Le donne di san Benedetto
Fratel MichaelDavide (Semeraro) O.S.B.
edizioni La meridiana
(Il testo
riportato è estratto dall’inizio, dalle parti intermedie e dal finale del libro.
Il testo dei Dialoghi non è quello del libro, bensì la traduzione a cura dei PP.
Benedettini di Subiaco pubblicato nella collana "Spiritualità nei secoli" di
Città Nuova Editrice)
Preludio
Le donne di san Benedetto
Avvicinandosi al secondo libro dei
Dialoghi, verrebbe subito
da dire che in questo si parla di un uomo, Benedetto: “Vi fu
un uomo di vita santa” (D II, Pr 1). Ciò è fondamentalmente
esatto, in quanto caratteristica propria di questo libro è di
essere dedicato a un solo grande personaggio, come il
quarto si occupa di un solo grande argomento, l’escatologia.
Ma se si guarda con attenzione ci si rende conto che, analogamente agli
altri tre libri, anche la vita di Benedetto è
accompagnata da varie figure femminili e nella medesima proporzione, una
decina in tutto.
Anche qui si nota la compresenza di figure femminili positive
e negative, di aiuto o di ostacolo al progresso nella virtù.
Ma bisogna aggiungere che in tutti i casi queste donne rappresentano
un’occasione privilegiata per Benedetto di
approfondire il suo cammino di perfezione oppure di manifestare
esteriormente la sua forza interiore.
Evidentemente tra tutte risplende la figura di Scolastica,
a cui sono dedicati due capitoli, e la cui visita e morte segnano il
passaggio tra la serie dei miracoli e la visione
Ma la parte eminentemente dedicata ai miracoli di Benedetto
(poiché egli ne compie sin dall’inizio) la si fa cominciare al
capitolo terzo con le parole di Gregorio:
Gregorio:
la tentazione dunque
fu superata. Libero da quella, l'uomo di Dio, sempre con più abbondanza dava
frutti vigorosi di virtù, proprio come avviene in un terreno mondato dalle spine
e ben coltivato. Conduceva vita veramente santa, e per questo la sua fama si
andava divulgando dovunque. (D II, 3, 1).
ll ciclo dei miracoli finisce, appunto, con l'incontro con
Scolastica, dopo che il santo abate IIa appena raggiunto il culmine
taumaturgico con la risurrezione di un morto (D II, 32).
Così il libro si trova ad essere diviso in questo modo: i primi
due capitoli, che presentano il passaggio di Benedetto alla
capacità di avere discepoli, poiché “Subito molti incominciarono ad
abbandonare il mondo e ad accorrere con gioia
sotto la sua guida” (D ll, 2, 3); trentuno capitoli in cui si dispiegano
le virtù e i miracoli del santo abate e l’incontro notturno
con la sorella Scolastica; quattro capitoli sulla vita eterna e
l’irradiazione oltre la morte (D II, 34-37).
Come capitolo conclusivo si trova un racconto, quello della
donna pazza od ossessa che viene inconsapevolmente guarita nello speco (D
II, 38), inizio dei post mortem di
Benedetto e occasione per Gregorio di spiegare a Pietro, cioè al
lettore, il permanere dell’influsso positivo dei santi come già
faceva Costanza che passava le sue notti vegliando sul
sepolcro del grande Ilarione. La frase conclusiva, messa in
bocca al Signore Gesù da Gregorio, e poi di una certa rilevanza per
l’interpretazione di tutto il racconto. Egli, prima
della conclusione-passaggio redazionale, scrive:
Se io non andrò, il Paraclito non
verrà", quasi volesse apertamente insegnare: "Se io non allontano il corpo non
potrò mostrare chi sia lo Spirito che è Amore; e se non cessate di guardarmi con
l'occhio del corpo, non imparerete mai ad amarmi in modo spirituale (D II, 38,
4).
“Amare
spiritualmente” è l'ultima parola della vita di Benedetto posta come inclusione
dell’inizio del suo itinerario
mistico, in cui lo troviamo accompagnato da colei che “gli era intensamente
affezionata” (D II, 1, 1). Quello di Benedetto è un cammino dall’amore
all’amore, da un contatto con le
realtà della vita in modo “corporale” ad un modo di sentire le stesse realtà in
modo “spirituale”.
Ci si trova dunque davanti a quattro principali figure di
donne - la nutrice, la tentatrice, la sorella, la pazza guarita
- che scandiscono il progresso spirituale di Benedetto verso
la pienezza dell’amore. Infatti per Gregorio “come c’è una
crescita, fisica, cosi c’è una crescita della coscienza” (Job XI, 62).
Il femminile si manifesta in tutta la sua profondità e complessità
secondo quanto la stessa mitologia contempla: “Al
mattino la dea è madre, a mezzo del giorno sposa-sorella, e la
sera di nuovo madre che accoglie il morto nel suo
grembo” (Jung, vol. 5, p. 240).
Certo il capitolo più importante sarà quello dedicato a
Scolastica, per la cui comprensione però sarà necessaria l’analisi accurata
delle prime due figure femminili - la nutrice e
la tentatrice -, che con le somiglianze e le differenze conferiscono alla
figura della sorella tutto il suo spessore e la sua
plasticità. Si farà inoltre notare come queste figure, oltre a
rappresentare la ricchezza e la complessità del femminile,
hanno il ruolo di scandire le tappe del cammino spirituale
di Benedetto, come in altrettanti gradi che culminano nella
capacità di risanare gli altri - dopo aver sanato se stessi - nella
figura della donna pazza.
Si tratta di passare dalla terra, per il fuoco e l’acqua (Sal
65, 12), alla libertà dell’aria celeste. Per ciascuno si apre l’orizzonte
della maturazione fino alla fecondità; l'una e l'altra
non possono che essere dono e frutto della preghiera più fervida:
Lascia che accada in noi
l'ultimo segno,
mostrati
nella corona della tua forza
e
concedici, dopo tante doglie di donne,
la vera maternità degli uomini
PRIMA TAPPA:
DALLA
TERRA
La nutrice: dalla necessità alla libertà
Prologo
In questa parte
si tratterà del rapporto di Benedetto con
l’immagine parentale. Se ne metteranno in luce i valori positivi e i
suoi inevitabili rischi di fissazione e di non cammino
verso quella maturità umana che è, senza dubbio, premessa
indispensabile per una pienezza spirituale. Perciò si parlerà
dei due sostituti della madre e del padre nella vita del santo
di Norcia ossia la nutrice e il monaco Romano.
Per comprendere queste figure si farà riferimento prima
di tutto al loro ruolo di occasioni di nascita e di rinascita con
la conseguente analisi di quei simboli - come il vaso e il lago - che
stanno ad indicarne l’avvenimento o l’imminenza.
Inoltre, proprio partendo dai simboli, anche geografici, che
il testo presenta, si insisterà sulla necessità e la modalità della
crescita nel senso dell’iniziazione.
Le lacrime della nutrice e di Benedetto, il cammino verso
il deserto e l’aiuto del padre spirituale nel cammino ascetico
non sono altro che un modo, tra altri, per dire quanto sia
faticoso il viaggio dell’uomo verso se stesso in vista dell’adempimento
della sua più segreta e irrinunciabile vocazione.
Benedetto appare infatti come un uomo “pre-destinato”
ma a cui non viene risparmiata tutta l’avventura umana della
conquista e dell’esercizio della libertà. È questa la prima tappa
di un cammino che, secondo la divisione del mio lavoro, si
attua in quattro momenti, per mezzo di quattro donne, che
lo scandiscono come le tappe di un cammino, di un’ascesi.
Abbandonati
dunque gli studi letterari, Benedetto decise di ritirarsi in luogo solitario. La
nutrice però che gli era teneramente affezionata, non volle distaccarsi da lui
e, sola sola, ottenne di poterlo seguire. E partirono.
Giunti alla località chiamata
Enfide, quasi costretti dalla carità di molte generose persone, dovettero
interrompere il viaggio; presero così dimora presso la chiesa di S. Pietro.
Qualche giorno dopo, la nutrice
aveva bisogno di mondare un po' di grano e chiese alle vicine che volessero
prestarle un vaglio di coccio. Avendolo però lasciato sbadatamente sul tavolo,
per caso cadde e si ruppe i due pezzi. Ed ora? L'utensile non era suo, ma
ricevuto in prestito: cominciò disperatamente a piangere.
Il giovanotto, religioso e pio
com'era, alla vista di quelle lacrime, ebbe compassione di tanto dolore: presi i
due pezzi del vaglio rotto, se ne andò a pregare e pianse. Quando si rialzò
dalla preghiera, trovò al suo fianco lo staccio completamente risanato, senza un
minimo segno d'incrinatura: "Non c'è più bisogno di lacrime - disse, consolando
dolcemente la nutrice - Il vaglio rotto eccolo qui, è sano!".
La cosa però fu risaputa da
tutto il paese e suscitò tanta ammirazione che gli abitanti vollero sospendere
il vaglio all'ingresso della chiesa: doveva far conoscere ai presenti e ai
posteri con quanto grado di grazia Benedetto, ancor giovane, aveva incominciato
il cammino della perfezione.
Il vaglio restò lì per molti
anni, a vista di tutti, e fino al tempo recente dei Longobardi, è rimasto appeso
sopra la porta della chiesa. (D II, 1, 1-2).
SECONDA TAPPA:
PER IL FUOCO
La tentatrice: il rischio della trasgressione
Prologo
Dopo il superamento della fase di indifferenziazione e
di fusione per mezzo dell’iniziazione, Benedetto deve ora
aprirsi alla tappa dell’alterità, dell’incontro con il diverso,
che è pure il desiderabile. Tutto ciò e rappresentato dalla
donna nella veste di seduttrice.
In questo capitolo vedremo entrare in azione l’insieme di
quei simboli quali il fuoco e gli uccelli che troveranno la
loro soluzione nell’incontro tra Benedetto e Scolastica. Nella
pace della solitudine monastica faranno irruzione gli altri con
tutti i problemi che vengono innescati dalla relazione. Problemi che non
sono certo fuori ma, appunto, dentro chi li
vive.
L’ apparizione della tentazione diverrà per il santo di
Norcia l'occasione della verifica del suo desiderio e l'opportunità per
dare prova della sua scelta preferenziale e assoluta dell’amore di Dio. ln tal
senso si vedrà l’insorgere del
problema della sessualità come cifra del desiderio e come
paura della morte a cui corrisponde la sfida dell’ascesi e della mistica.
Il fuoco sarà spento da Benedetto rotolandosi, nudo, sulla
nuda terra facendo così del suo stesso corpo l'altare di quell’olocausto
spirituale che l’uomo rinato dallo Spirito desidera
offrire al suo creatore. Non nella linea di un eroismo gratuito,
ma nella logica di un grande amore che passa per l’accoglienza
di tutta la verità su se stessi e sul mondo.
Il volo dell’uccello che apre la scena
della tentazione racchiude, come vedremo, tutto il suo simbolo di anticipazione
del pericolo ma anche della vittoria che non sta nelle proprie forze, ma nella
fiducia serena e certa della potenza della
croce di Cristo.
Un giorno mentre era solo, ecco
presentarsi il tentatore. Era sotto forma di un uccello piccolo e nero, un
merlo; svolazzava intorno al suo corpo e insistente e importuno gli sbatteva le
ali sul viso, tanto che se l'avesse voluto l'avrebbe potuto afferrar colle mani.
Fece un segno di croce e l'uccello si allontanò.
Ma appena scomparso il merlo lo
invase una tentazione impura così forte, come il santo uomo non aveva provato
mai. Un tempo egli aveva veduta una donna ed ora lo spirito maligno turbava con
triste ricordo la sua fantasia. E fiamma sì calda il diavolo suscitò nell'animo
del servo di Dio con quella appariscente bellezza, che egli non riusciva più a
contenere il fuoco dell'amore impuro e già quasi vinto stava per decidersi ad
abbandonare lo speco. Fu un istante: illuminato dalla grazia del cielo, ritornò
improvvisamente in se stesso. Visti lì presso rigogliosi e densi cespugli di
rovi e di ortiche, si spogliò delle vesti e si gettò, nudo, tra le spine dei
rovi e le foglie brucianti delle ortiche.
Si rotolò a lungo là in mezzo e
quando ne uscì era lacerato per tutto il corpo; ma con gli strappi della pelle
aveva scacciato dal cuore la ferita dell'anima, al piacere aveva sostituito il
dolore; quel bruciore esterno imposto volutamente per pena, aveva estinto la
fiamma che ardeva all'interno, e così, mutando l'incendio, aveva vinto l'insidia
del peccato. (D II,
2, 1-2).
TERZA TAPPA:
E L’ACQUA
Sorella Sposa: la forza nella debolezza
Prologo
Dopo la nutrice e
la tentatrice ecco dunque la sorella Scolastica, la
soror mystica. Dopo una remota
preparazione finalmente la figura di questa donna di Dio si staglia davanti a
Benedetto in tutta la sua statura. Di lei non ci interessa tanto
la realtà storica, in senso biografico, quanto piuttosto il ruolo
simbolico nel cammino mistico del suo santo fratello.
Nel corso del presente capitolo si cercherà di approfondire
il ruolo di guida e di maestra che la monaca viene ad
assumere nei confronti di suo fratello. Ella rappresenta l’occasione di
giungere a un più alto grado di perfezione in quanto
esige l'accoglienza della debolezza, della carne, della relazione
umana come anticipo e preparazione alla vita eterna.
I simboli che già sono apparsi precedentemente raggiungeranno
ora la pienezza del loro significato. La paura dell’altro e la paura della morte
saranno superate in una sintesi
pasquale di coincidentia oppositorum di gioioso passaggio
verso la vita. Perché questo avvenga bisogna passare radicalmente alla
logica dell’amore la cui potenza è, appunto, onnipotente.
Il desiderio di Dio viene condiviso e la gioia del cielo
viene con-desiderata in modo cosi
forte da attendere l’uno accanto
all’altra il giorno della risurrezione della carne. La preghiera
non fa che rendere presente nel tempo del pellegrinaggio ciò
che sarà alla fine trasformato in pienezza di luce e in comunione
perfetta di un’unità ritrovata.
Di
quest’unificazione in divenire sono segno i vari elementi
naturali che si incontrano e si intersecano tra loro per offrire una
sintesi piena di forza. L’invito e il monito di Scolastica
è di sperimentare tutte le forme e le fasi deII'amore fino a
quella sponsalità che sarà piena nelle nozze del Regno di Dio.
Fatto ciò, questa donna scomparirà con la stessa discrezione con cui è
apparsa.
Egli aveva una sorella di nome
Scolastica, che fin dall'infanzia si era anche lei consacrata al Signore. Essa
aveva l'abitudine di venirgli a fare visita, una volta all'anno, e l'uomo di Dio
le scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento del
Monastero.
Un giorno, dunque, venne e il
suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la
giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a
calare la sera, presero insieme un po' di cibo. Si trattennero ancora a tavola e
col prolungarsi dei santi colloqui, l'ora si era protratta più del consueto.
Ad un certo punto la pia sorella
gli rivolse questa preghiera: "Ti chiedo proprio per favore: non lasciarmi per
questa notte, ma fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre
conversazioni, le gioie del cielo... ". Ma egli le rispose: "Ma cosa dici mai,
sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero".
La serenità del cielo era
totale: non si vedeva all'orizzonte neanche una nube.
Alla risposta negativa del
fratello, la religiosa poggiò sul tavolo le mano a dita conserte, vi poggiò
sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla
tavola si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d'acqua,
in tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch'eran con lui,
poterono metter piedi fuori dell'abitazione.
La santa donna, reclinando il
capo tra le mani, aveva sparso sul tavolo un fiume di lagrime, per le quali
l'azzurro del cielo si era trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un
istante il temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la
preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi
tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia.
L'uomo di Dio capì subito che in
mezzo a quei lampi, tuoni, e spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno
al monastero e allora, un po' rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella:
"Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?". Rispose
lei: "Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio
Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me lasciami
qui e torna al tuo monastero".
Ormai era impossibile proprio
uscire all'aperto e lui che di sua iniziativa non l'avrebbe voluto, fu costretto
a rimaner lì contro la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando
e si riempirono l'anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di
vita spirituale.
Il giorno seguente tutti e due,
fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.
Tre giorni dopo Benedetto era in
camera a pregare. Alzando gli occhi al cielo, vide l'anima di sua sorella che,
uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose
profondità dei cieli.
Ripieno di gioia, per averla
vista così gloriosa, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi
andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni,
perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro
che egli aveva già preparato per sé.
Avvenne così che neppure la
tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un'anima sola in
Dio. (D II, 33-34).
QUARTA TAPPA;
ALLA LIBERTA’ DELL’ARIA CELESTE
La pazza guarita: sani e santi
Prologo
Dopo il capitolo dedicato a Scolastica rimane ora un ultimo
passo da compiere, quello dell’attualizzazione. Partendo da
ciò che, secondo il racconto di Gregorio, succede dopo l’ascensione al
cielo dell’anima di Scolastica, si vuole proprio
attirare l’attenzione sul significato morale dell’exemplum
di Benedetto e del suo cammino.
L’idea è quella di vedere nella pazza che si aggira attorno
allo Speco di Benedetto l’immagine del lettore che ha
bisogno di guarigione interiore e di integrazione profonda.
A tal proposito, forzando un poco il testo, si è assunto, prendendolo
dalla tradizione, il simbolo del cervo nel suo andare
alla fonte per guarire. Ma prima di entrare nei dettagli di
questo simbolo si rende necessario addentrarsi un poco in
ciò che rappresenta l’acme dell’esperienza mistica del santo
di Norcia, ossia la visione.
Una visione che, come si vedrà, sembra ormai esigere la
comunione pur nel rispetto della differenza delle possibilità
mistiche di ciascuno. Ma la diversa possibilità non esclude
la medesima chiamata alla santità e alla pienezza. Nella “stanza
più interna” della vita di Benedetto- lo Speco - si aggira
una donna in cerca di riposo. Nel luogo iniziatico dell'itinerario
dell’uomo di Dio viene a passare la notte un’anima
disintegrata, bisognosa di unità.
Attraverso Benedetto, il suo esempio di
uomo e la sua intercessione di santo, Gregorio Magno sembra voler richiamare
il lettore al suo cammino di conversione che va dall’ascolto
alla contemplazione e si spinge fino all’imitazione. Tutto ciò può
portare alla guarigione interiore in tutti i suoi aspetti come
pure apre a una visione della spiritualità non frammentaria
ma olistica. Se la donna malata è una fotografia dell’umanità
e di ogni persona, la donna guarita è l’augurio per tutta l’umanità e per
ogni persona.
E fino ai nostri giorni, se la
fede degli oranti lo esige, egli risplende per miracoli anche in quello Speco di
Subiaco, dove egli abitò nei primi tempi della sua vita religiosa.
Il fatto che ora racconto è
successo proprio in questi giorni.
Una donna che per malattia
mentale aveva perduto completamente la ragione, si aggirava per i monti e le
valli lungo i boschi e attraverso i campi, sia di giorno che di notte, e si
fermava soltanto quando la stanchezza la costringeva.
Un giorno in questo suo pazzo
errare vagabondo, capitò nello Speco del beatissimo Padre Benedetto ed entrata
così, all'insaputa, si fermò lì, dentro e vi trascorse tutta la notte.
Al sorgere del giorno ne uscì
fuori, ma con la ragione in così perfetto equilibrio, come se non avesse mai
sofferto di malattia mentale. In seguito, finché visse, non perdette mai più la
riacquistata sanità. (D II, 38).
Conclusione
Alla fine di questo lavoro di riflessione e di ricerca spero di aver evidenziato e dimostrato quanto e come le donne che intervengono nella vita di Benedetto siano importanti. Esse sono come anelli indispensabili alla sua crescita di uomo e al suo cammino di santità che lo ha reso, per generazioni di monaci e di semplici cristiani, come una madre, icona della Chiesa “nutrice di santi”.
L’uso del riferimento junghiano ha avuto due compiti principali. Prima di tutto è stato un aiuto a cogliere e decifrare alcuni simboli sedimentati nell’inconscio collettivo e quindi operanti in ogni storia umana, non ultimo nell'esistenza di Benedetto o, più precisamente, in quella del suo biografo Gregorio Magno. Inoltre ha voluto essere un modesto saggio, del resto già attuato da altri studiosi di problemi teologici in senso lato, di come un approccio psicologico autenticamente aperto alla totalità dell’uomo non possa che trovare il suo coronamento nella spiritualità.
Il dialogo tra testi junghiani e testi patristici è una prova della verità antropologica e spirituale degli uni e degli altri, ma ancor più profondamente del fatto che in certo modo fisica e mistica sono strettamente connesse. Illuminandosi e arricchendosi, a vicenda, mi è sembrato che i testi patristici riescano ad assumere una più esplicita capacità di dialogare con l'uomo odierno, mentre i riferimenti di psicologia maggiori di quelli esplicitamente citati vengono a trovare un contesto maggiormente ampio e profondo che li rende più pienamente umani.
In sintesi si potrebbe dire che si è fatto ricorso all’approccio sapienziale o alla “teologia monastica”, per interpretare la figura di Benedetto in cui si rispecchiano i tratti salienti dell’antropologia sia di Gregorio Magno che di Jung. Per quest'ultimo, intatti, lo stesso stato mistico non è che il più proprio per una persona che abbia raggiunto la sua maturità e il suo equilibrio. Si può sottolineare a questo proposito che i Padri sono gli esponenti di una teologia comunicativa, differente da ciò che si intende invece per “accademica”, e di una teologia simbolica tesa a dare alla gente la possibilità di pensare per simboli. A queste due facce della teologia patristica, bisogna subito aggiungete il fatto che la materia di tale moneta è l’oro dell’umiltà. Continuamente e sempre vi è un riferimento pieno di riverenza e gratitudine verso quanti sono venuti prima e hanno lavorato sin dalle prime ore del giorno. Atteggiamento a cui ho cercato di conformarmi profondamente, anche se criticamente. Lo stesso p. Bernard spiega:
Anche se l’interpretazione
simbolica si rivela meno rigorosa dell’espressione concettuale, cionondimeno
essa trasmette la Parola di Dio nella sua autenticità. Ben lo avevano capito i
Padri della Chiesa, i quali fondavano sul senso spirituale (cioè sul senso
simbolico) della Sacra Scrittura la loro ricerca dottrinale, morale e mistica.
Questo modo di vedete le cose non può che deporre a favore di una sempre maggiore integrazione tra teologia e scienze umane. E perché questa relazione interdisciplinare maturi, un ruolo del tutto particolare è riservato alla teologia spirituale. Da ciò consegue che sarà sempre più necessario, da parte del teologo, in particolare dello specialista in spiritualità, conoscere e amare il linguaggio simbolico. In tal senso e a tal fine egli non potrà esimersi dal compito, talora arduo, di mantenersi aperto al linguaggio totale dell’uomo e alle forme che esso ha assunto nei vari tempi e nei vari luoghi in cui Dio stesso si è espresso attraverso la sua immagine, l’uomo. ln tal modo scienza e sapienza, conoscenza e amore, teologia concettuale e teologia simbolica, in altre parole teologia catafatica e apofatica, non potranno che “andare a nozze”, realizzando in piccolo quella unio mystica verso cui l’uomo è perennemente in cammino. Una sfida grande, un compito esigente ma oltremodo affascinante. Si tratta infatti di imbandire la mensa con piatti ricchi e vari (Job, lettera a Leandro, 3) per non lasciare che la nostra generazione muoia di fame abitando, senza saperlo (nesciens), sopra un granaio ben fornito come è la tradizione cristiana.
Un’ultima parola vuole essere un “grazie” a Gregorio Magno e Jung, a Benedetto e Scolastica, a tutti coloro che in certo modo ne incarnano i valori e le preoccupazioni ancora ai nostri giorni. Come concludere se non dando spazio al desiderio che ha animato, per tanti secoli, i figli di Benedetto e Scolastica? L’auspicio è quello di “ottenere di praticare ciò che egli ha insegnato”: essere amante di Dio per divenire amico degli uomini. Un cammino di verità, di amore e di libertà espressi non più in termini medievali da un inno tratto dalla Liturgia Monastica:
Vivere in Dio e restare
al suo cospetto,
lasciare tutto per
cercare la pace;
scegliere il silenzio
per gustare la Parola,
come il discepolo che
attende un cenno,
un ordine...
tutto il mondo come un punto lucente,
come grano di sabbia che l’amor trasfigura;
saper che ogni cosa è, in Dio,
preziosa e limpida.
assentire a rinascere sempre,
tradurre in pazienza ogni buon desiderio;
poter essere anche traditi
ma all'uomo ancor credere.
Abbandonarsi totalmente in Dio solo,
nulla avere di più caro che Cristo,
servire il maestro il cui giogo è leggero;
così, nella dolcezza del cuore,
Benedetto è libero...!
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3 febbraio 2014 Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net