LE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di GIOVANNI CASSIANO

LIBRO PRIMO

L'ABITO DEI MONACI

"Libera traduzione"

Link al testo latino con traduzione a fronte

 

CAPITOLO PRIMO. L'abbigliamento dei monaci.

Dovendo parlare delle istituzioni e delle regole dei monasteri, quale migliore inizio potremmo scegliere, con la grazia di Dio, se non l'abbigliamento stesso dei monaci?  Potremo allora esporre la loro bellezza interiore, dopo che avremo rappresentato sotto il nostro sguardo l'ornamento esteriore.

CAPITOLO II. La cintura del monaco [1].

Come un soldato di Cristo, il monaco deve camminare costantemente in tenuta da combattimento, con i lombi cinti (Lc 12,35). In effetti l'autorità divina delle Scritture ci rivela che coloro che, nell'Antico Testamento, hanno posto le prime basi di questo stato di vita, Elia ed Eliseo, camminavano in questo modo. Da allora noi sappiamo che i capi e gli autori del Nuovo Testamento, Giovanni, Pietro, Paolo e gli altri membri del loro gruppo hanno camminato allo stesso modo.

Nell'Antico Testamento il primo di questi che prefigurava già i fiori della verginità e l'esempio della castità e della continenza era stato inviato dal Signore ai messaggeri di Acazia, il sacrilego re d'Israele, per rimproverarli del fatto che il re, contagiato dalla malattia, li aveva mandati a consultare il dio di Accaron, Baal-Zebud sullo stato della sua salute, (2Re 1,3-4). Pertanto, avendoli incontrati, il profeta dichiarò che il re non sarebbe sceso dal letto su cui stava coricato. Il profeta fu riconosciuto dal re che era nel suo letto quando fu informato della qualità della sua veste.

Quando i messaggeri tornarono e riferirono al re l'asserzione del profeta, egli domandò dell'aspetto e dei vestiti dell'uomo che era venuto ad incontrarli e che aveva loro detto queste parole. Essi risposero: «Era un uomo coperto di peli; una cintura di cuoio gli cingeva i fianchi». Da questa descrizione il re riconobbe subito l'uomo di Dio e disse: «Quello è Elia, il Tisbita!» (2Re 1,8), riconoscendo senza esitazione l'uomo di Dio dal segno della cintura e da questa apparenza grossolana e trascurata; poiché, tra tante migliaia di israeliti, questo segno apparteneva solo a lui e lo distingueva per sempre, come fosse un marchio indelebile del suo stile di vita.

Anche di Giovanni Battista, che appare come una fine ed un inizio, una sorta di soglia sacra tra l'Antico ed il Nuovo Testamento, l'Evangelista ci insegna la stessa cosa: "Giovanni, portava un vestito di peli di cammello ed una cintura di pelle attorno ai fianchi" (Mt 3,4).

Anche a Pietro, messo in prigione da Erode per essere messo a morte il giorno dopo, si avvicinò un angelo che gli comandò: «Mettiti la cintura e legati i sandali» (At 12,8). L'angelo di Dio non l'avrebbe mai avvertito di farlo se non avesse visto che, per ristorarsi durante il riposo notturno, aveva un po' disteso le sue membra stanche sciogliendo la sua cintura che di solito le stringeva.

Quanto a Paolo, che stava salendo a Gerusalemme per essere gettato in catene dai giudei, il profeta Agabo, trovandolo a Cesarea, gli tolse la cintura e con questa si legò mani e piedi per prefigurare con questo gesto le ingiurie della sua passione e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani» (At 21,11). Ora il profeta non avrebbe mai potuto pronunciare queste parole, né dire " l’uomo al quale appartiene questa cintura ", se Paolo non avesse avuto l'abitudine di cingersi costantemente i fianchi.

CAPITOLO III. La veste del monaco.

Per quanto riguarda la veste del monaco, è sufficiente che copra il corpo, rimuova la vergogna della nudità e prevenga la sofferenza del freddo, ma non deve nutrire i semi della vanità e dell'orgoglio, come insegna lo stesso Apostolo Paolo: " Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci" (1Tm 6,8). Dice "operimenta", "coperture" e non "vestimenta", "vestiti", - come alcuni manoscritti latini espongono erroneamente - per significare un indumento che copre solo il corpo senza lusingarlo con la vanità della foggia; che è così grossolano che nessuna stravaganza nel colore o nella forma lo distingue da quello di altri che hanno abbracciato la stessa professione di vita; così svincolati da ogni eccessiva ricercatezza da non essere coperti di macchie o scoloriti a causa di una ricercata noncuranza. Ed infine questo indumento è così privato dell'eleganza di questo mondo da poter rappresentare in ogni circostanza la veste comune dei servi di Dio. Infatti, qualunque cosa sia detenuta da uno solo o da una minoranza dei servi di Dio, ma non sia posseduta universalmente da tutto il corpo della fraternità, tutto ciò è superfluo o pretenzioso. Per questa ragione deve essere giudicata nociva e come manifestazione di vanità piuttosto che di virtù [2]. Perciò sarà necessario che noi eliminiamo come superfluo ed inutile tutto ciò di cui non vediamo esempi né tra i santi dell'antichità che hanno posto le basi di questo stato di vita, né tra i Padri del nostro tempo che, fino ad oggi, conservano le istituzioni che hanno ricevuto.

Questo è il motivo per cui essi hanno rifiutato categoricamente un indumento fatto di pelo di capra (cilicinam vestem), perché tutti lo vedono e lo notano e, come tale, lungi dal procurare alcun guadagno spirituale, può solo dare origine a vanità; inoltre, è scomodo e inadatto per il lavoro da svolgere e per il quale il monaco deve essere sempre perfettamente disponibile. Senza dubbio abbiamo sentito parlare di alcuni che, vestiti in tal modo, conducevano una vita encomiabile [3]. Ma per questo motivo non dobbiamo prescriverlo come regola dei monasteri, né sopprimere gli antichi decreti dei santi Padri, solo perché pochi, per il privilegio delle loro altre virtù, non sono apparsi biasimevoli anche quando si sono comportati in modo contrario alla regola comune. Perché ad una disposizione valida per tutti non deve essere preferita né portare pregiudizio l'opinione di alcuni.

Infatti, le istituzioni alle quali noi dobbiamo attribuire una fiducia incrollabile ed un'obbedienza incondizionata non sono quelle introdotte dalla volontà di una minoranza, ma quelle che ci sono state trasmesse di generazione in generazione dai tempi antichi e dall'accordo della moltitudine dei santi Padri. E non dobbiamo prendere troppo rapidamente come esempio del nostro comportamento quotidiano né il fatto che Ioram, il re sacrilego di Israele, circondato da truppe nemiche abbia mostrato, strappandosi la veste, di indossare un cilicio (2Re 6,30), né che i Niniviti, per attenuare la condanna che Dio aveva portato contro di loro per mezzo del profeta, si vestirono dell'austerità del cilicio (Gn 3,5). Perché risulta che il primo abbia indossato il cilicio come indumento così nascosto che, se non si fosse strappato la veste, nessuno avrebbe potuto notarlo. Quanto ai Niniviti, si inflissero una veste di cilicio nel momento in cui tutti piangevano per l'imminente rovina della città e poiché erano tutti vestiti con la stessa veste, nessuno poteva accusare gli altri di ostentazione. Poiché se la diversità non urta contro il costume comune (ma coinvolge tutti), la disuguaglianza non stupisce.

CAPITOLO IV. Il cappuccio degli Egiziani.

Inoltre, nell'abbigliamento degli Egiziani vi sono alcuni elementi che non sono così adatti alla cura del corpo, ma stanno a significare il loro modo di vivere, così che anche nel modo di vestire venga mantenuta la pratica della semplicità e dell'innocenza. E' così che essi portano costantemente, giorno e notte, piccoli cappucci (cucullus) che scendono sulla nuca e sulle spalle e che coprono solo la testa, in modo che siano indotti a mantenere con perseveranza l'innocenza e la semplicità dei bambini che imitano con questa cuffia [4]. Ritornati così all'infanzia, ad ogni ora cantano a Cristo con tutto il loro cuore: " Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia" (Sal 131 (130), 1-2).

CAPITOLO V. Le tuniche degli Egiziani.

Essi indossano anche delle piccole tuniche di lino (colobion) che arrivano appena ai gomiti, lasciando nudo il resto del braccio. Questa mancanza delle maniche suggerisce la loro rinuncia a tutti gli atti e le opere di questo mondo. L'indumento di lino che li copre insegna loro che sono morti ad ogni modo di vivere sulla terra [5] ed in questo modo ascoltano tutti i giorni ciò che dice loro l'Apostolo: " Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra " (Col 3,5). Il loro stesso indumento ne rende testimonianza: " Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! " (Col 3,3); e: " Non vivo più io, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20); e ancora: " Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo " (Gal 6,14).

CAPITOLO VI. Le fasce (rebrachiatoria).

Indossano anche due piccole cordicelle intrecciate di filo di lino, che i greci chiamano analaboi, che noi possiamo chiamare bretelle (subcinctoria) o cinghie (redimicula) o, correttamente, fasce (rebrachiatoria). Partendo dalla nuca e separandosi in due attorno al collo, si avvolgono attorno ai fianchi, sollevano gli indumenti ampi e lunghi e li chiudono vicino al corpo. E con le braccia così mantenute, essi sono pronti e disponibili per ogni lavoro [6], impegnandosi con tutte le loro forze per adempiere a questo precetto dell'Apostolo: " Alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani" (At 20,34). " Né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi" (2Ts 3,8). E ancora: " Chi non vuole lavorare, neppure mangi" (2Ts 3,10).

CAPITOLO VII. La mantellina (maforte).

E poi coprono il collo e le spalle con una piccola mantellina [7], cercando così una tenuta al tempo stesso umile, ordinaria e di basso prezzo. Nella nostra lingua, come nella loro, la chiamiamo "maforte". In questo modo evitano sia il prezzo elevato che lo sfoggio delle pianete (planeticae) o di sfarzosi mantelli (byrri) [8].

CAPITOLO VIII: La melote [9] o pelle di capra.

L'ultima parte del loro abbigliamento è la pelle di capra - che chiamano "melote" o "pera" - ed il bastone. Essi li portano ad imitazione di coloro che, nell'Antico Testamento, hanno abbozzato i primi inizi di questo stato di vita. L'Apostolo dice di loro: " Andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra" (Eb 11,37-38)

Tuttavia, questo abito di pelle di capra significa che, dopo aver soffocato l'inquietudine delle passioni carnali, devono rimanere incrollabili nelle più alte virtù e che nulla deve rimanere nei loro corpi dello sfrontato ardore della giovinezza e della loro precedente instabilità.

CAPITOLO IX. Il bastone.

Che questi stessi personaggi portassero anche un bastone è uno di loro, Eliseo, che ce lo insegna quando dice al suo servitore Giezi, inviandolo a rianimare il figlio della donna: " Prendi in mano il mio bastone e parti.... Metterai il mio bastone sulla faccia del ragazzo" ed egli vivrà (2Re 4,29). In verità, il profeta non glielo avrebbe dato da portare con sé se non avesse avuto l'abitudine di tenerlo costantemente in mano. Questo uso del bastone insegna loro, in senso spirituale, che non devono mai camminare disarmati in mezzo alla moltitudine di cani che abbaiano, che sono i vizi, e di bestie invisibili, che sono gli spiriti maligni [10] di cui il Beato Davide chiede di essere liberato quando dice: " Non dare in potere delle bestie - o Signore - le anime di coloro che confidano in te" (Sal 73,19 Volg.). Ma quando queste bestie irrompono, devono essere respinte ed allontanate dal segno della croce e, quando si scatenano, occorre soffocarli col persistente ricordo della passione del Signore e con l'imitazione della sua mortificazione.

CAPITOLO X. Le loro calzature.

Rinunciano alle calzature, come vietato dal precetto evangelico (Lc 10,4; Mt 10,10) ma, quando lo richiedono la malattia, il freddo mattiniero dell'inverno o il caldo dell'estate a mezzogiorno, allora proteggono i piedi solo con i sandali [11]. Questo uso, che il Signore consente (Mc 6,9), lo interpretano nel seguente senso: poiché, vivendo in questo mondo non possiamo essere completamente liberati dalle cure che questa carne richiede, né pretendere di liberarcene completamente, almeno dobbiamo soddisfare a questa necessità del corpo senza troppa preoccupazione o turbamento. Neppure dobbiamo tollerare che i piedi della nostra anima siano intrappolati nelle mortali preoccupazioni di questo mondo e dalla preoccupazione di soddisfare non le esigenze della natura, ma un desiderio inutile e malsano. Questi piedi dell'anima, infatti, devono essere disponibili per la corsa spirituale, sempre pronti a predicare la pace del Vangelo; con loro corriamo "dietro la fragranza dei profumi" (Ct 1,3) di Cristo, ed è su di loro che Davide dice "ho corso con la sete" (Sal 61,4: Volg.), e Geremia: "Io non ho faticato nel seguirti" (Ger 17,16: Volg). Noi compiremo ciò se, secondo l'Apostolo, non soddisferemo "i desideri della carne" (Rm 13,14).

Eppure, sebbene usino questi sandali lecitamente, poiché sono concessi dal comando del Signore, non tollerano mai di averli ai piedi quando si preparano a celebrare od a prendere parte ai santi misteri, considerando che è necessario osservare anche alla lettera ciò che è detto a Mosè ed a Giosuè, figlio di Nun: " Togliti i sandali dai tuoi piedi (Lett. Sciogli il legaccio dei tuoi sandali), perché il luogo sul quale tu stai è santo! " (Es 3,5; Gs 5,15) [12].

CAPITOLO XI [13]. Gli aggiustamenti che occorre apportare a queste osservanze, secondo la natura del clima e l'usanza locale.

Tutto ciò deve essere detto perché non sembri di aver omesso nulla dall'abito degli (anacoreti) Egiziani. Ma noi dobbiamo prendere in considerazione solo ciò che è consentito dalla situazione geografica e dalla consuetudine della regione, perché la durezza dell'inverno non ci permette di accontentarci dei sandali (gallica) e di un colobion, ovvero di una sola tunica. Inoltre, il coprirsi con un minuscolo cappuccio o l'indossare una pelle di capra, la melote, provocherebbe in coloro che ci vedono la derisione piuttosto che l'edificazione. Pertanto riteniamo di dover adottare, delle cose che abbiamo ricordato sopra, solo ciò che è compatibile con l'umiltà del nostro stato di vita e del clima, in modo che tutti i nostri vestiti non siano costituiti da una originalità che può suscitare disapprovazione da parte degli uomini di questo secolo, ma siano di una dignitosa modestia.

CAPITOLO XII. La cintura spirituale ed il suo significato mistico.

E così, vestito con questo abbigliamento, il soldato di Cristo sappia prima di tutto che è provvisto di una cintura che lo stringe al fine di essere non solo pronto interiormente per tutti i servizi ed i lavori del monastero, ma sappia anche che, grazie al suo stesso abito, potrà svolgerli sempre speditamente [14]. Perché egli dimostrerà il suo fervore per il progresso spirituale e la scienza delle cose divine che dona la purezza del cuore, in proporzione al suo zelo per l'obbedienza ed il lavoro.

In secondo luogo, sappia anche che questa cintura costituisce un segno significativo di ciò che gli viene richiesto. In effetti, cingendo i lombi e coprendoli con una pelle morta significa che egli testimonia la mortificazione delle membra in cui sono contenuti i semi della passione e della lussuria. Così comprenderà sempre il comandamento evangelico che dice: " (Siate pronti), con le vesti strette ai fianchi" (Lc 14,35) come riferito a se stesso secondo l'interpretazione dell'Apostolo: " Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi " (Col 3,5).

E leggiamo nelle sacre Scritture che indossavano una cintura solo coloro nei quali si era estinto il fuoco del desiderio carnale e che proclamano con le loro opere e la loro virtù questa parola del Beato Davide: " Io son diventato come un otre esposto al gelo " (Sal 118,83: Volg.). Dopo aver distrutto fino alle midolla la carne del peccato, essi distendono con il vigore dello spirito la pelle morta dell'uomo esteriore. Così il salmista aggiunse di proposito "al gelo", perché essi non si sono accontentati della mera mortificazione del cuore, ma hanno anche congelato i movimenti dell'uomo esteriore e la passione che è propria della natura, applicandovi dall'esterno il ghiaccio della continenza [15]. Secondo le parole dell'Apostolo non dovranno più sopportare il regno di peccato sul loro corpo mortale e neppure il peso della carne contraria allo spirito (Gal 5,17) [16].



[1] Questo capitolo si ispira chiaramente alle "Grandi Regole (Regulae fusius tractatae)" 22 e 23 di Basilio di Cesarea.

[2] Si veda Basilio, "Regola per i monaci", Questione XI: " 9. Se gli abitanti di Corinto vengono rimproverati perché nel banchetto pubblico fanno restar confusi con la loro abbondanza quelli che non possiedono, 10. è ben certo che anche in questo modo di vestire semplice e comune per tutti, che appartiene al modo di vedere e al costume generale, se un abito è diverso dall'altro o si riscontra più prezioso, facciano arrossire chi ne è sprovvisto. 11. Per questi costumi anche l’Apostolo ha stabilito sufficientemente una regola con poche parole, affermando: Avendo vitto e vestito, di questi siamo contenti (1 Tm 6, 8). 12. Mostra così che abbiamo bisogno dell’abito solo per coprirci, e non di pavoneggiarci con la varietà degli abiti o col loro ornamento o con la loro bellezza". Estratto da "Regole monastiche antiche" a cura di Giuseppe Turbessi - Edizioni Studium Roma 1990.

[3] Si veda per esempio Sulpicio Severo "Vita di san Martino" 10,8: "Moltissimi vestivano di peli di cammello: un abito troppo fine era ritenuto in conto di crimine".

Ed anche Atanasio di Alessandria "Vita di Antonio" 47,2: "Digiunava sempre e il suo vestito era di sacco, quello esterno una pelle". Atanasio si riferisce rispettivamente alla tunica di pelo di capra (tunica de cilicio) e alla melota, di pelle di pecora. Agli abiti degli asceti (ma non bisogna dimenticare che, agli inizi del monachesimo, i loro abiti, semplici e quasi sempre neri, non differivano ancora molto da quelli degli altri uomini), alcuni scrittori monastici attribuirono presto un valore simbolico: le pelli degli animali morti costituivano un segno che gli eremiti (sovente chiamati "crocifissi") erano morti al mondo. Anche la loro cintura, nella maggior parte dei casi di cuoio, ricevette un analogo significato simbolico: ricordava all'asceta il dovere di mortificare le proprie passioni. (Estratto da "Vite dei santi dal III al VI secolo" a cura di Christine Mohrmann –Arnoldo Mondadori Editore 1985)

[4] Si confronti per esempio "La Storia Lausiaca" 32, Pacomio e i Tabennesioti: "Queste cocolle egli volle che fossero senza pelo, come quelle dei bambini, e sulle cocolle fece imprimere un marchio di porpora, a forma di croce…. Mentre mangiano si coprano il capo con le cocolle, affinché un fratello non veda un altro fratello in atto di masticare".

[5] Con il lino venivano intessuti i lenzuoli mortuari. Si veda per esempio Atanasio di Alessandria "Vita di Antonio" 90,2: "Costoro (gli anacoreti egiziani) infatti hanno la consuetudine di avvolgere con ogni cura in tele di lino i corpi dei defunti e dei santi martiri, carissimi al Signore".

[6] Come testimoniato da Sozomeno questo elemento del vestiario ha avuto diversi significati simbolici. Per Cassiano significa la disponibilità al lavoro; Evagrio vi intravvede il simbolo della fede in Cristo e la tradizione degli Apoftegmi il segno della croce. Si veda per esempio "Verba Seniorum" in "Patrologia Latina" Vol. 73, 933: "Diceva un anziano: Il cappuccio (cucullum) che usiamo è il segno dell'innocenza; le fasce (superhumerale) con cui vincoliamo il collo con il busto è il segno della croce; la cintura (zona) di cui ci cingiamo è il segno della fortezza".

[7] Si veda Pacomio "Precetti" 81: " …i loro indumenti: due tuniche di cui una già usata, uno scapolare (sabanum anziché palliolum come dice Cassiano. Ndr.) abbastanza lungo per avvolgere il collo e le spalle, una pelle di capra che pende da un lato sulla spalla, i sandali, due cocolle, una cintura e un bastone".

[8] La planeta, mantello di lana anticamente utilizzato per il viaggio o la campagna, divenne nel 382 il vestito prescritto ai senatori e verso la fine del IV secolo costituì il mantello sacerdotale per eccellenza. Il byrrus originariamente era un grossolano mantello di lana ma in Gallia, verso il IV secolo, cominciò ad essere fatto di lana più fine, diventando così un abito di lusso.

[9] Si veda Girolamo, "Prefazione alle regole di Pacomio" 4: "Nelle celle non hanno nulla tranne una stuoia e i seguenti oggetti: due tuniche, cioè una specie di veste egiziana senza maniche e un’altra tunica già consumata per dormire o per lavorare, un mantello di lino, due cocolle, una pelle di capra chiamata melote, una cintura di lino, i sandali e un bastone, compagni di viaggio.

[10] Per Evagrio Pontico il bastone significa, in senso spirituale, l'albero della vita ed infine Cristo stesso. Si veda "Epist. Ad Anatolium", PG 40, 1221:" Il bastone, poi, è albero della vita, sicuro per coloro che l’hanno innanzi e si appoggiano ad esso come al Signore (Prov, 3, 18)".

[11] I sandali sono citati da Orsiesi, "Insegnamenti sulla formazione dei monaci", XXII: "Dobbiamo avere semplicemente ciò che è sufficiente per un uomo: due tuniche, di cui una già usata, un mantello di lino, due cocolle, una cintura di lino, i sandali, una pelle di capra ed un bastone". Si vedano anche le opere già citate prima: Pacomio "Precetti" 81 e Girolamo, "Prefazione alle regole di Pacomio" 4.

[12] Come prescrive anche Pacomio nei "Precetti",.102: "Nessuno si rechi alla sinassi o a mangiare con i sandali ai piedi o con il mantello di lino, sia all’interno del monastero che nei campi".

[13] I seguenti capitoli non sono compresi nella "Patrologia Latina", Vol.49, del Migne, ma compaiono nel "Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum" Vol. XVII di M. Petschenig – Vienna 1888.

[14] Si veda Basilio, "Regola per i monaci", Questione XI: "33 La necessità dell'uso della cintura è dimostrata anche dai santi che ci hanno preceduto…. 38 Sembra veramente che sia segno di una certa virtù e di animo pronto all'azione l'uso del cingolo… 40 Si può ritenere necessario che chi deve servirsi dell'opera delle mani in qualche cosa abbia la cintura e si trovi preparato in tutto e senza alcun impedimento a compiere ogni opera buona". E sempre Basilio, "Le grandi Regole (Regulae Fusius Tractatae)" 23: " La vita dei santi che ci hanno preceduti ci mostra la necessità della cintura... D'altra parte, chi vuole mettersi al lavoro deve avere i movimenti facili e liberi; la cintura gli sarà dunque utile per adattare adeguatamente la tunica al corpo, in modo da tenerlo più al caldo rinchiuso nelle pieghe e da rendergli più liberi i movimenti. Il Signore stesso, quando si preparò a servire i suoi discepoli, prese un grembiule e se ne cinse (Gv 13,4).

[15] Si confronti Girolamo, "Lettere XXII a Eustochio", 17: «Mortificate le vostre membra sulla terra», soggiunge l'Apostolo (Col 3,5). Logicamente poteva poi dire con fiducia: «Vivo, sì, ma non io; chi vive in me è Cristo» (Gal 2,20). Chi mortifica il suo corpo e circola ridotto quasi a uno spettro, non ha timore d'esclamare: «Son diventato come un otre esposto alla brina»; gli umori del corpo sono stati bruciati…".

Ed anche Sant'Agostino: "Esposizione sui Salmi", Salmo 118 [v. 83.] "Crescendo l'ardore dei desideri spirituali, ovviamente si smorza quello dei desideri carnali. Per questo continua [il salmo]: Infatti io son divenuto come un otre esposto alla brina; pertanto non ho dimenticato le vie della tua giustizia. Non v'è dubbio che nell'"otre" ci invita a intendere la nostra carne mortale, mentre nella "brina" il dono celeste per il quale, come per un freddo che congela, vengono sopite le passioni carnali. Ne consegue che le vie della giustizia di Dio non sfuggono più alla memoria, poiché non sì hanno in cuore altri pensieri ma si avvera quanto suggerito dall'Apostolo: Non abbiate cura della carne sì da destarne le concupiscenze. Per questo, dopo aver detto: Infatti io son divenuto come un otre esposto alla brina, aggiunge: Non ho dimenticato le vie della tua giustizia. Cioè: Non me ne sono dimenticato perché son divenuto proprio così. L'ardore della passione s'è calmato, permettendo che ardesse il ricordo dell'amore".

[16] Si veda Evagrio Pontico, "Epist. Ad Anatolium", PG 40, 1221: "La cintura stretta intorno ai loro lombi, poi, sconfigge tutta l’impurità".


Ritorno all'indice delle "ISTITUZIONI CENOBITICHE"


Ritorno alle "Regole monastiche"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


12 dicembre 2017                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net