L'ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO
L’economia monastica
come motore di cambiamento
Isabelle Jonveaux
(Estratto del “Bollettino AIM 119” - 2020)
Alliances InterMonastères (Alleanza Inter-Monastica) 2020
Qualunque sia il modello economico
[1] sviluppato dalle comunità, si
osserva nel corso della storia monastica che i monasteri sono sempre
stati forze di cambiamento sociale. Philibert Schmitz, storico
dell’Ordine benedettino, parla di «opera civilizzatrice»
[2] dei monaci in Europa. In che
misura il monachesimo attuale può giocare un ruolo di innovazione e di
sviluppo?
1. Perché i monasteri sono luoghi di innovazione?
Se i monasteri, nel corso della storia, sono sempre stati luoghi di
innovazione e di sviluppo benché questo non rappresentasse in alcun modo
il loro scopo primario, ciò significa che la struttura monastica
presenta caratteristiche proprie che possono condurre a questa dinamica.
Secondo Olivier de Sardan
[3], l’innovazione può essere
definita come «inserimento di tecniche, conoscenze o modalità di
organizzazione inedite (generalmente in forma di adattamenti locali a
partire da modelli presi in prestito o importati) su tecniche,
conoscenze e modalità di organizzazione vigenti»
[4]. Egli sottolinea inoltre che
l’innovazione va considerata come un processo sociale.
Anzitutto, una comunità monastica non è un gruppo economico con
l’obiettivo del profitto. L’economia rimane teoricamente a servizio del
sostentamento della comunità. Ne deriva la possibilità di assumere
rischi, perché lo scopo immediato della comunità non è l’utile di
gestione a fine anno. La comunità monastica è duratura; questo gruppo ha
una durata di vita più lunga di un’azienda e può quindi assumersi rischi
o investire in capitale umano. La comunità monastica si proietta in un
tempo lungo, che è legato all’idea di stabilità (stabilitas
loci). Inoltre, questo gruppo vive per la maggior parte del tempo in
pace sociale; si autodefinisce come un gruppo di persone che cercano
Dio. La dimensione duratura della comunità rende anche possibile la
trasmissione di esperienze e conoscenze. Ricordiamo, ad esempio, i
lavori di copiatura dei monaci che hanno permesso di conservare e
trasmettere per tutto il Medioevo le loro conoscenze di medicina,
agricoltura, botanica, ecc. Infine, la lunga storia del monachesimo
consente di migliorare diverse dimensioni e di imparare dall’esperienza
vissuta da altre comunità o in altre epoche: «La notevole stabilità del
monachesimo è principalmente una stabilità della memoria, una continuità
della comprensione che si estende su trenta generazioni»
[5].
Anche se la comunità è recente, ogni monastero si inserisce nella lunga
tradizione del monachesimo e ciò costituisce uno strumento della propria
legittimazione
[6].
2. Economia e sviluppo in Africa
Nei paesi in via di sviluppo dove il monachesimo è spesso un
insediamento recente, le comunità rivestono un ruolo importante per lo
sviluppo economico e sociale. Jean-Pierre Olivier de Sardan definisce lo
sviluppo come un «insieme di processi sociali indotti da operazioni
deliberate di trasformazione di un ambiente sociale, intraprese
attraverso istituzioni o attori esterni a tale ambiente, ma che cercano
di sollecitarlo»
[7]. Nel caso del monachesimo,
tuttavia, lo sviluppo prende dimensioni diverse. Come già detto,
innovazione e sviluppo non sono di per sé obiettivi della vita
monastica, ma possono diventare esternalità positive. Ciò significa che
lo sviluppo è una conseguenza di attività motivate da un fine monastico,
che servono cioè lo scopo religioso della vita monastica. Ad esempio, i
monaci nel Medioevo svilupparono l’energia idraulica per guadagnare
tempo per la preghiera
[8].
Lo sviluppo generato dai monasteri nell’Africa contemporanea è assai
spesso un’esternalità positiva che nasce dalle attività o dalle
innovazioni del monastero. Come ha affermato l’Abate di Keur Moussa:
«Non cerchiamo lo sviluppo, esso viene da sé». Le comunità di
ispirazione benedettina hanno nella loro tradizione il fatto di
sviluppare dentro e intorno al monastero le condizioni che permetteranno
di provvedere ai loro bisogni. Questo significa, nell’ambito di una
nuova fondazione, che i monaci e le monache lavoreranno per rendere
coltivabile la propria terra, per assicurarsi la presenza dell’acqua e
portare o produrre elettricità. L’abbazia di Keur Moussa in Senegal ha
adottato come motto la seguente frase: «E il deserto fiorirà» (Is 35,1)
ed effettivamente ha reso possibile l’agricoltura nelle proprie terre,
un tempo aride, e ha introdotto nell’ambiente nuove specie. L’assunzione
di dipendenti locali contribuisce anche allo sviluppo locale, dando
lavoro alle persone dei dintorni. Per un monaco keniota del monastero di
Our Lady of Mount Kenya si tratta della dimensione principale della loro
attività di sviluppo. Inoltre, anche la formazione di monaci e monache è
parte diretta della loro attività di sviluppo. Indirettamente, il
monastero partecipa allo sviluppo della propria regione quando attira
popolazioni che andranno a stabilirsi nelle vicinanze per beneficiare di
un lavoro, di un dispensario o di una scuola.
Un’altra dimensione dello sviluppo monastico deriva infatti dalla
risposta dei monaci e delle monache a istanze locali. Dato che le prime
comunità religiose presenti in Africa erano congregazioni missionarie il
cui scopo era quello di sviluppare scuole, dispensari e ospedali, lo
stesso tipo di richiesta è rivolta ai monaci quando essi si stabiliscono
in un nuovo ambiente. Ecco perché i monaci di Keur Moussa che venivano
da Solesmes e recavano con sé un modello di vita monastica strettamente
contemplativa e di clausura, hanno dovuto aprire una scuola e un piccolo
dispensario. Hanno però, appena possibile, affidato la scuola a laici e
il dispensario a una congregazione apostolica femminile. Come ha
affermato un monaco in un’intervista: «Le donne venivano a partorire ed
erano i monaci a doverlo fare, mentre non è questa la missione di un
monaco!». Le comunità monastiche a volte supportano anche programmi
sociali, come nel caso del monastero di Our Lady of Mount Kenya che
partecipa a un progetto di agricoltura alternativa, per aiutare le
famiglie povere a diventare autosufficienti.
3. L’economia monastica come economia alternativa
L’economia monastica può anche costituire una forza di cambiamento
all’interno dell’economia stessa, portando modalità alternative di
viverla. Nel contesto europeo, ad esempio, i monasteri cercano di
offrire un’alternativa all’approccio capitalista e in alcuni casi
sviluppano vere e proprie riflessioni, proponendo anche corsi su questo
argomento
[9]. La religiosa francese Nicole
Reille parla così dell’economia delle Congregazioni come di una
«economia profetica» grazie alla testimonianza che può dare al mondo
attraverso gli investimenti etici.
La dimensione alternativa dell’economia dei monasteri africani si
osserva anche in relazione al contesto specifico, perché l’alterità si
costruisce solo in relazione alle norme della società. Una prima
dimensione riguarda il modo in cui il lavoro è vissuto e motivato nella
vita monastica. Dato che il lavoro a prima vista potrebbe apparire in
contraddizione con l’ideale monastico, i monaci e le monache utilizzano
nelle interviste diverse forme di giustificazione. Per esempio, una
sorella giovane a Karen:
«Compio il mio lavoro con amore, non semplicemente per farlo. Lo faccio
con molto amore, al punto che le sorelle sentono esse stesse che il loro
abito è lavato con amore. Se fate le pulizie in un locale con amore,
qualcuno dirà: “Sì, questo è stato fatto con amore”. Conta poco sapere
quali studi avete fatto per questo ma ciò che in questo modo donate alla
comunità»
[10] (04/2014).
Un esempio interessante viene da Séguéya in Guinea Conakry, nella
particolare situazione di questo stato comunista dove i monaci
contribuiscono a dare nuovo valore al lavoro: i monaci lavorano con le
loro mani, cercano di fare di tutto per avere un’attività redditizia.
«La Guinea ha come particolarità di non possedere una vera cultura del
lavoro a causa del sistema politico. La gente ha perso la cultura del
lavoro. E il fatto di vedere i nostri fratelli lavorare e arare la terra
ha dato alla gente la voglia di fare lo stesso. Penso che sia un
messaggio che passa» (04/07/2016).
Una seconda dimensione è la gestione umana e sociale. La dimensione
sociale delle assunzioni è un criterio che a volte prevale su quello
della prestazione economica. A Keur Moussa, il cellerario spiega:
«È prima di tutto la dimensione sociale. Sin dall’inizio, abbiamo avuto
l’esigenza sociale di voler aiutare coloro che attorno a noi non avevano
lavoro e che vengono a chiederci lavoro. Vorremmo fare di più, ma siamo
limitati nei mezzi. Aiutiamo molto le persone attorno a noi»
(04/07/2016).
Inoltre, alcune comunità africane pagano i contributi assicurativi ai
dipendenti, fatto non sempre diffuso nella società.
Infine, lo sviluppo sostenibile e l’ecologia sono argomenti che vanno
sempre più affermandosi nelle comunità africane. Così la comunità di
Keur Moussa è attualmente impegnata nell’agricoltura biologica. O, in
Kenya, i monaci stanno sviluppando l’energia solare e il riciclaggio
dell’acqua per aggirare la difficoltà, in attesa di essere collegati
alla rete centrale. Il monastero di Agbang (Togo), che vive anche di
energia solare, costituisce una fonte di energia elettrica per i Fulani
della savana (etnia nomade dell'Africa occidentale) che si recano al
monastero per ricaricare i telefoni.
Conclusione
Che cos’è l’economia monastica? Giunti a questo punto, possiamo
affermare che non esiste un’economia monastica in sé, ma diverse forme
di economia dei monasteri che sono legati alla storia politica e
religiosa di ogni paese e al contesto economico e sociale corrente.
Tuttavia, si osservano alcune tendenze comuni nella direzione che le
comunità desiderano imprimere alla loro attività economica.
La forma dell’economia riveste un ruolo importante per la credibilità
della vita monastica in una società, perché rappresenta spesso uno dei
primi vettori di comunicazione con il mondo. Inoltre, essa influenza la
forma della vita monastica e viceversa.
L’economia dei monasteri africani è un’economia che spesso cerca ancora
la stabilità e riflette le specificità del contesto socio-economico e le
influenze del modello del fondatore. Ma anche, molto spesso, attraverso
le attività economiche i monasteri possono svolgere un ruolo nello
sviluppo del loro ambiente. Senza che essa sia un obiettivo della vita
monastica in sé, si osserva, secondo l’espressione di Max Weber, una
“affinità elettiva” tra economia monastica e sviluppo economico, sociale
e culturale dell’ambiente in cui il monastero è inserito. La vita
monastica può quindi influenzare il proprio ambiente e anche, quando la
matrice monastica è sufficientemente consistente, influire sulla stessa
società come abbiamo potuto constatare nella storia europea.
[1]
Isabelle Jonveaux è sociologa, docente all’università di Graz e
membro del CéSor (Centre d'études en sciences sociales du
religieux) (Parigi).
Lavora in modo particolare sulle questioni riguardanti la vita
monastica (economia, lavoro, ecologia, rapporti tra i sessi,
disciplina del corpo, ascesi), internet e religione (pratiche
religiose on line, digiuno da internet), ma anche su digiuno e
consumo alternativo (stages di digiuno ed escursioni, sobrietà
positiva…). Attualmente sta sviluppando un progetto di ricerca
sulla vita monastica cattolica in Africa. L’articolo qui
proposto è una parte del suo intervento nel contesto del
convegno dell’Istituto monastico di Sant’Anselmo a Roma su «Vita
monastica ed economia» (cf. Monasticism and Economy:
Rediscovering an Approach to Work and Poverty, Acts of the
Fourth International Symposium, Rome, June 7-10/2016, Studia
Anselmiana, Roma 2019).
[2]
P. Schmitz, Histoire de l’ordre de saint Benoît, tomo II,
Œuvre civilisatrice jusqu’au XIIe siècle, Maredsous 1943, p. 18.
[3]
Jean-Pierre Olivier de Sardan è un antropologo francese e
nigeriano, attualmente professore di antropologia (direttore
degli studi) all’Ecole des hautes études en sciences sociales
di Marsiglia.
[4]
J.-P. Olivier De Sardan, Anthropologie et développement.
Essai en socio-anthropologie du changement social,
Marseille-Paris 1995.
[5]
«The remarkable stability of monasticism is in large part a
stability of memory, a continuity of understanding spanning
thirty generations». R.H. Winthrop, Leadership and Tradition
in the Regulation of Catholic Monasticism, Anthropological
Quaterly 58 (1985), p. 30.
[6]
B. Delpal, Le silence des moines. Les
Trappistes au XIXe siècle, Paris 1998, p. 15.
[7]
Olivier de Sardan, Anthropologie et développement.
[8]
M. Derwich, La vie quotidienne des moines et chanoines
réguliers au Moyen-Age et Temps Modernes, Wroclaw 1995.
[9]
I. Jonveaux, Le monastère au travail, Paris 2011.
[10]
«I do it with love, not just doing it, I do it with a lot of
love. Until they feel them-selves that this cloth is washed with
love. Even when you sweep you sweep a place with love and
somebody will look and say: “Yes, this was done with love”. It
doesn’t matter what you have gone to school for but what matters
is what you give to the community» (04/2014).
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22 maggio 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net