L'ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO
LA
RADICALE VITA CRISTIANA
Un
esercizio di immaginazione spirituale
Estratto e tradotto da "The radical Christian life - A year with Saint Benedict
(La radicale vita Cristiana – Un anno con
San Benedetto)" di Joan Chittister O.S.B. - Liturgical Press 2011
[1]
Ci sono due storie, una dei
maestri Sufi e una dei monaci del deserto, che potrebbero avere molto da
raccontare su cosa significhi vivere una vita cristiana radicale ai nostri
tempi.
Nel primo, i Sufi raccontano di
un anziano spirituale che chiese ai discepoli di indicare quale fosse la qualità
più importante nella vita: la saggezza o l'azione? "E' l'azione, ovviamente"
dissero i discepoli. "Dopo tutto, a che serve la saggezza se non si manifesta in
azione?" "Ah, sì," disse il maestro, "ma a che serve l'azione che procede da un
cuore non illuminato?" O, per dirla in altro modo, l'operosità da sola non è
sufficiente per qualificarci come persone spirituali. Dobbiamo essere impegnati
nelle cose giuste.
Nel secondo racconto dei monaci
del deserto, Abba Poemen dice che Abba Giovanni Nano aveva pregato Dio di
allontanare da lui le passioni in modo che potesse essere liberato da ogni
sollecitudine. "In effetti", Abba Giovanni gli riferì: "Ora mi trovo in pace
totale, senza un nemico". Ma Abba Poemen gli disse:" Davvero? Bene, in quel
caso, vai a chiedere a Dio di suscitare ancora un conflitto dentro di te, perché
è attraverso il conflitto che l'anima progredisce". E dopo di ciò, quando arrivò
il conflitto, Abba Giovanni non pregò più di esserne liberato. Ora pregava
semplicemente: "Signore, dammi la forza di lottare".
Osservazione: non intendiamo
essere osservatori a distanza della vita. Dobbiamo dedicarci noi stessi per
modellarla, per quanto difficile possa essere al giorno d'oggi.
Questo impegno per la
co-creazione è un grande compito, un nobile compito per cui dare una vita, ma
non è per niente semplice. Siamo in un momento cruciale del tempo in cui viviamo
- a metà strada tra la certezza del passato, le esigenze del presente e la
prospettiva del futuro. È di nuovo un momento nella storia umana che ha bisogno
di una profonda saggezza e richiede una sacrosanta lotta.
All'alba del ventunesimo secolo,
il mondo sta cambiando. In effetti, il mondo si muove vertiginosamente. Come
cultura, ci stiamo spostando dall'essere isolazionisti ed indipendenti
all'essere globali ed interdipendenti.
È un mondo in cui "Cattolico e
Protestante" si sono fusi nell'essere semplicemente cristiani uniti ed i nostri
nuovi vicini ed i loro templi, monasteri e moschee, sono Indù, Buddisti, Ebrei e
Musulmani.
Il nostro compito ora è di essere
comunità Cristiane radicali - qui ed ora - non fossili di una realtà passata,
non resti di un'epoca d'oro precedente. Ora abbiamo bisogno di una nuova
saggezza e di un nuovo tipo di lotta per determinare ciò che dobbiamo essere e
fare nel mezzo di questi tempi mutevoli.
Le nostre scelte sono chiare:
possiamo andare avanti ancora e diventare qualcosa di nuovo per far lievitare il
nuovo, oppure possiamo riandare indietro nel tempo nel tentativo di mantenere
ciò che conosciamo meglio ma che è già passato.
La domanda è quindi: cosa
significa essere una radicale comunità Cristiana in tempi come questi? E come
svolgiamo questo compito?
La scelta è nostra. Ma non
facciamoci ingannare: non solo non è una scelta facile; non è neanche un compito
facile.
La stessa mappa del mondo sta
cambiando mentre siamo qui: persone muoiono di fame sugli schermi televisivi nei
nostri alloggi familiari. Persone che hanno lavorato duramente per tutta la vita
temono per il loro pensionamento mentre si continua a mettere più soldi in
strumenti di distruzione in questa società di quanto non si faccia nei programmi
per lo sviluppo umano. L'economia è in una situazione distorta. Solo quelli che
non devono lavorare guadagnano davvero. Nel contempo c'è un numero crescente di
persone molto ricche ed un numero ancora maggiore di persone molto, molto
povere.
La vita è valutata come un nulla.
L'aborto è la forma più popolare di controllo delle nascite nei paesi in via di
sviluppo.
Centinaia, migliaia di civili
dappertutto - la maggior parte di loro donne e bambini - muoiono in guerre che
gli uomini progettano per "proteggerli". E noi continuiamo a praticare la pena
capitale anche se sappiamo che questa cosiddetta "deterrenza", che ci rende
proprio come quelli che odiamo, non serve come deterrente. In realtà, i dieci
stati degli Stati Uniti d'America senza pena capitale hanno tassi di omicidio
più bassi di quelli che la praticano.
I cristiani, i seri cercatori, ora devono scegliere. Possono ritirarsi da questa
lotta all'interno di un qualche paradiso di sdolcinati sensi di pietà dove poter
distorcere ed ammorbidire gli interrogativi del tempo e l'ingiustizia
dell'epoca, con fioretti spirituali
[2] e proteste inefficaci - dove possono vivere
come virtuosi infiltrati nel cuore di un mondo contorto e chiamano quella farsa
pace e "religione" -, oppure possono raccogliere le loro forze per la lotta che
sarà necessaria per portare questo mondo più vicino al regno di Dio ora.
Ma cosa si può fare in questo
mondo fuori controllo, in mano a pochi potenti, da parte di tutti noi che non
proviamo odio e non vogliamo guerre, che non abbiamo influenza ma abbiamo alti
ideali, che ci definiamo cristiani e affermiamo di dirlo sul serio!
Chi siamo noi adesso? E chi
vogliamo essere?
Soprattutto, dove possiamo andare
a cercare un modello su come iniziare ad essere una testimonianza cristiana
radicale in una società in cui siamo quasi totalmente lontani dai suoi centri di
potere e totalmente fuori dai suoi centri di influenza?
Il mio suggerimento è di smettere
di attingere il nostro senso di umana efficienza dai periodi di esplorazione e
distruzione dei popoli nativi, o dal periodo dell'industrializzazione e del suo
spostamento di persone, o dai periodi delle guerre mondiali e del conseguente
sterminio di popoli.
Il mio suggerimento è che la
gente comune - persone come te e me - inizi a guardare di nuovo al sesto secolo
ed all'immaginazione spirituale ed alla meravigliosa saggezza che l'hanno reso
nuovo. Perché questa è davvero la buona notizia.
Un antico modello
Nel sesto secolo Benedetto da Norcia era un aspirante giovane studente al centro
dell'impero Romano con tutto lo sfarzo ed il fascino e con tutta l'evanescenza
della gloria e l'oscuro potere che implicava
[3].
Roma aveva ammaliato, raggirato e
sottovalutato i barbari lungo la frontiera che stavano aspettando - solo
aspettando - di riversarsi attraverso il sistema da tutte le parti.
Roma - ROMA! - l'invincibile, era stata saccheggiata. Come nel libro di Daniele
[4], la scrittura era sulla parete, ma pochi, o
nessuno, erano in grado di leggerla.
Anche nel nostro mondo le notizie
importanti sono nei nostri giornali, ma pochi, se non nessuno, le stanno
leggendo.
Ma nel sesto secolo, una persona,
questo giovane, decise di cambiare il sistema non affrontandolo, non gareggiando
con lui per essere più grande, migliore o più efficace, ma erodendo la sua
inverosimile credibilità.
Come scriverà Blaise Pascal: "La
forza, e non l'opinione, governa il mondo, ma l'opinione fa uso della forza. È
la forza che fa l'opinione".
Questa singola persona nel sesto
secolo - senza i soldi, senza la tecnologia e senza il tipo di supporto
sistemico che la nostra epoca considera così essenziale per il successo e quindi
usa per spiegare il suo fallimento nel cambiare le cose - semplicemente rifiutò
di diventare ciò che un tale sistema aveva modellato ed arrivò ad avere
un'influenza importante nella nostra storia.
Questa persona decise
semplicemente di cambiare le opinioni della gente su ciò che la vita doveva
essere, vivendo diversamente per conto suo, rifiutandosi di accettare gli
standard morali attorno a lui, formando altre persone in comunità organizzate
per fare la stessa cosa: per bandire la schiavitù in cui erano tenuti; per
dedicarsi alla condivisione dei beni come lui; per impegnarsi a prendersi cura
della terra; per insegnare e modellare una nuova prospettiva sul nostro ruolo
nell'universo.
E grazie a lui - anche se i
numeri, come attesta la storia, non sono mai stati i suoi criteri per il
successo - altre migliaia di persone hanno fatto la stessa cosa, secolo dopo
secolo.
Per oltre 1.500 anni, papi e
popolazioni attraverso i secoli hanno invocato Benedetto da Norcia come patrono
d'Europa ed hanno avvalorato lo stile di vita Benedettino che egli ha sviluppato
nei periodi più bui della storia occidentale, assieme alla conservazione della
stessa cultura europea.
I valori che ha modellato hanno contribuito a mantenere l'ordine sociale ed
hanno tutelato la conoscenza. Inoltre, questi valori hanno dato protezione ai
viandanti ed hanno contribuito a creare delle norme di comportamento durante i
conflitti che hanno portato dal caos alla pace.
Quei valori trasformarono
un'Europa devastata dall'invasione e dall'abbandono in un nuovo giardino. Hanno
modellato l'uguaglianza dei popoli. Hanno fornito un collegamento tra il cielo e
la terra - tra questa vita, caotica com'era, e la volontà di Dio per tutta la
vita. Ovunque. Sempre,
Ma come è stato fatto tutto ciò?
E cosa c'entra con noi oggi? La risposta capovolge tutto ciò che la nostra
stessa società indica essere essenziale per l'efficacia.
Lo stesso modello di vita che
Benedetto da Norcia ha dato al mondo fu esattamente l'opposto di ciò che, alla
fine, lo stava davvero distruggendo.
Per un mondo che valorizzava le
grandezze - le grandi ville, le grandi città, i grandi eserciti, i grandi
sistemi - Benedetto creò una serie di piccole ed intense comunità in cui le
persone, con una visione unanime, si riunivano per sostenersi a vicenda, per
trovare la forza per la lotta. La loro lotta era per la sopravvivenza, ma la
loro forza era nella comunità.
Ad un impero con un'estensione
globale - Francia, Gran Bretagna, Egitto, Costantinopoli - Benedetto fornì una
linea interminabile di gruppi locali la cui sollecitudine per le persone e la
comprensione dei problemi dell'area da cui provenivano era basata sul loro
stesso DNA. La lotta di tali piccoli gruppi era sì per la sopravvivenza, ma la
loro forza era l'impegno totale nella condizione umana.
Ad un impero intento a
centralizzare tutte le culture in una, Benedetto diede un modello di autonomia,
di azione, di autosviluppo individuale ad una cultura che aveva comunemente
riconosciuto la sottomissione e la schiavitù molto, troppo facilmente. Malgrado
tutto ciò, la lotta era sì per la sopravvivenza, ma la loro forza era nel senso
della dignità umana e delle possibilità personali - in un'epoca che non aveva né
l'una né l'altra.
Per un mondo incline a monumenti
intesi a caratterizzare la storia e la gloria di un impero, Benedetto abbandonò
la nozione di una storia istituzionale comune e costruì invece una comune
tradizione presa da molte parti distinte. La lotta era per la sopravvivenza di
questi piccoli gruppi autonomi. La loro forza era il singolare impegno generato
in ogni singolo gruppo, affinché ognuno di questi portasse con sé la pienezza
della tradizione.
In un ordine civile strettamente
definito da specifici ruoli e responsabilità, Benedetto scelse di creare uno
stile di vita piuttosto che definire un compito fisso che gli anni potevano
erodere o che l'evolversi della cultura poteva far abbandonare. La lotta era
sicuramente per la sopravvivenza; ma la garanzia di ciò, in ogni gruppo, era la
creatività e l'adattamento.
In un mondo fatto di potenti
istituzioni, Benedetto non creò un'istituzione; diede invece inizio ad un
movimento – un libero gruppo di cercatori altrettanto seri ed imparziali che
hanno dato al mondo nuovi modi di considerare l'autocrazia ed il narcisismo,
l'oppressione e l'ingiustizia, la disuguaglianza e l'autoritarismo. La lotta era
davvero sopravvivenza; la forza era un'energia ed un dinamismo che influenzavano
l'intera società.
Ed infine, in un mondo in cui la
parola di un imperatore significava morte, Benedetto costruì un mondo in cui la
parola di Dio ridonò vita, giorno dopo giorno, a tutti quelli che vennero in
contatto con lui.
Una tradizione che si trasforma
Ed a poco a poco, questo piccolo
movimento di seri cercatori, piccoli piuttosto che grandi, locali piuttosto che
globali, autonomi anziché centralizzati, più intenti ad una tradizione comune
che ad una storia comune, più un movimento che un'istituzione, più impegnati nel
Vangelo che al sistema - uniti come adulti di pari dignità nelle comunità di
cuore e di mente, si insinuarono lentamente nella cultura che li circondava,
affascinarono la sua durezza di cuore, convertirono la sua anima e, in un
piccolo luogo dopo l'altro, plasmarono il mondo intero di nuovo.
Allora, perché funziona? Cosa può
fare qualcosa di così piccolo, così fragile da poter dare così tanto al mondo?
Com'è possibile che qualcosa di
costruito su singoli membri in piccole case individuali, per le quali la
sopravvivenza è sempre all'ordine del giorno, possa proprio avere "salvato la
cultura europea" per poi diffondersi in tutto il vasto mondo? Dopo tutto, i
singoli monasteri benedettini sono andati e venuti in gran numero, secolo dopo
secolo, ma la tradizione è sopravvissuta.
Il fatto è che Benedetto ci ha
lasciato una struttura certamente molto semplice, ma l'ha lasciata su pilastri
molto profondi.
Egli la stabilì su valori che
attraversavano tutta l'esperienza umana - non su regole o su attività specifiche
che sarebbero crollate e si sarebbero sgretolate con la rovina dell'epoca e
delle culture.
Egli basò la vita su intuizioni
umane e spirituali che non passano mai di moda: sui bisogni umani fondamentali
come, per esempio, la comunità, il lavoro ed il servizio; su profonde pratiche
spirituali, come la preghiera, la contemplazione e l'umiltà; su importanti
questioni sociali, come la gestione responsabile e l'ospitalità, l'uguaglianza e
la pace; sui principi organizzativi di base, come la leadership ed il processo
decisionale comunitario; sul servizio reciproco e l'obbedienza reciproca.
E così, come ogni epoca alle
prese con i propri programmi e le proprie questioni, l'importanza o la
consapevolezza di ciascuno di questi valori benedettini è diventata il dono che
i benedettini hanno dato ad una cultura non sincronizzata con i suoi migliori
interessi.
Nel primo Benedettinismo, la
comunità stessa ed il bisogno di ospitalità, generati dalla rottura della
sicurezza pubblica dovuta alla caduta dell'impero, erano il vero problema.
Quando pellegrini e viaggiatori venivano violentati, derubati e saccheggiati
sulle strade, queste comunità costruivano alloggi - interi centri di ospitalità
- per proteggerli.
Nel Medioevo, la necessità di
sviluppo agricolo e dei servizi sociali divenne fondamentale. Quando intere
distese di terra furono bruciate dalla guerra o cadute in disuso, quando i
raccolti mancarono per mancanza di buona agricoltura, quando i contadini senza
lavoro morirono di fame, piccole comunità eressero fattorie - piccole missioni
di tre o quattro monaci - per organizzare il lavoratori e distribuire i raccolti
ai poveri. E facevano queste cose mentre cercavano, allo stesso tempo, di creare
direttive per la guerra che attenuassero i suoi effetti e controllassero
l'insensatezza apparentemente infinita che stava distruggendo, ironia della
sorte, esattamente tutto ciò per cui si combatteva.
Con l'ascesa delle città e gli
albori della commercializzazione, la creazione di centri spirituali ed educativi
divenne una delle principali preoccupazioni dei Benedettini. Dove la cultura era
diventata una cosa del passato ed intere aree erano state lasciate
spiritualmente affamate, i monasteri si presero cura della conservazione di
testi antichi e divennero il rifugio spirituale dei poveri, dei senzatetto,
degli oppressi.
Nel diciannovesimo secolo i monasteri Benedettini Europei inviarono alcuni dei
loro migliori membri al nuovo mondo per fare la stessa cosa. Era un mondo di
culture Cattoliche di contro a quelle Protestanti, un residuo vicino al tramonto
ma ancora potente delle guerre di religione lunghe secoli addietro. Il compito
Benedettino nel nuovo mondo fu quello di educare le popolazioni Cattoliche
immigrate a prendere il loro posto in un mondo che era in gran parte bianco,
Anglo-Sassone e Protestante
[5]. Fu una missione cristiana molto radicale
per quel tempo educare i poveri e gli analfabeti, integrare le visioni del mondo
fortemente divise in un tutto democratico ed adattarsi al tipo di pluralismo che
il mondo non aveva mai conosciuto. Ed ha avuto successo.
Attraverso tutto questo, per
secoli, le comunità Benedettine - piccole, locali ed autonome - hanno lavorato
in modi creativi per soddisfare i bisogni delle aree in cui sono cresciute,
lottando sempre per plasmare ed equilibrare una vita spirituale profonda e
comunitaria con i grandi bisogni sociali intorno ad esse.
Hanno dotato ogni epoca dei
tesori del cuore che sono i pilastri del Benedettinismo. Di conseguenza, sono
cresciute, si sono concentrate, si sono specializzate e sono cambiate fino a che
non ci furono molti altri innumerevoli monasteri benedettini, leggermente
diversi ma fondamentalmente gli stessi.
Se il ventunesimo secolo ha
bisogno di qualcosa, potrebbe essere un ritorno alla visione vitale e profonda
di Benedetto. Forse abbiamo bisogno di una nuova considerazione per l'audace
saggezza Benedettina se la civiltà deve essere salvata un'altra volta - e questa
volta è il pianeta stesso che deve essere difeso.
I valori che hanno salvato
l'Europa Occidentale in un clima sociale simile al nostro sono stati: il lavoro
creativo, non la creazione di profitto; il sacro tempo libero, non l'evasione
personale; la saggia gestione, non lo sfruttamento; la comunità amorevole, non
l'individualismo elevato ad un grado patologico; l'umiltà, non l'arrogante
superiorità; ed un impegno per la pace, non per il dominio. Oggi, proprio come
1500 anni fa, quei valori sono stati abbandonati.
Abbiamo di nuovo bisogno di loro.
I pilastri della spiritualità benedettina
Lavoro creativo
Questa epoca ha bisogno di
ripensare al lavoro. Il lavoro nel nostro tempo è diventato qualcosa che ci
definisce o qualcosa che ci opprime. Lo facciamo per fare soldi, soldi, soldi o
lo denigriamo come un ostacolo alla vita. Siamo una cultura che troppo spesso si
colloca tra lo stacanovismo e la pseudo-contemplazione.
Per anni ho visto Sophie,
un'anziana signora polacca che abitava dall'altra parte della strada dal
monastero, spazzare il marciapiede di fronte a casa sua con mano ferma e forte e
poi muoversi metodicamente sul fronte delle case alla sua sinistra ed alla sua
destra.
Divenne, di fatto, una specie di
barzelletta di quartiere, facendo un lavoro improduttivo. Dopotutto, la strada
era già pulita, non è vero? A cosa serviva questa insensata monotonia?
E poi morì.
I nuovi vicini più giovani che si
trasferirono nella sua casa non avevano né tempo, né interesse, a spazzare i
marciapiedi. E la strada da allora non è mai stata pulita.
Sophie mi ricordò, ancora una
volta, cosa intendesse insegnarci l'impegno per il lavoro di Benedetto. Ho
riconosciuto in lei che il lavoro che svolgiamo non è così determinante quanto
il motivo per cui lo facciamo.
Il lavoro - ogni tipo di lavoro:
manuale, intellettuale, spirituale - è destinato ad essere il contributo delle
creature umane allo sviluppo della razza umana.
Il Benedettino lavora per
completare l'opera di Dio nell'edificazione del mondo. Noi lavoriamo, inoltre,
anche per completare noi stessi. Diventiamo più abili, più creativi, più
efficaci. Quando lavoriamo noi scopriamo che siamo veramente "buoni per
qualcosa".
Il lavoro, per come lo vede il
Benedettino, è un ascetismo che non è artificioso, non è simbolico. È reale. È
un compito che mi mette in solidarietà con i poveri per i quali i benefici del
lavoro sono pochi e lontani da loro, mentre le austerità sono costanti e la
sicurezza è tenue.
Il lavoro è il nostro dono per il
futuro e se il lavoro che facciamo è un contributo all'ordine ed alla venuta del
regno di Dio, e se lo facciamo bene, come Sophie, esso sarà necessario, e quando
non saremo lì per compierlo, ne sentiremo la mancanza.
Sacro tempo libero
Questa età ha bisogno anche di
ripensare al tempo libero. Il gioco ed il sacro tempo libero non sono le stesse
cose. Il tempo libero è il dono Benedettino della riflessione regolare e della
coscienza continua della presenza di Dio. Esso è il dono della contemplazione in
un mondo di azione.
Il sacro tempo libero è una pausa
necessaria da un mondo esageratamente in movimento che oramai si rivolge
incessantemente ad una tecnologia che non concede né lo spazio né il tempo
necessario per pensare.
Ricordo il giorno di alcuni anni
fa quando un giornalista mi chiamò per un'intervista su un documento che era
appena stato rilasciato da Roma.
"Non posso parlarti di questo,"
dissi io. "Non l'ho visto e non commento nulla che non ho avuto la possibilità
di leggere e studiare."
"Bene," disse, "se te lo mando,
me ne parlerai allora?"
Ho calcolato il tempo: era
giovedì. Il documento non poteva arrivare con la posta prima di lunedì, così ho
capito che avrei potuto rispettare la scadenza su cui stavo lavorando in quel
momento e avrei potuto leggere il nuovo documento prima che mi richiamasse.
"Va bene," dissi, "Puoi
mandarlo".
Qualche minuto dopo ho sentito un
insistente ticchettio proveniente da un ufficio in fondo al corridoio.
"Che cos'è?" Dissi alla sorella
in ufficio.
"È il fax", disse. "È qualcosa
per te da New York ed è già lungo più di ottanta pagine. C'è un appunto su come
richiamarti per parlarne oggi pomeriggio".
Questo è un mondo di alta
tecnologia, con tempi corti, carente di riflessione.
Il tempo libero benedettino è una
vita vissuta con un continuo impegno per lo sviluppo di una cultura con una
mente Sabbatica.
I rabbini insegnano che lo scopo
del Sabato è triplice: in primo luogo, rendere tutti - schiavi e cittadini -
liberi per almeno un giorno alla settimana.
Secondo, darci il tempo di fare
ciò che Dio ha fatto: valutare il nostro lavoro per vedere se è buono.
Ed infine, dicono i rabbini, lo
scopo del Sabato è riflettere sulla vita, determinare se quello che stiamo
facendo e chi siamo è ciò che dovremmo fare e chi vogliamo essere. Il Sabato è
pensato per portare saggezza ed azione insieme. Esso fornisce lo spazio di cui
abbiamo bisogno per ricominciare.
Se qualcosa ha portato il mondo
moderno sull'orlo della distruzione, deve sicuramente essere stata la perdita
del sacro tempo libero.
Quando la gente dorme nelle
stazioni della metropolitana, è il sacro tempo libero che si chiede perché.
Quando i bambini muoiono per
mancanza di cure mediche, è il sacro tempo libero che si chiede perché.
Quando migliaia di civili muoiono
a causa della "morte da droni" - i predatori aerei senza equipaggio che
bombardano le loro terre e le loro vite senza pietà - è il sacro tempo libero
che si chiede, come può essere questa la volontà di Dio?
Dare alle persone lo spazio per
leggere, riflettere e discutere le grandi questioni del tempo dal punto di vista
del Vangelo può essere uno dei più grandi doni del Benedettinismo in un secolo
in cui il caos dell'azione sta prosciugando i più profondi pozzi di saggezza
dell'umanità.
Dom Cuthbert Butler
[6]
scrisse una volta: "Non è la presenza di attività che distrugge la vita
contemplativa; è l'assenza di contemplazione".
Il sacro tempo libero è il
fondamento della contemplazione e la contemplazione è la capacità di vedere il
mondo come Dio vede il mondo. In effetti, la vita contemplativa non sarà
distrutta dall'attività, ma dall'assenza di contemplazione.
Nella spiritualità Benedettina,
la vita non è divisa in parti, una santa e l'altra mondana. Per la mente
Benedettina tutta la vita è santa. Tutte le azioni della vita affrontano l'esame
accurato di tutti gli ideali della vita. Tutta la vita è da tenere con mani
consacrate.
Chi guiderà le persone verso una
vita contemplativa, se non noi?
Gestione responsabile
[7]
La spiritualità della gestione
responsabile, uno dei doni più forti e più grandi del Benedettinismo, deve
essere ripensata nel nostro tempo.
I 180 chili di spazzatura per
cittadino degli Stati Uniti che il mondo non può smaltire sono costituiti dai
bicchieri di plastica che usiamo e dai barattoli di latta che abbiamo
abbandonato anziché riciclato, mentre il resto del mondo riutilizza tre o cinque
volte più materiale di noi. Gli umani oggi inquinano la terra, il mare ed il
cielo ad un tasso mai visto prima in nessun altro periodo della storia e noi
negli Stati Uniti più della maggior parte degli altri.
Ma i Benedettini prima di noi
hanno portato ordine e organizzazione, apprendimento, scrittura ed arte, gli
strumenti della civilizzazione ed il sostentamento dell'anima.
Essi hanno usato ogni forma umana
di educazione e di abilità per portare ordine fuori dal caos, uguaglianza alle
masse e risanamento al loro mondo. I benedettini prima di noi coltivavano la
terra arida e la rendevano verde. Essi hanno prosciugato le paludi e le hanno
coltivate. Hanno seminato l'Europa con colture che hanno contribuito a nutrire
intere popolazioni, allevato il bestiame che ha dato nuova vita, distillato
liquori e luppolo fermentato che ha portato gioia al cuore e salute al corpo.
Non è possibile vivere la vita con un cuore Benedettino e non coltivare i semi
della vita per ogni creatura vivente.
In che modo, come Benedettini, se
siamo dei seri cercatori (di Dio), possiamo basarci ora su ciò che non è
ecologico? Come possiamo immergere le nostre terre in prodotti chimici e
coltivare ciò che non è organico? Potremmo forse, come Benedettini, usare ciò
che è usa e getta e non indire neanche una riunione di comunità sulle
conseguenze per gli altri di ciò che facciamo?
Consentire a noi stessi di
diventare dei "chips" in un mondo elettronico, isolati in un universo
solidificato, donne e uomini fuori dal contatto con il pulsare vitale di un Dio
vivente, indifferenti alla creazione, preoccupati solo di noi stessi, ed ancora
ritenerci buoni. Tutto ciò significa scambiare i rituali della religione per le
profondità santificanti della spiritualità.
Il cercatore serio sa che siamo
qui per diventare le voci per la vita in tutto ed ovunque - come hanno fatto i
nostri antenati prima di noi per oltre 1.500 anni.
La spiritualità benedettina, la
spiritualità che contribuì a salvare il mondo dal declino, ci chiede di
trascorrere bene il nostro tempo, di contemplare il divino nell'umano, di
trattare ogni cosa nel mondo come sacra. Abbiamo bisogno della saggezza della
gestione della vita ora.
Comunità
La comunità è un concetto che la
nostra epoca deve riesaminare e rinnovare. Una vecchia signora della mia città
natale in Pennsylvania visse da sola nella sua stessa casa fino al giorno della
sua morte. Il problema è che morì diciotto mesi prima che il suo corpo fosse
ritrovato perché nessuno andò mai a trovarla, nessuno chiamò per vedere se
avesse ricevuto i suoi medicinali, nessuno andò a controllare quando le tolsero
l'acqua per mancanza di pagamento. E ce ne sono migliaia come lei in questo
nostro mondo.
E come stiamo allungando la mano
verso di loro? La comunità benedettina accetta per sua stessa natura che noi
esistiamo per essere miracolosi collaboratori l'uno dell'altro. È nella comunità
umana che siamo chiamati a crescere, è nella comunità umana che veniamo a vedere
Dio nell'altro. È nel suo impegno per costruire una comunità che il
Benedettinismo deve essere un segno per un mondo al limite dell'isolamento.
Ma una spiritualità benedettina
di comunità richiede più che solidarietà - il tipo di comunità più a buon
mercato. La spiritualità comunitaria richiede una mente aperta ed un cuore
aperto. Essa ci concentra sul Gesù che fu una minaccia per ogni mente chiusa in
Israele.
A quelli che pensavano che la
malattia fosse una punizione per il peccato, Gesù chiese un'apertura mentale. A
coloro che consideravano gli esattori delle tasse incapaci di salvezza, Gesù
chiese un'apertura mentale. Per quelli che credevano che il Messia - per essere
vero - dovesse essere una figura militare, Gesù fu un richiamo all'apertura
mentale.
Il cuore Benedettino - il cuore
che ha salvato l'Europa - è un luogo senza confini, un luogo in cui la realtà
dell'unità della comunità umana frantuma tutte le barriere, apre tutte le porte,
rifiuta tutti i pregiudizi, accoglie tutti gli stranieri e ascolta tutte le
voci.
La comunità non può essere data
per scontata. Dobbiamo chiederci sempre chi vi di trascurato e sconosciuto -
morente per la solitudine, il pregiudizio o il dolore - e che la tua e la mia
comunità aspettano che bussino alla porta, per cercarli, per accoglierli, per
tenerli fino a che non possano di nuovo vivere.
La vera comunità richiede la
consapevolezza dell'intera condizione umana - così che lo spirito Benedettino
possa diffondersi come una santa epidemia in tutto il mondo.
Umiltà
L'umiltà deve essere riscoperta
se vogliamo prendere il nostro giusto posto nel mondo in questa epoca. Era il 20
luglio 1969, la notte in cui gli Stati Uniti sbarcarono il primo uomo sulla
luna. Io ero in piedi accanto ad un insegnante di scambio straniera che era
venuta dal Messico per insegnarci lo spagnolo.
"Bene," risi io, guardando in
alto nel cielo notturno oscuro, "C'è l'uomo nella nostra luna". Mi sembrava di
poterla quasi toccare con mano. Con una voce leggera e concisa, disse "Non è la
vostra luna!"
In quel momento ricevetti una
lezione sull'umiltà benedettina, sulle relazioni internazionali, sul razzismo e
sul multiculturalismo che ne derivano, che nessuna maestra delle novizie era
stata in grado di articolare così altrettanto bene.
L'umiltà consiste nell'imparare
il proprio posto nell'universo, nel non rendere né se stessi né la propria
nazione il proprio dio. Si tratta di realizzare che siamo tutti uguali giocatori
in un progetto comune chiamato vita.
Imparare così può cambiare la
propria politica. Certamente cambierà la propria umanità - la propria anima.
In una cultura che accumula
denaro, titoli, potere e prestigio come oro, Benedetto fa del capitolo
sull'umiltà il valore chiave della sua regola di vita, scritta per uomini Romani
in una società che valorizzava il machismo, il potere e l'individualismo almeno
tanto come la nostra.
Era ed è l'antidoto ad una
società competitiva, spinta dal successo, ossessionata dall'immagine, che è il
segno distintivo dell'età moderna.
L'umiltà, l'accettazione del
nostro essere polvere, è anche l'antidoto al mito del perfezionismo che,
mascherato come santità, può affondare l'anima nella disperazione e portarla ad
abbandonare il vero pensiero di una vita veramente spirituale di fronte alla
paura degli stessi fallimenti.
Ci fa riconsiderare il nostro
cosiddetto patriottismo, il nostro sessismo, il nostro razzismo ed il nostro
narcisismo, sia personale che nazionale.
Ci fa riconsiderare anche la
nostra arroganza spirituale di fronte alle altre grandi tradizioni spirituali
del mondo.
Soprattutto, ci permette di
imparare e di crescere e di non rimanere mai delusi da ciò che non otteniamo
dalla vita perché, ci rendiamo finalmente conto, non è la nostra vita che deve
costituire il nostro primo obiettivo.
Abbiamo bisogno della saggezza
dell'umiltà ora. Abbiamo bisogno di quella qualità della vita che permetta alle
persone di vedere oltre se stesse, di valutare l'altro, di toccare il mondo
dolcemente, pacificamente e renderlo migliore man mano che procediamo.
Pace
Dobbiamo, soprattutto nel nostro
tempo, ripensare al significato della pace. Sopra l'arco di ogni monastero
medievale venivano incise le parole, Pax
intrantibus, "Pace a chi entra qui".
Le parole erano sia una speranza
che una promessa. In una cultura in lotta contro il caos sociale, Benedetto ha
delineato un progetto per la pace mondiale. Egli gettò le basi per un nuovo modo
di vivere, le cui ripercussioni si estendevano ben oltre il primo arco del
monastero in ogni cultura e continente da una generazione all'altra, da
quell'era a questa, dal suo tempo ed ora al nostro. Fino a noi.
Questa è la nostra eredità, il
nostro mandato, la nostra missione - vivi oggi come non mai, di cui abbiamo più
che mai bisogno oggi nel mondo nucleare.
Una volta potevamo insegnare che
la principale esportazione degli Stati Uniti era il grano. Ora dobbiamo
ammettere che lo sono le armi. Ogni anno armiamo 250 paesi diversi e forniamo
quasi la metà di tutte le armi vendute nel mondo, mentre noi condanniamo la loro
vendita.
In effetti, come Benedettini
dobbiamo ripensare al nostro impegno per la pace benedettina ed al nostro
obbligo di proclamarla in questo mondo. La pace benedettina, tuttavia, non è
semplicemente un impegno per l'assenza di guerra. È anche la presenza di uno
stile di vita che rende la guerra inaccettabile e la violenza ingiustificata.
Anche se domani smantellassimo
tutte le macchine da guerra del mondo, non sarebbe certo che avremmo la pace.
Gli eserciti del mondo semplicemente dimostrano la guerra che sta avvenendo
nelle nostre anime, l'irrequietezza del nemico dentro di noi, l'agitazione della
condizione umana andata storta.
A tutte queste cose dobbiamo
portare una nuova immaginazione spirituale. Immagina un mondo in cui le persone
scelgano il loro lavoro in base al bene che farà per i più poveri dei poveri -
perché lo hanno visto in noi.
Immagina un mondo in cui il sacro
tempo libero, la riflessione spirituale piuttosto che la convenienza politica,
iniziassero a determinare tutto ciò che facciamo come nazione - perché lo hanno
visto in noi.
Immagina un mondo in cui la cura
della terra è diventata un obiettivo vivente, respirante e determinante in ogni
famiglia, in ogni azienda, in ogni vita che tocchiamo - perché lo hanno visto in
noi.
Immagina un mondo destinato a
diventare una comunità di persone sconosciute che attraversa ogni livello di
età, ogni razza, ogni tradizione, ogni differenza sul globo - perché lo hanno
visto in noi.
Immagina un mondo in cui l'umile
ascolto dell'altro è diventato più importante del controllarlo - perché la gente
lo ha visto in noi.
Immagina un mondo in cui ciò che
crea la pace diventa il fondamento di ogni decisione personale, aziendale e
nazionale - perché sono stati invitati a farlo da noi.
Ed ora immagina cosa le comunità
ispirate da Benedetto possono fare, devono fare, faranno - consapevolmente,
collettivamente, coscienziosamente - portare queste cose in ogni area, regione,
strada, città, istituzione qui ed ora.
Risolviamoci ancora per seguire il rivoluzionario Benedetto da Norcia con gli
occhi pieni di luce, la cui unica vita illuminò la civiltà occidentale. In altre
parole, facciamo vivere la spiritualità benedettina e lasciamo che illumini il
nostro oscuro ma meraviglioso mondo
[8].
Sui Dialoghi di Gregorio
[9]
Fu un discepolo di Benedetto, che divenne Papa Gregorio Magno, a tramandarci la
vita di San Benedetto in un documento chiamato I Dialoghi di Gregorio. I
Dialoghi sono l’unica fonte di materiali biografici che abbiamo su Benedetto e
sua sorella Scolastica. Attraverso storie nello stile metaforico del tempo, i
Dialoghi danno un'idea delle loro qualità personali e del carattere della loro
anima piuttosto che un resoconto di semplici dettagli storici. I racconti
possono sembrare fantasiosi per l'uomo d'oggi, ma logici per il cuore. Queste
sono le cose di cui è costituita la vera umanità: la vita spirituale e la
comunità umana. Di conseguenza, Benedetto e Scolastica non brillano nella
costellazione umana delle personalità celebri a causa di chi o cosa sono come
individui. No, Benedetto e Scolastica si distinguono nella storia per quello che
l'esempio delle loro vite ha costruito per tutte le generazioni che li avrebbero
seguiti.
Sono convinto che il modo di
vita stabilito da Benedetto più di 1.500 anni fa è un dono ai nostri tempi, un
faro nell'oscurità che ci mostra ancora come vivere bene.
[1] Traduzione del testo, in un inglese-americano
abbastanza discorsivo, quasi letterale. Le note che seguono sono del
traduttore. Link al testo
originale.
[2] Letteralmente in inglese "mazzetti di fiori spirituali"
[3] Benedetto nacque nella piccola città di Norcia verso il
480 d.C., in un periodo storico particolarmente difficile. Quattro anni
prima (476) era formalmente finito l'Impero Romano d'occidente con la
deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augustolo. Fu contemporaneo di
Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti, e ne vide fallire nel sangue
l'ambizioso progetto di una pacifica convivenza con i Goti ed i Romani;
poté assistere agli orrori della terribile guerra fra i Goti e i
Bizantini per il predominio dell'Italia (535-553), guerra che lasciò
desolato e spopolato il paese tra stragi e pestilenze.
[4] Nel libro attribuito al profeta Daniele, al capitolo 5,
costui interpreta una scritta eseguita da una mano mandata da Dio su un
muro durante una festa del principe babilonese Baldassàr.
"E questo è lo scritto tracciato: Mene, Tekel, Peres, e questa ne è
l’interpretazione: Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto
fine; Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato
insufficiente; Peres: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai
Persiani" (Dn 5, 25-28).
[5] Nel testo vi è la sigla WASP. La locuzione "White
Anglo-Saxon Protestant", tradotta in italiano con "Bianco Anglo-Sassone
Protestante", indica un cittadino statunitense discendente dei
colonizzatori originari inglesi.
[6] Dom Cuthbert Butler (1858 – 1934), fu un Monaco
benedettino famoso come storico ecclesiastico, in particolare riguardo
al monachesimo nella Chiesa primitiva.
[7] In inglese "Stewardship". Questa parola non può essere
tradotta con un esatto termine italiano. Forse la traduzione più vicina
è quella di “gestione etica delle risorse e delle relazioni”.
[8] Il papa Gregorio Magno, nel Secondo Libro dei Dialoghi,
racconta che, poco prima di morire, san Benedetto ebbe la visione
dell’intero universo in un raggio di luce: «Benedetto
era in piedi alla finestra e pregava Iddio che tutto può. D’un tratto,
nel cuor della notte, vide una luce riversarsi dall’alto: aveva messo in
fuga tutte le tenebre della notte e splendeva sempre più al punto che,
irraggiando tra le tenebre, superava quella del giorno. Nel suo intento
contemplare sopraggiunse un qualcosa di veramente meraviglioso: come poi
raccontò, tutto il mondo, come fosse raccolto in una raggio di sole, fu
condotto davanti ai suoi occhi» (Dialoghi II, 25,1-2).
[9]
San Gregorio Magno (540 circa - 604), eletto Papa Gregorio I, fu
l'autore del primo resoconto biografico della vita di San Benedetto
scritto tra il 593 e il 594, trent'anni circa dopo la morte di san
Benedetto. I Dialoghi di San Gregorio sono una serie di libri inerenti
la vita di Santi italiani, abati, diaconi, suore, vescovi e sugli
aspetti della vita dopo la morte (paradiso, inferno e purgatorio). Il
secondo dei quattro libri è interamente dedicato a San Benedetto da
Norcia.
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21 luglio 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net