Costituzioni dell'ordine dei frati Predicatori (1375)

da Bibl. Vaticana,

Vat. lat. 7658 (xiv2), ff. 139r-184v


Traduzione a cura di Emilio Panella O.P., 2010

Dal sito “e-theca.net/emiliopanella/

Link al testo originale latino-italiano competo di note


 

Costituzioni dell'ordine dei frati Predicatori.

Indice dei capitoli

<Prologo>.

 

Parte prima

<I  1> Ufficio canonico, capitolo primo

<I  2> Inchini, capitolo secondo

<I  3> Suffragi dei defunti, capitolo terzo

<I  4> Digiuni, capitolo quarto

<I  5> Pasti, capitolo quinto

<I  6> Refezione penitenziale, capitolo sesto

<I  7> Malati, capitolo settimo

<I  8> Salasso, capitolo ottavo

<I  9> Letti, capitolo nono

<I  10> Vesti, capitolo decimo

<I  11> Rasura, capitolo undicesimo

<I  12> Silenzio, capitolo dodicesimo

<I  13> Chi e come accogliere nell'ordine, capitolo tredicesimo

<I  14> Novizi e loro istruzione, capitolo quattordicesimo

<I  15> Professione, capitolo quindicesimo

<I  16> Colpa leggera, capitolo sedicesimo

<I  17> Colpa grave, capitolo diciassettesimo

<I  18> Colpa graviore, capitolo diciottesimo

<I  19> Colpa gravissima, capitolo diciannovesimo

<I  20> Apostati, capitolo ventesimo

 

Parte seconda

<II  1> Case e conventi, capitolo primo

<II  2> Elezione del priore conventuale e istituzione del sottopriore, capitolo secondo

<II 3>  Elezione del priore provinciale, capitolo terzo

<II 4>  Elezione del maestro, capitolo quarto

<II  5> Elezione dei definitori del capitolo provinciale e generale, capitolo quinto

<II  6> Capitolo quotidiano, capitolo sesto

<II  7> Capitolo provinciale, capitolo settimo

<II  8> Capitolo generale, capitolo ottavo

<II  9> Solenne celebrazione del capitolo, capitolo nono

<II 10> Capitolo generalissimo, capitolo decimo

<II  11> Visitatori, capitolo undicesimo

<II  12> Predicatori, capitolo dodicesimo

<II  13> Itineranti, capitolo tredicesimo

<II  14> Studenti, capitolo quattordicesimo

<II  15> Conversi, capitolo quindicesimo

 

<II  16, CG Perpignan 1327> Costituzioni papali

<II  17, CG Firenze 1374> Costituzione di papa Gregorio XI su capitolo generale biennale o triennale

 

 

Costituzioni dell'ordine dei frati Predicatori.

 

         <Prologo>.

             Poiché la Regola ci ordina unità di  cuori e di menti nel Signore, è bene che vivendo secondo medesima regola e professione siamo trovati uniformi nelle osservanze  canonicali; l'interiore unità dei cuori sarà pertanto alimento e segno dell'esterna uniformità di condotta. E di certo, potremo meglio realizzare il nostro proposito di vita se l'affidiamo allo scritto, se tutti avranno conoscenza del modello di vita da attestazione scritta, se nessuno oserà a piacimento mutare aggiungere o rimuovere alcunché. Rischieremmo progressiva dissipazione se trascurassimo le benché minime prescrizioni.

         In tutto ciò il prelato ha tuttavia facoltà di dispensa con i frati del proprio convento quando lo ritenga opportuno. Specie in quelle cose che potrebbe intralciare lo studio la predicazione la cura delle anime, dato che il nostro ordine, come noto, è stato istituito fin dalle origini specificamente per la predicazione e salvezza delle anime; e il nostro studio è principalmente destinato ad utilità spirituale del prossimo. Al pari degli altri frati anche i priori beneficiano della dispensa.

            Ci sta a cuore la pacifica unità dell'ordine intero. Cosicché dichiariamo che le nostre costituzioni ci obbligano a responsabilità di pena non di colpa, salva concomitanza di precetto o disprezzo. Per evitare il moltiplicarsi delle costituzioni proibiamo per l'avvenire che alcuna legge diventi costituzionale se non approvata da due capitoli generali consecutivi, confermata poi o abrogata nel terzo capitolo immediatamente successivo, sia esso dei priori provinciali che dei definitori, ovunque celebrato. Interpretazioni della Regola e delle costituzioni date dal capitolo generale non hanno valore costituzionale se non approvate da tre capitoli. Con cura abbiamo redatto questo libro, e suddiviso in due parti.

 

         Parte prima

         <I  1> Ufficio canonico, capitolo primo

             Ai primi tocchi di sveglia i frati si levano e recitano in piedi l'ufficio della beata Vergine del tempo liturgico. Prendono parte comunitariamente al Mattutino, alla messa, a tutte le Ore canoniche, salve personali dispense concesse dal prelato. Tutte le Ore sono recitate in chiesa in ritmo scorrevole, in modo che né la devozione dei frati venga distratta né lo studio impedito. Si faccia così: s'osservi la pausa di cadenza metrica a metà verso, non protraendo oltremodo la voce né alla pausa né a fine verso, bensì chiudendo con rapida leggerezza, come detto. L'andamento del ritmo tuttavia lo si adatti ai tempi liturgici.

             Durante il periodo di duplice refezione, in chiesa si legge prima di Compieta la pericope «Siate temperanti, fratelli». Fatta la confessione e recitata Compieta, il presidente dà la benedizione e l'ebdomadario asperge l'acqua benedetta. Si dice poi Pater noster e Credo in Deum; parimenti da recitare antecedentemente a Prima e Mattutino. L'intero ufficio, notturno e diurno, sia uniformemente celebrato così come corretto e riordinato dal venerabile padre fra Umberto maestro del nostro ordine [† 1277]; e nessuno in avvenire osi mutarlo. Nei nostri conventi una sola campana chiama i frati a tutte le Ore canoniche. Soltanto l'ebdomadario è autorizzato a indossare la cappa di seta in coro e in processione.

 

         <I  2> Inchini, capitolo secondo

             Terminato il Mattutino della beata Vergine, nell'accedere in coro i frati fanno inchino profondo davanti all'altare. Prendono posto nei propri stalli. Al segno del prelato dicono Pater noster e Credo in Deum in ginocchio o inchinati a seconda del tempo liturgico. Al nuovo segno del prelato tornano eretti. Ad avvio dell'Ora canonica si segnano rivolti all'altare. Al Gloria Patri si fa inchino profondo coro contro coro, o prosternazione a seconda del tempo liturgico, fino al Sicut erat. E così si fa ogniqualvolta si dicono Pater noster e Credo in Deum; eccetto a messa, inizio letture, e rendimento di grazie, dove inchiniamo solo al Pater noster  e all'orazione Retribuere.

              E così si fa alla prima colletta della messa, all'orazione susseguente la comunione, all'orazione per la chiesa; nelle singole Ore alla colletta e al Gloria Patri d'inizio Ora. Ad ogni Gloria Patri, ai versi ultimi degli inni, al penultimo verso del cantico Benedicite inchiniamo fino alle ginocchia; parimenti al canto delle parole «suscipe deprecacionem nostram» del Gloria in excelsis, e alle parole «ex Maria Virgine et homo factus est» del Credo nella messa. Parimenti al nome di Gesù nella colletta, nel prefazio, nell'antifona o nel Gloria in excelsis, dovunque ricorra; laddove invece il nome di Gesù ricorre sott'altra forma, si fa riverenza con solo inchino di capo. E ancora nella benedizione premessa alla lettura, in capitolo all'orazione Sancta Maria, ad ogni orazione dove ricorrano i nomi della beata Vergine e del beato Domenico; al nome della beata Vergine nell'antifona Salve, nella messa, nel prefazio.

             Iniziata dunque l'Ora come detto, e fatto inchino al Gloria susseguente il Venite, si sta eretti coro contro coro. Al primo salmo siede un coro, al secondo si alza e siede l'altro coro, alternandosi così fino al «Laudate Dominum de celis». Così in tutte le Ore canoniche. Terminata la lettura nel Mattutino, se non è ufficio dei defunti il lettore fa inchino tra pulpito di centro coro e gradini dell'altare, oppure prosternazione a seconda del tempo liturgico.

             Nell'inchinare sforziamoci di conformarzi alle virtù di coloro cui prestiamo riverenza. Cosicché al Salve sancta Parens, al Veni Creator Spiritus in Pentecoste e l'intera settimana, alle parole «ex Maria Virgine et homo factus est» del Credo della messa, al Salve Regina dopo Compieta, al Veni Sancte Spiritus, c'inginocchiamo. Nei giorni feriali restiamo prostrati dal Sanctus fine all'Agnus Dei. Nelle feste di tre e nove lezioni restiamo prostrati dall'elevazione del Corpo di Cristo fino al Pater noster. Medesima norma in fatto di prostrazioni nelle feste di tre e nove lezioni.

             Quando il prelato ingiunge un'orazione comunitaria, tutti fanno l'inchino. Così pure coloro ai quali abbia dato qualche commissione. Chiunque riceve un ordine, un ufficio, un ministero, si prosterna umilmente in atto d'ubbidienza. Nel ricevere un qualsiasi vestimento, i frati inchinando rispondono «Sia benedetto Iddio nei suoi doni».

 

         <I  3> Suffragi dei defunti, capitolo terzo

            Dalla festa san Dionigi (9 ott.) fino all'Avvento, per l'anniversario dei frati e dei familiari ammessi ai benefici dell'ordine, il frate chierico dice il salterio, il sacerdote tre messe, il laico cinquecento Pater noster. Al medesimo suffragio son tenuti: ciascun frate a beneficio del frate defunto del proprio convento; tutto l'ordine per il maestro dell'ordine; coprovinciali per il priore provinciale; tutto l'ordine per il definitore al capitolo generale o suo socio, per gli elettori del maestro, per il socio del priore provinciale al capitolo generale, qualora taluno di costoro morisse in viaggio per il capitolo o nel capitolo stesso; per il procuratore dell'ordine se deceduto nella curia romana durante l'ufficio; per il visitatore deceduto durante l'ufficio da parte delle case della propria visitazione.

            Ciascun frate sacerdote celebra trenta messe l'anno in suffragio dei frati e suore del nostro ordine defunti, ciascun convento venti messe; ciascun chierico dice trenta volte i sette salmi penitenziali, ciascun converso trenta volte cento Pater noster. Anniversari e loro celebrazione: dei padri e delle madri il terzo giorno dopo la Purificazione della beata Vergine (= 4 febbr.); dei benefattori e familiari il giorno dopo l'ottava della Sant'Agostino (= 5 sett. ); dei frati e suore del nostro ordine il giorno dopo la San Dionigi (= 10 ott.); di tutti i sepolti nei nostri cimiteri il primo giorno vacante dopo l'ottava degli apostoli Pietro e Paolo (= 7 lugl.). Non si astringano i nostri frati a certo numero di messe in anniversari perpetui.

 

         <I  4> Digiuni, capitolo quarto

            Dalla Pasqua alla Santa Croce (14 sett.) i frati prendono due pasti quotidiani; eccetto i giorni delle Rogazioni, tutti i venerdì, vigilia di Pentecoste, digiuni delle Quattro Tempora; vigilia dei Santi Giovanni Battista (24 giug.), Pietro e Paolo (29 giug.), Giacomo (25 lugl.), Domenico nostro padre (5 ag.), Lorenzo (10 ag.), Assunzione della beata Maria (15 ag.), Bartolomeo (24 ag.), Natività della beata Maria vergine (8 sett.). Dalla Santa Croce (14 sett.) alla Pasqua osserviamo continuato digiuno, e recitata Nona consumiamo il pasto, salve le domeniche. Regime quaresimale osserviamo nell'intero Avvento, Quaresima, digiuni delle Quattro Tempora; nella vigilia dell'Ascensione e Pentecoste, dei Santi Giovanni Battista (24 giugno), Pietro e Paolo (29 giug.), Giacomo (25 lugl.), Domenico nostro padre (5 ag.), Lorenzo (10 ag.), Assunzione di santa Maria (15 ag.), Matteo (21 sett.), Simone e Giuda (28 ott.), Ognissanti (1 nov.), Andrea apostolo (30 nov.); tutti i venerdì. Nei soli venerdì varrà dispensa per gli addetti a lavori defatiganti, in luoghi regolati da altra dieta, se cadesse festa di grado semiduplice e duplice. Agl'itineranti è permessa duplice refezione, eccetto in Avvento, vigilie di Natale e Purificazione della beata Vergine, venerdì dentro e fuori convento, e salvi i digiuni principali istituiti dalla chiesa. Quando la vigilia d'una festa con digiuno ordinato dall'ordine cadesse di lunedì, il digiuno vigiliare è anticipato al sabato precedente, nonostante consuetudini in contrario. Lunedì e martedì dopo Quinquagesima, dentro e fuori convento, osserviamo vitto quaresimale e digiuno. L'intero giorno di Venerdì santo ci asteniamo dappertutto da qualsiasi cibo e bevanda.

 

         <I  5> Pasti, capitolo quinto

            Ad ora congrua, prima di pranzo e prima di cena il sacrista suona pochi tocchi di campana, e i frati non tardino a venire alla refezione. Quindi a vitto apprestato, e solo allora, si percuote il cembalo. Ci si lava le mani, il priore suona il campanello del refettorio, entrano i frati. Il versicolario premette Benedicite, e tutti proseguono la benedizione. I servitori seguono l'ordine: dagli ultimi su su verso la mensa del priore.

            Oltre a servitori e custodi nessun frate presente in prima mensa si trattenga in refettorio se non autorizzato. Quanti restano, mangino tutti in seconda mensa, e si eviti una terza. Nessun piatto speciale per servitori o ministranti che non sia stato servito a tutti, a meno che non siano infermi o salassati. Il frate non passi pietanza a frate, eccetto il priore; ricevuta, può passarla alla sua destra e sinistra.

            I priori consumino i pasti in refettorio e si accontentino del vitto conventuale; parimenti gl'infermieri, addetti agli ospiti ed altri. Il priore tuttavia può concedere, per giusta ragione e all'occasione, che qualcuno mangi fuori convento. Nei nostri conventi le vivande siano dappertutto senza carni, eccetto nelle infermerie. Potranno i nostri frati consumare fuori convento portate cotte con carni, per non esser di peso agli ospiti.

            Là dove abbiamo convento, sia priori che semplici frati non prendano i pasti fuori convento, eccetto in compagnia col vescovo o in case religiose, e raramente. I frati dispongono giornalmente di due portate cotte; d'altro in sovrappiù, a giudizio del priore e secondo le disponibilità. Chi s'avvedesse che al proprio vicino di mensa manca alcunché, ne faccia richiesta al servitore. Chi mancasse di rispetto ai servitori o criticasse il servizio, al levar della mensa chieda venia; al segno del prelato torni a suo posto.

 

         <I  6> Refezione penitenziale, capitolo sesto

            Nei tempi di digiuno, ad ora congrua il sacrista dà il segno della refezione, poi il refettoriere percuote il cembalo. Entrati i frati in refettorio, il lettore premette Iube domine benedicere, quindi si dà la benedizione «Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda una notte serena e una morte santa». Durante la lettura, è permesso assumere bevande, dopo che il priore abbia fatto segno, il lettore pronunciato Benedicite, l'eddomadario impartita la benedizione «Il Largitore d'ogni bene benedica la bevanda dei suoi servi». Al termine della refezione penitenziale, chi presiede dice «Il nostro aiuto è nel nome del Signore», e in silenzio i frati entrano in chiesa. Chi volesse bere fuori orario, chieda licenza al prelato e si faccia accompagnare.

 

         <I  7> Malati, capitolo settimo

            Nessuna negligenza del prelato circa i malati. Siano accuditi in modo da ristabilirsi al più presto, come vuole il nostro padre Agostino. Possono nutrirsi con carni, se così esige il loro stato di salute e a giudizio del prelato. Laddove abbiamo convento, non mangino carni fuori del chiostro. Chi soffrisse malessere che né debilita l'organismo né altera l'appetito, non giaccia su materasso né infranga i digiuni soliti né muti il vitto servito in refettorio.

            Due soli locali siano predisposti per gracili e malati: uno delle carni, il secondo d'altri cibi, salvi casi di palese necessità o d'urgente malattia. Anche altri frati non prendano pasto se non nel comune refettorio o nei locali degli ospiti. I priori, se malati, siano curati insieme con gli altri nell'infermeria. I frati lebbrosi siano accuditi entro i recinti del proprio convento in luogo isolato; in mancanza di spazi o per altra legittima ragione, siano dal provinciale trasferiti in altro convento del nostro ordine.

 

         <I  8> Salasso, capitolo ottavo

            Quattro i salassi annui: primo in settembre, secondo dopo Natale, terzo dopo Pasqua, quarto intorno alla San Giovanni Battista (24 giug.). Nessuno si praticherà salasso oltre quelli stabiliti, eccetto casi speciali a discrezione del priore. I salassati prendono cibo in silenzio, fuori refettorio, laddove praticabile; più adeguatamente accuditi, secondo le disponibilità della casa. A motivo del salasso, non mangeranno carni.

 

         <I  9> Letti, capitolo nono

            I frati non dormano su materassi, se non in mancanza di pagliericci o simile. Dormiranno invece su lettiere di paglia, lanicci e sacconi. Fuori convento riposeranno su qualsivoglia giaciglio loro apprestato, per non pesare sugli ospiti. Chi pretendesse materassi, è punito con digiuno a pane ed acqua per un giorno. Giacciano indossando tonaca e calzature. A nessuno, che sia abile al regime comune, è concesso dormire in locali speciali, fuorché al maestro dell'ordine, e salvo il bisogno di sorvegliare i beni di casa. Si provveda tuttavia ai lettori secondo discernimento del priore.

 

         <I  10> Vesti, capitolo decimo

           Indosseranno i nostri frati vesti di lana grezza, laddove possibile, altrimenti di tessuti ordinari, in special modo quanto alla cappa. Non panni di lino a contatto pelle, nemmeno i malati. Si bandiscano rigorosamente dalle infermerie i bendaggi di tessuto prezioso. Non più di tre tonache a testa, oltre il vello invernale, oppure quattro tonache senza vello; quest'ultimo da portare sempre sotto la tonaca.

            Velli di selva o coperte di pellame vario si usino solo in infermeria, ad esclusione di coperte di pelli silvestri. Tonaca lunga fino alle caviglie, scapolari fino a coprire i ginocchi. Cappa e vello siano alquanto più brevi della tonaca. Calzature e zoccoli a seconda delle necessità e disponibilità. Esclusi schinieri (o ginocchiere) e guanti. Uòse (gambiere chiuse lateralmente a fibbia) non le si calzino fuori i recinti conventuali.

 

 

        

         <I  11> Rasura, capitolo undicesimo

            La rasura superiore (del capo) non sia troppo ristretta, bensì come si addice allo stato religioso: tra essa ed orecchie non si lasci oltre tre dita di spazio. Si faccia il taglio dei capelli anche al disopra delle orecchie. Tempi della rasura: ogni quindici giorni nel periodo da Pasqua ad Ognissanti, successivamente ogni tre settimane; anticipabile o differibile di qualche giorno in coincidenza con festività solenni.

 

         <I  12> Silenzio, capitolo dodicesimo

           Si osservi il silenzio nel chiostro dormitorio celle refettorio e oratorio dei frati; se urge dir qualcosa, lo si faccia sottovoce e a discorso incompiuto. Altrove è lecito parlare con speciale permesso. Dappertutto, dentro e fuori convento, sia frati che priori tacciano durante la mensa, eccetto taluno di grado superiore, o il delegato a rappresentare, ed eccetto i maestri in teologia. Il priore conventuale può dar facoltà di parlare a uno dei commensali. In caso di più priori conventuali nella medesima mensa, quello del convento più antico ha diritto di parola, e può autorizzare un altro. Nessun altro parli se non dei necessari servizi di mensa, a frase ellittica e bassa voce; oppure con licenza di vescovi, ancorché soltanto eletti, o di persone di rango superiore, re, maestro dell'ordine, maestro generale dei frati Minori, quando ci accadesse desinar con loro. Il priore provinciale, assente il maestro dell'ordine, entro la propria provincia può dar facoltà di parlare ai frati suoi commensali, fuori di essa a uno solo. Chi infrange intenzionalmente la norma del silenzio, o presumesse dar facoltà di parola, è punito a sola acqua in un pranzo, e a una pubblica disciplina in capitolo, esclusi i malati degenti; eventuale dispensa è competenza esclusiva del maestro dell'ordine e priore provinciale, in casi rari e per motivi ragionevoli.

           Osservino inoltre il silenzio: i malati non allettati da pranzo a Vespro, e al segno di dopo Compieta; i salassati dal giorno susseguente il salasso. Delle infrazioni al silenzio, si accusino i frati in capitolo al pari delle altre colpe, e siano puniti dal priore. Chi tra capitolo e capitolo avesse rotto il silenzio sette volte, pranzerà una volta seduto a terra.

 

         <I  13> Chi e come accogliere nell'ordine, capitolo tredicesimo

           In ciascun convento tre frati idonei, eletti nel capitolo conventuale, esaminano condotta ed istruzione degli aspiranti all'ordine; riferiscono poi al priore e capitolo, ai quali spetta decidere dell'accettazione. Condotti in capitolo, i vestiendi si prostrano al centro. Interrogati dal prelato che cosa chiedano, rispondono "La misericordia di Dio e la vostra". Il prelato fa loro segno d'alzarsi, espone le austerità dell'ordine, sollecita a dichiarare la loro decisione. Se esprimono totale assenso, il prelato dirà "Il medesimo Signore che ha ispirato il vostro proposito lo porti a compimento"; tutti rispondono "Amen". Dismessi allora i vestiti secolari e indossato l'abito religioso, vengono ricevuti in capitolo a far parte della nostra comunità. Tuttavia prima d'impegnarsi stabilmente alla vita comune e di promettere obbedienza al prelato e suoi successori, vien loro intimato il periodo del noviziato; faranno essi esperienza dell'austerità dell'ordine, i frati della loro condotta.

           Prima di ricevere un aspirante si accerti se sia coniugato, di stato servile, debitore, professo d'altra regola, affetto da occulta malattia. Possono ricevere frate chierico alla prova del noviziato o alla professione il priore provinciale, o un suo espresso delegato, il priore conventuale con assenso unanime o maggioritario del capitolo. Né priore provinciale né suo delegato possono ricevere un aspirante converso senza consenso del priore e due terzi dei frati del convento per il quale vestirà l'abito; né viceversa un convento può ricevere un converso senza licenza del priore provinciale. Passaggio del converso allo stato clericale è esclusiva competenza del maestro dell'ordine.

            Non saranno accettati nel nostro ordine: chi abbia emesso professione in qualsivoglia ordine mendicante, se non con licenza del maestro dell'ordine o del capitolo generale; chi abbia meno di diciotto anni d'età; illegittimo di nascita, se non con speciale licenza del priore provinciale. Se ricevuto e dispensato per accedere alla carica priorale, l'illegittimo rimane inabile ad esser difinitore del capitolo generale e provinciale, predicatore generale, elettore del maestro dell'ordine, se non dopo speciale dispensa del maestro dell'ordine. Nessuno ammetta donne alla tonsura, all'abito, alla professione.

 

 

          <I  14> Novizi e loro istruzione, capitolo quattordicesimo

           Diligente maestro viene assegnato dal priore alla formazione dei novizi. Li introduce alla vita dell'ordine, li sprona in chiesa, ne corregge con parole e segni le negligenze ovunque commesse, provvede quanto possibile alle loro necessità. Assegna penitenza per negligenze vistose quando gliene chiedono venia, o li proclama nel capitolo dei novizi. Li esorta ad umiltà di sentimenti e di comportamento, secondo il detto evangelico «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29). Esigente e discreto insieme, li istruisce circa la confessione, la vita in povertà, la volontà del prelato da preporre alla propria, in tutto consentita obbedienza. E ancora: congruo contegno nelle situazioni più diverse; accontentarsi  del posto assegnato; medesima cortesia verso chi dona e chi toglie, verso l'affabile e l'insolente; prudenza nelle visite alle camere personali; nessuna alterigia di sguardi; modi e parole della preghiera, sottovoce per non assordar il vicino; come far venia in capitolo o dovunque ripresi dal prelato; quando fosse stato di scandalo in qualche maniera al fratello, giacer contrito ai suoi piedi finché non perdonato.

           Ulteriore materia d'istruzione dei novizi. Non presumere di contrastare alcuno; obbedire in tutto al loro maestro; nelle processioni tenersi allineato col compagno collaterale; non parlare in luoghi e tempi interdetti. Non giudicare alcuno; e se il comportamento altrui apparisse disonesto, sospettino retta intenzione, ché spesso fallace è l'umano giudizio. Non parlare degli assenti se non in bene. Sottoporsi di frequente alle discipline. Bere con due mani e a sedere. Custodire con diligenza libri vesti e altri beni del monastero. Fatta una richiesta a un priore, non rivolgersi contemporaneamente ad un altro se non esponendo il motivo; rivoltisi al superiore non ricorrere all'inferiore.

           Prima della professione i novizi accedono alla confessione, istruiti che siano su questa. Similmente prima della professione regolano le pendenze economiche, mettono a disposizione del priore tutti gli altri beni, liberandosi così da ogni diretta responsabilità. Similmente tutti i frati una volta l'anno rendono conto ai rispettivi priori di quanto loro affidato, e lo rimettono a loro disposizione. Qualsiasi frate che abbia ricevuto o detenga danaro e altri beni, li abbia spesi, distribuiti o fatti distribuire, sottoponga la propria amministrazione ai responsabili una volta l'anno, più volte se richiesto: maestro dell'ordine ai definitori del capitolo generale, priore provinciale ai definitori del capitolo provinciale, priore conventuale al priore provinciale o al visitatore, gli altri frati al priore conventuale. I novizi inoltre durante il tempo di prova imparino diligentemente salmodia e divino ufficio.

           Durante il tempo o l'anno di noviziato i novizi non saranno inviati in regioni remote se non per necessità; non impiegati in uffici. Prima che emettano la professione, né le loro vesti siano alienate né essi promossi ad ordini sacri. Non partecipano al capitolo, non giacciono nel dormitorio dei frati, laddove possibile. Il maestro ne ascolta fuori capitolo le mancanze, li istruisce con diligenza nel comportamento, li corregge con carità.

 

         <I  15> Professione, capitolo quindicesimo

           Formula della professione: «Io N. faccio professione e prometto obbedienza a Dio, alla beata Maria, al beato Domenico, e a te N. maestro dell'ordine dei frati Predicatori e ai tuoi successori, secondo la Regola del beato Agostino e le istituzioni dei frati Predicatori, che sarò obbediente a te e ai tuoi successori fino alla morte».

Formula della professione quando fatta a un priore: «Io N. faccio professione e prometto obbedienza a Dio, alla beata Maria, al beato Domenico, e a te N. priore di tal convento, in luogo di N. maestro dell'ordine dei frati Predicatori e dei suoi successori, secondo la Regola del beato Agostino e le istituzioni dei frati Predicatori, che sarò obbediente a te e ai tuoi successori fino alla morte».

           All'atto della professione si benedicono le vesti dei novizi nel modo seguente. Versicolo «Mostraci Signore la tua misericordia», responsorio «E donaci la tua salvezza», «Il Signore sia con voi» eccetera. Orazione: «Signore Gesù Cristo, ti sei degnato di vestire l'abito della nostra natura mortale; imploriamo la tua immensa generosità: benedici queste vesti, dai santi padri approvate in segno d'innocenza ed umiltà; chi le indossa, possa meritare di rivestirsi di te, Cristo nostro signore». Si asperga poi l'acqua benedetta.

 

         <I  16> Colpa leggera, capitolo sedicesimo

           Ecco quali sono le trasgressioni leggere. Tardare, appena udito il segnale, nel porre opportuno termine a quanto in corso e nel prepararsi per accedere in chiesa ordinati e composti. Arrivare in coro dopo il Gloria del primo salmo. Sbagliare nel leggere o cantare in coro, e non scusarsene. Anziché raccolti nella recita del divino ufficio, lasciarsi andare a sguardi vaganti e movenze frivole. Crear disturbo in chiesa dormitorio celle. Ridere e far ridere in coro. Non prepararsi a tempo giusto alla lettura. Presumere di cantare o leggere quanto non approvato da condivisa tradizione.

           Comportamento e chiacchiere futili nell'andare alle prediche. Ridere sregolatamente; con schiamazzi e burle, motti e mosse, trascinare altri a consimile leggerezza. Nell'attraversare piazze o villaggi trattenere di frequente sguardi curiosi su materia frivola. Nella vigilia dell'Annunciazione e del Natale del Signore non esser presente per negligenza al capitolo fin dall'inizio, laddove si proclamano gli esordi della nostra redenzione, e mancare pertanto di renderne grazie a Dio con tutto se stesso. Al rientro in convento o nel partire, assenti più d'una notte, omettere di chiedere la benedizione. Dormicchiare alle lezioni. Non presentarsi con gli altri alle lezioni all'ora prefissata. Leggere libri interdetti.

           Maneggiare con incuria arredi di chiesa e d'altare. Non riporre in buon ordine vestiti e libri al loro posto, o bistrattarli. Appropriarsi senza permesso d'indumenti od altro dati o concessi a un frate. Mandare in frantumi o smarrire utensili. Versar cibo o bevande. Far smarrire per negligenza il libro di lettura comunitaria. Dire o far qualcosa che danneggia altri frati. Prender vitto e bevanda omettendo la benedizione. Differire il rientro in convento. Mancare il capitolo, la collazione, la refezione comune. Tralasciare obbligo comunitario. Proclamare (correggere pubblicamente) lo stesso giorno in capitolo quasi per vendetta chi l'aveva a sua volta proclamato. Proclamare animosamente fino alla rissa.

           Negare o asserire giurando, come usa nel linguaggio corrente. Far chiacchiere turpi o sciocche, peggio se per abitudine. Omissione o negligenza negli obblighi d'ufficio: i priori nel presiedere il convento, i maestri nell'insegnare, gli studenti nell'applicarsi allo studio, i copisti nel trascrivere, i cantori nei loro compiti, i procuratori nell'amministrazione materiale della casa, il vestiario nel provvedere e far rammendare i vestiti, l'infermiere nel curare i malati e predisporre il necessario ai morti, e così via gli altri, ciascuno nel proprio settore, come ordinato. Chi di costoro sia proclamato o proclami se stesso circa le sopraddette inadempienze, è sottoposto alla pena ritenuta opportuna dal prelato.

 

         <I  17> Colpa grave, capitolo diciassettesimo

           Trasgressioni gravi. Contendere scompostamente in incontri con secolari. Litigare con altro frate dentro o fuori convento. Lanciar parole di vituperio. Mentire sapendo di mentire. Infrangere d'abitudine il silenzio. Giustificare trasgressioni proprie o altrui. Proclamare animosamente fino alla rissa. Inveire e imprecare contro chi l'avesse proclamato in capitolo, o contro chicchessia. Rinfacciare ad altri colpe trascorse e riparate.

           Vomitare malignità su padri, fratelli, sorelle, case, non comprovate dalla testimonianza dei fratelli. Viaggiare a cavallo senza permesso e necessità, mangiar carni, portar danaro o farlo portare. Fissar lo sguardo su donne, e farlo d'abitudine; conversare a tu per tu con una donna non su materia onesta o di confessione. Infrangere i digiuni ecclesiastici senza giusta causa e permesso.

           Per siffatte e simili trasgressioni la pena sarà: per chi di sua iniziativa abbia chiesto venia e non proclamato, tre discipline in capitolo e tre giorni a pane ed acqua; per i proclamati, un giorno e una disciplina in più. In aggiunta, salmi e venie a discrezione del prelato e secondo la natura delle colpe. Medesima pena a chi inviato in qualche luogo abbia fatto ritorno senza permesso, o procrastinato il rientro; a chi mormora del vitto vestito o quant'altro. Ci si astenga dal proclamare alcuno in capitolo per sentito dire, ma solo quando in possesso di prove del crimine. Chi non è in grado di provare l'imputazione contro il diniego dell'accusato, sconterà la pena prevista per l'accusato. Difetti e vizi non restino occulti: chi ne è a conoscenza, denunci al prelato quanto veduto e udito.

 

         <I  18> Colpa graviore, capitolo diciottesimo

           Trasgressioni graviori. Ostinata e manifesta ribellione al proprio prelato. Osare proterva resistenza al medesimo, dentro e fuori convento. Percuotere. Delitto capitale. Tentare di farsi esimere, se stessi o altri, dalla giurisdizione del proprio prelato. Ricevere donativi vietati. Nascondere quanto ricevuto; comportamento da punire alla stregua del furto, a detta del beato Agostino.

Chi proclamato vien provato colpevole, si alzi, implori perdono, confessi e compianga la gravità del proprio crimine, denudato per ricevere la pena meritata sia frustato a discrezione del prelato; occupi l'ultimo posto in convento; in tal modo chi non s'è vergognato per mala condotta di farsi membro del diavolo, resti separato dal consorzio dei discepoli di Cristo fino a piena resipiscenza.

           A mensa non siede con gli altri, mangia su nuda terra al centro del refettorio, separatamente servito di pane rozzo e sola acqua, salva misericordiosa indulgenza del prelato. I suoi avanzi non vengono mescolati con gli altri: per mostrargli che è separato dalla compagnia dei fratelli finché la penitenza non lo ricongiunga alla compagnia degli angeli.

Alle Ore canoniche e al rendimento di grazie dopo i pasti, giace prostrato davanti all'uscio di chiesa mentre i frati entrano ed escono. Nessuno osi fargli compagnia o fornirgli assistenza.

           Chi soggetto a pena graviore non sia tuttavia abbandonato al rischio della disperazione. Il prelato invii frati anziani e saggi che sappiano muoverlo a pentimento, provocarlo a pazienza, consolarlo compatendo, esortalo a riparazione, sostenerlo intercedendo, se ne scorgano interiore conversione. Coinvolta l'intera comunità; perché non accada che il prelato rifiuti un gesto misericordioso. Se necessario, sia di nuovo frustato a piè dei singoli frati, del prelato prima, poi di quelli seduti all'uno e l'altro lato. Nel corso di siffatta punizione, il trasgressore non è ammesso all'eucarestia né al bacio della pace. Se predicatore, è sospeso dall'ufficio di predicazione. Privo d'uffici liturgici nella celebrazione divina, di pubblici incarichi, di voce (elettiva)  -  se non per accusare se stesso  -  fino a piena riparazione; restituibile a tali diritti dal maestro dell'ordine o dai definitori dei capitoli generale e provinciale. Se sacerdote o diacono, resta interdetto a tali uffici finché non abbia dato prova di ravveduta condotta.

           Alla pena del carcere è condannato: chi commette, Dio non voglia, peccato carnale, o furto cospicuo; chi falsifica lettere e sigilli del maestro dell'ordine o dei priori provinciali, o ne fa intenzionale impiego; chi mena le mani sul proprio prelato; chi percuote chicchessia mortalmente, o con spietata violenza; chi indebitamente porta con sé armi d'offesa entro i recinti conventuali; chi fa fare una delle suddette cose.

Con pena carceraria è parimenti punito: chi imputa falsamente a un frate del nostro ordine o all'ordine stesso crimini puniti dalle nostre costituzioni con carcere; chi svela tali crimini a persone secolari estranee alla giurisdizione del nostro ordine, con conseguente infamia delle persone o dell'ordine. Assolvere siffatti demolitori della nostra istituzione è competenza dei soli maestro dell'ordine e capitolo generale.

Medesima pena carceraria è inflitta a chi addetto al gioco di dadi; a chi consapevolmente incorso in sentenza di scomunica pronunciata secondo diritto da qualsiasi giudice del nostro ordine.

Se qualcuno commettesse tali gravità fuori convento, il compagno si affretti a intimargli d'emendarsi. Emendato, non faccia ritorno al luogo della trasgressione; a meno che, ricuperata religiosa condotta, i definitori del capitolo generale o provinciale gli diano licenza di farvi ritorno.

Se il crimine fosse rimasto occulto, si ingiunga al trasgressore debita pena tramite procedure riservate.

Caso di frate dalle ambigue frequentazioni: più volte ammonito dal prelato con consiglio e alla presenza di frati discreti, e non mutato comportamento, il prelato gli ingiunge in forza del voto d'obbedienza e alla presenza dei suddetti saggi di recedere da siffatte frequentazioni; se trasgredisce il comando, sarà ritenuto reo comprovato di tale crimine.

Caso di trasgressore che volesse confessarsi al suo socio, e costui avesse notizia del crimine per altre vie: il frate socio non accetti la confessione, se non a condizione che a tempo e luogo debiti si riserva il diritto a proclamarlo pubblicamente.

             Manifesta cospirazione, congiura o maliziosa macchinazione contro i propri priori e prelati: si proceda alla correzione alla maniera or ora detta. Per l'avvenire il colpevole occuperà sempre l'ultimo posto; in capitolo conventuale conserva il solo diritto all'autoproclamazione; non gli si affidino pubblici incarichi, salva restituzione ai diritti decisa dal maestro dell'ordine o dai definitori del capitolo generale o provinciale.

Chi pur senza programmata malizia ha di messo in atto comportamenti intollerabili contro il proprio prelato: lo si esorti prima con tutta umiltà e carità a correggersi. Se più volte ammonito ignora o rifiuta d'emendarsi, si riferisca la cosa al priore provinciale o ai visitatori, cosicché alla prossima visita conventuale vaglino il caso e informino i definitori del capitolo provinciale o generale.

In nessuna altra maniera i sudditi osino diffamare i propri prelati.

 

 

         <I  19> Colpa gravissima, capitolo diciannovesimo

           Colpa gravissima è l'incorreggibilità. Quella di chi non solamente non ha remore a trasgredire ma anzi rifiuta di subirne la pena. Costui, dietro consiglio dei savi, sia rinchiuso in carcere; a seconda delle gravità delle colpe, sia punito dal prelato con digiuno ed astinenza. Oppure, a norma della Regola del nostro padre Agostino e se il caso l'esige, sia spogliato dell'abito religioso ed espulso dal nostro ordine, supposta fino allora capacità d'intendere e di volere. Anche chi a giudizio dei savi non è tollerabile nella vita comunitaria senza grave rischio o scandalo, sia chiuso in carcere e punito secondo le colpe a discrezione del prelato.

 

         <I  20> Apostati, capitolo ventesimo

           Chi abbia apostatato dall'ordine è per ciò stesso scomunicato in forza di questo statuto. Se rinsavito torna in convento, deponga l'abito, si presenti nudo in capitolo recando le verghe di disciplina, prostrato confessi l'errore, supplichi perdono. Sconterà pene di colpe graviori per la durata stabilita dal prelato, e continuerà a presentarsi nudo in capitolo una volta la settimana.

           Durante questo periodo di punizione, l'apostata pentito occupa dappertutto in convento l'ultimo posto, digiuna a pane ed acqua due volte la settimana per la durata d'un anno. Scontata la pena, non ricupera il diritto al primitivo posto, salva dispensa dei definitori del capitolo generale o provinciale; gli anni trascorsi in apostasia non gli vengono computati nell'ordine del posto, cosicché egli sussegue i frati con più anni di vita religiosa di quanti lui ne aveva al tempo della defezione.

           Che se fuggisse una seconda volta e poi tornasse, subirà la medesima punizione sopra descritta, aggiungendo un secondo anno al primo, un terzo anno, un quarto e così via. A siffatti trasgressori tuttavia, se in capitolo fanno umile richiesta d'indulgenza, il prelato può diminuire o rimettere la pena a sua discrezione. Gli apostati d'un convento non sono ricevibili di nuovo all'ordine dal priore d'altro convento della medesima provincia senza licenza del priore provinciale; gli apostati d'una provincia non sono ricevibili in altre province senza licenza del maestro dell'ordine.

           Chi in apostasia avesse ricevuto gli ordini sacri o celebrato messa dopo la scomunica, è privato in perpetuo del proprio ufficio; dispensabile solo con autorità apostolica quando avesse dato prova di ravveduta condotta. Chi sia stato una volta apostata, o colpevole provato di peccato carnale, o incarcerato legittimamente, è interdetto per l'avvenire dal predicare, ascoltare confessioni, partecipare a qualsiasi elezione, partecipare al trattato sulle mozioni al capitolo generale e provinciale. Competenti a restituirlo all'esercizio di tali diritti sono i definitori del capitolo generale o provinciale, non prima tuttavia che siano trascorsi almeno tre anni. Se il trasgressore è predicatore generale, resta privato dell'ufficio. È inabile ancora a cariche quali priorato, sottopriorato, lettorato, definitore del capitolo generale o provinciale, predicatore generale, elettore del maestro dell'ordine, se non con speciale licenza del maestro dell'ordine. Medesima sentenza di pena colpisce chi falsifica lettere e sigilli del maestro dell'ordine o del priore provinciale, e ne fa intenzionale impiego.

 

 

 

Parte seconda

<II  1> Case e conventi, capitolo primo

  L'istituzione d'una casa è concessa dietro richiesta avanzata dal priore provinciale e definitori del capitolo provinciale; congrua locazione od eventuale trasferimento sono competenza dei medesimi. I frati destinati a nuove case son debitori in materia di suffragi ai conventi d'origine, e viceversa i conventi nei loro confronti come a propri frati conventuali, fintanto che risultino assegnati in quel medesimo convento. Quanto al resto, tali frati appartengono semplicemente alle case predette. Il convento non può essere istituito al di sotto di dodici frati, senza autorizzazione del capitolo generale, e senza un priore e un dottore; se tale numero legale venisse meno per diminuzione o trasferimento di frati, sia reintegrato tramite nuove assegnazioni. Il convento in difetto di numero legale non ha alcun diritto di partecipare nel capitolo provinciale o elezione del provinciale a quella materia riguardante priore, suo socio ed elettori del capitolo provinciale; salvo il caso di numero legale venuto meno per decesso d'un frate entro l'anno. Sono dispensate dal numero legale le sole province di Terra santa e Grecia. Il trasferimento d'una casa da provincia e provincia è deliberato da tre capitoli.

  Semplici e modesti siano gli edifici delle nostre abitazioni. Né ricercatezza né superfluo nelle nostre case in materia di sculture pitture pavimenti, o quant'altro possa compromettere la nostra povertà. Chi contravviene in questo campo è punito con pena annessa a colpa graviore. Parimenti non siano in nessun modo accettate proprietà e redditi, né chiese con cura parrocchiale. Nessuno osi sollecitare benefici a favore di suoi consanguinei.

  In forza della professata obbedienza e sotto pena di scomunica proibiamo rigorosamente a qualsiasi frate d'adoprarsi per l'avvenire perché ai nostri frati sia affidata la cura di monache o d'altre donne, se non con licenza del maestro dell'ordine. Proibiamo rigorosamente che alcuno accetti predetta cura se non approvata da tre capitoli continui, o demandata all'ordine per volontà del papa e di chi a ciò competente. Chi contravviene è punito con pena di colpa graviore. Alle donne è permanentemente precluso l'accesso al chiostro, oratorio, laboratori; eccetto il giorno della consacrazione della chiesa, quando sono ammesse al coro e chiostro; al solo coro fino a inizio ufficio il Venerdì santo. Per portiere sia nominato un frate, chierico o converso, discreto maturo responsabile. Esegua il suo compito con diligenza; se necessario, si scelga pure in aiuto un altro frate, o un secolare d'onesta condotta.

 

         <II  2> Elezione del priore conventuale e istituzione del sottopriore, capitolo secondo

         I priori conventuali sono eletti dal proprio convento seguendo la procedura canonica: per scrutinio della maggioranza (assoluta) degli elettori, oppure per compromesso, oppure per comune ispirazione, ignorate altre sottigliezze giuridiche. Procedura da seguire quando l'elezione prescelta è per interpellazione e scrutinio della volontà dei vocali: i voti dagli elettori vengono raccolti dal sottopriore, o suo vicario in assenza del sottopriore, e dai due frati più anziani di vestizione e mai receduti dall'ordine, salva dispensa concessa dal maestro dell'ordine o dal capitolo provinciale o generale. Si rende noto lo spoglio dei voti, si raffronta numero con numero. Nel caso che la minoranza, interpellata se intende accedere al nominativo espresso dalla maggioranza, acconsente, allora il primo vocale si alza e proclama: «Io N. a nome mio e di tutti gli elettori qui presenti eleggo N. a priore di tale convento», oppure «di tale provincia» in caso d'elezione del priore provinciale.

  Se non l'intero collegio elettorale bensì la sola maggioranza consente sull'eletto, allora il primo vocale come sopra proclama: «Io N. per me e per quanti con me consentono eleggo N.» eccetera come sopra. Medesima procedura si segue nell'elezione del maestro dell'ordine e dei priori provinciali. Il priore eletto dev'esser confermato dal priore provinciale, se ritiene congruo. Medesima procedura se l'eletto dalla maggioranza dei vocali è d'altro convento. Nel chieder conferma del priore eletto, il convento informa per iscritto circa numero e nomi degli elettori. Se costoro entro un mese non eleggono o postulano, spetta al priore provinciale nominare il priore di tale convento.

  I frati hanno voce attiva nell'elezione priorale dopo il quarto anno di professione. Prima di tale termine, sono ineleggibili a socio del priore, a elettore del priore provinciale, a priore. Frati d'altra provincia sono ammessi ad eleggere il priore se al tempo dell'elezione abbiano trascorso un anno continuato nel convento d'assegnazione. Prima di tale termine, non sono ammessi all'elezione degli elettori del priore provinciale né al trattato sulle mozioni da inviare al capitolo generale e provinciale. Il diritto a eleggere priori sia provinciali che conventuali è esercitato solo dai vocali presenti di persona all'atto d'elezione, come avviene per l'elezione del maestro.

  Il priore conventuale col consiglio dei savi istituisce il sottopriore. Ufficio del sottopriore è soprintendere con diligenza al convento, sorprendere i trasgressori; altre competenze delegate o permesse dal priore. Deceduto o rimosso il priore, il sottopriore gli subentra con pieni diritti finché nuovo priore sia eletto, confermato e presente in convento, a meno che il priore provinciale non disponga altrimenti.

  Deceduto rimosso o assente il priore, e assenti sottopriore e vicario del priore, tre frati del convento colà presenti e vocali nelle elezioni, più anziani di vestizione e mai receduti dall'ordine, salva dispensa del maestro dell'ordine o del capitolo generale o provinciale, son tenuti a eleggere  -  differito ogni pasto, e nonostante qualsiasi rinuncia  -  un  frate del convento nelle veci di priore finché in convento non siano presenti priore o sottopriore; a meno che priore provinciale o conventuale non abbia disposto altrimenti. Nei capitoli quotidiani il sottopriore non è proclamabile, se non in caso di grave eccesso a giudizio del priore.

 

         <II 3>  Elezione del priore provinciale, capitolo terzo

           Deceduto o rimosso il priore provinciale, il priore del convento ospite del prossimo capitolo provinciale ne fa le veci.  Che se il capitolo provinciale per qualche ragione fosse trasferito altrove - traslazione di competenza del priore provinciale o suo vicario col consiglio dei savi - a traslazione decretata il potere del priore vicario cessa, e le veci del priore provinciale le assume il priore del convento dov'è stato trasferito il capitolo. Parimenti se il capitolo generale fosse trasferito ad altra provincia, anche l'autorità della vicarìa passa al provinciale di tale provincia.

           Se il convento ospite del capitolo assegnato o trasferito manca di priore, o costui decedesse durante la propria vicarìa o fosse rimosso o si trovasse fuori provincia, in sua assenza fa in tutto le veci del priore provinciale il priore del convento ospite del precedente capitolo; e così a ritroso finché non si trovi il priore del convento ospite del pregresso capitolo provinciale che assuma piena vicarìa del priore provinciale. Se poi il priore del convento ospite del prossimo capitolo provinciale non fosse in provincia o per qualche ragione non intervenisse al capitolo, allo stesso modo il priore del convento ospite del precedente capitolo fa in tutto le veci del priore provinciale nel solo capitolo. E così continuando, finché il priore della medesima provincia non sia stato eletto e confermato, presente in provincia lui o il suo vicario; o finché maestro dell'ordine o capitolo generale non dispongano altrimenti.

           Deceduto o rimosso il priore provinciale nel capitolo generale o nel tempo intermedio tra questo e capitolo provinciale o nello stesso capitolo provinciale, oppure una provincia manchi del priore provinciale entro quel medesimo tempo per qualsiasi ragione, spetta al capitolo provinciale la sua elezione. Se il priore provinciale eletto non vien confermato, oppure muore od è rimosso dopo il capitolo provinciale, chi ne tiene le veci convoca quanto prima gli elettori, costoro nel giorno stabilito procedono a eleggerlo o postularlo; si celebra poi il capitolo provinciale, a meno che precedentemente (in quell'anno) non fosse già stato celebrato. Che se nel giorno stabilito gli elettori non avessero né eletto né postulato il provinciale, spetta al maestro dell'ordine provvedere.

           Hanno diritto di voto nell'elezione del provinciale i priori conventuali e due frati per ogni convento. Quest'ultimi da eleggere appositamente per ciascuna elezione provinciale, in caso di più d'una; a maggioranza dei vocali conventuali, essendo scrutatori il sottopriore o suo vicario e due frati più anziani di vestizione, dopo convocazione di tutti i frati assegnati al convento, raggiungibili da nunzio in un giorno di viaggio. Queste stesse norme elettorali valgono anche nell'elezione del priore conventuale e nel trattato sulle mozioni da inviare al capitolo provinciale. Gli elettori del priore provinciale seguono medesima procedura descritta nell'elezione del maestro dell'ordine, eccetta reclusione in conclave. Frate della medesima provincia, istituito vicario di provincia dal maestro dell'ordine o dal capitolo generale, ha diritto di voto nell'elezione del provinciale.

           Scrutinano i voti dei frati i tre priori conventuali più anziani di vestizione. Venga eletto uno dei due frati elettori da dare in socio del priore conventuale al capitolo provinciale di quell'anno, se va celebrato. Che se gli elettori, o uno dei due, fossero impediti dall'andare al capitolo elettivo, il convento può eleggerne altri al loro posto. Medesime disposizioni circa il socio del priore conventuale al capitolo provinciale. Imminente l'elezione del priore provinciale, proibiamo l'assoluzione dall'ufficio dei priori conventuali di tale provincia, salvo caso di crimine o scandalo grave.

           Il priore provinciale è confermato o rimosso nel capitolo generale dal maestro dell'ordine e definitori dopo diligente esame. Anche al solo maestro tuttavia è data facoltà di confermarlo o rimuoverlo. Se l'ordine è senza maestro, la conferma spetta al vicario dell'ordine. Se il maestro dell'ordine morisse o fosse rimosso dopo conferma concessa e prima che pervenga all'eletto, la conferma conserva il proprio valore.

           Il priore provinciale nella propria provincia ha la medesima autorità del maestro dell'ordine; e medesima reverenza e obbedienza gli devono i coprovinciali quale al maestro dell'ordine, a meno che costui sia presente. Il priore provinciale ha il dovere di visitare l'intera sua provincia una volta l'anno, lui personalmente se possibile, o tramite idonei vicari, ai quali a discrezione delega autorità e competenze. Assolti dalla carica, i priori provinciali fanno ritorno ai conventi dai quali furono assunti, salva diversa disposizione dei superiori. Se morissero durante il provincialato, libri e altri beni ricevuti per provvigione dell'ordine dalla provincia o da qualche convento prima del provincialato, appartengono a tale provincia o convento. Tutto il resto appartiene ai conventi dai quali furono assunti. Quanto invece acquisito durante il provincialato, appartiene alla provincia di cui erano priori.

 

         <II 4> Elezione del maestro, capitolo quarto

           Deceduto o rimosso il maestro dell'ordine prima della San Michele (29 sett.) o il giorno stesso della festività, il priore conventuale o provinciale più prossimo al luogo del decesso ne dà sollecita notizia al più vicino dei due conventi parigino o bolognese. L'uno dei due conventi per primo informato ne trasmette notizia all'altro. Il convento parigino ne dà al più presto notifica ai provinciali della Spagna, Tolosana, Anglia, Teutonia, Dacia, Aragonia, Sassonia, Provenza; il bolognese a quelli dell'Ungheria, Romana, Regno di Sicilia, Polonia, Terra santa, Grecia, Boemia e Lombardia superiore. Deceduto o rimosso il maestro dopo la San Michele (29 sett.), se ne dà ugualmente notifica ma per soprassedere quell'anno anno al capitolo generale.

           Deceduto dunque o rimosso il maestro dell'ordine, il priore provinciale della provincia ospite del seguente capitolo fa in tutto le veci del maestro dell'ordine finché eletto il nuovo; eccetto assoluzioni dei priori provinciali e conventuali d'altre province, ed eccetto trasferimenti dei frati da una provincia all'altra: nessuna intromissione in questa materia, salvo il caso di frate non provinciale richiesto per l'ufficio del provincialato. Se la provincia ospite del celebrando capitolo manca del provinciale, o costui fosse deceduto o rimosso durante la vicarìa, il priore provinciale della provincia ospite del capitolo immediatamente precedente assume la suddetta vicarìa; e così a ritroso finché in qualcuna delle province sia reperito il vicario. Appena tuttavia la provincia ospite del capitolo celebrando ha il priore provinciale confermato, costui ottiene la suddetta vicarìa.

           Accedono al capitolo generale i singoli priori provinciali delle diciotto province, insieme con due frati eletti nel capitolo provinciale dalla maggioranza assoluta di vocali. Se in qualche provincia è stato già tenuto il capitolo provinciale e nella prossima Pentecoste cade l'elezione del maestro, il definitore del capitolo generale e il suo socio fungono quell'anno da elettori del maestro dell'ordine. Nell'anno invece dei priori provinciali, elettori del maestro saranno i due più anziani di vestizione tra i definitori del precedente capitolo provinciale. Il più anziano dei due, sarà anche definitore del capitolo generale dell'anno; se poi costui non potesse accedere al capitolo o fosse stato definitore nel precedente capitolo, a definire sarà ammesso l'altro. Convenuti la vigilia di Pentecoste, i capitolari vengono rinchiusi in stretto conclave nel luogo dell'elezione dai priori e frati locali; nessuno ne possa uscire, e nessun alimento sia somministrato fino ad avvenuta elezione del maestro dell'ordine secondo procedura canonica. Tenuti a osservare tali disposizioni sono e i vocali e i custodi del conclave. Chi contravviene è issofatto punito con scomunica e pena di colpa graviore.

           Procedura d'elezione. Chiusi in conclave gli elettori, quando l'elezione prescelta è per interpellazione e scrutinio della volontà dei vocali, i tre provinciali più anziani di vestizione dei diciotto raccolgono uno per uno i voti dei singoli, li scrutinano alquanto in disparte nel medesimo luogo e alla vista di tutti, ne scrivono il risultato. Se ispirati dalla grazia divina i vocali concordano unanimi nella stessa persona, costui è il legittimo maestro dell'ordine. Altrimenti, chi ottiene più della metà dei voti, costui è il maestro legittimo in forza di siffatta elezione e della presente costituzione. Impossibilitati taluni degli elettori a venire al capitolo elettivo, l'elezione del maestro vien celebrata in ogni modo dai vocali presenti. Il lunedì dopo Pentecoste il capitolo abbia sempre il maestro, di nuova o antica elezione, presente o assente. In tal giorno infatti il capitolo inizia la sua solenne celebrazione, e non può restare acefalo.

           Quanto stabilito circa elezione del maestro va osservato con fermezza e senza obiezione. Chiunque osa contraddire pertinacemente o ribellarsi, è da ritenere scomunicato, scismatico e demolitore del nostro ordine; fino ad avvenuta riparazione, rimane segregato dalla comunione di tutti i fratelli e sottoposto a pena di colpa graviore. In virtù dello Spirito santo ordiniamo che nessuno osi mutare alcunché circa l'assetto dell'ordine prima dell'elezione del maestro.

 

         <II  5> Elezione dei definitori del capitolo provinciale e generale, capitolo quinto

             Nei singoli capitoli provinciali annuali delle province di Spagna, Tolosana, Francia, Lombardia inferiore, Romana, Regno di Sicilia, Ungheria, Teutonia, Anglia, Grecia, Polonia, Dacia, Gerosolimitana, Aragonia, Boemia,  Provenza, Lombardia superiore, Sassonia, vengono eletti quattro frati più maturi e idonei; scrutatori dell'elezione sono il priore provinciale, o suo vicario, priore e sottopriore del convento ospite del capitolo; se uno di questi mancasse, l'elezione procede con due scrutatori; se mancassero due, scrutatori saranno i due frati più anziani di vestizione presenti in capitolo. I tre scrutatori, o due se il terzo mancasse, raccolgono uno per uno i voti dei singoli, li scrutinano alquanto in disparte nel medesimo luogo e alla vista di tutti, ne scrivono fedelmente il risultato. Subito dopo, nel medesimo luogo e prima che i frati si disperdano o scambino parola, gli scrutatori rendono pubblico il risultato proclamando nome degli elettori e degli eletti. Coloro che raccolgono più voti sono dichiarati definitori.

             Se i voti si dividono in parti uguali, si passa allora ad eleggere con medesima procedura di scrutinio un frate non vocale nell'elezione precedente; la parte cui costui aderisce deciderà dei definitori. Se nell'eleggere costui non si raggiunge la maggioranza, si procede ad eleggere un altro, e così via fino a maggioranza raggiunta. I quattro definitori vengono eletti il giorno immediatamente precedente l'indizione del capitolo provinciale, e da allora ha inizio la loro autorità. Se qualcuno dei quattro definitori muore durante il capitolo o fosse impedito per legittima causa, gli elettori sopraddetti ne eleggono senza indugio un altro secondo medesima procedura; l'eletto ottiene medesima autorità degli altri definitori, e in luogo del deceduto o impedito dibatte e definisce con gli altri tutte le questioni del capitolo.

            La maggioranza dei capitolari delle diciotto province per due anni elegge inoltre un frate dei più idonei a definitore del capitolo generale, seguendo procedura elettiva sopra descritta per i definitori del capitolo provinciale; scrutatori dell'elezione sono il priore provinciale, o suo vicario, priore e sottopriore del convento ospite del capitolo; se uno di questi mancasse, l'elezione procede con due scrutatori; se mancassero due, scrutatori saranno i due frati più anziani di vestizione presenti in capitolo. Priore provinciale e definitori assegnano al definitore (del capitolo generale) un socio competente. Sia definitore che socio siano scelti entro la propria provincia; criterio da osservare senza riserve anche per gli elettori del maestro dell'ordine. Parimenti, soci dei priori al capitolo provinciale ed elettori del provinciale siano scelti entro i propri conventi.

             Se un anno il capitolo generale non è celebrato, definitore del capitolo generale sarà chi eletto nel seguente capitolo provinciale. L'eletto nel precedente capitolo non è rieleggibile al medesimo ufficio nel capitolo dei definitori immediatamente successivo. Il socio prende automaticamente il posto del definitore se nel frattempo costui morisse, o fosse eletto e confermato priore provinciale, o in qualunque modo impedito a partecipare al capitolo generale. Se l'uno o l'altro fosse sorpreso da simile impedimento, il primo convento ospite gli fornisca congruo compagno di viaggio. Frati eletti un anno a definitori del capitolo provinciale non sono rieleggibili al medesimo ufficio l'anno successivo. Medesima disposizione vale per i definitori del capitolo generale.

 

         <II  6> Capitolo quotidiano, capitolo sesto

            Il capitolo si tiene dopo il Mattutino; talvolta dopo Prima, o lo si omette per non impedire lo studio, a discrezione del prelato. Entrati in capitolo, il lettore dà lettura della luna calende martirologio eccetera, il sacerdote prosegue con «Preciosa est» eccetera. I frati seggono, il lettore pronuncia la lezione delle costituzioni o del vangelo del tempo, premesso Iube domine e data dall'eddomadario la benedizione Regularibus disciplinis se son da leggere le costituzioni, o Divinum auxilium se è da leggere il vangelo. Suffragati i defunti, chi presiede il capitolo dice Benedicite, tutti rispondono Dominus e fanno inclinazione.

            Si recitano poi i benefici, il priore pronuncia «Retribuere dignare» eccetera, tutti dicono i salmi Ad te levavi, De profundis, seguono Kyrieleison e Pater noster, i versetti «Oremus pro domino papa» «Salvos fac servos tuos et ancillas tuas» «Requiescant in pace» «Dominus vobiscum» da parte dell'eddomadario, e relative tre collette «Omnipotens sempiterne Deus qui facis» «Pretende» «Fidelium Deus». Seggono quindi i frati. Il prelato esorta brevemente all'onestà di condotta e ammonisce i frati, se ritiene opportuno. I novizi abbandonano il capitolo. Chi presiede dice «Facciano la venia quanti si ritengono colpevoli di qualcosa». Allora chi si ritiene in colpa, prostrato chiede perdono, in piedi confessa umilmente le proprie trasgressioni. Disposto ad accettare proporzionata punizione ingiunta dal priore e suo delegato.

             In capitolo i frati prendono la parola per due sole ragioni: denunciare proprie e altrui colpe, rispondere alle domande del prelato. Quando uno sta parlando in piedi, gli altri tacciono. Nessuno osi proclamare qualcuno sul solo sospetto; né sul sentito dire, se non indicando da chi, e costui sia reperibile in casa. Finita la proclamazione delle colpe, si recita il salmo Laudate Dominum, versetto «Ostende nobis Domine» e «Dominus vobiscum», colletta «Actiones» eccetera. In fine dice il priore «Adiutorium nostrum in nomine Domini», e il capitolo ha termine.

 

         <II  7> Capitolo provinciale, capitolo settimo

           Il capitolo provinciale vien celebrato dopo il capitolo generale; luogo e giorno scelti dal priore provinciale col consiglio dei definitori. Il capitolo provinciale è l'assemblea composta dai priori conventuali, dai soci dei priori eletti dalla maggioranza assoluta del capitolo (conventuale) e dai predicatori generali. I definitori che fossero eletti al di fuori dei capitolari prendono parte in tutto ai lavori di quel solo capitolo. Istituiscono i predicatori generali priore provinciale e definitori del capitolo provinciale; incompetente qualsivoglia vicario, sia pure con definitori. I predicatori generali esercitano tale ufficio solo nella provincia d'istituzione. Nessun  priore conventuale porti con sé altri frati al capitolo generale o provinciale senza legittimo motivo. Se priore provinciale o suo vicario fossero impediti e assenti, il priore del convento ospite dell'imminente capitolo procede insieme con i definitori alla celebrazione del capitolo.

           I definitori dibattono e definiscono tutte le questioni insieme col priore provinciale. Qualsiasi vicario generale della provincia, comunque legittimamente istituito, sostituisce il provinciale, dice il Fidelium, dà licena di parola, concede lettere di benedici di quella provincia, nel solo tempo del capitolo in corso. Se nel votare le decisioni i definitori si dividono in parti uguali, prevarrà la parte cui aderisce il priore provinciale; prevale altrimenti la maggioranza. Se per accessione o assenza del priore provinciale o suo vicario o per qualsiasi altra ragione i voti risultano pari, si elegge allora un capitolare; prevarrà la proposta della parte cui costui aderisce. I quattro definitori ascoltano alla presenza dei frati ed eventualmente correggono con debita penitenza gli abusi del priore provinciale, sia egli confesso che proclamato nel capitolo provinciale. Se, Dio non voglia, lo trovassero incorreggibile, lo sospendono dal provincialato fino al capitolo generale, lo sostituiscono con frate idoneo, riferiscono i suoi errori al capitolo generale per lettera sigillata.

           Ogni anno, ascoltate le colpe nel capitolo provinciale i definitori presiedono, alla presenza di tutti, lo scrutinio segreto circa conferma o rimozione del priore provinciale; con esplicita annotazione dei nomi ed ufficio dei frati votanti. Siffatto scrutinio non va reso pubblico né mostrato al alcuno; autenticato dai singoli definitori e sigillato alla presenza di tutti, sarà trasmesso al capitolo generale dal definitore del medesimo capitolo, o suo socio, oppure dal socio del provinciale nell'anno del capitolo dei provinciali. Medesime norme di scrutinio si osservano circa conferma o rimozione del priore conventuale in occasione del trattato sulle mozioni da inviare al capitolo; scrutatori il sottopriore, o vicario in assenza del sottopriore, e due frati più anziani di vestizione presenti in capitolo; autenticato con sigillo conventuale, sarà trasmesso al capitolo provinciale dal socio del priore.

           Ordiniamo in forza del voto d'obbedienza ai suddetti scrutatori dei voti di non svelare ad alcuno in nessun modo lo scrutinio. Se qualcuno degli scrutatori del priore conventuale fosse impedito, la maggioranza degli elettori conventuali ne designa un altro tra i frati vocali. Costui sostituisce in tutto lo scrutatore impedito nel raccogliere controllare registrare voti e quanto attinente lo scrutinio; tenuto similmente dal voto d'obbedienza alla segretezza dello scrutinio al pari degli altri scrutatori. Medesime norme si osservano in tutto nello scrutinio degli elettori del priore provinciale e nell'elezione del priore conventuale. I frati professi con almeno tre anni dall'ingresso nell'ordine possono esser presenti all'accusa e correzione. I frati con meno d'un quinquennio dall'ingresso nell'ordine non sono ammessi al trattato sulle mozioni da inviare al capitolo generale o provinciale, né all'elezione del socio del priore conventuale, né all'elezione degli elettori del priore provinciale.

           priori, insieme col proprio convento, ogni anno inviano relazione scritta al capitolo provinciale del bilancio conventuale e d'eventuali debiti. Nessuna petizione è inoltrabile al capitolo provinciale se non dal convento; nessuna petizione è inoltrabile al capitolo generale se non approvata dal capitolo provinciale. Nessun religioso d'altro ordine e regola, nessun secolare di qualsiasi condizione dignità stato, sia ammesso a materia e dibattiti riservati al capitolo. In ciascun capitolo priore provinciale e definitori fissano il tempo prima del quale i frati non devono convenire al capitolo seguente.

 

         <II  8> Capitolo generale, capitolo ottavo

           Il capitolo generale è celebrato alternativamente un anno in Parigi e un anno in Bologna, salva diversa decisione del maestro e dei definitori per legittima causa. I diciotto definitori delle province due anni (consecutivi), e i diciotto priori provinciali il terzo anno, insieme col maestro dell'ordine, dibattono determinano legiferano su ogni materia. Se costoro nel votare si dividono in parti uguali, prevale la parte cui aderisce il maestro dell'ordine; altrimenti prevale la maggioranza. Se a seguito dell'accesso del maestro le parti ottengono pari numeri, i definitori eleggono uno a determinare la maggioranza così come stabilito nell'elezione dei definitori provinciali.

           Impediti taluni capitolari a convenire al capitolo, i presenti insieme col maestro dell'ordine svolgono tutti i lavori capitolari. Assente per qualche ragione il maestro, uno dei definitori scelto dalla maggioranza dei definitori stessi è assunto a vicario del maestro dell'ordine; costui durante il capitolo fa le veci del maestro soltanto e in tutto quanto concerne i lavori capitolari; al di fuori del capitolo occupa il posto che gli spetta, nelle definizioni esprime un solo voto. Se i definitori nello sceglierlo si dividono in parti uguali, eleggeranno allora uno dei frati presenti; il candidato della parte cui costui aderisce, diventa vicario. Insieme col vicario i definitori procedono alle decisioni capitolari. Se nel votare le decisioni si dividono di nuovo in parti uguali, procedono secondo il suddetto dispositivo.

           I definitori del capitolo generale hanno piena autorità circa correzione degli eccessi del maestro dell'ordine e circa sua rimozione. In questa e altra materia la sentenza dei definitori va osservata senza riserve, e a nessuno è lecito far ricorso contro di essa. Un ricorso presentato sia ritenuto futile e nullo. Sotto minaccia di scomunica proibiamo ricorsi dentro il nostro ordine. Emendazione degli errori è il nostro proposito, non contesa.

           Dopo che loro stessi sono stati proclamati, i definitori a tempo opportuno e in luogo separato procedono alla correzione degli eccessi del maestro dell'ordine. Costui si prosterna e chiede venia, poi si alza e dichiara i propri errori. I definitori l'ascoltano. Ascoltate a sua volta le proclamazioni, il maestro si ritira, e in sua assenza i definitori discutono e decidono la correzione. Se lo trovano prevaricatore delle proprie competenze e sprezzante dello stato dell'ordine al punto da provocarne sfaldamento, lo persuadano a dimettersi, a scegliersi una residenza dove dignitosamente vivere. In caso contrario i definitori hanno facoltà di rimuoverlo dall'ufficio di governo dell'ordine. Non accettano sue dimissioni se non per qualcuno dei motivi suddetti, o per impedimento perpetuo a svolgere i compiti del magistrato. Impedimento perpetuo è quello riconosciuto tale dagli stessi definitori col consiglio dei savi.

           In virtù dello Spirito santo e del voto d'obbedienza proibiamo fermamente ai frati di divulgare agli estranei quanto possa turbare o disonorare l'ordine: motivi di deposizione del maestro o del priore provinciale, loro abusi e correzione, segreti del capitolo, dissensi tra definitori o tra frati. Chi deliberatamente contravviene sia considerato scomunicato scismatico e demolitore del nostro ordine; fino ad avvenuta riparazione, rimane segregato dalla comunione di tutti i fratelli e sottoposto a pena di colpa graviore. Con medesimo genere di precetto diffidiamo chiunque dal tramare a dividere il nostro ordine con parole o fatti; se contravviene, sarà sottoposto alla suddetta punizione.

           Se nell'anno del capitolo dei priori provinciali cade l'elezione del maestro dell'ordine, uno dei (due) frati elettori di ciascuna provincia eletto nel capitolo provinciale viene ammesso anche a definire insieme con i provinciali; se costui non fosse venuto al capitolo, a definire accede il secondo elettore. Se l'elezione del maestro cade nel capitolo dei definitori, i priori provinciali convengono (al capitolo) con i definitori, e tutti insieme prendono parte ad unica attività definitoria.

           In virtù dello Spirito santo e del voto d'obbedienza e sotto minaccia di scomunica proibiamo fermamente ai priori provinciali di compromettere in alcun modo il ruolo dei frati definitori tramite gli atti definitorii; e viceversa. Che se gli uni o gli altri tentassero di farlo, con medesimo genere di precetto diffidiamo chiunque dal prestar loro obbedienza.

           I difinitori del capitolo provinciale assegnano un socio al priore provinciale che va al capitolo generale. Tutti i priori conventuali insieme con i propri soci e i predicatori generali della provincia ospite del capitolo generale vengono quell'anno al capitolo generale; in provincia non sarà celebrato quell'anno altro capitolo provinciale.

 

         <II  9> Solenne celebrazione del capitolo, capitolo nono

           Il capitolo generale, quanto all'autorità dei definitori, inizia la vigilia di Pentecoste. Il lunedì dopo Pentecoste i frati si riuniscono in capitolo, invocano devotamente lo Spirito santo, che li guida come figli di Dio, dicono il versetto «Emitte Spiritum tuum» eccetera, con l'orazione dello Spirito santo. Si seggono ai loro posti, ascoltano in comune la parola di Dio, ché da essa "furono fatti i cieli". A tutti è lecito attendere al sermone, a propria edificazione.

           A fine sermone, per provvedere quanto prima ai necessari suffragi, si ricordano i frati deceduti quell'anno, si dà la comune assoluzione, si recita il salmo De profundis, Kyrieleison, Pater noster, versetto A porta inferi eccetera, orazione Absolve eccetera. Si dà lettura delle missive, alle quali si risponderà a suo tempo. Raccomandati i vivi, si recita il salmo Ad te levavi, Kyrieleison, Pater noster, versetto Salvos fac servos, orazione Pretende. A questo punto chiunque non sia membro del capitolo si ritira. Prende parola chi inviato a giustificare le assenze. Si passa alla confessione delle colpe. Se taluni si son presentati al capitolo generale o provinciale senza licenza, confessano per primi le colpe, ricevono la penitenza, abbandonano il capitolo.

           Nessuno si assenti dal capitolo senza licenza e necessità. Uscito non gironzoli; finita la necessità rientri al più presto. Gli ufficiali che non hanno debitamente assolto al dovere delle visite (provinciali o circoscrizionali) dichiarano la propria colpa e ricevono meritata punizione. Penitenza scritta è inviata agli assenti ingiustificati, ai trasgressori che non abbiano riparato. Il convento che sottopone capi d'accusa al capitolo generale e provinciale deve scrivere numero e nomi degli accusanti, benché testimoni diretti. Un'accusa mossa da uno solo non ha corso nei capitoli generale e provinciale. Il trattato sulle mozioni da inviare al capitolo non si prolunghi oltre un giorno.

           Chi avesse particolari questioni sia personali che comunitarie pertinenti all'ordine o alla predicazione, li propone a una commissione di frati a ciò istituita dal maestro e definitori; da risolvere a suo tempo e luogo. Controversie tra frati del nostro ordine, Dio non voglia, in fatto di libri o d'altri beni, non vanno dibattute in capitolo, ben sapendo quanto lo spirituale debba sopravanzare il temporale; saranno i suddetti frati commissari a discutere il caso fuori capitolo, dirimere il conflitto, ristabilire la pace tra i frati.

           Risoluzioni circa questioni particolari, correzione dei frati, predicatori da inviare a predicare e studenti a studiare, son prese dal prelato maggiore con altri a ciò designati. Quanto costui disporrà con l'aiuto dello Spirito santo, sia unanimemente e devotamente fatto proprio dal capitolo. Nessuno mormori, nessuno protesti, nessuno contraddica. Chiudono il capitolo confessione pubblica delle colpe, assoluzione, benedizione ai perseveranti. Medesima procedura si osserva nel capitolo provinciale.

           Maestro dell'ordine o priori provinciali non mutino gli atti dei capitoli provinciale o generale se non in caso speciale e per ragione necessaria e utile. Parimenti non mutino costituzione generale dell'ordine o consuetudine da lungo osservata e comunemente approvata, se non per comprovata volontà di tre capitoli. La celebrazione del capitolo generale ha inizio la vigilia di Pentecoste; la sua durata non si protrae oltre sabato dell'ottava di Pentecoste, se non d'un giorno o due al massimo per ragionevole motivo a giudizio del maestro dell'ordine e definitori. Medesimo numero di giorni durano i capitoli provinciali. Per urgente necessità il maestro dell'ordine o suo vicario col consiglio dei savi può trasferire il capitolo generale all’altro convento della medesima provincia. Se in quella provincia quello stesso anno non si può comodamente tenere il capitolo generale, il maestro dell'ordine, o suo vicario in caso di maestro deceduto o rimosso, può trasferire il capitolo ad altra provincia col consiglio dei savi.

 

         <II 10> Capitolo generalissimo, capitolo decimo

             Il capitolo generalissimo è convocato solo su richiesta della maggioranza delle province, o quando stimato opportuno dal maestro con metà delle province. Le province richiedenti scrivano le motivazioni della richiesta; non perché il capitolo generale sia competente di giudicarne la tenuta, ma perché i frati possano valutarle prima del capitolo. Prendono parte al capitolo generalissimo i singoli priori provinciali con due soci eletti dalla maggioranza assoluta dei vocali del capitolo provinciale. La convocazione sia notificata due anni in anticipo, salva urgente necessità.

           L'anno dall'incarnazione del Signore mille duecento vent'otto convennero a San Giacomo di Parigi i priori provinciali insieme col venerabile padre fra Giordano di buona memoria maestro dell'ordine nostro; ciascun provinciale accompagnato da due definitori assegnatati dai capitoli provinciali. Tutti i frati all'unanimità trasferirono loro i propri voti e conferirono piena autorità: fermo e stabile sarebbe restato per l'avvenire quanto da loro deciso, nell'emanare o abrogare costituzioni, mutare aggiungere sopprimere; a nessun capitolo, di qualsivoglia autorità, sarebbe stato lecito mutare quanto da loro decretato immutabile per sempre. I priori predetti insieme con i definitori, invocata la grazia dello Spirito santo, dopo diligente esame emanarono concordemente talune costituzioni intese a beneficio onestà e conservazione dell'ordine; le inserirono al loro posto tra le altre costituzioni. Tra di esse, talune le vollero inviolabili e perpetuamente vigenti: ricusazione di proprietà e redditi; interdizione dei ricorsi; diffida ai priori provinciali dal compromettere il ruolo dei frati definitori tramite atti definitorii, e viceversa. Talaltre costituzioni le vollero immutabili relativamente, ossia finché capitolo consimile in risposta a nuove emergenze non decretasse d'introdurre temporanee mutazioni: legislazione costituzionale frutto di tre capitoli continui; interdizioni di viaggiare su cavalcature, di recar danaro con sé, di mangiar carni salvo caso di malattia; in tutto ciò tuttavia il prelato può lecitamente dispensare secondo luoghi e tempi.

 

         <II  11> Visitatori, capitolo undicesimo

             Priore provinciale e definitori nominano nel capitolo provinciale quattro frati per visitare la provincia; più di quattro, se il capitolo ritenesse opportuno.  Loro compito è informarsi e emendare errori dei priori conventuali e dei frati, senza emettere decreti o mutare l'assetto conventuale. Occupano il posto loro consueto, eccetto in capitolo quando svolgono l'ufficio di correzione; questa da portare a termine entro tre giorni ininterrotti. Costatato il persistere di situazioni gravi e pericolose, benché denunciate a suo tempo dal precedente visitatore, le sottopone al maestro e definitori del capitolo generale testificate dalla maggioranza del capitolo (conventuale); oppure al priore provinciale e definitori del capitolo provinciale se lì non si tenesse quello generale.

             I visitatori, oralmente se presenti o tramite relazione scritta, riferiscono ai definitori del capitolo provinciale, o generale se tenuto in provincia, circa i frati visitati: se costanti nella pace, assidui nello studio, ferventi nella predicazione; quale la pubblica reputazione, quali i frutti; se nel vitto abbigliamento o altro s'attengono alle prescrizioni costituzionali. Priori lettori sottopriori non sono eleggibili a visitatori. Se prima o durante la visita un visitatore viene eletto e confermato priore, oppure muore o altrimenti impedito, il priore provinciale provvede a sostituirlo con altro frate.

 

         <II  12>  Predicatori, capitolo dodicesimo

             Massima cura usino i priori nell'affidare l'ufficio di predicazione a frati idonei, di riconosciuti costumi e scienza. L'impreparazione dei predicatori non torni a disonore dell'ordine e a rischio delle anime. Nessuno è promovibile a predicatore generale prima d'un triennio di scuola teologica, se non maturo e prudente nel trattare nei capitoli i problemi dell'ordine.

              Chi inferiore a venticinque anni d'età è inidoneo all'ufficio di predicazione fuori convento e comunità dei frati; o a predicare al popolo e udire confessioni degli esterni, senza permesso del priore accordato in capitolo col consiglio dei savi. Agl'idonei all'ufficio, in partenza per predicare il priore assegna un compagno, tenuto conto d'onesta condotta di vita. Ricevuta la benedizione, i predicatori vanno per le vie del mondo intenti alla propria e altrui salvezza, in rettitudine e onestà, come conviene a persone evangeliche, sulle orme del proprio Salvatore. Dicono parole d'edificazione con Dio o di Dio, con se stessi o col prossimo. Evitano frequentazione e familiarità sospette. Si astengono da liti e processi giudiziari, se non pertinenti a questioni di fede.

              Nell'entrare in un territorio diocesano i nostri frati fanno anzitutto visita al vescovo, se possibile; secondo i suoi suggerimenti si adoperano a portar frutto spirituale tra il popolo; al vescovo obbedienti, fintano in sua diocesi, in ciò che non sia contro il nostro ordine. Non è lecito predicare in una diocesi contro l'interdizione del suo vescovo, salvo credenziali e mandato del sommo pontefice.

Nelle prediche non si scaglino irosi contro alti uomini (di chiesa), per non scandalizzare religiosi e chierici; li esortino invece in privato, come loro padri, ad emendarsi. Il compagno assegnato al predicatore, gli ubbidisce come al proprio priore. Nelle loro predicazioni i nostri frati si astengano dal sollecitare danaro o colletta di danaro a beneficio del convento o di singola persona.

 

         <II  13> Itineranti, capitolo tredicesimo

             Sulle strade del mondo per annunciare la parola di Dio o per altri ministeri, i frati non portino con sé né oro né argento né danaro né doni. Loro unico viatico sia lo stretto necessario: vitto vestiti libri. Al rientro in convento, rimettano a disposizione del prelato quanto recano con sé. Regali delle donne, i frati né li accettino né li facciano; specie i confessori. Non accettino di far elargitori di beni e danari, né depositari d'estranei, se non di libri o paramenti ecclesiastici.

             Predicatori e itineranti in cammino dicono l'ufficio divino come le circostanze permettono; si adeguano all'ufficio in calendario nelle chiese ospiti. I frati viandanti recano con sé lettere testimoniali. Sono soggetti alla correzione di trasgressioni nei conventi ospiti. Priore provinciale o conventuale, loro vicari, sottopriore, visitatore e altri, secondo competenza territoriale in qualsiasi provincia hanno piena autorità di punire gl'itineranti che delinquono allo stesso modo dei propri frati.

             Il più anziano nell'ordine è il primo sulla strada, se non dato in compagno al predicatore, o se alla loro partenza il priore abbia diversamente disposto. Nessun frate acceda alla curia senza licenza del maestro o capitolo generale. S'invii un nunzio ai frati lì residenti, oppure si designi un procuratore a disbrigare eventuali negozi. Il priore accolga onorevolmente un priore in visita; l'ospite non s'aggiri né sosti in città senza parere del priore. I frati Minori, al pari dei nostri, siano accolti con amore e gioia, convenientemente assistiti secondo le possibilità del convento.

Priore provinciale senza licenza del maestro, frate qualsiasi senza licenza del maestro o del priore provinciale, che accettano arcivescovato o vescovato, in forza di questo statuto sono privati in vita e in morte dei suffragi, della società e di tutti i benedici dell'ordine.

             Frati vescovi del nostro ordine, o quant'altre persone assegnate fuori dell'ordine, che non osservano digiuni astinenze vitto vestito prescritti dalle nostre costituzioni, son privati in vita e in morte dei suffragi e benefici dell'ordine; dopo congrua riparazione della trasgressione, maestro o proprio provinciale possono reintegrarli a tali benefici. In virtù del voto d'ubbidienza e dello Spirito santo proibiamo ai priori provinciali e conventuali e loro vicari di dar licenza ai frati d'accettare, o trattare in qualunque modo, elezione o postulazione a qualsiasi dignità e cariche fuori dell'ordine inferiori all'episcopato.

Al medesimo precetto astringiamo il frate che, ottenuta licenza nonostante detta interdizione, persegue siffatte promozioni per propria o altrui iniziativa. Chiunque contravviene a quanto sopra, incorre sentenza di scomunica issofatto in forza di questo statuto. Privato inoltre d'ogni grazia e beneficio dell'ordine; ad essi reintegrabile soltanto dal maestro dell'ordine o capitolo generale.

           Il frate che per sé o per altri procura di far revocare, tramite qualsiasi persona esterna alla giurisdizione del nostro ordine, prescrizioni o ingiunzioni a lui o ad altri fatte; o procura di farsi assegnare a qualche provincia o convento o incarico o a studio generale, e farsi di lì rimuovere; oppure di poter risiedere con persone estranee: è issofatto punibile in forza della presente diposizione con pena annessa a colpa graviore; privato inoltre di ogni voce nella proclamazione altrui, nelle elezioni, nei trattati circa petizioni da inviare ai capitoli generali. Dispensabile da tale pena dai soli maestro dell'ordine o definitori del capitolo generale.

Se frate converso, è issofatto privato di ogni voce, eccetto nell'autoproclamazione, relegato all'ultimo posto; reintegrabile nei suoi diritti dai soli maestro dell'ordine o definitori del capitolo generale. Sconterà in ogni caso la pena annessa a colpa graviore.

 

 

         <II  14> Studenti, capitolo quattordicesimo

             Cura solerte si deve agli studenti. Speciale frate (maestro degli studenti) è preposto alla loro formazione, dispone quando devono trascrivere fascicoli scolastici, attendere alle lezioni ecc. Ha facoltà di correzione in ambito di studio, ricorre al prelato quando il caso oltrepassa le sue competenze. Gli studenti non si applichino ai libri dei pagani e dei filosofi, se non per saltuario ricorso. Non apprendano scienze secolari né le cosiddette arti liberali, salva personale dispensa accordata dal maestro dell'ordine, capitoli generale e provinciale, priore provinciale. Attendano invece, giovani ed altri, ai soli libri di testo delle scuole di teologia. Tanto dediti allo studio che giorno e notte, in casa e in viaggio, sempre leggano o meditino qualcosa. E si sforzino di mandare a memoria quanto più possono.

             Avrà cura il priore provinciale d'inviare frati idonei all'insegnamento, e prevedibilmente atti alla reggenza, a studiare nei conventi fuori provincia dove vige lo studium, con consiglio e assenso dei definitori del capitolo provinciale o loro maggioranza. Se entro sei mesi dalla celebrazione del capitolo taluno di tali studenti morisse o risultasse legittimamente impedito, il priore provinciale ha facoltà di surrogarlo. Il convento ospite non li occupi in altre mansioni, né li rinvii alla provincia d'origine se non richiamati. Compiuti tre anni in un determinato studium, gli studenti sono issofatto assolti dall'assegnazione al medesimo; salvo differimento autorizzato dal maestro dell'ordine. Disposizioni circa studenti da osservare anche all'interno della medesima provincia.

 

             Ciascuna provincia deve provvedere ai propri frati inviati allo studium almeno tre libri del curriculum teologico: Bibbia, Historie [di Pietro il Comestore † 1178 ca.], Sententie [di Pietro Lombardo † 1160]. A questi libri, e testo e glosse, si applichino principalmente gli studenti. Nessuno faccia copiare libri amministrativi del convento se non per comune utilità. Nessuno rivendichi uso esclusivo di libri, né si risenta quando presi da altri o affidati ad altrui custodia. In giorno di domenica e festività liturgiche di grado semiduplice e duplice, si astengano dal copiare fascicoli scolastici.

             Casi di frate inviato da provincia a provincia. Se assegnato semplicemente ad altra provincia, libri e quant'altro avuto per provvisione dell'ordine dalla provincia o convento d'origine appartengono semplicemente alla medesima provincia o convento; tutto il resto appartiene alla provincia di destinazione, dovunque morisse dopo l'assegnazione. Se inviato temporaneamente, alla sua morte libri e altro in suo uso appartengono alla provincia o convento d'origine. In entrambi i casi, d'assegnazione cioè semplice o temporanea, convento d'assegnazione nei suoi riguardi e lui per tale convento, son tenuti al soddisfacimento dei suffragi. Se morisse tra assegnazione ad altra provincia e destinazione a particolare convento, il priore di quella provincia provvede a designare il convento che soddisfi ai suffragi, perché il frate deceduto non resti defraudato dei consueti ausili dei defunti.

             Il prelato farà tale uso della dispensa che uffici od altri incarichi non distolgano facilmente gli studenti dall'impegno scolastico. In locale opportuno, scelto dal maestro degli studenti, i giovani in corso di formazione si radunano dopo la disputa o dopo i Vespri o in altro orario libero; alla presenza del maestro vi si esercitano a proporre dubbi o materia di disputazione, a fare collazioni (sermoni serotini d'esercitazione?). Mentre uno propone la questione della disputa, tacciano gli altri e non lo intralcino. Chi nel porre domande o formulare obiezioni usasse modi scortesi confusi chiassosi presuntuosi, sia ripreso sul posto da chi presiede.

             Le celle sono assegnate a discrezione del maestro degli studenti. Chi negli studi non fa profitto sia destinato ad altro, la sua cella assegnata a più meritevoli. In cella ci si dedica a scrivere leggere pregare dormire; anche a vegliare a lume di candela per motivo di studio, chi lo desidera. Nessuno è abilitato a diventar pubblico docente [maestro di teologia] o indire disputa scolastica se non dietro licenza del priore provinciale e definitori del capitolo provinciale.

             Nel tener lezione sui libri dei Salmi e Profeti nessun frate proponga differente senso letterale da quello approvato dai santi padri. Non è lecito vender libri dell'ordine o dei frati se non riconvertendo il ricavato in altri libri o testi. Opera trascritta o composta da frati è approvata alla pubblica diffusione solo dopo diligente esame di frati periti, designati dal maestro (dell'ordine) o priore provinciale.

 

         <II  15> Conversi, capitolo quindicesimo

             I conversi si levano insieme con gli altri frati ed osservano medesimo rito d'inclinazioni liturgiche. Al levarsi per il Mattutino recitano Pater noster e Credo in Deum; e così anteriormente a Prima e Compieta. Al Mattutino, detto Pater noster e Credo in Deum, eretti dicono Domine labia eccetera, Deus in adiutorium eccetera, Gloria Patri eccetera. Per il Mattutino dei giorni non festivi recitano ventotto Pater noster, concludendo con Kyrieleison, Christeleison, Kyrieleison, Pater noster, Per dominum nostrum Iesum eccetera, Benedicamus eccetera; nei Vespri quattordici Pater noster, sette nelle altre Ore. Nelle feste di nove lezioni recitano quaranta Pater noster. Da dire sempre sottovoce, in chiesa o altrove che sia. Al posto di Preziosa recitano tre Pater noster. Alla benedizione della mensa Pater noster, Gloria Patri eccetera; al rendimento di grazie dopo la mensa tre Pater noster, Gloria Patri eccetera, oppure il salmo Miserere mei Deus chi lo sapesse a mente.

             Indumenti dei conversi sono uguali a quelli degli altri frati, eccetto la cappa. Al posto di essa, i conversi indossano scapolari lunghi, larghi quanto la giuntura tra pugno e braccio; non bianchi come la tunica, ma di colore simile alla cappa dei chierici. Possono anche indossarne più brevi e di color grigio, su misura degli scapolari dei frati chierici. Nei digiuni, vitto, astinenze, colpe eccetera, in tutto pari ai chierici. Dispensabili dal prelato da fatiche fisiche. Viaggino sempre insieme con socio, chierico o converso che sia. Non detengano salteri né altri libri.

 

 

 

         <II  16, CG Perpignan 1327> Costituzioni papali

             Chi in pubblica predicazione o in assemblee di secolari diffamasse il sommo pontefice, suoi processi e fatti, o esibisse vistosa irriverenza, è condannato al carcere; punizione di esclusiva competenza del capitolo generale; lo si obblighi inoltre, se possibile, a pubblica ritrattazione. Chi ciò facesse in privato, provato il fatto tramite legittimi testimoni o confessato in giudizio, è punito con pena annessa a colpa graviore; dispensabile solo dal capitolo generale o provinciale con maturo consiglio dei savi. Medesima pena incorre chi accusa falsamente, quando o provato colpevole da legittima testimonianza o reo confesso in giudizio circa suddetta materia.

             Prelati negligenti nel reprimere siffatte trasgressioni sono rimossi dal loro ufficio dal capitolo generale o provinciale, severamente condannati inoltre ad altre pene. Quanti nel nostro ordine conducono vita privata in qualsiasi modo corrotta, contraria al modello dall'ordine a lungo approvato, sono prima ammoniti; se ignorano l'ammonizione, separati e inviati in conventi diversi; se pertinaci nella loro condotta, incarcerati per ordine del priore provinciale o del capitolo provinciale. Chi perpetra un crimine civilmente punito con pena capitale, va rinchiuso in carcere, castigato con ulteriori afflizioni in proporzione al delitto alla persona ed altre circostanze attenuanti o aggravanti; pena carceraria di stretta competenza del capitolo generale. Se recidivo, è condannato a carcere perpetuo.

             Circa il trasferimento dei frati si osservi l'ordinazione del capitolo di Bordeaux, che suona così: Assolutamente libere devono svolgersi le nostre elezioni, senz'ombra alcuna di coazione. Proibiamo pertanto strettamente ai priori provinciali e a tutti i vicari di fare assegnazioni e trasferimenti di frati, entro il mese antecedente qualsivoglia elezione, nei conventi ospiti di tali elezioni; eccetto casi di lettorato, priorato, grave scandalo, o in capitolo provinciale e luogo della sua celebrazione, come usa in talune province. In caso contrario, tali trasferimenti e assegnazioni non sortiscono alcun effetto, né circa la perdita del diritto di voto nel convento dal quale si è trasferiti né circa l'esercizio di voto nel convento d'assegnazione. Accertato il fatto, i provinciali trasgressori siano assolti dall'ufficio dal maestro dell'ordine e definitori del capitolo generale; i vicari interdetti da qualsiasi ufficio nell'ordine per tre anni. Entro il medesimo lasso di tempo i frati non possono esser privati del diritto di voce, salvi i casi contemplati nel capitolo su colpa graviore.

             Rigorosamente ordiniamo che non si promuovano a predicatori generali se non frati maturi, prudenti, sufficienti in latino, capaci di proporre convenientemente la parola di Dio, idonei a trattare i problemi dell'ordine. Il numero dei predicatori generali non ecceda quello dei conventi delle singole province. Là dove eccedente, si soprassieda a nuove promozioni fino a ristabilire l'equivalenza numerica; senza computare tuttavia coloro che per età o infermità non sono in grado di partecipare ai capitoli provinciali.

             Siano allontanati i priori che mal abbinano i frati viandanti. Almeno uno della coppia sia di chiara fama, d'età matura; uno di loro della lingua del luogo, per quanto possibile. Alla partenza dal capitolo i frati siano dai superiori in tal modo associati che anziché girovagare raggiungano per via diretta i propri conventi. Rendiamo noto ai frati che tutte queste ordinazioni hanno valore costituzionale in forza dell'autorità apostolica del nostro sommo pontefice, benché approvate dal solo presente capitolo. Siano integralmente trascritte a fine del libro delle nostre costituzioni.

 

 

         <II  17, CG Firenze 1374> Costituzione di papa Gregorio XI su capitolo generale biennale o triennale

             Stabiliamo che il maestro dell'ordine o chi ne fa le veci o i definitori del capitolo generale, così come hanno facoltà per causa legittima di mutare luogo del capitolo, allo stesso modo possono differirlo o anticiparlo temporalmente; a condizione che l'anticipazione non scenda sotto l'anno susseguente l'indizione del capitolo, la dilazione non oltrepassi il triennio, salvo caso di vacanza del maestro occorsa a partire dalla San Michele (29 sett.) del terzo anno del capitolo triennale, come esplicitato sotto. Facoltà d'anticipare o differire il capitolo non è in nessun caso conferibile a qualsivoglia vicario.

             Aggiungiamo e precisiamo. Non importa quando si rendesse vacante il magistrato dell'ordine in imminenza del capitolo biennale, non si dà alcuna mutazione dei tempi del capitolo; salva vacanza occorsa a partire dalla San Michele (29 sett.) del secondo anno, perché allora si soprassiede quell'anno al capitolo generale. Se la vacanza del maestro occorre nel corso del primo anno d'imminente capitolo triennale, si anticipa allora il capitolo in tal modo che tra vacanza del maestro e capitolo elettivo cada una sola Pentecoste. Se la vacanza del maestro occorre dopo il primo anno, computando dalla vigilia di Pentecoste esclusa, non si dà alcuna mutazione dei tempi del capitolo; salva vacanza occorsa a partire dalla San Michele dell'ultimo anno (d'imminente capitolo triennale), perché anche allora si soprassiede al capitolo generale, come premesso a proposito di quello biennale.

             In imminenza di capitolo biennale o triennale, definitore del capitolo generale e suo socio vengono eletti unicamente durante l'ultimo anno, ossia quello del celebrando capitolo generale. Chi eletto definitore non è rieleggibile alla medesima carica nel capitolo immediatamente successivo. Annuali, dopo Pentecoste, permangono i capitoli provinciali e gli scrutini circa i (priori) provinciali; definitori o loro soci, oppure socio del provinciale nel capitolo dei provinciali, sono latori di siffatti scrutini al capitolo generale. Due volte (di seguito) i definitori, la terza volta i provinciali, hanno piena autorità di dibattere, definire, legiferare sull'intera materia pertinente (al capitolo generale). Si farà suffragio inoltre di tutti i frati deceduti dopo il precedente capitolo e se ne darà collettiva assoluzione, come di consueto.

 


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4 ottobre 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti   alberto@ora-et-labora.net