“LECTIO DIVINA” 3
«La ricerca della crescita
intellettuale è stata una parte normale della vita religiosa in Occidente.
Benedetto da Norcia, in una Regola scritta
nel VI secolo, richiede più tempo per la lettura e la riflessione, nella routine
quotidiana dei monaci, che per il lavoro manuale. La vita non era solo
preghiera e lavoro in questi monasteri. La vita era preghiera e lavoro,
riflessione e crescita umana, in modo che la preghiera e il lavoro avessero
sostanza, conservassero uno scopo, ne mantenessero l'integrità.»
Estratto da “Il fuoco sotto la cenere” (1) di Joan Chittister O.S.B.
Ed. San Paolo
Capitolo 13
Luce nelle tenebre
« Il lavoro di
un intellettuale ‑ ha scritto Michel Foucault in The Concern for Truth ‑ non è plasmare la volontà politica
degli altri; è, attraverso le analisi fatte nel proprio campo, riesaminare
prove e ipotesi, scuotere i modi abituali di lavorare e di pensare, dissipare
familiarità convenzionali, rivalutare regole e istituzioni ». Il lavoro
dell'intellettuale, in altre parole, è mettere un mondo compiaciuto di fronte
alle cose terribili che stanno alla base del suo compiacimento. Troppi sistemi,
affermando di promuovere l'umanità, esistono in effetti alle spalle di
popolazioni silenziose e invisibili che sono sacrificate per mantenerli. Ad
esempio, beviamo del buon caffè perché abitanti di villaggi di montagna muoiono
precocemente per farlo arrivare sulle nostre tavole a paghe da schiavi.
Chiediamo l'esportazione di raccolti dalle nazioni debitrici in tale grado che
non restano loro terreni sufficienti per fornire un orto ai contadini che
muoiono di fame, Togliamo i buoni viveri ai bambini poveri e diminuiamo le
tasse ai ricchi. La situazione non è nuova naturalmente. Più di una civiltà ha sacrificato
i poveri del suo mondo sull'altare dei suoi interessi nazionali, e li abbiamo
chiamati « pagani ». Peggio, lo hanno fatto spesso con sfarzo e bellezza, cor
rituali e gloria, con grande clamore e profondo rispetto. Alcune cose con
aspetti molto negativi possono sembrare molto buone, se non guardiamo troppo in
profondità. La vita religiosa può subire lo stesso destino.
Perché la vita
religiosa adesso si guadagni il pane che mangia, abbiamo bisogno di pensatori
che ci portino oltre le parole gentili e le opere buone per la gente disperata,
oltre il tipo di carità che rende gradito l'osceno, fino al tipo di giustizia
che rende l'osceno impossibile.
Abbiamo bisogno
di osservatori morali dell'universo che ci richiamino sulle vette dell'umanità
dalle oscure profondità di quel genere di progresso folle, conquistato a spese
dei poveri invisibili.
« Che cosa
sapevano e quando l'hanno saputo? » è diventata una domanda politica molto
popolare in questo periodo. Ma non è la domanda che devono fare a se stessi i
religiosi. La più importante questione morale per i religiosi di quest'epoca è
più semplice e allo stesso tempo più profonda della valutazione di fatti e
ricordi, esperienze e informazioni. La domanda per i religiosi di questo tempo
è: « Che cosa non so e perché non lo so? ». La ricerca intellettuale delle
grandi questioni teologiche, politiche, economiche e sociali del tempo è adesso
la sostanza della disciplina religiosa in questo secolo.
Data l'interconnessione
dei sistemi, il globalismo della vita umana, l'universalismo dell'esperienza e
l'economia delle politiche nazionali, fare « opere buone » può essere proprio
ciò che serve di meno all'umanità. Senza saperlo, ad esempio, noi stessi
possiamo diventare sostenitori inconsapevoli di un sistema oppressivo. Possiamo
fare le infermiere in ospedali che rifiutano la cura agli indigenti, possiamo
insegnare in scuole che discriminano le impiegate donne, possiamo investire in
compagnie che fanno congegni al plutonio, possiamo coltivare enormi estensioni
di terra con fertilizzanti che distruggono quella terra per generazioni a
venire, possiamo recitare preghiere che schiavizzano metà della razza umana
semplicemente rendendola invisibile. In questi giorni fare qualsiasi cosa senza
sapere chi ne trae vantaggio e perché può minare lo stesso ministero nel quale
siamo più impegnati. Non c'è dubbio, la vita intellettuale è sempre stata
importante per l'impegno religioso. Ma adesso la crescita intellettuale rivela il
merito della vita religiosa come mai prima nella storia, non foss'altro che per
la portata delle questioni in cui siamo immersi. La pioggia acida in Occidente
distrugge le foreste in Oriente; la guerra in Medio Oriente causa la
depressione in Occidente; la politica alimentare in Occidente fa morire di fame
i bambini in Africa; lo spostamento di fabbriche da Detroit alla Cambogia
lascia la forza lavoro di entrambe le regioni senza lavoro e senza speranza.
Dire di poter
essere d'aiuto ai poveri in un mondo simile e non leggere mai un solo articolo
sul debito nazionale; pensare di poter essere parti morali di una comunità
globale e non studiare mai niente sul debito del Terzo Mondo; immaginare di
poter salvare il pianeta e non imparare mai niente sull'ecologia; desumere di
lavorare per promuovere la questione femminile ma non andare mai a una
conferenza di donne, non leggere mai un teologo femminista o non spendere un
minuto a seguire la storia delle idee sulle donne; dire che ci preoccupiamo dei
senzatetto che muoiono e non dire mai niente del male che ne è responsabile o
della mancanza di cure mediche per gli indigenti, sa ‑ nel migliore dei
casi ‑ di debole convinzione. Fare semplicemente cose gentili non basta
più. L'istruzione professionale che ci predispone a particolari abilità ma
trascura di preparare una persona a trattare i grandi problemi della vita umana
non basta più. Il mondo ha bisogno di pensatori che considerino il pensare una
disciplina spirituale. Qualsiasi altra cosa può ben essere un rifiuto praticato
in nome della religione.
La ricerca della crescita intellettuale
La ricerca
della crescita intellettuale è stata una parte normale della vita religiosa in
Occidente. Benedetto da Norcia, in una Regola
scritta nel VI secolo, richiede più tempo per la lettura e la riflessione,
nella routine quotidiana dei monaci, che per il lavoro manuale. La vita non era
solo preghiera e lavoro in questi monasteri. La vita era preghiera e lavoro,
riflessione e crescita umana, in modo che la preghiera e il lavoro avessero
sostanza, conservassero uno scopo, ne mantenessero l'integrità. Dobbiamo sapere
che cosa pensiamo, prima di poter decidere che cosa abbiamo più bisogno di
fare. Dobbiamo sapere perché facciamo quello che facciamo, o quello che
facciamo diventa almeno sospetto, se non addirittura dannoso.
Sulla qualità
della crescita intellettuale esercitata nella vita religiosa si decide
l'efficacia definitiva di una congregazione, la profondità della sua vita
spirituale, il valore dei suoi ministeri, il calibro dei suoi membri e la
dimensione profetica del suo carisma. Per un religioso fare « opere buone »,
senza coltivare allo stesso tempo i doni intellettuali che permettono di
incalzare i problemi fino a trovarne le cause, significherà sicuramente
dilapidare le migliori risorse che un gruppo ha per costruire un futuro
fiammeggiante.
Senza un grande
rispetto per la cultura e la ricerca approfondita, le comunità religiose si
spostano molto velocemente dalla teologia alla devozione. La buona volontà, il
buon cuore e un grande amore per Dio trovano in qualche modo espressione, sia
con intelligenza, sano sviluppo e arte, che senza. Non è che la devozione non
sia buona. Al contrario. Tutta la preparazione intellettuale del mondo non
sostituirà ore di preghiera e pienezza di fede. E' solo che la devozione non
basta. La devozione senza teologia, senza studio, senza riflessione, si
trasforma facilmente da precetto scritturale a precetto terapeutico, magico,
alla dimostrazione del significativo senza rispetto per le conseguenze
spirituali. Più di una buona idea è finita male per mancanza di sostanza. La
devozione mi fa sentire buono; la teologia mi protegge dal sostituire reazioni
unicamente personali a intuizioni cosmiche.
La vita
intellettuale traccia la via spirituale. L'attivismo viene facile ai religiosi.
Una vecchia storia di servizio sociale, la storia immediatamente passata di
espansione organizzativa e personalissime esperienze di ministeri
istituzionali, guadagnati a forza di lunghe sofferenze e vite di duro lavoro,
si traduce fino a oggi in attività costante, vite generose e presenza
compassionevole. I risultati di centinaia di anni di servizio sono dovunque
chiari da vedere: un ospedale qui, un vecchio orfanotrofio lì, un bell'istituto
universitario in mezzo alla città, piccole scuole elementari nel cuore della
campagna. E, più recentemente, centri di pace e giustizia in vecchi edifici di
noviziato, case d'accoglienza nel centro della città, alloggi per gli anziani a
basso reddito sui terreni della casamadre, giardini di gruppo e mense per i
poveri, tutti attestati del continuo impegno dei religiosi verso la sofferenza
del mondo. Ma quello che per quest'epoca è altrettanto importante
dell'istruzione professionale del passato è la crescente preparazione dei
religiosi nei problemi dell'epoca, e le nostre risposte alle domande: « Perché
facciamo ciò che facciamo? », « Che cosa dovremmo fare adesso? ». L'impulso,
l'intuizione e la consapevolezza alimentano il pensiero, ma possono ben avere
una vita breve senza di esso.
Pungoli sociali
del sistema, i religiosi devono sapere di che cosa parlano quando testimoniano
davanti alle commissioni del Senato a Washington, firmano petizioni nella
Pennsylvania rurale, fanno pressioni su gruppi pubblici in materia di ecologia,
chiedono una nuova legislazione per i poveri, discutono l'ordinazione delle
donne e l'uso di un linguaggio inclusivo con gli ecclesiastici locali, e tutte
queste cose in nome di Dio e nell'interesse di carismi cristiani vecchi di
secoli. Quando i Benedettini parlano di pace, dovrebbero capire le cause della
guerra; perché una suora della Misericordia parli efficacemente a favore delle
donne nella Chiesa, deve essere eloquente circa la teologia che le ha oppresse;
perché un Francescano predichi sulla presenza di Dio nella natura, deve essere
preparato a spiegare il danno profanatore degli inquinanti. Non come i
generali, gli storici o i chimici, forse, ma certamente come testimoni istruiti
che portano all'argomento non solo del buon zelo ma del buon pensiero.
La vita intellettuale
dà sostanza all'anima e credibilità al ministero. « Le idee sono cose potenti ‑
scrive Midge Dexter ‑ che richiedono non attenta meditazione ma azione,
anche se è solo un'azione interiore. La loro acquisizione obbliga ognuno di noi
a cambiare in qualche modo la nostra vita, anche se è solo la nostra vita
interiore. Chiedono di essere sostenute. Dettano dove dobbiamo concentrare la
nostra visione. Determinano le nostre priorità morali e intellettuali ».
Chiaramente, la vita intellettuale non è una distrazione dal vero scopo della
vita religiosa. L'intelligente proclamazione dell'amorevole presenza di Dio nel
tempo è il vero scopo della vita religiosa.
Una presenza evangelica
I religiosi non
sono gli oranti professionali della società. I religiosi non sono la risposta
di questo secolo ai sacerdoti della messa dell'Alto Medioevo, uomini largamente
analfabeti che erano ordinati solo per fornire un flusso di liturgie
eucaristiche in mezzo alla Chiesa. Né i religiosi sono i fornitori moderni
della teologia della sostituzione nello spirito dei monaci medievali, il cui
compito era di servire i loro ricchi benefattori, le persone attive e
importanti del tempo, eseguendo le penitenze al loro posto. No,la vita
religiosa consiste semplicemente nell'essere, in mezzo alla città, una presenza
evangelica i cui membri, immersi nella preghiera e spinti da coraggio
contemplativo, diventano voci di speranza e voci di avvertimento per tutta la
metropoli. Per fare questo, un religioso deve essere sia preparato che coinvolto,
sia profetico che fervente.
Il momento
presenta una situazione precaria. Afflitte dall'anomia, davanti a risorse
diminuite, di fronte a molteplici nuovi bisogni sociali ed ecclesiali, in lotta
con il problema della liturgia e del linguaggio in una Chiesa patriarcale,
eppure custodi di carboni che bruciano ancora, ancora piene di grande vita in
questo tempo morente, le congregazioni religiose devono occuparsi degli stessi
problemi delle loro fondatrici e dei loro fondatori: è adesso il momento di costruire
nuove istituzioni senza discutere o di prepararci professionalmente a nuovi
servizi, senza badare al costo? Dovremmo essere membri che si istruiscono in
biologia marina per poter essere in grado in dieci anni di avere un effetto
sulla questione ecologica o adesso dovremmo invece avviare cliniche mobili?
Dovremmo mandare le donne più giovani all'università per diplomarsi in teologia
femminista o dovremmo rinnovare il centro di ricovero, nella speranza di
costruire lì un nuovo ministero per le donne? Dovremmo studiare di più o
pregare di più? La risposta è sì e no. La risposta è nessuna delle due cose ed
entrambe. Uno dei due approcci senza l'altro lascerà le congregazioni religiose
vulnerabili al cambiamento o preda della tentazione di immutabilità.
Rifugiarsi in
qualche genere di trance meditativo per aspettare il millennio, esaurirci in
un'attività frenetica ma futile, sistemarci solo a vivere fino in fondo
qualcosa che è già morto anni prima di noi è indegno della nostra storia, del
nostro scopo, della nostra eredità spirituale e di noi stessi come esseri umani
responsabili in un tempo di disintegrazione umana. Il fatto è che nessuna di
queste alternative è valida. Non possiamo essere o una cosa o l'altra. Dobbiamo
essere sia pensatori che operatori, sia fervida presenza che testimonianza
profetica.
L'onestà
profetica non è una scelta per i religiosi, è un requisito. Essere immersi
nella Scrittura implica che siamo votati all'arrivo del regno di Dio. Implica,
ancora di più, che ci dedicheremo a conoscerlo e anche a portarlo. Ma per
vivere fino in fondo la volontà di Dio ci vuole moltissimo studio, un impegno
sia alla riflessione che all'azione.
Allora, per le
congregazioni religiose non è il momento di abbandonare un impegno storico
nella cultura solo perché questa adesso è più una disciplina spirituale che un
requisito professionale. Solo perché non educhiamo più per fornire di personale
le istituzioni comunitarie o per soddisfare i requisiti di certificazione
statale, non significa che non abbiamo bisogno più che mai di istruzione.
Altrimenti come potremmo noi stessi sapere chi seguire? Altrimenti come
potremmo noi stessi sapere che cosa fare dopo, in un mondo pieno di esperti in
tensione e al servizio di così tanti altri dèi?
La vita
intellettuale mantiene viva la fiamma della riflessione in una società più
dedita a reazioni violente e a risposte irriflessive, di breve durata come
valore, troppo spesso eterne come danno. Il mondo non si serve con rigido
conservatorismo, liberalismo impulsivo, perorazioni con il cuore che sanguina e
pensiero propagandistico. La voce religiosa deve essere una voce che porta al
dibattito pubblico il meglio della tradizione, le cose migliori dell'analisi
teologica, le cose più penetranti della percezione sociale e i valori evangelici
più stimolanti. I religiosi che parlano per i poveri devono parlare con
saggezza, coraggio, meditazione e bene. Non abbiamo più il valore verificato
dal tempo delle vecchie istituzioni per appoggiare la giustificazione logica su
cui basiamo le nostre vite. E' passata da molto l'epoca in cui tutti facciamo
oggi quello che tutti facevano ieri, perché qualcuno prima di noi capì che era
buono per un altro tempo. Da adesso in poi sarà insolito edificare istituzioni,
non foss'altro perché i bisogni cambieranno più velocemente di quanto possano
essere costruite le istituzioni per servirli. Da adesso in poi, ognuno di noi
dovrà pesare, valutare, accertare e determinare il valore eterno di ogni
singola cosa che facciamo, la sua relazione al carisma, al bisogno umano, alla
vita eterna e all'impegno cristiano. Dobbiamo portare a ogni ministero e a
tutti i ministeri più dei servizio. Dobbiamo portare i chiari valori e le ferme
convinzioni che occorreranno per essere lì come compagni e avvocati nel lungo,
faticoso cammino verso la giustizia.
L'intellettualismo
ci porta al di là del fondamentalismo, oltre l'interpretazione letterale, nel
luogo in cui le persone con intuizioni diverse e bisogni differenti possono
arrivare a vedere ognuno la posizione dell'altro in modi che fanno cantare il
vangelo. L'impegno non è un esercizio di pensiero bianco o nero. Il vero
impegno in una materia ci porta a una profondità di comprensione di questa
finché lì, in quella complessità, la virtù dell'amore tormenta le nostre anime.
Allora, a quel punto, la presenza religiosa diventa religiosa.
La preghiera,
il ministero, la profezia, lo sviluppo comunitario e la crescita personale
richiedono tutti una profondità intellettuale. Dire che viviamo una vita
riflessiva senza qualcosa di sostanza su cui riflettere fa della vita una
mistificazione. « In principio era il Verbo », ci insegna il vangelo. Senza
immergerci nel Verbo, qualsiasi parola diciamo manca di significato, manca di
motivo, manca di dono. In questa cultura il valore dell'istruzione risiede
troppo spesso nel vantaggio che fornisce. Molte persone non studiano per il
sincero piacere di sondare la mente della creazione, ma per ottenere lavori
invece di professioni, per far soldi invece di fare del mondo un posto migliore
in cui vivere per tutta l'umanità. In tale ambiente, l'impegno intellettuale
dei religiosi alla riflessione, alla cultura, alla bellezza e alla verità in
questo nuovo momento della storia, un giorno sarà sicuramente considerato come
parte del processo di grieshog, di coprire i carboni, di conservare il
fuoco, di arrivare a fiammeggiare in modi nuovi che un nuovo mondo possa
vedere.
(Il grieshog: Gli Irlandesi hanno una parola per significare questo. Il grieshog ‑afferma chi parla la lingua gaelica ‑ è il processo per cui di notte si nascondevano nelle ceneri tizzoni ardenti con lo scopo di conservare il fuoco per il freddo mattino successivo. Invece di ripulire il focolare spento, la gente conservava carboni accesi sotto strati di cenere per tutta la notte, in modo da avere subito un nuovo fuoco il giorno dopo. Il processo è estremamente importante. Altrimenti, se i carboni si spengono, bisogna fare un fuoco completamente nuovo e accenderlo quando arriva il mattino, un esercizio che prende tempo prezioso e rallenta il lavoro del nuovo giorno che è più importante. La preoccupazione principale, allora, era di non permettere al fuoco del giorno precedente di bruciare completamente alla fine del giorno. Al contrario, i carboni, nascosti alla vista sotto diversi strati di cenere durante la notte lunga e buia, erano attentamente custoditi così che il fuoco si potesse ravvivare al primo tentativo. Il vecchio fuoco non moriva; conservava il suo calore per essere pronto ad accendere il nuovo.
E un processo santo, questa conservazione di scopo, di energia, di calore e di luce nel buio. Ciò che chiamiamo morte e fine e perdita nelle nostre vite, quando una cosa si trasforma in un'altra, può essere meglio capito, in questi termini, come grieshog, come la preservazione dei carboni, come rifiutare di raffreddarsi. La nostra responsabilità, sia dei nuovi che dei vecchi membri, può essere semplicemente quella di rimanere religiosi fino al giorno in cui moriamo perché la vita religiosa possa continuare a vivere molto dopo di noi.)
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net