
Prol. 49-50).
Spiritualità della
compassione.
Il cristiano, ma anche le chiese, deve assumere l'atteggiamento del buon
samaritano solidale con l'uomo che giace mezzo morto sul ciglio della
strada. Questo sguardo compassionevole come quello di Gesù, richiede alle
chiese un decentramento da se stesse, verso Cristo e verso l'uomo del nostro
tempo che porta le ferite di Cristo (cfr.
Mt
25,31-46).
San Benedetto chiede al monaco di imparare a
sopportare con amore e per amore le proprie e le altrui debolezze e
infermità fisiche e morali (cfr. RB 72,5).
Spiritualità del perdono e
della riconciliazione. Purificare la memoria dai residui pesanti, del passato per dare
spazio alla crescita
di un cuore magnanimo e lungimirante. Non assumere
come condizione per chiedere e dare perdono il criterio della reciprocità ma
quello della gratuità divina unilaterale (cfr.
Rm 5,7-8).
Questo fu il messaggio evangelico con cui il
vescovo anglicano e premio Nobel per la pace, Desmond Tutu, fece istituire e
diresse la «Commissione per la verità e la riconciliazione», quando la
Repubblica razzista del Sud Africa cedette il potere politico alla
popolazione nera e al suo leader carismatico Nelson Mandela.
Non è questa una delle eredità più preziose e una
delle sfide più impegnative lasciateci dal recente giubileo e dai tanti
«gesti profetici» di Giovanni Paolo II che ne hanno accompagnato la
celebrazione?
Spiritualità della speranza
contro ogni speranza. L'unità in Cristo, è orizzonte impossibile? La divisione ad opera
del maligno che disorienta e fa inciampare, resta il nostro male incurabile?
Ma lo Spirito effuso nei nostri cuori non delude (cfr.
Rm 5,3-5). Dio non si arrende al male e
chiede a coloro che sono rinati da lui e a lui si affidano, di fare
altrettanto. La storia dei patriarchi (cfr. il libro della
Genesi) e le vicende
dell'Esodo
sono
testimonianza emblematica di come Dio sappia realizzare anche ciò che
all'uomo risulta impossibile. L'incarnazione del Verbo di Dio nel grembo
verginale di Maria ad opera dello Spirito Santo (cfr.
Lc 1,34-38), e la risurrezione
di Gesù dai morti sono la definitiva riaffermazione della vita
contro il potere della corruzione e della morte (cfr.
At 4,8-12)
Una spiritualità epicletica.
Il cammino in compagnia dello Spirito del risorto si fa affidamento
incondizionato e costante invocazione. Il credente è profondamente
consapevole dello scarto che separa la sua potenziale trasfigurazione in
Cristo e l'effettiva capacità di lasciarsi modellare su di lui. L'impresa
della ricomposizione dell'unità in Cristo, di fronte ai ripetuti smacchi,
alle rinascenti resistenze e delusioni, anche dopo tanti sforzi e alcuni
risultati molto significativi, sembra sempre confinata nel regno dei sogni
impossibili.
È la riprova che il regno di Dio non
può affermarsi che in virtù della sua propria energia divina. «Compi,
Signore, in noi quanto facesti ai nostri padri nei loro giorni, nei tempi
antichi» (cfr.
Sal 102). La
preghiera di intercessione è il respiro profondo di ogni impresa ecumenica.
Non sottovaluta
la «politica»,
ma sa che essa è solo un modesto strumento, non la chiave risolutiva dei
problemi ecumenici.
Accanto e oltre il pur necessario lavoro compiuto
dalle istituzioni ecclesiastiche, il cammino ecumenico deve vivere e
svilupparsi alle radici del cuore dei fedeli e alla base del popolo di Dio.
Questi spesso, in forza del suo profondo «senso della fede» ispirato dallo
Spirito è più avanti delle sue stesse guide. Può diventare di stimolo anche
per esse.
Una spiritualità aperta alle
sorprese di Dio.
Infiniti sono gli orizzonti sui quali lo Spirito di Dio si muove e si fa
trovare a sorpresa, perché senza misura è il cuore del Padre. Così anche il
dialogo interreligioso, che si va imponendo sempre più all'attenzione dei
cristiani, appare come uno sviluppo naturale e coerente del cammino
ecumenico. Non una sua scheggia impazzita o una deriva impropria.
La moltiplicazione e l'accelerazione degli scambi
tra persone di cultura e religioni diverse sono un altro straordinario segno
dei tempi. La globalizzazione va ben oltre l'apertura dei mercati: impone
l'apertura della mente e del cuore dei credenti per imparare a decifrare e
vivere il senso che questo grande fenomeno porta in sé per la vita e
l'azione dei cristiani e delle chiese.
In ambito cattolico il papa ha indicato una
precisa via di interpretazione e un metodo di azione fatto di coraggio e di
sapiente discernimento con l'incontro di Assisi 1986 e le ripetute visite ai
luoghi santi di altre religioni compiute in questi anni. Una spiritualità
che emerge dalla storia e chiede di sapersi radicare in essa. È il luogo in
cui il Signore continua a incarnarsi e a rivelarsi. Ci chiede di saperlo
riconoscere, accogliere e adorare.
Per noi monaci, monache, oblati, oblate, questo
radicarci nella storia e questa attenzione alle sorprese di Dio,
costituiscono forse oggi un nuovo modo di attualizzare la
stabilitas interiore che S. Benedetto chiede al monaco per
essere veramente tale.
Con profonda sapienza spirituale l'antico padre
del deserto di nome Sisoes insegnava: «Cerca Dio, ma non cercare dove
dimora» (Apoftegmi, serie alfabetica, Sisoes 40).
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5 febbraio 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net