CAPITOLO 1

L’AMBIENTE STORICO
E

LE ORIGINI DELL’ORDINE DOMENICANO

Dom Agostino Sassi O.S.B.

 Estratto da “I Domenicani in Emilia-Romagna nel Medioevo”,

Università degli Studi di Bologna – Facoltà di Lettere e Filosofia 2010


 

1.1 L’ERESIA CATARA

A cominciare dal 1140-1150, apparvero in occidente nuovi gruppi di eretici che, come segnala nel 1143 il premostratense Evervino di Steinfeld a san Bernardo, in seguito ad alcuni arresti avvenuti a Colonia, rifiutavano i sacramenti e pretendevano di richiamarsi ad una chiesa antica [1]. Per alcuni aspetti questi gruppi erano vicini alle correnti evangeliche: rifiutavano ogni proprietà, si spostavano di città in città predicando e si distinguevano per il loro ascetismo rigoroso e per l’importanza che davano al battesimo dello Spirito trasmesso tramite l’imposizione delle mani.

A partire dal 1157 (concilio di Reims) [2] le fonti ecclesiastiche e le cronache attestano la presenza in Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra di eretici designati con il nome di “Popelicans”, “Publiains” e “Piphles”. Questi “Popelicans” non avevano un’organizzazione gerarchica e inoltre non vi era distinzione tra perfetti e semplici credenti, elemento che invece caratterizza i catari propriamente detti; ma dal momento che non cercavano di nascondersi furono vittime designate della repressione e scomparvero probabilmente alla fine del XII secolo. A partire dai primi anni del 1200 la terminologia si evolve e le fonti designano i nuovi eretici di stanza nel Mezzogiorno francese con il nome di Albigesi. Questi si dichiaravano cristiani e i loro gruppi si presentavano come comunità apostoliche, ma a differenza dei movimenti precedenti i catari non avevano alcun legame con la Chiesa cattolica che non intendevano affatto riformare o cambiare. La loro predicazione consentiva di integrare le pratiche religiose e ascetiche in un insieme di credenza e di miti capace di esercitare un vero e proprio fascino su chi li ascoltava e l’ardente zelo missionario degli adepti permise al catarismo di diffondersi rapidamente. A partire dalla Francia nordorientale (Artois e Champagne) il catarismo si diffuse nelle zone meridionali della Linguadoca e nell’Italia settentrionale e nel 1163 l’arcivescovo di Narbona lanciò un appello al concilio di Tours perché condannasse la “nuova eresia” comparsa nella regione di Tolosa [3].

Intorno al 1174/76 si verificò un evento gravido di conseguenze per la storia del catarismo occidentale: il concilio cataro di Saint Félix de Caraman [4]. In questa località si radunarono i rappresentanti delle diverse comunità catare, ma il personaggio centrale fu un alto dignitario della chiesa catara di Costantinopoli, il “papas” Niceta. Costui riuscì a convincere i presenti ad abbandonare il dualismo moderato, cioè la convinzione che il mondo fosse il teatro di un conflitto tra due principi - il Dio del bene e il Dio del male - che però non erano sullo stesso piano, fino ad allora professato da tutte le comunità occidentali e ad abbracciare un dualismo assoluto, che riconosceva invece i due principi come coeterni ed eguali.

Inoltre, durante questa assemblea, la chiesa catara rafforzò le sue strutture diocesane e nuovi vescovi furono consacrati da Niceta. Non si deve comunque presentare l’eresia catara come un coerente sistema dottrinale. Ogni chiesa locale aveva un’ampia autonomia e nessuna autorità centrale poteva imporre la sua ortodossia. Sorsero comunque dei conflitti fra le chiese catare dovuti proprio alla diversa visione del dualismo che esse avevano, ma questi non devono essere sopravvalutati. Ciò che le univa - un totale rifiuto della Chiesa cattolica e delle sue credenze - era più importante di ciò che le divideva.

Le fonti contemporanee, per spiegare le ragioni del successo di questa eresia, hanno messo l’accento sul fascino esercitato dai perfetti catari, conseguito grazie all’austerità ascetica e al rigore morale che contrastavano con il livello spesso mediocre del clero cattolico. Ma è sul piano delle credenze religiose dei catari che vanno ricercate le ragioni principali del successo del loro apostolato. Nella prospettiva del manicheismo, già a suo tempo rifiutato e combattuto da Sant’Agostino, il catarismo è stato a lungo definito come una religione dualista; in effetti, alcuni scritti catari italiani del XIII secolo, come il Libro dei Due Principi del 1230 circa, erroneamente attribuito a Giovanni di Lugio [5], vanno in questa direzione. Questo testo non è tuttavia rappresentativo di tutto il catarismo, nel quale l’affermazione centrale non era l’idea di un conflitto fondamentale tra il Bene e il Male, ma piuttosto la certezza che esiste una via attraverso la quale l’uomo può sottrarsi al potere del Male che domina il mondo e la creazione intera. I catari annunciavano un messaggio di liberazione che permetteva all’elemento di divinità presente in ogni essere umano di emanciparsi dalla prigione della materia. Per riuscire in questo sforzo era necessario seguire Cristo, messaggero angelico di Dio, che aveva lasciato nel Vangelo una rivelazione che permetteva all’uomo di ritrovare la purezza dell’anima attraverso la preghiera e l’ascesi rigorosa. La Chiesa cattolica aveva tradito questo messaggio e si era disposta al servizio del Male ricercando il potere temporale e la ricchezza. Al contrario la vera chiesa di Dio era puramente spirituale e non avanzava alcuna rivendicazione di ordine economico e politico. Il catarismo si presentava come il cristianesimo autentico e coloro che vi aderivano non avevano affatto l’impressione di cambiare religione, ma di ritornare alla chiesa primitiva. I sacramenti erano ridotti a uno solo: la trasmissione dello Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani, o consoiamentum.

Di fronte a questa contestazione radicale, la Chiesa cattolica ebbe difficoltà ad elaborare una risposta adeguata. Le prime misure giuridiche di portata generale contro le eresie furono prese nel 1184, con il decretale Ad abolendam [6], che condannava in modo esplicito tutte le eresie che si erano sviluppate in occidente nel corso dei decenni precedenti e stabiliva sanzioni severe a riguardo dei colpevoli.

Tuttavia, nell’immediato, la situazione degli eretici non cambiò molto, poiché la Chiesa poteva applicare concretamente le misure di repressione solo con l’appoggio del potere temporale, che nonostante l’emanazione dell’Ad Abolendam avvenuta congiuntamente tra il papa (Lucio III) e l’imperatore (Federico Barbarossa) non era dovunque garantito.

Ad un progressivo appoggio da parte del potere temporale si affiancò tra gli anni Dieci e Venti del Duecento la nascita degli ordini mendicanti.

 

1.2 SAN DOMENICO E L’ORDINE DEI FRATI PREDICATORI

Negli stessi anni in cui San Francesco iniziava la sua esperienza di fede, un chierico castigliano, Domenico di Guzman, avviò un’esperienza religiosa che somigliava per certi aspetti a quella francescana ma se ne discostava per altri. Domenico, in qualità di vice priore del capitolo del duomo di Osma aveva accompagnato il proprio vescovo Diego in una missione diplomatica nella Germania del Nord, compiuta per conto del re di Castiglia (1203).

Alla fine del viaggio essi constatarono la devastazione causata dai Cumani, popolazioni pagane dell’Europa centrale, e decisero allora di dedicarsi all’evangelizzazione di questi popoli. Per ottenere l’approvazione del loro progetto si recarono a Roma presso papa Innocenzo III, il quale però ricordò loro che c’erano impegni più urgenti in Francia meridionale. Al ritorno in Spagna attraversarono la contea di Tolosa e, dopo aver soggiornato in questa città, presero coscienza della diffusione dell’eresia catara.

Nell’agosto 1206 incontrarono a Montpellier i legati cistercensi inviati dal papa nella regione per predicare contro gli eretici e che, scoraggiati dalla negativa

accoglienza delle popolazioni locali, stavano abbandonando la missione. Colpiti dal lusso dei loro vestiti che contrastava con la semplicità di vita dei perfetti, decisero di rimanere in Linguadoca e di tentare di riguadagnare gli abitanti della regione alla fede cattolica con una predicazione itinerante di tipo apostolico imperniata sui canoni dell’umiltà accompagnata da un concreto esempio di povertà. Essi accettarono di affrontare i catari in pubbliche controversie riuscendo anche a imporsi, come a Montréal nel 1207, grazie alla loro conoscenza delle Scritture e alla testimonianza evangelica. Nello stesso anno Domenico fondò a Prouille una comunità religiosa destinata ad accogliere le donne che abbandonavano l’eresia catara.

Dopo la morte di Diego, Domenico proseguì la sua azione con alcuni compagni che lo avevano seguito e Onorio III, alla fine del Concilio Lateranense IV, consacrò la fondazione dell’ordine domenicano con la bolla del 22 dicembre 1216, completata poi con un’altra del 21 gennaio dell’anno seguente [7]. Il papa ratificò la fondazione a Saint-Romain di Tolosa di una fraternità di canonici regolari secondo la regola di Sant’Agostino ed ebbe cura di precisare che non si trattava di una casa isolata, ma di un ordine i cui frati dovevano essere “i campioni della fede e i veri luminari del mondo”.

Il papa prende questo ordine sotto il suo “governo” il che vuol dire che i frati predicatori avrebbero servito e aiutato la S. Sede nel ricondurre all’ortodossia le anime fuorviate o conquistare a Cristo quelle ancora immerse nelle tenebre del paganesimo. Predicazione in seno alla Cristianità e missione fuori di essa: è questo il duplice obiettivo assegnato da Onorio III ai discepoli di san Domenico. Quando fu presa tale decisione pontificia san Domenico era a Roma, ma all’inizio della quaresima del 1217 tornò a Tolosa e il 15 agosto organizzò la prima spedizione dei suoi frati: quattro furono inviati in Spagna e altri otto a Parigi.

Negli anni seguenti le fondazioni si moltiplicano e lo stesso san Domenico promuoverà nella sua terra di origine la fondazione di due conventi, a Segovia e a Madrid. In Francia la casa di Parigi prospera e in Italia viene fondato il convento di Bologna la cui università era celebre in tutta la cristianità. A Roma, una bolla del 3 dicembre 1218 affida ai frati predicatori la chiesa di S. Sisto [8].

 

1.3 IL CAPITOLO DEL 1220 E LE COSTITUZIONI DOMENICANE

Nell’anno 1221 l’ordine aveva già le sue costituzioni. San Domenico aveva predisposto un piano organizzativo ma non volle stabilire nulla senza il consenso dei suoi frati, che convocò per un’assemblea generale che si sarebbe svolta a Bologna nella Pentecoste del 1220. È in questo capitolo che furono emanate le prime e fondamentali costituzioni dei frati predicatori.

Le costituzioni ribadirono la povertà del singolo e della comunità, mutuando elementi tradizionali dalle congregazioni dei canonici regolari. Si ispirarono anche a forme di vita monastica, specialmente a quelle dei cistercensi. I possedimenti di terre e gli introiti fissi furono aboliti, mentre completamente nuovo era il precetto di vivere di elemosine. La struttura delle chiese doveva essere semplice come quelle dei primi cistercensi. Le case vennero fondate nei centri urbani o immediatamente a ridosso di questi, con una speciale attenzione verso le città sedi di università o in quelle commerciali; in esse i domenicani trovarono il terreno adatto per le vocazioni, la cura d’anime e lo studio. Il capitolo generale si riuniva una volta all’anno e aveva il massimo potere legislativo, eleggeva il maestro generale e lo poteva anche deporre. Anche i superiori provinciali venivano eletti dai capitoli provinciali e nei loro confronti il maestro generale aveva solo il diritto di conferma [9].

La funzione centrale della predicazione nel programma dell’ordine indusse i legislatori ad esigere per ogni fondazione un maestro di teologia e un direttore di studi e a costruire in ogni provincia uno studium generale. L’austero tenore di vita (povertà, digiuno, astinenza, penitenze personali) guadagnò ai Predicatori l’attenzione del popolo cristiano e un crescente numero di vocazioni provenienti soprattutto dalle università e dai ceti più alti della borghesia [10].

Beneficiando del pieno appoggio del papato, i predicatori si videro affidare, tra il 1231 e il 1233, la direzione dell’Inquisizione: un fatto che doveva orientarli in maniera ancor più decisa verso la repressione, ora anche violenta, delle eresie.

Domenico aveva compreso l’importanza della parola nella trasmissione della fede. L’orientamento teso alla formazione dei frati secondo i canoni della cultura dotta era destinato a rivelarsi vincente: in un mondo il cui sapere teorico ritrovava prestigio e le università rappresentavano i luoghi della formazione delle élites dirigenti, non poteva non esserci spazio per un ordine la cui predicazione fosse fondata sullo studio della teologia e della filosofia.

Ma san Domenico conosceva a fondo i catari e sapeva che la scienza dei Predicatori non bastava ad attirare l’adesione dei fedeli. Così si avvicinava a San Francesco nel rifiutare il potere e la proprietà dei beni fondiari, anche se assegnava alla povertà un posto differente. Secondo Domenico la povertà era un’arma contro l’eresia, una condizione necessaria ma non sufficiente.

Più che nella mendicità gli ordini mendicanti si definirono per la loro attività apostolica, per il desiderio di dedicarsi alla salvezza del prossimo; a differenza degli ordini precedenti domenicani e francescani si mostrarono aperti al mondo che intendevano evangelizzare. Pur vivendo in comunità nei conventi non rimanevano chiusi nel chiostro ma vivevano in rapporto con i fedeli. La principale vocazione dei mendicanti consisteva nell’esortare i fedeli alla penitenza e gli eretici alla vera fede.

I mendicanti non erano tenuti alla stanzialità, ma si caratterizzavano al contrario per una grande mobilità. Gli studi li sollecitavano a mettersi in viaggio per recarsi presso lo Studium al quale i superiori li indirizzavano per studiare o insegnare [11]. La riunione dei capitoli provinciali e generali, le missioni da compiere presso la curia o le ambascerie erano ugualmente occasione di contatti stimolanti. Le relazioni con i laici erano ancora più importanti: la mendicità, sotto forma di questua, era un’occasione di incontro. Tuttavia l’occasione principale per trasmettere la parola di Dio ai fedeli era la predicazione, che poteva svolgersi o in una chiesa parrocchiale, dove venivano invitati dai rettori, o all’esterno o nelle riunioni delle confraternite o in gruppi di devoti che li sceglievano come cappellani. I mendicanti cercavano di influenzare il mondo dei laici per assicurare una diffusione del messaggio penitenziale e della spiritualità di cui erano fautori. Così si comprende come il papato, che conosceva bene i limiti del clero secolare, abbia accolto come un avvenimento provvidenziale l’apparizione di san Domenico e san Francesco e dei loro figli spirituali e abbia tentato di servirsene per far fronte ai bisogni urgenti della Chiesa.

In pochi decenni i due principali ordini mendicanti - i Predicatori e i frati Minori - conobbero un’espansione estremamente rapida in tutta la cristianità e anche al di fuori, dato che ben presto nacquero fondazioni in oriente e nei paesi di missione.

 

1.4 GLI ORDINI MENDICANTI E LE CIT

Nel XIII secolo l’influenza degli ordini mendicanti si è esercitata essenzialmente nelle città. La priorità riconosciuta all’apostolato nella società urbana dipendeva da molte ragioni.

Prima di tutto dal ruolo sempre più rilevante delle città sul piano politico, economico e culturale. La Chiesa si era lentamente adeguata a questa nuova realtà ma rimaneva legata ai valori della società rurale in cui si era sviluppata la maggior parte dei movimenti religiosi dei secoli XI e XII. Negli ambienti cittadini ci si arricchiva facilmente e il denaro circolava abbondantemente, anche grazie alla pratica del prestito ad usura. Numerosi uomini di Chiesa, esigenti sul piano morale, reagirono lanciando anatemi verso certe forme della vita economica e della società urbana. Non solo erano corrotti i ricchi, ma anche i poveri, spesso contadini che fuggivano dalle zone rurali e attirati dalla prospettiva del guadagno non esitavano ad allearsi con i ceti borghesi in congiure illecite, talvolta ribellandosi anche all’autorità del vescovo. Era questa la situazione all’inizio del XIII secolo quando apparvero gli ordini mendicanti. I loro fondatori presero coscienza del fatto che la città era uno spazio umano da riconquistare dal punto di vista religioso. Nelle città della Linguadoca il problema più importante era rappresentato dalla diffusione dell’eresia a cui aveva aderito buona parte della popolazione conquistata dalla predicazione evangelica dei catari. Anche altre motivazioni spingevano i nuovi ordini religiosi a stabilirsi nelle città. La crescita rapida dei loro membri e il rifiuto di ogni proprietà fondiaria li obbligava ad inserirsi nella società urbana al fine di trovare le risorse (elemosine, ma anche lasciti testamentari) necessarie per mantenere le loro comunità. Il fatto poi che non fossero contigui ad ambienti signorili facilitava un forte influsso sul complesso delle comunità cittadine, e dunque anche sul ceto più popolare. I mercanti e gli artigiani erano spesso spinti dalla cattiva coscienza (pro male ablatis) a distribuire una parte dei guadagni ai religiosi che avevano scelto di vivere nella povertà e nell’umiltà. Verso il 1230 i due principali ordini mendicanti avevano preso un chiaro orientamento urbano, ma fino alla metà del XIII secolo i conventi furono fondati soprattutto nei quartieri periferici delle città, generalmente all’esterno delle mura. Questo per vari motivi: da un lato essi erano poco conosciuti e quindi i vescovi concedevano loro modeste chiese periferiche o terreni situati in zone in via di urbanizzazione, ma d’altra parte questa scelta corrispondeva alle esigenze dei religiosi che nelle periferie trovavano una popolazione da poco arrivata dalle campagne e non pienamente integrata nelle strutture parrocchiali. inoltre bisogna anche tenere conto del fatto che ci furono anche dei contrasti con i sacerdoti secolari, che vedevano erose le proprie prerogative pastorali a vantaggio dei mendicanti. Invece dopo il 1250 i mendicanti cominciarono a trasferirsi e costruire chiese e conventi all’interno delle mura cittadine [12].

I superiori degli ordini e il papato misero sempre più l’accento sulla missione pastorale dei mendicanti che doveva sollecitare i laici alla penitenza e alla confessione sacramentale. Le città erano i luoghi più idonei ai fini pastorali: si potevano riunire le folle nelle chiese e nei luoghi pubblici per parlare di Dio e invitare alla conversione. Inoltre, soprattutto in Italia, l’eresia era un fenomeno urbano e a partire dal 1233 francescani e domenicani furono ufficialmente incaricati dell’Inquisizione e i loro conventi si trasformarono in tribunali e a volte in prigioni.

Al termine di questo processo gli ordini mendicanti, durante gli ultimi decenni del XIII secolo, si erano profondamente radicati nel tessuto urbano e la solidarietà esistente tra loro e le città che li proteggevano si fondava su uno scambio di servizi: le municipalità assicuravano regolari sussidi sotto forma di doni in denaro, vestiti, legname. In cambio ricorrevano ai loro servizi come messaggeri, mediatori o diplomatici.

L’esempio più significativo del successo incontrato dagli ordini mendicanti è rappresentato dalle loro chiese. Mentre i fondatori avevano chiesto che i frati si accontentassero di edifici modesti, questi ultimi non tardarono ad avventurarsi nella costruzione di conventi e chiese che suscitano meraviglia per la loro grandezza.

Le deviazioni dallo spirito della Regola potevano essere giustificate dall’utilità e dalla funzionalità: la costruzione di grandi chiese doveva consentire l’accoglienza di grandi masse di fedeli e le fondazioni non avvenivano per caso ma rispondevano a criteri demografici ed economici.

Verso il 1300 una città che ospitava 4 o 5 conventi di mendicanti era considerata una città importante mentre quella che, ad esempio, poteva contare sulla presenza di un solo convento non doveva avere molti abitanti.

Questo potrebbe far supporre che la collocazione geografica dei conventi dei mendicanti rifletta lo sviluppo delle città dell’occidente e il loro livello di sviluppo.

Nell’affermare questo occorre tuttavia una certa cautela, perché vi sono delle eccezioni da considerare. Ad esempio in molte città non secondarie il capitolo della cattedrale - e il clero secolare - in genere oppose molte resistenze all’insediamento degli ordini mendicanti e inoltre bisogna tener conte del fatto che questi religiosi si spostavano frequentemente e avevano quindi bisogno di un ricovero sicuro ogni 30-40 chilometri e così alcuni ordini furono sollecitati a fondare conventi in località di secondaria importanza.

Inoltre le regioni più urbanizzate dell’occidente furono raggiunte per prime dal fenomeno dei mendicanti mentre le altre furono coinvolte solo alla fine del XIII secolo e all’inizio del XIV.

Infine, a partire dalla fine del 1300, per evitare una concorrenza esagerata tra gli ordini in un’epoca di crisi economica, il papato proibì la creazione di nuovi conventi senza la sua autorizzazione [13].

In conclusione si può parlare di una diffusione imponente degli ordini mendicanti negli ambienti urbani alla fine del XIII secolo; il loro successo era dovuto al fatto di offrire ai fedeli ciò che il clero secolare non offriva più: una vita morale irreprensibile e una cultura messa al servizio di una migliore trasmissione del messaggio cristiano attraverso la predicazione. I rapporti stretti con gli ambienti laici permettevano loro di conoscere adeguatamente i loro problemi per questo furono all’avanguardia della riflessione teologica in questo ambito. In genere gli ordini mendicanti riuscirono ad adempiere alla missione che la Chiesa del tempo aveva loro affidato: l’evangelizzazione della società urbana in occidente.



[1] L’eresia catara, in Storia del Cristianesimo, vol. 5: Apogeo del papato ed espansione della cristianità, (1054-1274), a cura di A. Vasina - A. Vauchez, Roma 1997, p. 447. Vedi anche L. Paollini, L’albero selvatico, Bologna1989

[2] Ibidem, p. 448.

[3] Ibidem, p. 449.

[4] Ibidem, p. 449.

[5] Ibidem, p. 451.

[6] Ibidem, p. 452.

[7] Gli inizi dell’ordine domenicano, in La cristianità romana, a cura di A. Fliche, Ch. Thouzellier e Y Azaïs, Torino 1968, p. 348.

[8] Ibidem, p. 349.

[9] Gli ordini mendicanti, in Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, Milano 1972, p. 244.

[10] Ibidem, p. 245.

[11] Diversità e unità dei principali ordini mendicanti, in Storia del Cristianesimo, voi. 5: Apogeo del papato ed espansione della cristianità, (1054-1274), a cura di A. Vasina - A. Vauchez, Roma 1997, p. 739.

[12] Gli ordini mendicanti e le città, in Storia del Cristianesimo, cit. p. 7

[13] Ibidem, p. 755.

 


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24 settembre 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net