CAPITOLO PRIMO

PRECURSORI E INIZI DEL MONACHESIMO

Estratto da "I Padri del monachesimo" di Lanfranco Rossi, Pontificio Istituto Biblico 2013

1. Costantino e la diffusione del monachesimo

Probabilmente il più grande predicatore della storia del cristianesimo è stato san Giovanni Crisostomo (soprannome che significa bocca d'oro). Divenuto nel 398 vescovo di Costantinopoli, la capitale dell'impero, aveva conquistato la simpatia del popolo. Quando predicava, la gente si accalcava per stargli più vicino e reagiva spesso in maniera emotiva e immediata alle sue parole. Anche perché Crisostomo diceva la verità senza badare a nessuno né si faceva intimorire dalla posizione sociale di chi doveva criticare. A sentirlo, la gente andava in visibilio e talvolta applaudiva entusiasta.

Ma accadde che un venerdì santo, giorno di digiuno e preghiera in ricordo della crocifissione del Signore, entrato in chiesa, la trovò vuota. La gente era tutta all'ippodromo a vedere le corse dei cavalli [1]. Eppure nelle catechesi per gli adulti che si preparavano a ricevere il battesimo parlava chiaro; un cristiano non poteva partecipare a spettacoli pubblici o manifestazioni simili; «Fasto del diavolo è ogni forma di peccato: spettacoli di immoralità, corse di cavalli...» (Catechesi A 3,6 trad. Zappella) [2]. Spiegava che ricevendo il battesimo un cristiano si impegna a rinunciare a gioielli e ornamenti, agli spettacoli teatrali, normalmente immorali, e alle varie forme di superstizione: «Non più sulle corse dei cavalli cadano i tuoi discorsi e sugli spettacoli di teatri empi, poiché anche quelle pratiche sono incentivi di dissolutezza, e neppure sul crudele godimento derivante dalle battaglie fra animali feroci» (Catechesi B 1, 43, trad. Zappella) [3]. Era un tema ricorrente nella predicazione di allora. Cose analoghe le insegnava Giovanni di Gerusalemme, nelle sue catechesi:

«"Rinuncio a te, Satana (...) e a ogni tua opera" |... J Poi dici: "E a ogni tua pompa". Pompa del diavolo sono il fascino del teatro, le corse di cavalli, la caccia e ogni simile vanità» (Catechesi 19, 4-6, trad. Saxer) [4].

Certamente, nel complesso, la media dei cristiani del IV secolo è diversa da quelli descritti nella Lettera a Diogneto, redatta verso il 150 e considerata una perla della letteratura cristiana antica. Vi si dice che, come l'anima abita il corpo ma non è del corpo, cosi i cristiani abitano nel mondo ma non sono del mondo, la loro religione è invisibile e il mondo li odia e li combatte perché si oppongono ai piaceri. Nonostante questo sono i cristiani con le loro preghiere a sostenere il mondo:

 

A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, cosi nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo: anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare (A Diogneto VI, trad. Quacquarelli) [5].

 

Nel II secolo i cristiani erano mal visti dall'autorità perché sdegnavano gli spettacoli pubblici, spesso immorali, e le feste comuni, si riunivano per pregare fra di loro, vivevano una vita a sé, separata dagli altri. Per questo erano considerali una setta, più che una religione.

Ma ora siamo nel IV secolo, c'è stata la svolta costantiniana e l'epoca delle persecuzioni imperiali è finita. Se prima di Costantino essere cristiano spesso equivaleva a essere ritenuto dai più come una persona poco per bene, adesso la situazione si stava rovesciando [6]. Il processo si accentuerà nel corso del secolo fino alle leggi di Teodosio, a fine del IV secolo, in seguito alle quali il cristianesimo ortodosso diventerà l'unica religione legittima dell'impero; tutte le altre saranno mal viste se non osteggiate.

 

1.1 Il periodo delle persecuzioni

Un tempo si tendeva a pensare che nei primi tre secoli i cristiani fossero quasi costantemente braccati, con la spada di Damocle delle persecuzioni sempre incombente. Oggi si è ridimensionata la portata delle persecuzioni e anche il numero delle vittime, però resta il fatto che nei primi tre secoli il cristianesimo era considerato giuridicamente religio illicita. I romani erano tolleranti con tutte le religioni, ma per loro il cristianesimo non era una religione, bensì una setta [7]. Fondamentalmente perché i cristiani disdegnavano la vita sociale e le cerimonie pubbliche e in particolare rifiutavano i sacrifici agli dei. In genere erano visti come cittadini inaffidabili e, nonostante lunghi periodi di tranquillità, poteva sempre scattare un editto di confisca dei beni con eventuali torture e uccisioni di chi rifiutava di aderire al culto ufficiale dell'impero. L'idea del martirio era così viva nei cristiani dei primi secoli che per molti costituiva semplicemente l'ideale del cristiano: un atto d'amore con cui donare la propria vita a Cristo. L'imitazione piena del suo esempio.

Certamente i cristiani auspicavano il giorno in cui la loro fede godesse di piena libertà e potesse addirittura plasmare una nuova morale sociale. Origene, vissuto nel III secolo, al tempo delle persecuzioni, e morto in seguito alle torture subite per la sua tenacia nella fede, sperava anche lui in questa possibilità. Ma si chiedeva se questa situazione non avrebbe costituito una tentazione ancora più insidiosa per la Chiesa [8].

 

1.2 Costantino imperatore e santo

A proposito di Costantino imperatore, ci si chiede ancora se egli abbia aderito al cristianesimo più per opportunismo politico che per convinzione. Col senno di poi si potrebbe dire che i cristiani erano diventati una forza tale e così tenace, anche se non maggioritaria, che non aveva più senso volerli adeguare a forza alle usanze comuni come avevano fatto gli imperatori precedenti. Meglio farseli alleati e magari diventare il loro capo. Questa fu l'intuizione di Costantino [9].

A quei tempi potere politico e religioso erano intrecciati inestricabilmente; l'imperatore romano era anche sommo pontefice del culto pagano. Agli inizi l'imperatore era semplicemente il capo supremo dell'esercito; con il passare del tempo gli vennero sempre più attribuiti onori divini. Una volta che Costantino ebbe riconosciuta la liceità del cristianesimo, niente di più naturale che si sentisse il rappresentate di Dio sulla terra, quantomeno pari agli apostoli. Fu lui a convocare e presiedere il primo concilio ecumenico, quello di Nicea, nel 325. Chiamava i vescovi «suoi colleghi», ma forse era solo una gentilezza. Guai a chi osava opporglisi, anche su questioni di fede. In tal caso lo destituiva subito e lo mandava in esilio, come fece con Atanasio, vescovo di Alessandria. Tutto questo quando Costantino non era ancora catecumeno, cioè quando era solo aspirante cristiano. Ricevette infatti la prima imposizione delle mani e, pochi giorni dopo, il battesimo, quando era prossimo a morire.

E tuttavia si è propensi a credere che la sua adesione al cristianesimo, che era ancora minoritario, fosse sincera e che egli volesse veramente instaurare un mondo migliore. Emanò molte leggi a favore dei cristiani, stabilì la domenica come giorno festivo, tese a mitigare la durezza delle pene e affidò responsabilità civili ai vescovi. Questi subirono in poco tempo un rovesciamento di ruolo. Prima, essendo le persone più in vista delle comunità cristiane, erano i primi a essere incarcerati torturati e uccisi nelle persecuzioni. Ora diventarono personalità di grande autorità, giudici di secondo appello nei tribunali, onorati e rispettati, fino, in certi casi, a viaggiare gratuitamente usufruendo del sistema di posta imperiale [10].

Costantino è famoso per un altro avvenimento epocale nella storia del mondo: trasferì la capitale dell'impero da Roma a Costantinopoli, dando l'avvio ai secoli gloriosi della storia bizantina, durata più di mille anni, mentre l'Occidente cadeva in mano ai barbari. L'imperatore si prodigò anche in opere edilizie; fece costruire basiliche cristiane grandiose e gloriose nei secoli e favorì la diffusione missionaria del Vangelo. Tutto ciò fece sì che alla sua morte venisse spontaneamente considerato santo dal popolo e come tale confermato dalla Chiesa.

La sua personalità aveva però delle zone d'ombra. Era collerico e, forse solo per un sospetto o una calunnia, fece uccidere suo figlio Crispo, destinato a succedergli, e affogare la propria moglie nelle terme. Fecero la stessa fine tanti altri, sospettati non si sa bene di cosa.

L'uccisione di parenti o ex-alleati che avrebbero potuto insidiare il trono era frequente in quei tempi e Costantino, in questo, non fu molto diverso dagli imperatori pagani. L'entusiasmo per la libertà conferita al cristianesimo lo circonfuse di un alone di gloria che per alcuni male si accordava con la sua condotta morale [11].

Anche il suo culto, attraverso i secoli, ha conservato delle particolarità, curiose. In Sardegna, ad esempio, si celebra la sua festa con pittoresche cavalcate.

Più interessante e originale il culto conservato in Grecia, oramai divenuto una curiosità segnalata anche nelle guide turistiche. La festa in onore di Costantino ed Elena, nota come anastenaria, ha luogo in alcuni paesi del nord-est della Grecia. I partecipanti al rituale costituiscono una confraternita i cui membri tengono nelle loro case, in stanze apposite, delle icone rappresentanti i due santi. Il giorno culmine della festa si ha il sacrificio di un agnello (un tempo era un toro) che viene incensato benedetto e avvolto al collo con una fascia rossa mentre delle candele sono legate alle sue coma. La processione che lo conduce al sacrificio ò accompagnata da gente che piange grida e danza. Dopo l'uccisione dell'animale la musica si fa sempre più ossessionante e la gente trema grida o piange in atteggiamenti estatici. La fase più impressionante è quando i membri della confraternita si dispongono attorno ad un ammasso di carboni ardenti e, tenendo sopra la testa le icone, saltano a piedi nudi sui carboni stessi, tra la meraviglia e l'emozione della folla. La danza dura fino a che i carboni sono spenti. Gli spettatori usano raccoglierne alcuni come amuleti. A conclusione si festeggia con abbondanti bevute.

Negli anni Cinquanta del XX secolo ci sono state delle frizioni e una presa di distanza da parte della Chiesa greca, che in precedenza assecondava questa usanza, ma il rituale permane e il piccolo miracolo continua a ripetersi ogni anno [12].

 

Tornando alla cristianizzazione dell'impero, c'erano tante altre insidie nella trasformazione avvenuta, Ilario, vescovo di Poitiers, parlando dell'imperatore cristiano Costanzo, figlio di Costantino e filoariano, dice esplicitamente:

 

Dio onnipotente [.. | se almeno tu avessi accordato alla mia età e al mio tempo di compiere il ministero di confessare la fede in te e nel tuo Unigenito al tempo dei Nerone e dei Decio! [...] Ora invece noi combattiamo contro un persecutore» ingannevole, un nemico che lusinga, Costanzo l'anticristo: egli non percuote il dorso ma accarezza il ventre, non ci confisca i beni per la vita ma ci arricchisce per la morte, non ci sospinge col carcere verso la libertà ma ci riempie di incarichi nella sua reggia per la servitù, non spossa i nostri fianchi ma si impadronisce del cuore, non taglia la testa con la spada ma uccide l'anima con l'oro, non minaccia di bruciare pubblicamente ma accende la geenna privatamente. Non combatte per essere vinto ma lusinga per dominare, confessa il Cristo per rinnegarlo" (Contro Costanzo 4-5, trad. Longobardo) [13].

 

Aderire alla fede dell'imperatore poteva essere una scorciatoia per arrivare a posti di potere.

 

1.3 La ricerca del deserto

Gran parte degli storici sono concordi nel collegare la improvvisa espansione del monachesimo nel IV secolo alla nuova situazione che si era creata. Prima i cristiani si sentivano estranei in un mondo di pagani. Ora i veri cristiani rischiavano di sentirsi estranei in un mondo in cui molti erano cristiani di comodo. Così alcuni preferivano rendersi stranieri al mondo in modo concreto e si ritiravano nel deserto. E' una reazione comprensibile, che si ripeterà ancora in diverse epoche e luoghi. Un esempio, molti secoli dopo, nel mondo latino, si ha con la nascita dell'ordine dei certosini. «Le origini della Certosa sorgono dalla brama di deserto che asseta il piccolo gruppo attorno a s. Bruno [...] A più di mille metri di altezza gli eremiti possono riprodurre la vita degli antichi padri del deserto, fuggire questo mondo e varcare le soglie della contemplazione» [14]. San Bruno (XI secolo), il fondatore dei certosini, disgustato per la diffusione della simonia, cioè la compravendita delle cariche religiose, rifiutò la nomina ad arcivescovo di Reims e si ritirò in solitudine.

Ma non è da pensare al ritiro dal mondo come a una fuga sdegnata. Le parole di san Bruno a Rodolfo il Verde mostrano bene il movente che può spingere ogni anima religiosa alla ricerca della solitudine: «Quanta utilità e gioia divina, poi, la solitudine e il silenzio dell'eremo apportino a coloro che li amano, lo sanno solo coloro che ne hanno fatto l’esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito ritornare in se stessi e abitare con se stessi [...]. Qui si acquista quell'occhio [...] attraverso il quale, se puro e senza macchia, si vede Dio. Qui si celebra una tranquillità solerte e si gusta il riposo mediante un quieto agire. Qui Dio dispensa [...] quella pace che il mondo non conosce (A Rodolfo il Verde 6, trad. Comunità di Rose) [15].

Si può notare che il significato della parola monaco è «solitario», anzitutto in senso concreto, ma anche nel senso di «solo con Dio», «raccolto in Dio». Il deserto può anche essere costituito dallo spazio interiore che viene liberato da tutto ciò che allontana da Dio. Al termine greco monachós corrisponde quello più antico ihidaia, siriaco, che significa "monogenito" e che fa riferimento a Cristo, unigenito del Padre [16].

 

2. I primi monaci e il loro ideale: Elia

Se il monachesimo cristiano è fiorito nel IV secolo, è anche vero che il monachesimo, come forma di vita, esisteva già da prima. La ricerca di unificazione interiore è un’esigenza insita nella natura umana. In tante epoche e in diverse parti del mondo si sono verificati e si hanno fenomeni simili. Per molti aspetti quello cristiano non se ne discosta e tuttavia presenta caratteristiche originali e autonome. E' radicato nel battesimo, che immette in ogni cristiano la spinta profonda e incancellabile a consacrarsi a Cristo.

Il cristianesimo è fiorito sulla radice del giudaismo e dalle Sacre Scritture ha preso costantemente ispirazione e modelli di comportamento. Tra tutte le figure dell'Antico Testamento, quella che più impressionava per la scelta di vita e per il rigore ascetico è Elia. La sua fermezza nel mantenersi fedele al culto del Dio unico di fronte al lassismo del resto di Israele faceva che i monaci cristiani si ispirassero naturalmente a lui. Nella prima e più famosa biografia di un monaco cristiano, quella di Antonio abate, si legge: «Diceva tra sé e sé: L'asceta deve imparare sempre a ordinare la propria vita guardando a quella del grande Elia come in uno specchio» (Atanasio, Vita di Antonio 7,13, trad. Cremaschi) [17].

Per molti, in particolare per i monaci esicasti, Elia costituirà il modello della preghiera contemplativa. Gregorio Palamas (1296-1359) [18] scrive: «Elia, il più perfetto nella capacità di vedere Dio» [19] (Triadi 1,2,10, trad. Perrella). E anche: «Elia [...J vide sul monte Dio, non nel fuoco, come prima i capi d'Israele, ma, superando la visione del fuoco, grazie al digiuno gradito a Dio, vide il Signore con la voce di un'aria che passava leggera, essendosi trovato più vicino alla voce del Signore che disse: "Dio è spirito e coloro che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità"».

Anche un celebre ordine contemplativo latino, quello dei carmelitani, non solo dichiara di ispirarsi a Elia come modello, ma addirittura vedeva in lui il proprio capostipite e fondatore. Sin dall'inizio, l'ordino carmelitano ha tenuto che le sue fonti ispiratrici risiedono nel profeta Elia: «Questo profeta di Dio, Elia, fu il primo fondatore di monaci; da lui prese inizio questa santa istituzione. Egli, infatti, ritiratosi lontano dalle città e spogliatosi di tutte le cose terrene e mondane per dedicarsi alla divina contemplazione e per il desiderio di una più alta perfezione, fu il primo a condurre intenzionalmente una vita eremitica religiosa e profetica, che iniziò e istituì per istituzione e volere dello Spirito Santo [...] Fine di questa vita, che ci viene assegnato per esclusivo dono di Dio, consiste nel gustare in qualche modo nel proprio cuore e nello sperimentare nella propria mente, non solo dopo la morte, ma anche in questa vita mortale, la potenza della presenza divina e la dolcezza della gloria celeste» [20].

Se Elia costituiva il modello del monaco, Eliseo era quello del discepolo che, senza calcoli di opportunità, abbandona tutto per seguire il maestro, ne riceve lo spirito e ne ripete i prodigi.

Ai cristiani però non sfuggivano neppure gli eccessi di durezza presenti nell'Antico Testamento, poi mitigati e trasformati dalla misericordia e dalla dolcezza di Gesù. Elia correva il rischio, come molti che si ritirano dal mondo, di provare sdegno per chi vi rimane, di sentirsi migliore, se non l'unico giusto e fedele a Dio. Egli, alla fine della sua missione, viene rapito in cielo e la sua gloria resta immortale nei secoli. Prima però sembra che il Signore voglia correggere la sua visione delle cose. A lui, che si crede rimasto il solo fedele alla legge di Dio, il Signore dice di essersi conservati settemila fedeli, integri da ogni contaminazione. E a lui, che si sente l'unico baluardo rimasto a salvare la vera fede, Dio dice di avere già designato Eliseo come suo successore.

Romano il Melode (Emesa 490 ca. - Costantinopoli 556 ca.), il più notevole degli innografi bizantini, mette a confronto la durezza del profeta con la mitezza di Gesù:

Quando rivelò l'umore acre di lui nei confronti degli uomini, il Signore fece propria la sorte di quelli e allontanò Elia dalla terra che essi abitavano dicendo: «Allontanati, amico, dalla terra degli uomini; io stesso, incarnandomi, scenderò presso di loro nella mia misericordia. Tu lascia la terra e sali quassù, dal momento che non riesci a tollerare gli errori degli uomini. Ma io, che sono del cielo, vivrò tra i peccatori e li salverò dai loro errori, io, l'unico amico degli uomini» (Romano il Melode, Inni, 7, 51, trad. Gharib) [21].

 

3. Gli esseni

Elia fu il più grande, ma non fu l'unico. Aveva dei discepoli. Inoltre nell'Antico Testamento sono testimoniati diversi aspetti di vita ascetica, so non altro temporanea, come il voto di nazireato. La vita di Giovanni il Battista costituisce anch'essa un esempio. Tuttavia l'ebraismo non è una religione di tipo monastico, piuttosto il contrario. Una eccezione è costituita dalla forma di vita degli esseni, una corrente religiosa del giudaismo di cui si hanno informazioni storiche dalla metà circa del II secolo a.C. fino alla prima guerra giudaica, circa il 70 d.C. Costituivano una setta separata dall'insieme del popolo e si consideravano i conservatori del seme di Sadoc, cioè del vero sacerdozio. Prendevano così le distanze sia dal sommo sacerdote ufficiale, che di fatto era un politico, sia dal sommo sacerdote appoggiato dai Tolomei e fuggito in Egitto [22]. Centro del loro movimento era Qumran, presso il Mar Morto, dove vivevano in attesa del messia prossimo a manifestarsi. Seguivano un rigoroso regime di vita, impostata in maniera cenobitica, cioè comunitaria, che implicava la rinuncia alla proprietà privata. Rinunciavano anche al matrimonio e osservavano rigorosamente le norme di purezza rituale. Prima dell'ammissione erano sottoposti a due o tre anni di prova. «La somiglianza con la vita dei monaci cristiani è sorprendente» [23]. La loro giornata comprendeva anche un elemento nuovo: un banchetto sacro serale dove si consumavano il pane e il vino benedetti.

Gli esseni aderirono alle rivolte giudaiche contro il dominio romano e, con la distruzione di Qumran, si dà spesso per scontata la loro scomparsa. Ma la comunità degli esseni aveva diramazioni anche in altre località e città. Un esempio è la comunità dei terapeuti descritta da Filone Alessandrino [24] che, a quanto sembra, in un modo o nell'altro, pur con delle specificità proprie, apparteneva agli esseni [25]. I terapeuti erano dei solitari e vivevano in casupole che Filone chiama monostēria. Uomini e donne, rigorosamente separati, rinunciavano agli averi e conducevano un regime austero: un pasto al giorno, a volte ogni due o tre giorni, sostanzialmente di pane sale e qualche erba. Bevevano solo acqua e il loro ideale era la vita contemplativa. La loro vita quotidiana era incentrata sulla preghiera e implicava numerose veglie. C'era una gradazione: da chi viveva eremiticamente fino a quelli che oggi definiremmo "terziari", cioè gli sposali che si adeguavano il più possibile allo stesso ideale. Hanno tanti aspetti in comune con i futuri monaci cristiani che Eusebio di Cesarea, Girolamo e Cassiano li presentano semplicemente come cristiani, monaci ante litteram [26].

Erano numerosi in Egitto, vicino al lago Mareotide, poco lontano da dove sarebbero sorte alcune tra le più famose comunità monastiche del cristianesimo antico: Celle, Nitria, Scete.

Si può pensare che quegli ebrei i quali ispiravano il loro modo di vita a quello degli esseni continuarono a farlo una volta diventati cristiani. Non ci sarebbe dunque un momento di nascita del monachesimo cristiano, ma una continuità con quelle correnti del giudaismo che già incentravano la loro condotta sulla continenza e il lavoro guidato dalla preghiera. Le parole del Vangelo che invitano a lasciare tutto, casa, beni e affetti, per cercare il regno dei cieli, potevano convalidare e rafforzare queste tendenze.

 

4. I teorici della vita monastica

Prima del IV secolo, il monachesimo è stato preceduto da forme di vita come quelle delle vedove o delle vergini o dei continentes, che si consacravano continuando a vivere a casa propria. E' in origine una forma di vita soprattutto laicale, e tale caratteristica si è conservata nell'Oriente cristiano, dove i monaci ordinati sacerdoti sono stati, nel corso dei secoli, molto meno numerosi che nell'Occidente latino [27]. In Oriente si è conservata la consapevolezza che la scelta monastica porta alle loro ultime conseguenze le promesse fatte al momento del battesimo. Per questo l'Oriente non si è mai preoccupato di elaborare una spiritualità dei laici. Dato che in genere i sacerdoti sono sposati, la distinzione che viene da fare spontaneamente non è tra preti e laici, ma tra monaci e non monaci (inclusi i «preti secolari»).

La spiritualità monastica è dunque un prolungamento di quella laicale. Inizialmente, quelli che vivevano da monaci non erano altro che dei laici impegnati.

Nel periodo in cui viveva ad Alessandria, la metropoli più ricca e colta dell'epoca, Origene (Alessandria d'Egitto 185 - Tiro 254) insisteva sulla necessità di fuggire il mondo. Cioè di evitare tutto ciò che una metropoli offre di attraente, ma che può ostacolare la vita spirituale. Incoraggiava alla castità e alla lotta interiore contro i pensieri negativi. La sua notte era in buona parte riservata alla preghiera e alla Sacra Scrittura. Riteneva che la preghiera normale del cristiano è quella incessante, cioè sia in momenti fissi che durante il lavoro o le altre occupazioni della giornata. Dormiva per terra e, prendendo alla lettera il Vangelo, camminava scalzo, possedeva una sola tunica e praticava altre austerità. «Origene è un grande spirituale che segna la transizione fra la mistica escatologica del martirio, come la troviamo in Ignazio di Antiochia o in Tertulliano, e la mistica contemplativa del monachesimo, così come si manifesterà nel IV secolo» [28]. «La spiritualità monastica quale si forma in Egitto nel IV e V secolo risente grandemente dell'influsso origeniano»; con queste parole Lisa Cremaschi inizia un capitolo intitolato: «Origene precursore del monachesimo» [29].

Origene a sua volta è stato anticipato da Clemente Alessandrino (150- 215) il quale, nel Pedagogo, mostra il tipo di vita che dovrebbe seguire uno che si è fatto battezzare. Si rivolge dunque ai normali cittadini di Alessandria che intendono il battesimo come l'inizio di un cammino di perfezione nella preghiera e nella carità. Egli insegna che per progredire nella via spirituale è necessario avere una certa disciplina ascetica che consenta di dominare progressivamente l'istinto del piacere. In pratica: non mangiare carne (come è tradizione facessero gli apostoli), non bere vino, evitare il lusso e preferire le cose semplici e povere. Inoltre niente feste o serate allegre, perché la sera è per la preghiera e vera festa è stare uniti al Signore. Di conseguenza evitare gioielli cosmetici e altre ostentazioni nel modo di comportarsi e di vestirsi. Bisogna lavarsi ma, specie per i giovani, è meglio con l'acqua fredda, ricordando anche che è più importante tenere pulita l'anima, e quindi non svestirsi mai del pudore.

Sono indicazioni ascetiche per laici, cittadini di una metropoli, ma si trovano abitualmente in tante regole monastiche dei secoli successivi.

 

 


[1] Cfr. R. Brändle, Johannes Chrysostomus: Bischof, Reformer, Märtyrer, Stuttgart - Berlin –Köln 1999; trad. italiana, Giovanni Crisostomo, Vescovo, riformatore, martire, tr. O. Pasquato, Roma 2007. p. 96.

[2] L. Zappella, trad. cur., Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimali, Milano 1998, p. 204.

[3] L. Zappella, trad. cur., Giovanni Crisostomo, Catechesi battesimali, Milano 1998, p. 257.

[4] Si tratta della Catechesi mistagogica I. cioè catech. 19 secondo la numerazione tradizionale delle Catechesi di Cirillo di Gerusalemme, ma il traduttore propende per l'assegnazione delle cosiddette Catechesi mistagogiche (catech. 19-23) a Giovanni di Gerusalemme, come già in alcuni manoscritti, lasciando a Cirillo le Catechesi prebattesimali (catech. 1-18): cfr. G. Maestri - V. Saxer, trad. cur. Cirillo e Giovanni di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali e mistagogiche, Milano 1991. pp. 5-6 per l’attribuzione e pp. 584-585 per il passo citato.

[5] A. Quacquarelli, cur. trad. I Padri apostolici, Roma 1976, pp. 357-358.

[6] Cfr. più sotto la nota 10.

[7] Cfr. P. Brezzì, Storia del cattolicesimo. Roma 1964. pp. 139-148. Cfr. anche G. Jossa, «Dalle origini al concilio di Nicea» in G. Filoramo. ed., Storia del cristianesimo, Bari 2007 (I ed. 1995). pp. 3-53, qui 18-19. Sui rapporti, in generale, tra cristiani e impero nei primi tre secoli cfr. anche C. Lepelly, «Les chrétiens et l'Empire romain» in J.-M. Mayeur - Ch. Pieri - L. Pierei - A. Vauchez - M. Venard, ed. Histoire du christianisme, I. Le Nouveau Peuple (des origines à 250), Paris 2000 (I ed. 1990). pp 227-266 I primi quattro dei quattordici volumi di quest'opera possono costituire un punto di riferimento molto completo per inquadrare anche la storia del monachesimo nei primi mille anni.

[8] Dopo aver ragionato sull'ipotesi di una società tutta cristiana. Origene conclude che «una simile comunità è del tutto impossibile fra gli uomini, che sono ancora rivestiti del loro corpo terreno» (Contro Celso 8, 72 cit. in H. Rahner, Kirche und Staat in frühen Christentum Dokumente aus acht Jahrhunderten und ihre Deutung, München 1961 ; trad. it: Chiesa e struttura politica nel Cristianesimo primitivo. Documenti della Chiesa nei pruni otto secoli con introduzione e commento, trad. M. Morani - C. Regoliosi, Milano 1990 [I ed. Milano 1970], p. 42). La posizione di Origene sui rapporti dei cristiani con lo Stato è piuttosto articolati e tutt'altro che estremista, ma senza alcun cedimento sul piano morale: i cristiani per lui non cercano «il favore degli uomini e degl'imperatori»; e questo non solo quando questo favore sarebbe da ottenersi «attraverso uccisioni, nefandezze e azioni crudelissime, ma anche quando lo si otterrebbe per mezzo della totale empietà verso Dio o qualche parola servile o pavida, aliena ad uomini magnanimi che vogliono aggiungere il coraggio alle altre virtù, come la più grande di tutte». Tuttavia «gli uomini di Dio sono il sale che assicura la consistenza dei beni terreni, e i beni terreni restano saldi finché il sale non perde di sapore». Di conseguenza, quando Iddio concede al tentatore il potere di perseguitarci, noi siamo perseguitati; quando invece Iddio non vuole che noi soffriamo questo, noi, paradossalmente, viviamo in pace, pur in mezzo ad un mondo che ci odia e ci infondono coraggio le parole: "fatevi coraggio, io ho vinto il mondo" (Gv 16,33). E veramente ha vinto il mondo, perciò il mondo ha tanta forza quanto vuole Colui che l'ha vinto, avendo ricevuto dal Padre il potere di vincere il mondo: e noi ci facciamo coraggio nella sua vittoria. Se poi vuole che noi lottiamo ancora e combattiamo per la religione, vengano pure gli avversari. Diremo loro: "Io posso ogni cosa in Gesù Cristo Signore nostro che mi fortifica" (Fil 4,13; 1 Tm 1,12)» (Contro Celso 8,63-70 cit. in H. Rahner, Kirche und Staat cit., trad. it. 1990 cit; pp. 58-59; cfr. anche P. Ressa, cur. trad., Origene, Contro Celso, Brescia 2000, pp. 615-621) Origene d'altra parte ritiene che i cristiani debbano essere leali nei confronti dello Stato quando questo agisce legittimamente per il bene degli uomini: «Se infatti, credendo in Cristo, pensiamo di non essere soggetti alle autorità terrene, di non pagare i tributi, di non pagare le tasse [...] le armi dei governanti e dei principi non si rivolgerebbero giustamente contro di noi, rendendo scusabili i nostri persecutori e noi colpevoli? Parrebbe che questi non fossero combattuti per la fede, ma per un'insubordinazione e ci sarebbe una degna causa per una morte senza merito» (Comm. a Rm., IX. su Rm. 13, 5-6 in H. Rahner Kirche und Staat cit., trad. it. 1990 cit., p. 55). E’ notevole il fatto che nel libro di Rahner, uscito la prima volta nel 1943, «quando in Germania la lotta tra Chiesa e Stato era al culmine» («Prefazione», p. 17 trad. it. 1990), questi due testi di Origene costituiscano una parte considerevole dei documenti d'autore (sette in tutto) che Rahner prende in esame per illustrare il pensiero della Chiesa sull'argomento ai tempi dei martiri. Gli altri autori sono Clemente di Roma, Giustino, Teofilo di Antiochia, Tertulliano, Ippolito di Roma. Rahner inoltre esamina (trad. it. p. 36 e passim) giustamente non solo gli scritti degli intellettuali, ma anche testimonianze prese dagli atti dei martiri, che mostrano quale fosse allora la formazione dei cristiani militanti, sostanzialmente coerente con le voci dei pensatori più in vista.

[9] Cfr. nota 10.

[10] Sull'adesione di Costantino al cristianesimo e le sue motivazioni si è scritto molto. Da un punto di vista politico, oggi autorevoli voci ritengono che «con la sua svolta Costantino non si limitò affatto a prendere atto di una situazione già definita a favore dei cristiani e a darvi sanzione ufficiale, ma giocò una carta incerta e pericolosa a vantaggio di chi era ancora il piu debole, il fatto che essa sia risultata vincente non deve indurre a sottovalutare il rischio insito in quella mossa e perciò l'audace iniziativa di chi ne fu l'artefice» (M. Simonetti «Costantino e la chiesa» in A. Donati - C. Gentili ed., Costantino il Grande, La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, Milano 2005, pp. 56-63, qui 57-58). Se, d'altronde, a proposito della sincerità personale di tale conversione. nell'Ottocento Jacob Burckhardt (J. Burckhardt, Die Zeit Constantins des Großes, Basel 1853, p. 389) affermava la sostanziale indifferenza religiosa di un uomo mosso fondamentalmente dalla sete di potere, oggi Paul Veyne, storico certamente non di parte cattolica o cristiana, sostiene l'autenticità di una conversione tutto sommato impopolare: P. Veyne, Quand notre monde est devenu chretien (319-394), Paris 2007; trad. it. Quando l'Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l'impero, trad. E. Lana, Milano2008, pp. 64-65. E Arnaldo Marcone (A. Marcone, Costantino il Grande, Roma-Bari 2000) afferma che «si può escludere che si sia trattato una una scelta politica. Costantino aveva una sua religiosità che si nutriva di presagi e di emozioni» (p. 42). Su questo tema, dello stesso autore, si veda anche Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002. Per una bibliografia essenziale sulla «svolta costantiniana» si rinvia a M. Amerise, Il battesimo di Costantino ii Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005, p. 13 n. 4 In questo libro la giovane studiosa scomparsa pochi anni fa metteva in luce, attraverso una puntuale indagine delle fonti, la «scomodità» di questo battesimo amministrato da un ariano; difatti, col tempo, Oriente e Occidente si trovarono concordi nel preferire una narrazione «apocrifa» a proposito di questo evento: quella che voleva Costantino battezzato da papa Silvestro.

[11] Cfr. anche A. Amore, "Costantino" in BSS. IV, coll. 237-238.

[12] Cfr. K. Douramani. «Gli anastenaria in onore dei Ss. Costantino ed Elena» in V. Rugggieri - L. Pieralli. ed., Eukosmίa, Studi miscellanei per il 75° di Vincenzo Poggi S.J. - Soveria Mannelli 2003, pp. 211-227.

[13] L. Longobardo, trad. cur., Ilario di Poitiers, Contro l'Imperatore Costanzo, Roma 1997, pp. 47-48.

[14] M. Augé – E. Sastre Santos – L. Borriello, Storia della vita religiosa, Brescia 1988, p. 299.

[15] Cit. Comunità di Bose – R. Larini, ed., Il libro dei testimoni. Martirologio Ecumenico, Cinisello Balsamo 2002, pp. 474-475 (6 ottobre)

[16] Cfr. M. Paparozzi, "Monachesimo" in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico dell'Oriente cristiano, Roma 2000, pp. 497-499.

[17] L. Cremaschi, trad. cur., Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio, Milano 2007, p. 94.

[18] Santo, teologo e mistico bizantino. E' ritenuto il più grande teologo bizantino, che più di tutti influisce sulla teologia ortodossa odierna. Monaco sul monte Athos, nel 1335 entrò in polemica con il monaco filosofo Barlaam Calabro, polemica che darà inizio alla cosiddetta controversia esicasta e che durerà più di trent'anni (1336-1368). In risposta alle accuse di Burlaam, Palamas scrisse le famose Triadi in difesa dei santi esicasti. La dottrina palamita fu approvata dalla Chiesa ortodossa nel Sinodo del 1347. Nel 1368 Palamas fu canonizzato dal suo amico e discepolo, il patriarca Filoteo Kokkinos. Cfr. Y. Spiteris, «Palamas, Gregorio» in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico dell'Oriente cristiano. Roma 2000, pp.571-572.

[19] E. Perrella, cur. trad., Gregorio Palamas. Atto e luce divina. Scritti filosofici, Milano 2003, p. 353.

[20] E. Coccia. ed., Filippo Ribot (m. 1391) carmelitano, Istituzione e gesta dei primi monaci. Città del Vaticano 2002.

[21] G. Gharib, cur. trad., Romano il Melode, Inni, Roma 1981, cit. in G. Passarelli, L'Icona della Trasfigurazione, Milano 1993.

[22] Cfr. G. Cappelletto, L'uomo verso l'assoluto. II. Leumann (Torino) 1990, p. 25.

[23] T. Spidlik - M. Tenace - R. Cemus. Il Monachesimo secondo la tradizione dell'Oriente cristiano, Roma 2007 (I ed. francese: Roma 1999), p. 24.

[24] Filone Alessandrino fu l'esponente di una delle più potenti e ricche famiglie ebree di Alessandria. Suo fratello, Caio Giulio Alessandro, detto l’Alabarco amministrava i beni di numerosi membri della famiglia imperiale romana e della dinastia erodiana. Nato tra il 10 e il 20 a C, della sua vita conosciamo con precisione solo la data del 39-40, quando si recò a Roma da Caligola a capo di un'ambasciata per protestare contro le persecuzioni subite dagli ebrei alessandrini. Mori verosimilmente attorno al 50. E' il principale rappresentante del giudaismo alessandrino e la sua influenza è stata molto grande per l’esegesi, la teologia e la spiritualità dei Padri. Da Eusebio e Girolamo è stato considerato quasi come un cristiano, anche se pare svolgesse l'attività di rabbino. Nella sua opera si produsse su grande scala l'incontro tra la cultura ellenistica e la fede giudaica. La sua opera è soprattutto esegesi di testi dell'Antico Testamento.

[25] G. M. Colombas, El monacato primitivo, I, Madrid 1974; trad. italiana, Il monachesimo delle origini, I, tr. S. Dell'Aira, Milano 1984.

[26] Cfr. F. Vecoli, "L'Egitto tra IV e V secolo" in G. Filoramo, ed., Monachesimo orientale, Un'introduzione, Brescia 2010, pp. 19-51, qui 23.

[27] Cfr. M. Paparozzi, "Monachesimo" in E. G. Farrugia, ed., Dizionario enciclopedico dell'Oriente cristiano, Roma 2000, pp. 497-499, in particolare p. 498.

[28] J. Danielou, Origène, Paris 1948; trad. italiana, Origene. Il genio del cristianesimo, tr. S. Palamidessi, Roma 1991, p. 12.

[29] L. Cremaschi, trad. cur. Detti inediti dei Padri del Deserto, Magnano 1992 (I ed. 1986), p. 21.


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16 gennaio 2019                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net