Divina Commedia di Dante
Alighieri.
Paradiso – Canto XXII
Breve riassunto
Il canto si caratterizza per un’intensa evocazione affettiva, rappresentata in
particolare dalla materna sollecitudine di Beatrice, che chiarisce alcuni degli
eventi occorsi nel precedente canto: l’assenza del suo sorriso e l’oscuro tuono
(XXI, 142) che aveva vinto i sensi del poeta. Dante poi rivolge lo sguardo verso
un beato che rifulge con particolare intensità, e che si rivela essere
san Benedetto, fondatore dell’abbazia di
Montecassino e della Regola che ispirò tutto il monachesimo occidentale.
Dopo aver parlato della sua esperienza di guida spirituale, Benedetto presenta
altri beati del cielo di Saturno: Macario, esponente del monachesimo orientale e
Romualdo, fondatore dell’Ordine dei Camaldolesi. Ciò che contraddistingue la
vita di questi contemplativi è l’ardore della carità,
quel caldo / che fa nascere i fiori e’
frutti santi (vv. 47-48). La richiesta di Dante di poter vedere le fattezze
di Benedetto, occultate dalla sua “veste” di luce, provoca nel beato una replica
amara: tutto sarà rivelato nell’Empireo, l’approdo finale di beatitudine e
conoscenza a cui tende la scala del settimo cielo, ma non pare che oramai nessun
esponente del suo Ordine sia disposto ad incamminarsi su quella via di salvezza,
preoccupato com’è soltanto delle rendite e dei beni materiali. Il tema della
decadenza dei costumi ecclesiastici era stato affrontato anche nel canto
precedente, da Pier Damiani; ma se in quel caso la denuncia assumeva toni di
acceso sarcasmo, qui il rimprovero di Benedetto si esprime con parole di dolore
e di rammarico, di commiserazione per le umane debolezze (la
carne d’i mortali è tanto blanda..., v. 85). La dipartita di san Benedetto
segna una svolta decisiva nel poema: il pellegrino lascia infatti i cieli
planetari per entrare in quelli superiori, più prossimi alla dimensione assoluta
dell’eternità, dove gli echi della storia si fanno più flebili. La solennità del
momento viene sottolineata dall’appello che il poeta rivolge al lettore, in cui
egli innalza una invocazione alle
glorïose stelle (v. 112) sotto il cui influsso egli è nato, ossia la
costellazione dei Gemelli, alla quale il poeta riconosce di dovere tutto il
proprio ingegno. Così, dalla sublime prospettiva di quella soglia celeste, la
terra non può che mostrarsi con vil
sembiante, come uno spazio angusto in cui gli uomini si combattono
spietatamente l’un l’altro (l’aiuola che
ci fa tanto feroci, v. 151)
Ritorno alla pagina sul "Canto di san Benedetto"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
18 maggio 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net