CAPITOLO PRIMO
PRECURSORI E INIZI DEL
MONACHESIMO
Estratto da "I Padri del monachesimo" di Lanfranco Rossi, Pontificio Istituto
Biblico 2013
1. Costantino e la
diffusione del
monachesimo
Probabilmente il più grande predicatore della storia del
cristianesimo è stato san Giovanni Crisostomo (soprannome che significa
bocca d'oro). Divenuto nel 398 vescovo di Costantinopoli, la capitale
dell'impero, aveva conquistato la simpatia del popolo. Quando predicava, la
gente si accalcava per stargli più vicino e reagiva spesso in maniera
emotiva e immediata alle sue parole. Anche perché Crisostomo diceva la
verità senza badare a nessuno né si faceva intimorire dalla posizione
sociale di chi doveva criticare. A sentirlo, la gente andava in visibilio e
talvolta applaudiva entusiasta.
Ma accadde che un venerdì santo, giorno di digiuno e preghiera in
ricordo della crocifissione del Signore, entrato in chiesa, la trovò vuota.
La gente era tutta all'ippodromo a vedere le corse dei cavalli
[1].
Eppure nelle catechesi per gli adulti che si preparavano a ricevere il
battesimo parlava chiaro; un cristiano non poteva partecipare a spettacoli
pubblici o manifestazioni simili; «Fasto del diavolo è
ogni forma di peccato: spettacoli di immoralità, corse di cavalli...»
(Catechesi A 3,6
trad. Zappella)
[2].
Spiegava che ricevendo il battesimo un cristiano si impegna a rinunciare a
gioielli e ornamenti, agli spettacoli teatrali, normalmente immorali, e alle
varie forme di superstizione: «Non più sulle corse dei cavalli cadano i tuoi
discorsi e sugli spettacoli di teatri empi, poiché anche quelle pratiche
sono incentivi di dissolutezza, e neppure sul crudele godimento derivante
dalle battaglie fra animali feroci»
(Catechesi B
1, 43, trad. Zappella)
[3].
Era un tema ricorrente nella predicazione di allora. Cose analoghe le
insegnava Giovanni di Gerusalemme, nelle sue catechesi:
«"Rinuncio a te, Satana (...) e a ogni tua opera" |... J Poi dici:
"E a ogni tua pompa". Pompa del diavolo sono il
fascino del teatro, le corse di cavalli, la caccia e ogni simile vanità»
(Catechesi 19,
4-6, trad. Saxer)
[4].
Certamente, nel complesso, la media dei cristiani del IV secolo è
diversa da quelli descritti nella
Lettera
a
Diogneto, redatta
verso il 150 e considerata una perla della letteratura cristiana antica. Vi
si dice
che, come l'anima abita il corpo ma non è
del corpo, cosi i cristiani abitano nel mondo ma non sono del mondo, la loro
religione è invisibile e il mondo li odia e li combatte perché si oppongono
ai piaceri. Nonostante questo sono i cristiani con le loro preghiere a
sostenere il mondo:
A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, cosi nel mondo sono i
cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle
città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani
abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in
un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è
invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto
ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha
avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri.
L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro
che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo:
anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il
mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani
vivono come stranieri tra le cose
che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità
nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i
cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in
un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare
(A Diogneto VI, trad. Quacquarelli)
[5].
Nel II secolo i cristiani erano mal visti dall'autorità perché
sdegnavano gli spettacoli pubblici, spesso immorali, e le feste comuni, si
riunivano
per pregare fra di loro, vivevano una vita a sé,
separata dagli altri. Per questo erano
considerali una setta, più che una religione.
Ma ora siamo nel IV secolo, c'è stata la svolta costantiniana e
l'epoca delle persecuzioni imperiali è finita. Se prima di Costantino essere
cristiano spesso equivaleva a essere ritenuto dai più come una persona poco
per bene, adesso la situazione si stava
rovesciando
[6].
Il processo si accentuerà nel corso del secolo fino alle leggi di Teodosio,
a fine del IV secolo, in seguito alle quali il cristianesimo ortodosso
diventerà l'unica religione legittima dell'impero; tutte le altre saranno
mal viste se non osteggiate.
1.1
Il periodo delle persecuzioni
Un tempo si tendeva a pensare che nei primi tre secoli i cristiani
fossero quasi costantemente braccati, con la spada di Damocle delle
persecuzioni sempre incombente. Oggi si è ridimensionata la portata delle
persecuzioni e anche il numero delle vittime, però resta il fatto che nei
primi tre secoli il cristianesimo era considerato giuridicamente
religio illicita.
I romani erano tolleranti con tutte le religioni, ma per loro il
cristianesimo non era una religione, bensì una setta
[7].
Fondamentalmente perché i cristiani disdegnavano la vita sociale e
le cerimonie pubbliche e in particolare rifiutavano i sacrifici agli dei. In
genere erano visti come cittadini inaffidabili e, nonostante lunghi periodi
di tranquillità, poteva sempre scattare un editto di confisca dei beni con
eventuali torture e uccisioni di chi rifiutava di aderire al culto ufficiale
dell'impero. L'idea del martirio era così viva nei cristiani dei primi
secoli che per molti costituiva semplicemente l'ideale del cristiano: un
atto d'amore con cui donare la propria vita a Cristo. L'imitazione piena del
suo esempio.
Certamente i cristiani auspicavano il giorno in cui la loro fede
godesse di piena libertà e potesse addirittura plasmare una nuova morale
sociale. Origene, vissuto nel III secolo, al tempo delle persecuzioni, e
morto in seguito alle torture subite per la sua tenacia nella fede, sperava
anche lui in questa possibilità. Ma si chiedeva se questa situazione non
avrebbe costituito una tentazione ancora più insidiosa per la Chiesa
[8].
1.2
Costantino
imperatore e santo
A proposito di Costantino imperatore, ci si chiede ancora se egli
abbia aderito al cristianesimo più per opportunismo politico che per
convinzione. Col senno di poi si potrebbe dire che i cristiani erano
diventati una forza tale e così tenace, anche se non maggioritaria, che non
aveva più senso volerli adeguare a forza alle usanze comuni come avevano
fatto gli imperatori precedenti. Meglio farseli alleati e magari diventare
il loro capo. Questa fu l'intuizione di Costantino
[9].
A quei tempi potere politico e religioso erano intrecciati
inestricabilmente; l'imperatore romano era anche sommo pontefice del culto
pagano. Agli inizi l'imperatore era semplicemente il capo supremo
dell'esercito; con il passare del tempo gli vennero sempre più attribuiti
onori divini. Una volta che Costantino ebbe riconosciuta la liceità del
cristianesimo, niente di più naturale che si sentisse il rappresentate di
Dio sulla terra, quantomeno pari agli apostoli. Fu lui a convocare e
presiedere il primo concilio ecumenico, quello di Nicea, nel 325. Chiamava i
vescovi «suoi colleghi», ma forse era solo una gentilezza. Guai a chi osava
opporglisi, anche su questioni di fede. In tal caso
lo destituiva subito e lo mandava in esilio, come
fece con Atanasio, vescovo di Alessandria. Tutto questo quando Costantino
non era ancora catecumeno, cioè quando era solo aspirante cristiano.
Ricevette infatti la prima imposizione delle mani e, pochi giorni dopo, il
battesimo, quando era prossimo a morire.
E tuttavia si è propensi a credere che la sua
adesione al cristianesimo, che era ancora minoritario, fosse sincera e che
egli volesse veramente instaurare un mondo migliore. Emanò molte leggi a
favore dei cristiani, stabilì la domenica come giorno festivo, tese a
mitigare la durezza delle pene e affidò responsabilità civili ai vescovi.
Questi subirono in poco tempo un rovesciamento di ruolo. Prima, essendo le
persone più in vista delle comunità cristiane, erano i primi a essere
incarcerati torturati e uccisi nelle persecuzioni. Ora diventarono
personalità di grande autorità, giudici di secondo appello nei tribunali,
onorati e rispettati, fino, in certi casi, a viaggiare gratuitamente
usufruendo del sistema di posta imperiale
[10].
Costantino è famoso per un altro avvenimento epocale nella storia
del mondo: trasferì la capitale dell'impero da Roma a Costantinopoli, dando
l'avvio ai secoli gloriosi della storia bizantina, durata più di mille anni,
mentre l'Occidente cadeva in mano ai barbari. L'imperatore si prodigò anche
in opere edilizie; fece costruire basiliche cristiane grandiose e gloriose
nei secoli e favorì
la diffusione missionaria del Vangelo. Tutto ciò fece sì
che alla sua morte venisse spontaneamente considerato santo dal popolo e
come tale confermato dalla Chiesa.
La sua personalità aveva però delle zone d'ombra.
Era
collerico e, forse solo per un sospetto o una calunnia, fece uccidere suo
figlio Crispo, destinato a succedergli, e affogare la propria moglie nelle
terme. Fecero la stessa fine tanti altri, sospettati non si sa bene di cosa.
L'uccisione di parenti o ex-alleati che avrebbero potuto insidiare
il trono era frequente in quei tempi e Costantino, in questo, non fu molto
diverso dagli imperatori pagani. L'entusiasmo per la libertà conferita al
cristianesimo
lo circonfuse di un alone di gloria che per alcuni
male si accordava con la sua condotta morale
[11].
Anche il suo culto, attraverso i secoli, ha conservato delle
particolarità, curiose. In Sardegna, ad esempio, si celebra la sua festa
con pittoresche cavalcate.
Più interessante e originale il culto conservato in Grecia, oramai
divenuto una curiosità segnalata anche nelle guide turistiche. La festa in
onore di Costantino ed Elena, nota come
anastenaria, ha luogo in alcuni paesi del nord-est della
Grecia. I partecipanti al rituale costituiscono una confraternita i cui
membri tengono nelle loro case, in stanze apposite, delle icone
rappresentanti i due santi. Il giorno culmine della festa si ha il
sacrificio di un agnello (un tempo era un toro) che viene incensato
benedetto e avvolto al collo con una fascia rossa mentre delle candele sono
legate alle sue coma. La processione che lo conduce al sacrificio ò
accompagnata da gente che piange grida e danza. Dopo l'uccisione
dell'animale la musica si fa sempre più ossessionante e la gente trema grida
o piange in atteggiamenti estatici. La fase più impressionante è quando i
membri della confraternita si dispongono attorno ad un ammasso di carboni
ardenti e, tenendo sopra la testa le icone, saltano a piedi nudi sui carboni
stessi, tra la meraviglia e l'emozione della folla. La danza dura fino a che
i carboni sono spenti. Gli spettatori usano raccoglierne alcuni come
amuleti. A conclusione si festeggia con abbondanti bevute.
Negli anni Cinquanta del XX secolo ci sono state
delle frizioni e una presa di distanza da parte della Chiesa greca, che in
precedenza assecondava questa usanza, ma il rituale permane e il piccolo
miracolo continua a ripetersi ogni anno
[12].
Tornando alla cristianizzazione dell'impero, c'erano tante altre
insidie nella
trasformazione avvenuta, Ilario, vescovo di
Poitiers, parlando dell'imperatore cristiano
Costanzo, figlio di Costantino e filoariano, dice esplicitamente:
Dio onnipotente [.. | se almeno tu avessi accordato alla mia età e
al mio tempo
di compiere il ministero di confessare la fede in
te e nel tuo Unigenito al tempo dei Nerone
e dei Decio! [...] Ora invece noi combattiamo contro un persecutore»
ingannevole, un nemico che lusinga, Costanzo l'anticristo: egli non percuote
il dorso ma accarezza il ventre, non ci confisca i beni per la vita ma ci
arricchisce per la morte, non ci sospinge col carcere verso la libertà ma ci
riempie di incarichi nella sua reggia per la servitù, non spossa i nostri
fianchi ma si impadronisce del cuore, non taglia la testa con la spada ma
uccide l'anima con l'oro, non minaccia di bruciare pubblicamente ma accende
la geenna privatamente. Non combatte per essere vinto ma lusinga per
dominare, confessa il Cristo per rinnegarlo"
(Contro Costanzo 4-5, trad. Longobardo)
[13].
Aderire alla fede dell'imperatore poteva essere una scorciatoia per
arrivare a posti di potere.
1.3
La ricerca del deserto
Gran parte degli storici sono concordi nel collegare la improvvisa
espansione del
monachesimo nel IV secolo alla nuova situazione
che si era creata. Prima i cristiani si sentivano estranei in un mondo di
pagani. Ora i veri cristiani rischiavano di sentirsi estranei in un mondo in
cui molti erano cristiani di comodo. Così alcuni preferivano rendersi
stranieri al mondo in modo concreto e si ritiravano nel deserto. E'
una reazione comprensibile, che si ripeterà ancora in diverse epoche e
luoghi. Un esempio, molti secoli dopo, nel mondo latino, si ha con la
nascita dell'ordine dei certosini. «Le origini della Certosa sorgono dalla
brama di deserto che asseta il piccolo gruppo attorno a s. Bruno [...] A più
di mille metri di altezza gli eremiti possono riprodurre la vita degli
antichi padri del deserto, fuggire questo mondo e varcare le soglie della
contemplazione»
[14].
San Bruno (XI secolo), il fondatore dei certosini, disgustato per la
diffusione della simonia, cioè la compravendita delle cariche religiose,
rifiutò la nomina ad arcivescovo di Reims e si ritirò in solitudine.
Ma non è da pensare al ritiro dal mondo come a una fuga sdegnata.
Le parole di san Bruno a Rodolfo il Verde mostrano bene il movente che può
spingere ogni anima religiosa alla ricerca della solitudine: «Quanta utilità
e
gioia divina, poi, la solitudine e il silenzio dell'eremo apportino a coloro
che li amano, lo sanno solo coloro che ne hanno fatto
l’esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito ritornare in se
stessi e abitare con se stessi [...]. Qui si acquista quell'occhio [...]
attraverso il quale, se puro e senza macchia, si vede Dio. Qui si celebra
una tranquillità solerte e si gusta il riposo mediante un quieto agire. Qui
Dio dispensa [...]
quella pace che il mondo non conosce (A
Rodolfo il Verde
6, trad. Comunità di Rose)
[15].
Si può notare che il significato della parola monaco è «solitario»,
anzitutto in senso concreto, ma anche nel senso di «solo con Dio», «raccolto
in Dio». Il deserto può anche essere costituito dallo spazio interiore che
viene liberato da tutto ciò che allontana da Dio. Al termine greco
monachós
corrisponde quello più antico
ihidaia, siriaco, che significa "monogenito"
e che fa riferimento a Cristo, unigenito del Padre
[16].
2. I primi monaci
e il loro ideale: Elia
Se il
monachesimo cristiano è fiorito nel IV secolo, è
anche vero che il monachesimo, come forma
di vita, esisteva già da prima. La ricerca di unificazione interiore è
un’esigenza insita nella natura umana. In tante epoche e in diverse parti
del mondo si sono verificati e si hanno fenomeni simili. Per molti aspetti
quello cristiano non se ne discosta e tuttavia presenta caratteristiche
originali e autonome. E' radicato nel battesimo, che immette in ogni
cristiano la spinta profonda e incancellabile a consacrarsi a Cristo.
Il cristianesimo è fiorito sulla radice del giudaismo e dalle Sacre
Scritture ha preso costantemente ispirazione e modelli di comportamento. Tra
tutte le figure dell'Antico Testamento, quella che più impressionava per la
scelta di vita e per il rigore ascetico è Elia. La sua fermezza nel
mantenersi fedele al culto del Dio unico di fronte al lassismo del resto di
Israele faceva
sì
che i monaci cristiani si ispirassero naturalmente a lui. Nella prima e più
famosa biografia di un monaco cristiano, quella di Antonio abate, si legge:
«Diceva tra sé e sé: L'asceta deve imparare sempre a ordinare la propria
vita guardando a quella del grande Elia come in uno specchio» (Atanasio,
Vita di Antonio
7,13, trad. Cremaschi)
[17].
Per molti, in particolare per i monaci esicasti,
Elia costituirà il modello della preghiera contemplativa. Gregorio Palamas
(1296-1359)
[18]
scrive: «Elia, il più perfetto nella capacità di vedere Dio»
[19]
(Triadi 1,2,10, trad. Perrella). E anche: «Elia [...J vide sul
monte Dio, non nel fuoco, come prima i capi d'Israele, ma, superando la
visione del fuoco, grazie al digiuno
gradito a Dio, vide il Signore con la voce di un'aria che passava leggera,
essendosi trovato più vicino alla voce del Signore che disse: "Dio è spirito
e coloro che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità"».
Anche un celebre ordine contemplativo latino, quello dei
carmelitani, non solo dichiara di ispirarsi a Elia come modello, ma
addirittura vedeva in lui il proprio capostipite
e fondatore. Sin dall'inizio, l'ordino carmelitano
ha tenuto che le sue fonti ispiratrici risiedono nel profeta Elia: «Questo
profeta di Dio, Elia, fu il primo fondatore di monaci; da lui prese inizio
questa santa istituzione. Egli, infatti, ritiratosi lontano dalle città e
spogliatosi di tutte le cose terrene e mondane per dedicarsi alla divina
contemplazione e per il desiderio di una più alta perfezione, fu il primo a
condurre intenzionalmente una vita eremitica religiosa e profetica, che
iniziò e istituì per istituzione e volere dello Spirito Santo [...]
Fine di questa vita, che ci viene assegnato
per esclusivo dono di Dio, consiste nel gustare in qualche modo nel proprio
cuore e nello sperimentare nella propria mente, non solo dopo la morte, ma
anche in questa vita mortale, la potenza della presenza divina e la dolcezza
della gloria celeste»
[20].
Se Elia costituiva il modello del monaco, Eliseo era quello del
discepolo che, senza calcoli di opportunità, abbandona tutto per seguire il
maestro, ne riceve lo spirito e ne ripete i prodigi.
Ai cristiani però non sfuggivano neppure gli eccessi di durezza
presenti nell'Antico Testamento, poi mitigati
e trasformati dalla misericordia e
dalla dolcezza di Gesù. Elia
correva il rischio, come molti che si ritirano dal mondo, di provare sdegno
per chi vi rimane, di sentirsi migliore, se non l'unico giusto e fedele a
Dio. Egli, alla fine della sua missione,
viene rapito in cielo e la sua gloria resta immortale nei secoli. Prima però
sembra che il Signore voglia correggere la sua visione delle cose. A lui,
che si crede rimasto il solo fedele alla legge di Dio, il Signore dice di
essersi conservati settemila fedeli, integri da ogni contaminazione.
E a lui, che si sente l'unico baluardo rimasto a
salvare la vera fede, Dio dice di avere già designato Eliseo
come suo successore.
Romano il Melode (Emesa 490 ca. - Costantinopoli 556 ca.),
il più notevole degli innografi bizantini, mette a confronto la durezza del
profeta con la mitezza di Gesù:
Quando rivelò l'umore acre di lui nei confronti degli uomini, il
Signore fece propria la sorte di quelli e allontanò Elia dalla terra che
essi abitavano dicendo: «Allontanati, amico, dalla terra degli uomini; io
stesso, incarnandomi, scenderò presso di loro nella mia misericordia. Tu
lascia la terra e sali quassù, dal momento che non riesci a tollerare gli
errori degli uomini. Ma io, che sono del cielo, vivrò tra i peccatori e li
salverò dai loro errori, io, l'unico amico degli uomini» (Romano il Melode,
Inni, 7, 51,
trad.
Gharib)
[21].
3. Gli esseni
Elia fu il
più grande, ma non fu l'unico. Aveva dei
discepoli. Inoltre nell'Antico Testamento sono testimoniati diversi aspetti
di vita ascetica, so non altro temporanea, come il voto di nazireato. La
vita di Giovanni il Battista costituisce anch'essa un esempio. Tuttavia
l'ebraismo non è una religione di tipo monastico, piuttosto il contrario.
Una eccezione è costituita dalla forma di vita degli esseni, una corrente
religiosa del giudaismo di cui si hanno informazioni storiche dalla metà
circa del II secolo a.C. fino alla prima
guerra giudaica, circa il 70 d.C. Costituivano una setta separata
dall'insieme del popolo e si consideravano i conservatori del seme di Sadoc,
cioè del vero sacerdozio. Prendevano così le distanze sia dal sommo
sacerdote ufficiale, che di fatto era un politico, sia dal sommo sacerdote
appoggiato dai Tolomei e fuggito in Egitto
[22].
Centro del loro movimento era Qumran, presso il Mar Morto, dove vivevano in
attesa del messia prossimo a manifestarsi. Seguivano un rigoroso regime di
vita, impostata in maniera cenobitica, cioè comunitaria, che implicava la
rinuncia alla proprietà privata. Rinunciavano anche al matrimonio e
osservavano rigorosamente le norme di purezza rituale. Prima dell'ammissione
erano sottoposti a due o tre anni di prova. «La somiglianza con la vita dei
monaci cristiani è sorprendente»
[23].
La loro giornata comprendeva anche un elemento nuovo: un banchetto sacro
serale dove si consumavano il pane e il
vino benedetti.
Gli esseni aderirono alle rivolte giudaiche contro il dominio
romano e, con la distruzione di Qumran, si dà spesso per scontata la loro
scomparsa. Ma la comunità degli esseni aveva diramazioni anche in altre
località e città. Un esempio è la comunità dei terapeuti descritta da Filone
Alessandrino
[24]
che, a quanto sembra, in un modo o
nell'altro, pur con delle specificità proprie, apparteneva agli esseni
[25].
I terapeuti erano dei solitari e vivevano in
casupole che Filone chiama
monostēria.
Uomini e donne, rigorosamente separati, rinunciavano agli averi e
conducevano un regime austero: un pasto al giorno, a volte ogni due o tre
giorni, sostanzialmente di pane sale e qualche erba. Bevevano solo acqua e
il loro ideale era la vita contemplativa. La loro vita quotidiana era
incentrata sulla preghiera e implicava numerose veglie. C'era una
gradazione: da chi viveva eremiticamente fino a quelli che oggi definiremmo
"terziari", cioè gli sposali che si adeguavano il più possibile allo stesso
ideale. Hanno tanti aspetti in comune con i futuri monaci cristiani che
Eusebio di Cesarea, Girolamo e Cassiano li
presentano semplicemente come cristiani, monaci
ante litteram
[26].
Erano numerosi in Egitto, vicino al lago Mareotide, poco lontano da
dove sarebbero sorte alcune tra le più famose comunità monastiche del
cristianesimo antico: Celle, Nitria, Scete.
Si può pensare che quegli ebrei i quali ispiravano il loro modo di
vita a quello degli esseni continuarono a farlo una volta diventati
cristiani. Non ci sarebbe dunque un momento di nascita del
monachesimo cristiano, ma
una continuità con quelle correnti del giudaismo che già incentravano la
loro condotta sulla continenza e il lavoro guidato dalla preghiera. Le
parole del Vangelo che invitano a lasciare tutto, casa, beni e affetti, per
cercare il regno dei cieli, potevano convalidare
e rafforzare queste tendenze.
4. I teorici della
vita monastica
Prima del IV secolo, il
monachesimo è stato preceduto da forme di vita
come quelle delle vedove o delle vergini o dei
continentes, che si consacravano continuando a vivere a casa
propria. E' in origine una forma di vita soprattutto laicale, e tale
caratteristica si è conservata nell'Oriente cristiano, dove i monaci
ordinati sacerdoti sono stati, nel corso dei secoli, molto meno numerosi che
nell'Occidente latino
[27].
In Oriente si è conservata la consapevolezza che la scelta monastica porta
alle loro ultime conseguenze le promesse fatte al momento del battesimo. Per
questo l'Oriente non si è mai preoccupato di elaborare una spiritualità dei
laici. Dato che in genere i sacerdoti sono sposati, la distinzione che viene
da fare spontaneamente non è tra preti e laici, ma tra monaci e non monaci
(inclusi i «preti secolari»).
La spiritualità monastica è dunque un prolungamento di quella
laicale. Inizialmente, quelli che vivevano da monaci non erano altro che dei
laici impegnati.
Nel periodo in cui viveva ad Alessandria, la metropoli più ricca e
colta dell'epoca, Origene (Alessandria d'Egitto 185 - Tiro 254) insisteva
sulla necessità di fuggire il mondo. Cioè di evitare tutto ciò che una
metropoli offre di attraente, ma che può ostacolare la vita spirituale.
Incoraggiava alla castità e alla lotta interiore contro i pensieri negativi.
La sua notte era in buona parte riservata alla preghiera e alla Sacra
Scrittura. Riteneva che la preghiera normale del cristiano è quella
incessante, cioè sia in momenti fissi che durante il lavoro o le altre
occupazioni della giornata. Dormiva per terra e, prendendo alla lettera il
Vangelo, camminava scalzo, possedeva una sola tunica e praticava altre
austerità. «Origene è un grande spirituale che segna la transizione fra la
mistica escatologica del martirio, come la troviamo in Ignazio di Antiochia
o in Tertulliano, e la mistica contemplativa del
monachesimo,
così come si manifesterà nel IV secolo»
[28].
«La spiritualità monastica quale si forma in Egitto nel IV e V secolo
risente grandemente dell'influsso origeniano»; con queste parole Lisa
Cremaschi inizia un capitolo intitolato: «Origene precursore del
monachesimo»
[29].
Origene a sua volta è stato anticipato da Clemente Alessandrino
(150- 215) il quale, nel
Pedagogo, mostra il tipo di vita che dovrebbe seguire uno che
si è fatto battezzare. Si rivolge dunque ai normali cittadini di Alessandria
che intendono il battesimo come l'inizio di un cammino di perfezione nella
preghiera e nella carità. Egli insegna che per progredire nella via
spirituale è necessario avere una certa disciplina ascetica che consenta di
dominare progressivamente l'istinto del piacere. In pratica: non mangiare
carne (come è tradizione facessero gli apostoli), non bere vino, evitare il
lusso e preferire le cose semplici e povere. Inoltre niente feste o serate
allegre, perché la sera è per la preghiera e vera festa è stare uniti al
Signore. Di conseguenza evitare gioielli cosmetici e altre ostentazioni nel
modo di comportarsi e di vestirsi. Bisogna lavarsi ma, specie per i giovani,
è meglio con l'acqua fredda, ricordando anche che è più importante tenere
pulita l'anima, e quindi non svestirsi mai del pudore.
Sono indicazioni ascetiche per laici, cittadini di una metropoli,
ma si trovano abitualmente in tante regole monastiche dei secoli successivi.
[1] Cfr. R. Brändle, Johannes
Chrysostomus: Bischof, Reformer, Märtyrer, Stuttgart - Berlin –Köln
1999; trad. italiana, Giovanni Crisostomo, Vescovo, riformatore,
martire, tr. O. Pasquato, Roma 2007. p. 96.
[2] L. Zappella, trad. cur.,
Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimali, Milano 1998, p. 204.
[3] L. Zappella, trad. cur.,
Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimali, Milano 1998, p. 257.
[4] Si tratta della Catechesi
mistagogica I. cioè catech. 19 secondo la numerazione tradizionale
delle Catechesi di Cirillo di Gerusalemme, ma il traduttore propende
per l'assegnazione delle cosiddette Catechesi mistagogiche (catech.
19-23) a Giovanni di Gerusalemme, come già in alcuni manoscritti,
lasciando a Cirillo le Catechesi prebattesimali (catech. 1-18): cfr.
G. Maestri - V. Saxer, trad. cur. Cirillo e Giovanni di Gerusalemme,
Catechesi prebattesimali e mistagogiche, Milano 1991. pp. 5-6 per
l’attribuzione e pp. 584-585 per il passo citato.
[5] A. Quacquarelli, cur. trad. I
Padri apostolici, Roma 1976, pp. 357-358.
[6] Cfr. più
sotto la nota 10.
[7] Cfr. P. Brezzì, Storia del
cattolicesimo. Roma 1964. pp. 139-148. Cfr. anche G. Jossa, «Dalle
origini al concilio di Nicea» in G. Filoramo. ed., Storia del
cristianesimo, Bari 2007 (I ed. 1995). pp. 3-53, qui 18-19. Sui
rapporti, in generale, tra cristiani e impero nei primi tre secoli
cfr. anche C. Lepelly, «Les chrétiens et l'Empire romain» in J.-M.
Mayeur - Ch. Pieri - L. Pierei - A. Vauchez - M. Venard, ed.
Histoire du christianisme, I. Le Nouveau Peuple (des origines à
250), Paris 2000 (I ed. 1990). pp 227-266 I primi quattro dei
quattordici volumi di quest'opera possono costituire un punto di
riferimento molto completo per inquadrare anche la storia del
monachesimo nei primi mille anni.
[8] Dopo aver ragionato
sull'ipotesi di una società tutta cristiana. Origene conclude che
«una simile comunità è del tutto impossibile fra gli uomini, che
sono ancora rivestiti del loro corpo terreno» (Contro Celso 8, 72
cit. in H. Rahner, Kirche und Staat in frühen Christentum Dokumente
aus acht Jahrhunderten und ihre Deutung, München 1961 ; trad. it:
Chiesa e struttura politica nel Cristianesimo primitivo. Documenti
della Chiesa nei pruni otto secoli con introduzione e commento,
trad. M. Morani - C. Regoliosi, Milano 1990 [I ed. Milano 1970], p.
42). La posizione di Origene sui rapporti dei cristiani con lo Stato
è piuttosto articolati e tutt'altro che estremista, ma senza alcun
cedimento sul piano morale: i cristiani per lui non cercano «il
favore degli uomini e degl'imperatori»; e questo non solo quando
questo favore sarebbe da ottenersi «attraverso uccisioni, nefandezze
e azioni crudelissime, ma anche quando lo si otterrebbe per mezzo
della totale empietà verso Dio o qualche parola servile o pavida,
aliena ad uomini magnanimi che vogliono aggiungere il coraggio alle
altre virtù, come la più grande di tutte». Tuttavia «gli uomini di
Dio sono il sale che assicura la consistenza dei beni terreni, e i
beni terreni restano saldi finché il sale non perde di sapore». Di
conseguenza, quando Iddio concede al tentatore il potere di
perseguitarci, noi siamo perseguitati; quando invece Iddio non vuole
che noi soffriamo questo, noi, paradossalmente, viviamo in pace, pur
in mezzo ad un mondo che ci odia e ci infondono coraggio le parole:
"fatevi coraggio, io ho vinto il mondo" (Gv 16,33). E veramente ha
vinto il mondo, perciò il mondo ha tanta forza quanto vuole Colui
che l'ha vinto, avendo ricevuto dal Padre il potere di vincere il
mondo: e noi ci facciamo coraggio nella sua vittoria. Se poi vuole
che noi lottiamo ancora e combattiamo per la religione, vengano pure
gli avversari. Diremo loro: "Io posso ogni cosa in Gesù Cristo
Signore nostro che mi fortifica" (Fil 4,13; 1 Tm 1,12)» (Contro
Celso 8,63-70 cit. in H. Rahner, Kirche und Staat cit., trad. it.
1990 cit; pp. 58-59; cfr. anche P. Ressa, cur. trad., Origene,
Contro Celso, Brescia 2000, pp. 615-621) Origene d'altra parte
ritiene che i cristiani debbano essere leali nei confronti dello
Stato quando questo agisce legittimamente per il bene degli uomini:
«Se infatti, credendo in Cristo, pensiamo di non essere soggetti
alle autorità terrene, di non pagare i tributi, di non pagare le
tasse [...] le armi dei governanti e dei principi non si
rivolgerebbero giustamente contro di noi, rendendo scusabili i
nostri persecutori e noi colpevoli? Parrebbe che questi non fossero
combattuti per la fede, ma per un'insubordinazione e ci sarebbe una
degna causa per una morte senza merito» (Comm. a Rm., IX. su Rm. 13,
5-6 in H. Rahner Kirche und Staat cit., trad. it. 1990 cit., p. 55).
E’ notevole il fatto che nel libro di Rahner, uscito la prima volta
nel 1943, «quando in Germania la lotta tra Chiesa e Stato era al
culmine» («Prefazione», p. 17 trad. it. 1990), questi due testi di
Origene costituiscano una parte considerevole dei documenti d'autore
(sette in tutto) che Rahner prende in esame per illustrare il
pensiero della Chiesa sull'argomento ai tempi dei martiri. Gli altri
autori sono Clemente di Roma, Giustino, Teofilo di Antiochia,
Tertulliano, Ippolito di Roma. Rahner inoltre esamina (trad. it. p.
36 e passim) giustamente non solo gli scritti degli intellettuali,
ma anche testimonianze prese dagli atti dei martiri, che mostrano
quale fosse allora la formazione dei cristiani militanti,
sostanzialmente coerente con le voci dei pensatori più in vista.
[9] Cfr. nota
10.
[10] Sull'adesione di Costantino
al cristianesimo e le sue motivazioni si è scritto molto. Da un
punto di vista politico, oggi autorevoli voci ritengono che «con la
sua svolta Costantino non si limitò affatto a prendere atto di una
situazione già definita a favore dei cristiani e a darvi sanzione
ufficiale, ma giocò una carta incerta e pericolosa a vantaggio di
chi era ancora il piu debole, il fatto che essa sia risultata
vincente non deve indurre a sottovalutare il rischio insito in
quella mossa e perciò l'audace iniziativa di chi ne fu l'artefice»
(M. Simonetti «Costantino e la chiesa» in A. Donati - C. Gentili
ed., Costantino il Grande, La civiltà antica al bivio tra Occidente
e Oriente, Milano 2005, pp. 56-63, qui 57-58). Se, d'altronde, a
proposito della sincerità personale di tale conversione.
nell'Ottocento Jacob Burckhardt (J. Burckhardt, Die Zeit Constantins
des Großes, Basel 1853, p. 389) affermava la sostanziale
indifferenza religiosa di un uomo mosso fondamentalmente dalla sete
di potere, oggi Paul Veyne, storico certamente non di parte
cattolica o cristiana, sostiene l'autenticità di una conversione
tutto sommato impopolare: P. Veyne, Quand notre monde est devenu
chretien (319-394), Paris 2007; trad. it. Quando l'Europa è
diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l'impero,
trad. E. Lana, Milano2008, pp. 64-65. E Arnaldo Marcone (A. Marcone,
Costantino il Grande, Roma-Bari 2000) afferma che «si può escludere
che si sia trattato una una scelta politica. Costantino aveva una
sua religiosità che si nutriva di presagi e di emozioni» (p. 42). Su
questo tema, dello stesso autore, si veda anche Pagano e cristiano.
Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002. Per una bibliografia
essenziale sulla «svolta costantiniana» si rinvia a M. Amerise, Il
battesimo di Costantino ii Grande. Storia di una scomoda eredità,
Stuttgart 2005, p. 13 n. 4 In questo libro la giovane studiosa
scomparsa pochi anni fa metteva in luce, attraverso una puntuale
indagine delle fonti, la «scomodità» di questo battesimo
amministrato da un ariano; difatti, col tempo, Oriente e Occidente
si trovarono concordi nel preferire una narrazione «apocrifa» a
proposito di questo evento: quella che voleva Costantino battezzato
da papa Silvestro.
[11] Cfr. anche A. Amore,
"Costantino" in BSS. IV, coll. 237-238.
[12] Cfr. K. Douramani. «Gli
anastenaria in onore dei Ss. Costantino ed Elena» in V. Rugggieri -
L. Pieralli. ed., Eukosmίa, Studi miscellanei per il 75° di Vincenzo
Poggi S.J. - Soveria Mannelli 2003, pp. 211-227.
[13] L. Longobardo, trad. cur.,
Ilario di Poitiers, Contro l'Imperatore Costanzo, Roma 1997, pp.
47-48.
[14] M. Augé – E. Sastre Santos –
L. Borriello, Storia della vita religiosa, Brescia 1988, p. 299.
[15] Cit. Comunità di Bose – R.
Larini, ed., Il libro dei testimoni. Martirologio Ecumenico,
Cinisello Balsamo 2002, pp. 474-475 (6 ottobre)
[16] Cfr. M. Paparozzi,
"Monachesimo" in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico
dell'Oriente cristiano, Roma 2000, pp. 497-499.
[17]
L. Cremaschi, trad. cur., Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio,
Milano 2007, p. 94.
[18]
Santo, teologo e mistico bizantino. E' ritenuto il più grande
teologo bizantino, che più di tutti influisce sulla teologia
ortodossa odierna. Monaco sul monte Athos, nel 1335 entrò in
polemica con il monaco filosofo Barlaam Calabro, polemica che darà
inizio alla cosiddetta controversia esicasta e che durerà più di
trent'anni (1336-1368). In risposta alle accuse di Burlaam, Palamas
scrisse le famose Triadi in difesa dei santi esicasti. La dottrina
palamita fu approvata dalla Chiesa ortodossa nel Sinodo del 1347.
Nel 1368 Palamas fu canonizzato dal suo amico e discepolo, il
patriarca Filoteo Kokkinos. Cfr. Y. Spiteris, «Palamas, Gregorio»
in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico dell'Oriente
cristiano. Roma 2000, pp.571-572.
[19]
E. Perrella, cur. trad., Gregorio Palamas. Atto e luce divina.
Scritti filosofici, Milano 2003, p. 353.
[20]
E. Coccia. ed., Filippo Ribot (m. 1391) carmelitano, Istituzione e
gesta dei primi monaci. Città del Vaticano 2002.
[21]
G. Gharib, cur. trad., Romano il Melode, Inni, Roma 1981, cit. in G.
Passarelli, L'Icona della Trasfigurazione, Milano 1993.
[22]
Cfr. G. Cappelletto, L'uomo verso l'assoluto. II. Leumann (Torino)
1990, p. 25.
[23] T. Spidlik - M. Tenace - R. Cemus.
Il Monachesimo secondo la tradizione dell'Oriente cristiano, Roma
2007 (I ed. francese: Roma 1999), p. 24.
[24]
Filone Alessandrino fu l'esponente di una delle più potenti e ricche
famiglie ebree di Alessandria. Suo fratello, Caio Giulio Alessandro,
detto l’Alabarco amministrava i beni di numerosi membri della
famiglia imperiale romana e della dinastia erodiana. Nato tra il 10
e il 20 a C, della sua vita conosciamo con precisione solo la data
del 39-40, quando si recò a Roma da Caligola a capo di un'ambasciata
per protestare contro le persecuzioni subite dagli ebrei
alessandrini. Mori verosimilmente attorno al 50. E' il principale
rappresentante del giudaismo alessandrino e la sua influenza è stata
molto grande per l’esegesi, la teologia e la spiritualità dei Padri.
Da Eusebio e Girolamo è stato considerato quasi come un cristiano,
anche se pare svolgesse l'attività di rabbino. Nella sua opera si
produsse su grande scala l'incontro tra la cultura ellenistica e la
fede giudaica. La sua opera è soprattutto esegesi di testi
dell'Antico Testamento.
[25]
G. M. Colombas, El monacato primitivo, I, Madrid 1974; trad.
italiana, Il monachesimo delle origini, I, tr. S. Dell'Aira, Milano
1984.
[26]
Cfr. F. Vecoli, "L'Egitto tra IV e V secolo" in G. Filoramo, ed.,
Monachesimo orientale, Un'introduzione, Brescia 2010, pp. 19-51, qui
23.
[27]
Cfr. M. Paparozzi,
"Monachesimo" in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico
dell'Oriente cristiano, Roma 2000, pp. 497-499, in particolare p.
498.
[28]
J. Danielou, Origène, Paris 1948; trad. italiana, Origene. Il genio
del cristianesimo, tr. S. Palamidessi, Roma 1991, p. 12.
[29]
L. Cremaschi, trad. cur. Detti inediti dei Padri del Deserto,
Magnano 1992 (I ed. 1986), p. 21.
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