LE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di GIOVANNI CASSIANO

LIBRO NONO

LO SPIRITO DELLA TRISTEZZA

Estratto da “Giovanni Cassiano - Le istituzioni cenobitiche" - EDIZIONI QIQAJON  2007

e da Giovanni Cassiano - Le istituzioni cenobitiche" - EDIZIONI SCRITTI MONASTICI - ABBAZIA DI PRAGLIA

Link al testo latino con traduzione a fronte

 

1. I DANNI CHE LA TRISTEZZA PROCURA ALLA MENTE

La nostra quinta lotta consiste nel reprimere gli impulsi della tristezza, una passione divoratrice, che se in qualche modo, con i suoi continui assalti e a seguito delle varie vicende della vita, riesce a impadronirsi della nostra anima, a poco a poco ci separa da ogni contemplazione divina e, dopo aver fatto cadere la stessa mente dall'intero suo stato di purezza, la scuote nel profondo e la deprime: non le permette di continuare a dedicarsi alla preghiera con lo stesso fervore del cuore e nemmeno di rimediare al proprio male applicandosi alla lettura dei testi sacri. Questo vizio, poi, non tollera che il monaco sia pacifico e mite con i propri fratelli, ma lo rende insofferente e scontroso nell'assolvere a tutti i suoi doveri, sia di lavoro che religiosi, e, dopo averlo privato della capacità di prendere una qualunque decisione salutare e averne turbato la saldezza del cuore, lo rende come un folle e un ubriaco, e quindi lo abbatte e lo sommerge sotto il peso di una penosa disperazione.

2. OCCORRE GUARIRE L'ANIMO DALLA TRISTEZZA

 Se dunque noi aspiriamo ad affrontare decisamente e secondo le regole la lotta spirituale con impegno non minore delle battaglie precedenti, è necessario, da parte nostra, aver cura anche di questo male. Infatti, «come la tignola danneggia i vestiti e come il verme danneggia il legno, cosi la tristezza dell'uomo nuoce al suo cuore» (Pr 25, 20). Lo Spirito divino ha dunque espresso con sufficiente evidenza e proprietà la virulenza di questo vizio dannoso e pernicioso.

 3. GLI INSEGNAMENTI DELLA SCRITTURA

 l. E di fatto un vestito roso dalla tignola non avrà più alcun prezzo e non potrà servire ad alcun uso; così pure un legno, corroso dai vermi, non potrà essere destinato a ornare una casa anche modesta, ma soltanto a essere bruciato. Tale si rende anche l'anima corrosa dai morsi della tristezza: ella non è più adatta a indossare la veste pontificale che secondo il vaticinio del santo profeta Davide riceve abitualmente l'unguento dello Spirito Santo che discende dal cielo, prima sulla barba di Aronne e poi sulle frange del suo vestito. t scritto infatti: «Come l'unguento sul capo che scende sulla barba di Aronne e poi sul lembo del suo vestito» (Sal 132 [133], 2).

 2. Ma quest'anima non potrà neppure prendere parte all'edificazione e all'ornamento di quel tempio spirituale, del quale Paolo, sapiente architetto, pose le fondamenta, dicendo: «Voi siete il tempio di Dio, e lo Spirito di Dio abita in voi» (1 Cor 3, 16). E nel Cantico dei Cantici la sposa indica di quale legno quel tempio deve essere costruito: «Le travi sono i cipressi, e le pareti delle nostre case sono i cedri» (Ct 1, 16; LXX). Per questo vengono scelti, per l'edificazione del tempio di Dio, quelle specie di tronchi d'albero che emettono buoni odori e non sono soggetti alla putrefazione, e non subiscono né la corrosione dei tempo né l'opera roditrice dei vermi.

4. DA DOVE E IN CHE MODO NASCE LA TRISTEZZA

A volte la tristezza è conseguenza dell’ira che l'ha preceduta, oppure è generata da un desiderio frustrato o da qualche guadagno mancato - quando cioè uno si vede svanire la speranza che nutriva per questa o quella cosa. Altre volte, poi, anche senza alcun motivo apparente che ci spinga a cadere in questo precipizio, ma solo perché pungolati dal nostro astuto Nemico, ci sentiamo improvvisamente oppressi da una così grande afflizione, che non riusciamo ad accogliere con la consueta affabilità neppure le persone che ci sono care e a cui siamo più legati; e qualunque cosa ci dicano, per quanto adeguata alla circostanza, ci sembra inopportuna e superflua, e rispondiamo loro in modo del tutto scortese, perché il fiele dell’amarezza invade ormai tutte le profondità del nostro cuore.

5. LE PASSIONI SI ACCENDONO IN NOI NON TANTO PER COLPA DEGLI ALTRI, MA PER COLPA NOSTRA

Da quanto si è detto risulta chiarissimamente che non è sempre colpa degli altri se in noi si accendono gli stimoli passionali, ma è piuttosto colpa nostra, perché siamo noi stessi a custodire nel segreto del nostro intimo le cause d’inciampo e i semi dei vizi, che poi, non appena la pioggia delle tentazioni bagna la nostra mente, subito germogliano e danno frutto.

6. NON SONO LE CADUTE IMPROVVISE A CONDURRE QUALCUNO ALLA PERDIZIONE MA E' LA SUA LUNGA NEGLIGENZA A FARLO PRECIPITARE A POCO A POCO

Nessuno, infatti, per quanto provocato dal vizio di un'altra persona, può essere indotto a peccare, se non ha già nel proprio cuore la radice del peccato; e quando qualcuno precipita nell'abisso di una vergognosa concupiscenza per aver contemplato la bellezza di una donna, non bisogna credere che sia stato sedotto al l'improvviso in quel momento, ma piuttosto che quella vista sia stata solo l'occasione che ha fatto emergere in superficie una malattia nascosta che egli covava già nel profondo.

7. LA CONVIVENZA CON GLI ALTRI CI RENDE PIU’ PAZIENTI

  Iddio perciò, creatore dell'universo, ben sapendo più d'ogni altro il segreto di curare le sue creature e conoscendo che non negli altri, ma in noi stessi s'affondano le radici e le cause delle nostre colpe, non ci domanda di abbandonare la convivenza con i nostri fratelli e di evitare coloro che riteniamo siano stati da noi offesi oppure abbiano essi stessi disgustato noi; al contrario, Egli vuole che cerchiamo di cattivarceli, ben sapendo che la perfezione dell'anima non si acquista tanto col separarci dagli uomini, quanto piuttosto con l'esercizio della pazienza. Ed è vero che la pazienza saldamente posseduta, come può, da una parte, mantenerci sereni perfino con quelli che ricusano la pace (cf. Sal 119 [120], 7), cosi pure, se essa non è stata assicurata, potrà, al contrario, provocare continuamente la discordia anche con quelli che sono già perfetti e migliori di noi. In realtà non potranno mancare nella vita comune occasioni di turbamento, al punto da farci perfino proporre di abbandonare coloro, con i quali abbiamo a convivere, ma con questo non eviteremo le vere cause della tristezza che ci avranno indotto a separarci dai primi compagni; semplicemente, le muteremo!

8. LA PAZIENZA RENDE FACILE LA VITA IN COMUNE

  Pertanto dobbiamo procurare di emendare sollecitamente i nostri difetti e di correggere le nostre abitudini. E allora, se i nostri vizi saranno corretti, la nostra vita s'accorderà in maniera molto facile non soltanto con gli uomini, ma anche con gli animali e con le bestie selvatiche, secondo quanto risulta dal libro di Giobbe: «Le bestie selvatiche saranno in pace con te» (Gb 5, 23; LXX). Non avremo più da temere motivi d'offesa provenienti dal di fuori, e non potranno sorprenderci provocazioni dall'ambiente esterno, se in noi stessi non saranno accolte e innestate le loro radici. Infatti esiste «una grande pace per quelli che amano il tuo nome; non c'è per loro occasione d'inciampo» (Sal 118 [119], 165).

9. LA TRISTEZZA DI CAINO E DI GIUDA

Esiste anche un altro genere di tristezza, ancor più detestabile, che induce il peccatore non a correggere la propria condotta dì vita e a purificarsi dai vizi, ma a disperare in modo pericolosissimo della propria salvezza: fu questa tristezza a impedire a Caino di pentirsi dopo l'uccisione del fratello (cf. Gen 4, 9-16) e a spingere Giuda, dopo il tradimento, non a cercare di riparare la sua colpa, ma a impiccarsi per la disperazione (cf. Mt 27, 5).

10. UNA SOLA E' LA TRISTEZZA UTILE

In un solo caso, dunque, dobbiamo ritenere utile la tristezza: se nasce in noi mentre siamo infiammati dal rimpianto dei peccati, dal desiderio della perfezione o dalla contemplazione della beatitudine futura. Di essa il beato Apostolo dice: «La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che conduce alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» (cf. 2 Cor 7, 10).

11. COME DISTINGUERE LA TRISTEZZA UTILE DA QUELLA DANNOSA

La tristezza «che produce un pentimento irrevocabile che conduce alla salvezza» (cf. 2 Cor 7, 10) è ubbidiente, affabile, umile, mansueta, dolce e paziente, perché deriva dall'amore di Dio: mentre si sottopone infaticabilmente a ogni tipo di sofferenza fisica e di contrizione spirituale per desiderio della perfezione, resta però in qualche modo gioiosa e, fortificata dalla speranza del proprio progresso, custodisce la dolcezza dell'affabilità e della pazienza, avendo in se stessa tutti i frutti dello Spirito Santo enumerati dallo stesso Apostolo, che dice: «Il frutto dello Spirito è carità, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé» (cf. Gal 5, 22-23). L'altra tristezza, invece, è quanto mai amara, insofferente, dura, piena di rancore, di sterile avvilimento e di penosa disperazione. Impedisce ogni attività a chi ne rimane vittima e lo distoglie dall'afflizione che lo porta alla salvezza, poiché è irrazionale e non solo distrugge l'efficacia della preghiera, ma elimina tutti i frutti spirituali che abbiamo appena enumerato e che la prima tristezza è in grado di procurarci.

12. OGNI TRISTEZZA E' NOCIVA, SE NON PROVIENE DA DIO

  Per queste ragioni ogni tristezza, se si eccettua quella che viene accolta per una salutare penitenza o per l'impegno della perfezione o per il desiderio dei beni futuri deve essere repressa, perché tutta propria del mondo e perché provocatrice di morte. Perciò è necessario estirparla radicalmente dal nostro cuore al modo stesso della fornicazione, dell'avarizia e della collera.

13. I RIMEDI PER VINCERE LA TRISTEZZA

 Noi pertanto riusciremo a espellere da noi questa passione così dannosa solo se saremo in grado di sollevare il nostro spirito e mantenerlo continuamente occupato nella meditazione spirituale in previsione della speranza futura e della promessa beatitudine. In questo modo infatti saremo in grado di superare ogni genere di tristezza, quella che deriva in noi da un precedente atto di collera o per la perdita di un guadagno o per un danno a noi inferto; e cosi pure la tristezza generata in noi da un'ingiuria subita, oppure nata dentro di noi per qualche turbamento della mente sorto senza fondato motivo, o anche creatosi in noi per effetto d'una mortifera disperazione. Cosi, perseverando sereni e sicuri nella previsione dei beni futuri, senza lasciarci vincere dalle vicende del mondo presente quando esse ci sono avverse, e senza lasciarci lusingare quando esse tornano a nostro favore, potremo considerare le une e le altre come passeggere e destinate a cadere ben presto.



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20 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net