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GREGORIO MAGNO (540 - 604)
Estratto
dal libro "Storia della civiltà - Vol. 4 - L'epoca della fede" (Cattedra di storia della filosofia alla Columbia University e Università di Los Angeles) |
Mentre Benedetto e i suoi monaci lavoravano pacificamente e pregavano a Monte Cassino, la guerra greco-gotica (536- 553) passò e ripassò sull'Italia come fiamma distruggitrice lasciando dietro di sé niente altro che disordine e miseria. L'economia urbane era nel caos, le istituzioni politiche erano in .rovina; in Roma non sopravviveva altra autorità secolare se non quella dei legati imperiali debolmente sostenuti da truppe lontane e non pagate. Nel collasso dei poteri statali la permanente organizzazione ecclesiastica parve anche agli imperatori l'unico strumento per salvare lo Stato. Nel 554 Giustiniano promulgò un decreto secondo cui « proprie e idonee persone, capaci di amministrare il Governo locale, siano scelte come governatori delle province dai vescovi e dai notabili di ogni provincia». Ma il cadavere di Giustiniano non era ancora freddo che già l'invasione longobarda (568) assoggettava di nuovo l'Italia settentrionale alla barbarie e all'Arianesimo, minacciando l'intera struttura e la preminenza della Chiesa in Italia. La crisi richiedeva un uomo di polso e la storia ancora una volta testimonia dell'influenza del genio.
Gregorio nacque a Roma tre anni prima della morte di Benedetto. Discendeva da un'antica famiglia senatoria e aveva trascorso la propria giovinezza in un magnifico palazzo sul Celio. Alla morte del padre divenne erede di un'enorme fortuna. Ascese rapidamente l'ordo honorum o successione delle cariche pubbliche; a trentatré anni era prefetto, noi diremmo sindaco, di Roma. Ma non aveva il gusto della politica. Dopo aver portato a termine il proprio anno di ufficio e probabilmente convinto, alla vista delle condizioni d'Italia, che la fine del mondo, da tempo annunziata, era ormai prossimo, dedicò gran parte della propria ricchezza alla fondazione di sette monasteri e distribuì il resto in carità. Abbandonò ogni vestigio del proprio rango, trasformò il proprio palazzo in. monastero (di Sant'Andrea) e ne divenne il primo monaco. Si sottoponeva a pratiche di estremo ascetismo, viveva quasi esclusivamente di verdura cruda e frutta e digiunava tanto che, quando giungeva il sabato santo, giorno di stretto obbligo di digiuno, sembrava che una nuova astinenza lo avrebbe ucciso. Eppure i tre anni trascorsi nel monastero furono da lui sempre ricordati come i più felici della sua vita. Fu tolto dalla sua pace per servire papa Benedetto I come "settimo diacono"; nel 579, da papa Pelagio II, fu inviato ambasciatore alla corte imperiale di Costantinopoli. Tra le astuzie della diplomazia e la pompa dei palazzi continuò a vivere, vestire, mangiare e pregare come un monaco; ciò nonostante fece utile esperienza del mondo e dei suoi inganni. Nel 586 fu richiamato a Roma e fatto abate di Sant'Andrea. Nel 590 una terribile peste bubbonica decimò la popolazione di Roma e lo stesso Pelagio ne fu vittima; subito il clero e il popolo della città scelsero Gregorio a succedergli. Non gli sorrideva l'idea di lasciare il monastero e scrisse all'imperatore greco implorandolo di non dare il consenso alla sua elezione; il prefetto della città intercettò la lettera e poiché Gregorio si preparava a fuggire fu preso, portato a forza in San Pietro e là consacrato papa.
Aveva allora cinquant'anni ed era calvo, con una grossa testa, di colorito bruno, naso aquilino, barba sparsa e sbiadita; era uomo di forte sentire e affabile eloquio, capace di progetti imperiali e dì semplici sentimenti. La vita austera e le responsabilità avevano rovinato la sua salute; soffriva di dispepsia, di continua febbre di gotta. Viveva nel palazzo papale così come aveva vissuto in monastero, vestito degli abiti ordinari del monaco, mangiava i cibi più a buon mercato, divideva ogni cosa con i monaci e i preti suoi collaboratori. Di solito assorto in problemi di religione e di Stato, sapeva tuttavia, nel dire e nel fare, mostrare paterno affetto. Un menestrello girovago si presentò una volta ai cancelli del palazzo con un organo e una scimmia; Gregorio fece entrare l'uomo e gli diede da mangiare e da bere. Invece di spendere gli introiti della Chiesa nella costruzione di nuovi edifici, li usava in carità, in doni a istituzioni religiose di tutta la cristianità e se ne serviva per riscattare i prigionieri di guerra. Nella sua concezione il prete doveva essere un pastore nel vero senso della parola, un guardiano amoroso del proprio gregge e il buon papa a ragione compose l'opera dal titolo Liber pastoralis curae
(590), un manuale di consigli ai vescovi che doveva poi diventare un classico cristiano. Sebbene fosse prematuramente invecchiato e spesso ammalato si diede completamente al Governo della Chiesa, alla politica, all'amministrazione delle terre di proprietà papale, alla strategia militare, preparò vari trattati teologici, si elevò a estasi mistiche e si dedicò con sollecito interesse ai numerosi problemi della vita umana. Frenò l'orgoglio della propria dignità con l'umiltà del suo credo; si chiamò, nella prima tra le lettere che ci rimangono, servus servorum Dei "servo dei servi di Dio"; i più grandi papi hanno fatto propria la nobile espressione. Il suo Governo fu caratterizzato da una saggia economia e da rigide riforme. Lottò per sopprimere la simonia e il concubinaggio del clero, restaurò la disciplina nei monasteri latini e regolò i loro rapporti sia verso il clero secolare sia verso il papa. Introdusse modifiche nel canone della Messa e forse contribuì allo sviluppo del canto "gregoriano". Represse lo sfruttamento nelle tenute papali, prestò denaro ai fittavoli senza pretendere interesse, ma raccolse prontamente gli introiti dovuti, concesse affitti ridotti a Ebrei convertiti e accettò per la Chiesa lasciti di terre da parte dì baroni preoccupati per la loro salvezza eterna.Nel frattempo tenne testa in dure lotte politiche ai più abili governanti del periodo, spesso vinse, talvolta perse ma alla sua morte la potenza e il prestigio del papato erano rafforzati e il "Patrimonio di Pietro" (cioè gli Stati papali dell'Italia centrale) era molto più esteso. Riconobbe formalmente ma in pratica non ne tenne conto, la sovranità dell'imperatore d'Oriente. Quando il duca di Spoleto, in guerra contro l'esarca imperiale di Ravenna, minacciò Roma, Gregorio fece pace con il duca senza consultare né l'esarca né l'imperatore. Mentre i Longobardi assediavano Roma, Gregorio prese parte attiva nell'organizzarne la difesa. Si rammaricò per ogni istante concesso a preoccupazioni terrene e si scusò di fronte alla congregazione, dell'impossibilità in cui era, preso da faccende mondane, di predicare sermoni di conforto. Nei pochi anni di pace che gli furono concessi, si dedicò con successo a diffondere il Vangelo in Europa. Riuscì a sottomettere i vescovi ribelli della Lombardia, riaffermò in Africa il cattolicesimo ortodosso, ricevette la conversione della Spagna ariana, e, con quaranta monaci, conquistò l'Inghilterra. Mentre era abate di Sant'Andrea aveva visto alcuni prigionieri inglesi esposti in vendita in un mercato di schiavi a Roma; fu colpito, dice il patriottico Beda, dalla loro « pelle bianca, dai lineamenti avvenenti e dai capelli di particolare bellezza ». Domandò loro, come essi poi raccontarono, « da quale regione o terra essi venissero. E fu risposto ch'essi erano stati presi in Britannia e tale era l'aspetto degli abitanti ». Di nuovo egli domandò se la gente dell'isola fosse cristiana... e la risposta fu che erano pagani. Allora questo ottimo tra gli uomini disse « ahimè! è davvero un triste caso che il principe delle tenebre sia signore di questo popolo bello e luminoso e che uomini dall'aspetto così grazioso abbiano anime prive di grazia interiore ». Di nuovo s'informò quale fosse il nome di quella gente. Fu risposto che essi erano chiamati Angli. Al che egli: « giustamente sono così chiamati perché hanno il viso d'angeli ed
è destino che essi con gli angeli ereditino il cielo ».La storia, troppo bella per esser vera, continua dicendo che Gregorio domandò a papa Pelagio II il permesso di condurre alcuni missionari in Inghilterra, il che gli fu concesso; ma poi Gregorio abbandonò l'impresa perché una locusta cadde un giorno sulla pagina delle Scritture ch'egli stava leggendo; « locusta », egli gridò « che significa loco sta » sta al tuo posto. Innalzato poco dopo al papato egli, non dimenticò l'Inghilterra. Nel 596 vi inviò una missione sotto la guida di Agostino, priore di Sant'Andrea. Giunti in Gallia, i monaci si lasciarono impressionare dalle storie che i Franchi raccontavano della barbaria sassone; quegli "Angeli" dissero loro « erano bestie selvagge che preferivano l'uccidere al mangiare, erano assetati di sangue umano e prediligevano fra tutti il sangue cristiano ». Agostino ritornò a Roma con tali notizie, ma Gregorio lo rimproverò e, fattogli coraggio, lo rimandò a compiere pacificamente in due anni ciò che Roma aveva raggiunto, con risultati effimeri, in novant'anni di guerra.
Gregorio non era un filosofo-teologo come il grande Agostino, nemmeno un maestro di stile come il brillante Gerolamo, ma i suoi scritti influenzarono tanto profondamente lo spirito medievale e a esso diedero così piena espressione che Agostino e Gerolamo, paragonati a Gregorio, sembrano autori classici. Egli scrisse libri di divulgazione teologica pieni di tali assurdità che ci si chiede se il grande papa credesse a ciò che scriveva o se piuttosto scrivesse ciò che giudicava fosse bene far credere a anime rozze e peccaminose. La biografia di Benedetto è la migliore tra queste sue opere, un incantevole riverente idillio senza alcun tentativo critico di distinguere le leggende dai fatti. (Su questo aspetto vedere l'introduzione ai "Dialoghi" del De Vogué in questo sito. N.d.R.). Le ottocento lettere sono il meglio della sua eredità letteraria; in queste Gregorio si rivela nei suoi differenti aspetti e, senza volerlo, ci dà un'intima descrizione di se stesso e dell'epoca.
Gregorio si avventurò più a fondo nella teologia con la Magna Moralia, un commento in sei volumi del Libro di Giobbe. Egli accetta la vicenda come realmente accaduta, ma contemporaneamente cerca di scoprire in ogni i riga un significato allegorico o simbolico e finisce con lo scorgervi l'intera teologia agostiniana. La Bibbia è, sotto ogni aspetto, la parola di Dio; è un completo sistema di conoscenza e nello stesso tempo ha grande valore estetico; nessuno dovrebbe perdere il suo tempo abbassandosi a leggere i classici pagani. Tuttavia la Bibbia talvolta è oscura ed è spesso esposta in un linguaggio popolare e pittoresco; è necessaria una attenta interpretazione da parte di persone esperte in questi studi e la Chiesa, in quanto custode della tradizione sacra, ne è l'unica vera interprete. La ragione individuale, che è un debole strumento di conoscenza, generatrice di dissensi, non è adatta a occuparsi delle realtà soprannaturali; e « quando l'intelletto cerca di comprendere oltre i suoi poteri, perde anche ciò che prima comprendeva ». Dio è al di là della nostra comprensione; noi possiamo solamente dire quello che Egli non è, non quello che Egli è; « quasi ogni cosa che è detta di Dio è indegna di Lui, appunto perché fu possibile esprimerla ». Gregorio non fa alcun tentativo formale per dimostrare l'esistenza di Dio. Ma, egli afferma, noi possiamo avere un'indicazione di Lui considerando l'anima umana: non è questa la forza vivente che regge il nostro corpo? « Molti nostri contemporanei » dice Gregorio « hanno spesso visto l'anima dipartirsi dal corpo. » La tragedia dell'uomo sta nel fatto che egli, a causa del peccato originale, ha natura corrotta ed è propenso a cedere; questa fondamentale propensione verso il male è trasmessa dai genitori ai figli mediante l'atto della procreazione sessuale. Abbandonato a se stesso, l'uomo non farebbe altro che accumulare peccati su peccati e meriterebbe certamente l'eterna dannazione. In forma meno rigida Gregorio sviluppò la dottrina di Agostino di un purgatorio in cui i morti avrebbero espiato i peccati perdonati. Come Agostino, Gregorio confortò coloro che prima aveva atterrito ricordando il dono della grazia divina, l'intercessione dei santi, i frutti del sacrificio di Cristo, i vittoriosi effetti di salvazione dei sacramenti alla portata di tutti i penitenti cristiani.Gregorio dominò l'ultima parte del sesto secolo così come Giustiniano ne aveva dominato l'inizio; in questa epoca la sua influenza in campo religioso fu inferiore solo a quella di Maometto. Non era un uomo colto, nemmeno un profondo teologo, ma, proprio per la sua semplicità, influenzò i fedeli più profondamente di Agostino la cui guida egli accettava con commovente umiltà. Intellettualmente fu il primo uomo completamente medievale. Pur cercando di salvare un Impero che andava spezzandosi, il suo pensiero si occupava della corruzione della natura umana e della vicina fine del mondo. I successivi sette secoli dovevano accettare la sua teologia; i grandi scolastici dovevano affaticarsi per darle forma razionale; essa doveva costituire il tragico scenario per La
Divina Commedia.Ma questo stesso uomo, superstizioso e credulo, fisicamente spezzato da una religione di terrore, per forza di volontà era un romano del vecchio tipo, amante della disciplina e della legge. Egli diede una legge al monachesimo così come Benedetto gli aveva dato una regola; edificò il potere temporale del papato, lo liberò dal dominio imperiale e amministrò con tanta saggezza e integrità che il popolo, in secoli tempestosi, avrebbe guardato al papato come a un sicuro rifugio. I suoi successori, grati, lo canonizzarono e i posteri, ammirati, lo chiamarono Gregorio Magno.
Nota dell'autore del sito ritenuta opportuna a causa di alcune richieste su
questo argomento:
L' Ordine di San Gregorio
Magno è un Ordine cavalleresco della Santa Sede,
istituito da papa Gregorio XVI nel 1831 e modificato nel 1834. Comprende tre
classi di insigniti: cavalieri di Gran Croce, commendatori, cavalieri. Insegna
dell'ordine è una croce smaltata di rosso che reca al centro l'immagine di San
Gregorio Magno; la fascia è rossa con l'estremità gialla. (Fonte Wikipedia)
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4 ottobre 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net