LE CONFERENZE SPIRITUALI
di GIOVANNI CASSIANO
Cassianus Ioannes - Collationes
COLLATIO SEPTIMA, QUAE EST PRIMA SERENI ABBATIS
DE ANIMAE MOBILITATE ET SPIRITALIBUS NEQUITIIS
Estratto da "Patrologia Latina Database" vol. 49 - J. P. Migne
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SETTIMA MOBILITÀ DELL'ANIMA E DEGLI SPIRITI MALIGNI
Estratto da “Giovanni Cassiano –
Conferenze spirituali” – Edizioni Paoline |
CAPUT PRIMUM. |
Indice dei Capitoli
I - Castità dell'abate Sereno; |
CAPUT PRIMUM. |
I - Castità
dell’abate Sereno
Ci fu un uomo di
grandissima santità ed astinenza, chiamato abate Sereno; egli
rifletteva, nella persona e nella vita, tutta la pace che portava nel
nome. Noi lo ammiravamo e lo veneravamo al disopra di tutti gli altri
monaci. Io vorrei far conoscere quest’uomo di Dio a tutte le anime
assetate di perfezione, né ho altro mezzo per soddisfare il mio
desiderio tranne quello di inserire nella presente opera le sue
conferenze spirituali.
Fra tutte le virtù che
la grazia del Signore faceva risplendere nelle sue opere, nei suoi
costumi e persino nella sua faccia, egli aveva ricevuto il dono
particolare di una castità sì alta da non sentire più, neanche durante
il sonno, i moti naturali della carne. Io penso che sia bene spiegare
come egli arrivò — con l’aiuto della grazia divina — ad una purezza così
eccellente da sembrar superiore alla condizione umana.
II - Domanda
del santo vecchio sullo stato dei nostri pensieri
Fin dall’inizio della
vita monastica il suo più grande pensiero era stato quello di acquistare
la purezza dello spirito e del cuore: pregava giorno e notte ed
accompagnava la preghiera con digiuni e veglie, infaticabilmente
perseverante nella ricerca della castità.
Quando s’accorse che i
suoi desideri erano compiuti, che gli ardori della concupiscenza si
erano spenti nel cuore, come se il gusto dolcissimo della purezza non
avesse fatto altro che accenderne in lui una sete più bruciante, si
senti più che mai infiammato dal desiderio della purezza. A questo scopo
raddoppiò i digiuni e le preghiere. Il vizio impuro era morto nel suo
uomo interiore; ora voleva che, per benigna concessione del Signore,
quella stessa morte si estendesse anche all’uomo esteriore. Voleva
essere penetrato da una purezza perfetta, fino al punto di non essere
soggetto neppure a quei movimenti semplici e naturali che si producono
anche nei fanciulli di tenera età, o addirittura lattanti. La grazia
della purità interiore, già ottenuta, lo incoraggiava a sperare. Quella
prima grazia non era stata frutto delle sue fatiche, ma soltanto — e lo
sapeva bene — un dono di Dio. Da questa considerazione sentiva crescere
la speranza di ottenere il nuovo dono. A Dio non costa fatica — egli
diceva — bruciare fino alle più profonde radici quegli stimoli della
carne che anche l’industria e l’arte degli uomini possono talvolta
sopprimere con bevande medicamentose, col ferro o con altri rimedi. Non
è forse vero che il Signore mi ha già donato la purezza dello spirito? E
allora perché non sperare ancora? Il bene che ho già ricevuto è il più
alto che si possa dare: tutto lo sforzo e tutto lo zelo di cui è capace
il cuore umano non potrebbero nulla per raggiungere quel bene.
Mescolando lacrime e
preghiere, l’abate Sereno insisteva senza mai stancarsi nella sua
domanda.
Ecco che una notte gli
si presentò la visione di un angelo che gli aprì il corpo, ne estrasse
un tumore infiammato e lo gettò lontano; poi rimise le viscere al loro
posto e disse: « Ora gl’impulsi della tua carne sono domati. Sappi che
oggi tu hai ottenuta la perfetta purezza del corpo, quella purezza che
avevi domandato con fede sincera ».
E basti quel che
abbiamo detto sulla grazia che Dio concesse a questo sant’uomo, per uno
specialissimo privilegio. Delle virtù che egli aveva in comune con gli
altri solitari stimo meglio non parlarne, anche per evitare che le lodi
tributate a Sereno non facciano pensare che gli altri possedevano quelle
virtù in grado inferiore.
Accesi dal desiderio
di conoscere quest’uomo e di udire una sua conferenza spirituale,
andammo a trovarlo durante la quaresima.
Con voce pacata egli
ci rivolse molte domande sulla qualità dei nostri pensieri, sullo stato
della nostra vita interiore, e ci chiese anche quale profitto avessimo
saputo ritrarre, per la purezza della nostra anima, da una sì lunga
permanenza nel deserto.
Noi rispondemmo
piangendo.
III - Nostra
risposta riguardante la volubilità dello spirito
Il conto degli anni da
noi passati nella solitudine del deserto ti fa pensare che siamo giunti
alla perfezione dell’uomo interiore, ma purtroppo non è così. Tutto quel
che abbiamo potuto ottenere dalla nostra professione, è stato di
conoscere quanto, per la nostra debolezza, siamo ancor lontani dalla
meta a cui dobbiamo tendere. Quella che abbiamo acquistata è una scienza
vana, incapace di radicarci nella perfetta costanza della
desideratissima purezza. Quella scienza non ha conferito fermezza ai
nostri pensieri, ma ha servito a far crescere la nostra vergogna e la
nostra confusione.
In qualsiasi
professione, lo studio e lo sforzo quotidiano hanno lo scopo di condurre
il garzone incerto alla conoscenza ferma e sicura dell’arte. Quel che in
principio era nascosto o completamente ignoto, si fa, con l’esercizio,
più chiaro e conosciuto, l’apprendista avanza con passo sicuro nella via
intrapresa, incomincia a lavorare senza errori e senza difficoltà. A noi
però — nella ricerca della purezza di spirito — è capitato il contrario:
non abbiamo fatto altro progresso che questo: abbiamo capito ciò che non
siamo riusciti ad essere. Per questo ci rammarichiamo, ma dal nostro
dolore, che pure è sì grande, non ritraiamo altro profitto che un senso
di insoddisfazione; così piangiamo a lungo, ma non cessiamo di essere
quelli che non dovremmo essere. Che ci giova aver conosciuto la
perfezione, se poi non la raggiungiamo? Talvolta sentiamo che il cuore
si dirige al suo termine di perfezione, ma l’anima insensibilmente cade
da quelle altezze e torna con impeto accresciuto alle antiche
divagazioni. Assediata dalle distrazioni, che ogni giorno si
moltiplicano, l’anima si sente portare incessantemente verso forme di
schiavitù. Ormai disperiamo di poterci correggere, la nostra stessa
osservanza incomincia a sembrarci inutile.
Se dalle pericolose
divagazioni in cui si smarrisce ad ogni istante, tentiamo di ricondurre
il nostro pensiero al sentimento del timor di Dio e alla contemplazione
spirituale, prima che abbiamo potuto fermarlo è già fuggito con
accresciuta rapidità. Come se ci svegliassimo da un sonno profondo, noi
ci accorgiamo che il pensiero ha deviato dal fine che gli avevamo
segnato: allora lo richiamiamo alla contemplazione abbandonata e
vorremmo in qualche modo incatenarlo con una applicazione tenace della
mente, ma sul più bello del nostro sforzo fugge dai penetrali
dell’anima, col guizzo di un’anguilla che ci scappa dalle mani. Passano così i giorni fra lotte faticose, senza che il nostro cuore diventi più costante. Lo scoraggiamento ci assale e incominciamo a pensare che queste distrazioni non sono un difetto personale, ma un vizio inerente alla costituzione della natura umana. |
CAPUT IV. Disputatio senis de statu animae ac virtute ejus. Νοΰς
itaque, id est, mens,
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IV - L’abate
tratta dello stato dell’anima e delle sue capacità
Sereno -
È una pericolosa presunzione voler determinare la natura delle cose dopo
un esame frettoloso e superficiale, senza aver prima raggiunto una
certezza. È presunzione formarsi un giudizio sopra una qualsiasi
professione o disciplina, non già da quel che essa è in se stessa o da
quel che ne dice l’esperienza degli altri, ma dalla considerazione della
propria fragilità.
Immaginiamo un uomo
che non sappia nuotare: egli vede che l’acqua non può sostenere il suo
peso e, partendo da questa esperienza che è solo indizio della sua
incapacità, sentenzia che è impossibile, per un essere in carne e ossa,
tenersi a galla sulla superficie delle acque. Costui dice una cosa
comprovata dalla sua esperienza, ma noi non accettiamo per vera la sua
opinione, perché sappiamo nella maniera più certa e per testimonianza
dei nostri stessi occhi, che per molti navigare, oltre a non essere
impossibile, è la cosa più facile del mondo.
L’anima umana è definita: « noùs
aeichìnetos kài polikìnetos »
che vuol dire: sempre mobile e molto mobile. Il libro della Sapienza che
si attribuisce a Salomone dice la stessa cosa con altre parole: « Il
tabernacolo terreno opprime l’anima, agitata da molti pensieri »[1].
La sua natura è tale che non può starsene oziosa. Se non le è stato
presentato un oggetto sul quale possa esercitare la sua attività e di
cui possa incessantemente occuparsi, la sua naturale leggerezza la porta
a vagare, a svolazzare di qua e di là, su tutto ciò che le si presenta.
Soltanto dopo molto tempo, quell’esercizio e quell’uso nei quali voi
dite di avere sprecato il vostro tempo, le faranno conoscere per
esperienza gli oggetti da offrire all’attenzione, per tornare a quelli
continuamente, senza stancarsi mai, e per acquistar la capacità di
fissarsi in essi. In tal modo potrà superare le suggestioni del nemico
che la invitano da ogni parte, e potrà restare costante nello stato e
nelle disposizioni che desidera.
La distrazione
del nostro spirito non deve dunque attribuirsi alla nostra natura, e
neppure a Dio che della natura è autore. La sacra Scrittura dice il vero
quando afferma che: « Dio fece l’uomo retto, ma egli si perde dietro a
infinite questioni »[2].
Dunque la qualità dei nostri pensieri dipende da noi: « Un buon pensiero
si avvicina a coloro che lo conoscono; l’uomo prudente lo troverà »[3].
Quando una cosa si può trovare, sol che si usino prudenza e diligenza,
se da noi non è trovata, non ne incolpiamo la nostra natura, ma
piuttosto la nostra pigrizia e negligenza. Il salmista si accorda a
questo pensiero quando dice: « Beato l’uomo che pone in te il suo
sostegno e dispone in cuor suo di salire »[4].
Vedete perciò che dipende da noi disporre in cuor nostro sia le ascensioni (cioè
i pensieri che salgono a Dio), sia le discese (cioè
i pensieri che precipitano verso le cose terrestri e carnali). Se non
avessimo avuto questa facoltà, il Signore non avrebbe potuto rivolgere
ai farisei quel rimprovero: « Perché pensate male nei vostri cuori? »[5].
E neppure ci avrebbe comandato — per bocca del profeta — « Togliete di
sotto ai miei occhi il male dei vostri pensieri » [6].
E ancora: « Fino a quando rimarranno in te i mali pensieri? »[7].
Nel giorno del giudizio — se i nostri pensieri non dipendessero da noi —
la quantità di essi non dovrebbe essere esaminata insieme con quella
delle opere. Isaia dice invece: « Ecco io vengo a raccogliere le loro
opere e i loro pensieri con tutte le genti e le lingue » [8].
La testimonianza dei pensieri non potrebbe intervenire in quel tremendo
giudizio, né per condannarci, né per difenderci, mentre l’Apostolo dice:
« I loro pensieri li accusano e li difendono nel giorno in cui Dio
giudicherà i segreti degli uomini secondo il mio Vangelo »[9].
V - La
perfezione dell’anima spiegata con la figura del centurione evangelico
Il centurione del
Vangelo può ben raffigurare l'anima elevata alla perfezione. Egli era un
uomo di grande virtù e costanza: non si lasciava trasportare da ogni
pensiero che potesse passargli per la mente, ma accoglieva quelli buoni
e scacciava senza esitazione i cattivi, secondo il giudizio della sua
prudenza. Ascoltiamolo parlare in termini allegorici: « Anch’io sono un
uomo sottoposto, ed ho soldati ai miei ordini e dico ad uno: Va’! ed
egli va. E ad un altro: Vieni! ed egli viene; ed al mio servo: Fa’
questo! ed egli lo fa »[10].
Se anche noi lotteremo coraggiosamente contro i movimenti sregolati
dell’anima, contro i vizi, arriveremo a sottometterli alla nostra
autorità e discrezione; se anche noi, poiché rimaniamo nella carne,
cercheremo di spegnere il fuoco delle passioni e inalbereremo il segno
della croce che è la bandiera della salvezza, per respingere dai confini
del nostro cuore le crudeli legioni delle potenze nemiche, come premio
della nostra magnifica vittoria, ci vedremo elevati al grado dei «
Centurioni spirituali ». Anche Mosè parla allegoricamente di questi
condottieri nel libro dell’Esodo, dove
dice: « Eleggi uomini che comandino alle migliaia, alle centinaia (=
centurioni) e alle decine » [11].
Elevati anche noi alla
dignità del centurione, avremo il diritto e la forza di comandare;
allora i pensieri che non vogliamo ricevere non penetreranno più in noi;
ci sarà invece facile attaccarci a quelli che ci fanno gustare le
delizie spirituali. Diremo alle cattive suggestioni: « Andatevene », e
se n’andranno; diremo alle buone: « Venite », e verranno. Al nostro
servo — cioè al nostro corpo — comanderemo di curare le leggi della
castità e dell’astinenza, e quello obbedirà senza ribellarsi: non lo
sentiremo più ad aizzarci contro le belve della concupiscenza: sarà
pronto ad obbedire in tutto allo spirito.
Per quanto riguarda le armi del centurione spirituale, ascoltiamo
l’Apostolo che ci dice quali sono e come debbono essere impiegate: « Le
armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti in Dio » [12].
Ecco dunque come sono: né carnali, né deboli, ma spirituali e potenti di
virtù divina. Poi l’Apostolo indica in quale combattimento vanno
impiegate: « Per distruggere anche le fortezze, distruggendo noi i falsi
ragionamenti e ogni rocca elevata contro la conoscenza di Dio, e facendo
schiava ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo; avendo in pronto
anche il punire ogni disobbedienza, quando la vostra obbedienza non sia
completa » [13].
Commentare uno a
uno questi avvertimenti è per noi un dovere, ma lo rimandiamo ad altro
tempo. Ora voglio soltanto descrivere il genere e la proprietà delle
armi di cui dobbiamo essere continuamente rivestiti, se vogliamo
combattere le battaglie del Signore e militare nelle file del centurione
evangelico: « Prendete — dice 1’Apostolo — lo scudo della fede, su cui
possiate spegnere tutti i dardi infocati del maligno »[14].
È dunque la fede che riceve i dardi infocati delle passioni e li rende
innocui col timore del giudizio futuro e con la fiducia nel regno dei
cieli.
« Rivestitevi —
continua l’Apostolo — con la corazza della carità»[15].
È infatti la carità che avvolge e protegge le parti vitali del nostro
cuore, si oppone alle ferite mortali che potrebbero venirci dalle
passioni, respinge gli assalti nemici, impedisce alle frecce del demonio
di penetrare fino al nostro « uomo interiore »: essa infatti tutto
soffre, tutto sopporta [16].
« Prendiamo per elmo la speranza della salute » [17].
L’elmo protegge la testa. Il capo per noi è Cristo: questo capo dobbiamo
continuamente difendere con l’elmo inespugnabile che è la speranza dei
beni futuri. Attraverso tutte le prove e tutte le persecuzioni bisogna
conservare intatta e senza incrinature la nostra speranza in lui. Chi
sia stato privato delle membra può conservare ancora una vita debole e
malsicura, ma senza la testa nessuno può vivere un istante.
« Impugniamo la
spada dello spirito, che è la parola di Dio »[18].
Quella spada è « più tagliente di un’arma a due tagli, e penetrante sino
a dividere l’anima e lo spirito e le giunture e le midolla, e
scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore »[19].
Essa dunque separa e taglia tutto ciò che trova in noi di carnale e di
terrestre.
Chiunque si
riveste di queste armi sarà sempre difeso contro le frecce e le
incursioni del nemico. Mai sarà legato a catena dai suoi vincitori e
condotto prigioniero o schiavo nella terra nemica dei cattivi pensieri.
Per lui non sonerà il rimprovero del Profeta: « Perché sei diventato
vecchio in terra straniera? »[20].
Al contrario, egli sceglierà la sua dimora — come un trionfatore — nella
regione dei pensieri che più gli piaceranno.
Volete ora
conoscere la forza e l’ardimento con cui il centurione porta le armi
descritte, armi non carnali ma potenti in Dio? Ascoltate il re che
chiama a raccolta i valorosi per la milizia spirituale. Ecco il segno
col quale li contraddistingue: « Il debole dice: io sono forte »[21],
e « Colui che è paziente sia soldato »[22].
Vedete dunque che per combattere le battaglie del Signore bisogna essere
pazienti e infermi. Si tratta però di quella infermità sulla quale si
fondava Paolo, il celebre centurione evangelico, quando esclamava: «
Allorché sono infermo, proprio allora son forte » [23];
oppure: « Nella debolezza, meglio risplende la potenza di Dio »[24].
Parlando della medesima infermità, dice il Profeta: « Colui che è il più
debole tra loro, sarà stabile come la casa di David »[25].
Per combattere queste battaglie è necessaria la pazienza: precisamente
quella pazienza di cui è detto: « La pazienza è per voi necessaria,
affinché, facendo la volontà di Dio, otteniate i beni che vi sono stati
promessi »[26].
VI - Della
perseveranza nel custodire i nostri pensieri
La nostra
personale esperienza ci farà conoscere che noi dobbiamo e possiamo
rimanere intimamente uniti a Dio, se mortificheremo la nostra volontà ed
estirperemo i desideri mondani. Lo stesso insegnamento ci verrà poi
dalla testimonianza di coloro che, parlando fiduciosamente col Signore,
dicono: « L’anima mia aderisce a te »[27];
oppure: « Io sto attaccato ai tuoi comandi, Signore »[28];
e ancora: « È bene per me stare unito al Signore »[29];
e infine: « Chi sta unito al Signore, fa un solo spirito con lui » [30]. Le divagazioni della mente non debbono mai farci abbandonare questo esercizio dell’unione con Dio, perché « colui che coltiva la sua terra avrà abbondanza di pane », chi invece « si abbandona all’ozio, vivrà nella miseria »[31]. Né dobbiamo farci distrarre, in questo salutare esercizio, a causa di un dannoso scoraggiamento; perché « dove c’è lavoro, c’è abbondanza, ma chi vive nelle delizie senza fatica si troverà in miseria »[32]; e ancora: « L’uomo che lavora, lavora per sé e impedisce così la sua perdita »[33]. Fa al nostro caso anche la parola evangelica: « Il regno dei cieli si acquista con la forza, e i violenti se ne impadroniscono »[34]. Non c’è virtù che si acquisti senza fatica e non c’è nessuno che sia capace di elevarsi alla costanza del pensiero, senza una profonda contrizione del cuore. L’uomo infatti nasce per la fatica[35], né può giungere « alla maturità di uomo fatto, alla misura d’età della pienezza di Cristo » [36], se non si applica continua- mente e fortemente al lavoro interiore. Nessuno raggiungerà « la piena misura » nella vita eterna, se dei valori eterni non avrà nutrito e riempito la sua mente fin dalla vita terrestre: se dell’eternità non avrà gustato un anticipo. Chi è destinato ad essere un membro preziosissimo di Cristo, dovrà possedere fin da questa vita un pegno di quella unione che un giorno lo unirà al corpo del Signore. Costui non avrà che un desiderio, non avrà che una sete: indirizzare tutti i suoi atti e tutti i suoi pensieri al medesimo fine, che è quello di godere fin dalla terra lo stato riservato ai santi in cielo: cioè che « Dio sia tutto in tutti »[37]. |
CAPUT VII. Interrogatio de mobilitate animae, et impugnatione
nequitiarum coelestium. |
VII - Domanda
sulla volubilità dello spirito e sugli assalti che ci muovono gli
spiriti del male
Germano -
La volubilità della nostra mente potrebbe essere contenuta, se l’anima
umana non fosse assediata da un vero esercito di nemici che la
sospingono continuamente là dove essa non vuole, o piuttosto là dove la
trascina la volubilità che le è connaturale. Assediata da tanti nemici,
e per di più così potenti e feroci, noi stimeremmo l’anima assolutamente
incapace di resistere — considerata anche la fragilità della carne — se
le vostre parole, che suonano come oracoli, non ci incoraggiassero a
credere e a sperare il contrario.
Vili - Risposta
sull'aiuto di Dio e le facoltà del libero arbitrio
Sereno -
Tutti coloro che hanno sperimentato le lotte dell’uomo interiore, sanno
bene che noi abbiamo dei nemici sempre occupati a tenderci insidie. Ma
noi diciamo che questi nemici si oppongono al nostro progresso in quanto
ci sollecitano al male, non in quanto ci determinano al peccato. Se i
nostri avversari, oltre alla facoltà di istigarci al peccato, avessero
anche il potere di farci peccare, quando volessero accenderci in cuore
il fuoco di una qualsiasi concupiscenza, non ci potrebbe essere alcuno
capace di resistere. Invece non è così. Essi hanno avuto la facoltà di
tentarci, noi abbiamo avuto la libertà di respingere o accettare le loro
suggestioni.
Se ci spaventano
i loro assalti e la loro potenza, non dobbiamo d’altra parte dimenticare
l’aiuto e la protezione di Dio; la sacra Scrittura dice: « Chi è in voi
è più potente di colui che sta nel mondo »[38].
L’aiuto di Dio combatte per noi con una forza molto più grande di quella
che i demoni impiegano contro di noi. Il Signore infatti non si
accontenta di suggerirci il bene, ma se ne fa promotore e operatore,
cosicché tante volte ci attira alla salute senza che noi lo vogliamo e
ce n’accorgiamo. È chiaro dunque che nessuno può essere ingannato dal
demonio, se prima non gli ha voluto dare il consenso della sua volontà.
Questa verità è espressa nell 'Ecclesiaste con
queste parole: « Poiché non si resiste da parte di coloro che fanno il
male, ecco che il cuore degli uomini si riempie di pensieri malvagi »[39].
È dunque chiaro che l’uomo pecca perché non oppone resistenza ai
pensieri malvagi che lo assalgono, dice infatti il Signore: « Resistete
al demonio, ed egli fuggirà da voi »[40].
IX - Domanda
sull’unione dell’anima coi demoni Germano - Quale comunanza c’è fra l’anima e gli spiriti maligni? Si tratta di unione così stretta che alle volte sarei tentato di dire che quegli spiriti non solo si avvicinano all’anima, ma si congiungono con essa. Infatti le parlano intimamente, la penetrano, le ispirano tutto ciò che vogliono, la sospingono agli atti che vogliono, vedono e conoscono in ogni particolare i suoi pensieri e i suoi movimenti. Insomma, è tale e tanta la congiunzione degli spiriti maligni con l'anima nostra, che, senza una grazia speciale di Dio, non sarebbe possibile distinguere ciò che procede da loro e ciò che procede dalla nostra volontà. |
CAPUT X. Responsio in quem modum spiritus immundi humanis mentibus
copulentur. |
X - Risposta
sul modo in cui gli spiriti immondi si uniscono con l'anima umana
Sereno -
Non deve recar meraviglia che uno spirito possa insensibilmente unirsi a
un altro spirito, ed esercitare su quello una forza segreta di
persuasione per certi suoi fini. Tra gli spiriti, come del resto tra gli
uomini, esiste una somiglianza di natura e una certa parentela. Prova ne
sia che la definizione data per l’essenza dell’anima si addice anche
agli altri spiriti. Però non è possibile una compenetrazione, una unione
tale che uno contenga l’altro. Questa prerogativa è riservata soltanto
alla divinità perché essa sola è una sostanza incorporea e semplice.
XI - Obiezione:
Possono gli spiriti immondi, penetrare
nell'anima di coloro che hanno infestato
Germano —
Questa risposta ci sembra contraddetta da ciò che vediamo nelle persone
invasate dal demonio: esse, sotto l’influsso dello spirito immondo,
dicono e fanno cose di cui non hanno conoscenza. Come si fa a dire che
la loro anima non è unita a questi spiriti, dal momento che le vediamo
trasformarsi in un loro strumento, e lasciare il loro stato naturale per
assumere dai demoni passioni e sentimenti? Si giunge a tal punto che
parole, gesti, volontà, son dei demoni e non delle persone da questi
possedute.
XII - Risposta
sul modo in cui gli spiriti immondi dominano gli energumeni
Sereno -
Quanto voi dite degli energùmeni, i quali, sotto l'influsso degli
spiriti immondi, dicono o fanno ciò che non vogliono, oppure sono
costretti a dir cose che ignorano, non contraddice la mia sentenza, È
certo intanto che l'influsso degli spiriti sugli uomini non si esercita
in un solo modo. Ci sono energumeni che non hanno alcuna conoscenza di
ciò che fanno o dicono, ce ne sono altri che ne hanno conoscenza e se ne
ricordano quando l’accesso è passato. Non pensate che questi fenomeni derivino da una tale infiltrazione dello spirito immondo per cui questo, penetrato nella sostanza dell’anima, faccia quasi una sola cosa con essa, e come rivestito di lei, parli per bocca del paziente. Non si può credere che gli spiriti immondi abbiano una tale potenza. Certi fenomeni non si verificano per una diminuzione dell’anima, ma per la debolezza del corpo; di ciò potrà persuaderci un ragionamento evidente. Quando lo spirito immondo s’impossessa di quelle membra in cui risiede il vigore dell’anima, le grava di un peso insopportabile e così fa piombare nelle più dense tenebre le facoltà intellettuali. Gli stessi effetti vediamo che talvolta si producono anche per vino, febbre, freddo eccessivo, o per altre infermità che vengono dal difuori. Ma lo spirito immondo non ha potere sull’anima; nel caso di Giobbe, il demonio, che aveva avuto ogni potere sul corpo, sentì proibirsi ogni potere sull’anima: « Eccolo in tuo potere, soltanto risparmia la sua anima »[41]. E voleva dire: ti proibisco di sconvolgergli la mente indebolendo Porgano che è sede del pensiero; ti proibisco ancora — finché egli ti resisterà — di oscurargli l’intelletto e il giudizio, soffocando col tuo peso la parte più alta del suo cuore. |
CAPUT XIII. Quod spiritus spiritui penetrabilis esse non possit, sed
incorporeo soli Deo. |
XIII - Uno
spirito non può penetrare un altro spirito. Dio
solo è assolutamente incorporeo
Uno spirito può
penetrare una materia densa e solida come la nostra carne: questa è cosa
facilissima. Non bisogna credere, però, che uno spirito possa unirsi con
l'anima (la quale è spirito a sua volta) in maniera tale da
compenetrarsi vicendevolmente. Questo è possibile soltanto alla ss.
Trinità, la quale si unisce in modo tale alle nature intellettuali che,
oltre ad abbracciarle e avvolgerle, le penetra e le conquista
all’interno, a somiglianza dell'olio che entra nei corpi.
Noi diciamo che esistono sostanze spirituali come gli angeli, gli
arcangeli, le altre virtù celesti, la nostra stessa anima, Paria che
respiriamo, ma non si deve credere che queste sostanze siano
assolutamente immateriali. Hanno anch’esse un corpo nel quale
sussistono: corpo assai più sottile del nostro, come afferma l’Apostolo
quando dice: « Ci sono corpi celesti e corpi terrestri » [42];
e ancora: « Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale » [43].
Da ciò si deduce che Dio solo è assolutamente privo di corpo, perciò lui
solo può penetrare tutte le sostanze spirituali e intellettuali, in
quanto egli è tutto intero, in tutto e dappertutto. Egli può così vedere
e sorvegliare i pensieri dell’uomo, i suoi movimenti interiori e perfino
i misteri più profondi dell’anima. Di lui solo l'Apostolo
può dire: « Viva è la parola di Dio ed efficace, e più tagliente di una
spada a due tagli, e penetrante sino a dividere l’anima e lo spirito, e
le giunture e le midolle, e scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri
del cuore; e non v’è creatura che rimanga nascosta davanti a lui, ma
tutto è nudo e palese agli occhi suoi »[44].
E il beato David dice: « Egli forma i loro cuori a uno a uno » [45];
e ancora: « Egli conosce i segreti del cuore »[46].
E Giobbe a sua volta: « Tu solo conosci il cuore degli uomini »[47].
XIV - Obiezione
tendente a dimostrare che i demoni vedono i pensieri degli uomini
Germano —
Secondo quello che vai dicendo, gli spiriti immondi non potrebbero
neppur vedere i nostri pensieri, ma ciò pare inaccettabile, perché la
sacra Scrittura dice: « Se lo spirito del potente si leva contro di te »[48],
e ancora: « Il diavolo aveva messo in cuore a Giuda, figlio di Simone
Iscariote di tradirlo »[49].
Come si fa a credere che i nostri pensieri non sono visibili a loro, dal
momento che esperimentiamo come la più gran parte dei pensieri nascono
in noi per loro istigazione?
XV - Risposta:
ciò che i demoni possono e ciò che non possono sopra i pensieri degli
uomini
Sereno —
È certo che gli spiriti immondi possono conoscere la natura dei nostri
pensieri, ma dal di fuori, attraverso congetture che si fondano su segni
sensibili, come possono essere le nostre disposizioni, le parole che
diciamo, le occupazioni alle quali ci vedono più inclinati. Non possono
però conoscere quei pensieri che non sono ancora usciti dal segreto
delle nostre anime.
L’accoglienza
d’accettazione o di ripulsa che noi riserviamo agli stessi pensieri che
essi ci suggeriscono, non la conoscono nell’essenza dell’anima nostra,
vale a dire dai movimenti interiori che restano nascosti nel midollo
dello spirito; la conoscono invece attraverso i movimenti dell’uomo
esteriore e attraverso gli indizi che lasciamo scorgere. Diciamolo con
un esempio. Supponiamo che gli spiriti immondi abbiano suggerito un
pensiero di gola: se vedranno che il monaco leva gli occhi alla
finestra, guarda a qual punto del suo corso è il sole, domanda
impaziente che ora è, conosceranno da questi segni che il pensiero di
ghiottoneria ha trovato buona accoglienza. Oppure il pensiero suggerito
era di fornicazione: se si accorgeranno che il monaco ha ricevuto senza
reagire il dardo della passione, se vedranno qualche moto carnale, o per
lo meno che non c'è stata una pronta difesa contro la suggestione
impura, capiranno che la freccia del piacere avvelenato si è conficcata
nel profondo dell’anima. Anche nelle tentazioni di tristezza, di ira, di
furore gli spiriti immondi giudicano dai movimenti del corpo e dalle
reazioni esteriori, se esse sono entrate nel cuore. Basta uno sdegno
muto, un sospiro sdegnato, un trascolorare del volto, un pallore, un
rossore. Questi sono i mezzi con i quali quelle intelligenze finissime
conoscono chi s’è dato al vizio e a quale vizio si è dato. Sanno bene
che ci attrae di più quel vizio il quale, appena suggerito, provoca nel
nostro corpo un gesto, un movimento, dal quale arguiscono
infallibilmente che ha ottenuto la nostra accettazione, la nostra
complicità. Questa perspicacia degli spiriti immondi non ha niente di strano: vediamo che molti uomini dotati d'intuito psicologico fanno spesso altrettanto: dall'aspetto, dal volto, dal modo d'agire dell’uomo esteriore, riconoscono lo stato dell'uomo interiore. Ora, con quanta più certezza potranno far ciò i demoni, i quali sono indubbiamente, per la loro natura spirituale, più intelligenti e più penetranti degli uomini? |
CAPUT XVI. Similitudo, qua spiritus immundi cogitationes hominum
doceantur agnoscere. |
XVI - Una
comparazione con la quale si dimostra come i demoni conoscono i pensieri
degli uomini
Ci son dei ladri che
hanno l'abitudine di fare un'ispezione nelle case in cui vogliono
compiere il furto per conoscere gli oggetti preziosi che la notte
nasconde. Nel più fitto delle tenebre essi scagliano con mano cauta una
rena finissima e dal suono lievissimo che risponde alla caduta di quei
granelli indovinano gli oggetti preziosi che gli occhi non possono
vedere. Dal suono di quella strana voce riconoscono, senza pericolo
d’errore, gli oggetti e i metalli di cui son formati.
Anche i demoni, per
esplorare i tesori del nostro cuore, scagliano la rena finissima delle
loro suggestioni maligne; la risonanza che, a seconda dei casi, sentono
destarsi nella nostra sensibilità, è come lo squillo che esce dalle
parti più nascoste di una stanza e lascia loro conoscere che cosa sta
nascosto nel santuario segreto dell’uomo interiore.
XVII - Ogni
singolo demonio non suggerisce all'uomo tutte le passioni
Non dobbiamo credere
che ogni demonio suggerisca all’uomo tutti i vizi indistintamente. No.
Ogni schiera di demoni è specializzata in qualche genere di vizi. Ci son
quelli che si compiacciono delle impurità e d’ogni sorta di libidini; ce
ne son altri che curano più particolarmente le bestemmie; altri ancora
si dilettano con l’ira e il furore. Questi si pascono di tristezza,
quelli hanno particolare trasporto per la vanità e la superbia. Ognuno
di loro cerca di far entrare nel cuore degli uomini il vizio in cui
maggiormente si compiace. Né si creda che scarichino tutti insieme le
loro frecce avvelenate: si alternano secondo che richiedono le
circostanze di tempo e di luogo e le disposizioni della persona da
tentare.
XVIII - Domanda:
È vero che i demoni hanno un ordine nei loro attacchi e che ciascuno di
loro ha un compito particolare? Germano - Si deve dunque credere che tra i demoni c’è un ordine e una disciplina nel fare il male? Essi hanno un compito da svolgere, e i loro assalti si sviluppano secondo un piano preordinato e ragionevole? Eppure è noto a tutti che la misura e la ragione si trovano nel bene e nella virtù, dice infatti la Scrittura: « Cercherai la sapienza presso i cattivi e non la troverai »[50]; oppure: « I nostri nemici sono insensati » [51]; e ancora: « Non c’è sapienza, né prudenza, né consiglio presso gli empi »[52]. |
CAPUT XIX. Responsio, in quem modum concio daemonum super vicissitudinis
impugnatione subsistat. |
XIX - Risposta:
In qual modo i demoni si accordino sull'ordine dei loro attacchi
Sereno -
Certo, fra i cattivi non vi può essere un accordo durevole e completo;
neppure tra i vizi, dei quali i cattivi si dilettano, può esservi una
perfetta armonia. Voi l’avete detto già: non si può trovare la
disciplina e l’ordine nel cuore del disordine. Tuttavia esistono casi
nei quali, o l’azione fatta in comune, o la necessità, o l’identità
d’interessi invitano all’unione; allora è necessario che anche i cattivi
si trovino per qualche tempo d’accordo.
Un simile accordo si
riscontra anche tra gli spiriti del male: si sa infatti che osservano
tra loro un ordine di avvicendamento nel tempo e si fissano a certi
luoghi per farne la loro abituale dimora. La prova evidente che i demoni
sono obbligati ad alternare le tentazioni e che possono assalirci
soltanto in momenti determinati e con determinati vizi, sta in questo: è
impossibile essere, nello stesso tempo, giocati dalla vanità e bruciare
di fuoco impuro, gonfiarsi di orgoglio — vizio spirituale — e
abbandonarsi alla gola — vizio carnale —. Così non si può sgangherarsi
dalle risa ed essere allo stesso tempo sotto gli impulsi dell’ira, o
farsi prendere da una consumante tristezza. Bisognerà allora che ogni
demonio abbia il suo tempo per assalire l'anima. Quando è vinto e
costretto a ritirarsi, cede il posto ad un altro che attaccherà l'anima
con più violenza; ma anche se il primo demonio riesce ad avere la
meglio, cede sempre l'anima a un altro spirito maligno perché vi produca
anch’esso i suoi scempi.
XX - I
demoni non hanno tutti la stessa forza e non possono tentarci come
vogliono
Non bisogna
dimenticare che i demoni non son tutti feroci o appassionati allo stesso
modo, non hanno tutti la stessa forza e malizia. Coloro che muovono i
primi passi nella vita spirituale, o sono comunque ancor deboli, sono
assaliti dai demoni più deboli, ma quando l'atleta di Cristo ha
riportato vittoria dei primi avversari, deve gradualmente affrontare
battaglie sempre più dure. A mano a mano che aumentano le nostre forze e
i nostri progressi, aumentano le difficoltà della battaglia. Nessun
santo, chiunque egli sia, potrebbe sostenere la protervia di tali e
tanti nemici, potrebbe sventare le loro insidie, sopportare la loro
crudele ferocia, se Cristo, il quale presiede al nostro combattimento
come arbitro clementissimo e direttore dei giochi, non ristabilisse
l’uguaglianza di forze tra noi e i nostri nemici, non respingesse (o
almeno frenasse) l’impeto dei loro assalti e non ci concede — insieme
con la tentazione — anche la via d’uscita, in modo che possiamo
resistere.
XXI - I
demoni si affaticano nel combattimento con gli uomini
Noi pensiamo che anche i demoni abbiano la loro fatica da sostenere in
questo combattimento. Sentono anch’essi, mentre lottano, l’inquietudine
e la tristezza, specialmente quando hanno a che fare con gli avversari
più forti, voglio dire i santi e i perfetti. Altrimenti, per loro, non
si tratterebbe più di combattimento, ma semplicemente di un permesso
d’ingannare gli uomini con tutta facilità. E allora come sarebbe ancor
vera la parola dell’Apostolo: « La nostra lotta non è con il sangue e
con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori
del mondo delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria» [53]?
E l’altro passo dell’Apostolo? « Faccio del pugilato, ma non dando i
colpi all’aria » [54].
E ancora: « Io ho combattuto la buona battaglia » [55].
Quando si parla di combattimento, di lotta, di battaglia, è necessario
che da entrambe le parti ci sia fatica, sudore, incertezza; da entrambe
le parti la sconfitta deve generare dolore e confusione, la vittoria
deve condurre la gioia. Se invece, mentre uno dei due contendenti si
affatica a combattere, l’altro combatte senza fatica e senza pericolo, e
può abbattere il suo avversario solo che lo voglia, allora non si può
più parlare di battaglia, di lotta, di combattimento, è meglio dire «
aggressione », che va contro la giustizia e la ragione.
Ma no; nella
guerra che conducono contro gli uomini, anche i demoni provano
difficoltà e fatiche che affrontano per ottenere su ciascuno la vittoria
desiderata. Nel caso che restino sconfitti, la confusione che era
riservata a noi, qualora avessimo ceduto, cade su di loro, secondo quel
che è stato scritto: « Sul capo di quelli che mi stanno d’attorno,
ricada la malignità delle loro labbra e li ricopra »[56];
e ancora: «Ricada la calamità sul suo capo»[57].
Infine: «Gli venga
addosso la rovina a cui non pensa, e la rete che ha nascosto lo
acchiappi, e qui nel laccio egli cada »[58].
I demoni hanno
anch’essi da soffrire, e non meno di noi. Qualche volta ci abbattono e
qualche volta noi li abbattiamo, e quando sono stati vinti, se ne vanno
pieni di confusione.
II Salmista, che
aveva sani gli occhi dell’uomo interiore, poteva vedere ogni giorno gli
assalti e le sconfitte dei demoni. Ma li vedeva anche far festa per le
nostre cadute e le nostre sconfitte, e per timore che potessero menar
vanto anche sulla sua personale sconfitta, rivolgeva al Signore questa
preghiera: « Dà luce ai miei occhi, che non mi addormenti nel sonno
della morte. Guarda e ascoltami, Signore mio Dio, affinché non dica il
mio nemico: l’ho sopraffatto, e i miei persecutori non esultino,
quand’io barcolli »[59].
E ancora: « Dio mio, non godano a motivo di me. Non dicano in cuor loro:
bene, bene, per noi! Non dicano: l'abbiamo divorato! »[60].
Oppure: « Digrignano contro me i loro denti. Signore, fino a quando
starai a guardare? »[61].
Perché « I suoi occhi spiano il misero, si rimpiatta nel nascondiglio
qual leone nella sua tana, per agguantare il misero attirandolo nella
sua rete »[62].
E infine: « Egli chiede a Dio il suo pasto »[63].
Ma quando, nonostante ogni sforzo, s’accorgono di non poterci ingannare,
è inevitabile « che siano confusi e svergognati a un tempo, quelli che
cercano le anime nostre per togliercele »[64];
che si ricoprano di vergogna e di confusione coloro che pensano male
contro di noi[65].
E Geremia dice: « Siano confusi quelli che mi perseguitano e non sia
confuso io, siano spaventati loro e non sia spaventato io: manda sopra
di essi il giorno dell’afflizione »[66].
Nessuno può
dubitare che, dopo essere stati da noi sconfitti, essi saranno
tormentati da un doppio cruccio: prima perché vedranno che gli uomini
cercano la santità, mentre loro hanno perduto la santità che possedevano
e si son fatti causa di perdizione per il genere umano; poi perché pur
essendo creature spirituali sono sconfitti da creature carnali e
terrestri. Intanto, mentre contempla la rovina dei suoi nemici e le sue
vittorie, ogni santo esclama, in un trasporto di gioia: « Inseguirò i
miei nemici e li raggiungerò, e non tornerò indietro sino a che non
saranno distrutti. Li abbatterò e non potranno risorgere, cadranno sotto
i miei piedi »[67].
E lo stesso profeta prega così contro questi nemici: « Giudica, o
Signore, quei che mi fanno del male, combatti quei che mi combattono.
Piglia le armi e lo scudo e levati in mio aiuto. Sguaina la spada e
sbarra la via di fronte ai miei persecutori, dì all'anima mia: io son la
tua salvezza »[68].
E quando, dopo aver sottomessi tutti i vizi, avremo riportato piena
vittoria sopra i demoni, meriteremo di sentirci rivolgere questa parola
di benedizione: « La tua mano si levi sopra i tuoi nemici e tutti coloro
che ti si oppongono periranno »[69]. Queste strofe, e altre simili, che noi leggiamo e cantiamo sui libri sacri, le dobbiamo intendere come scritte unicamente contro gli spiriti del male, che c'insidiano di giorno e di notte. Se le intendessimo in altro senso, non soltanto non potremmo più essere edificati e istruiti nella pazienza e nella dolcezza, ma ne trarremmo dei sentimenti di cattiveria incompatibili con la perfezione evangelica. Perché in tal caso, oltre a non pregare per i nostri nemici e a non amarli, impareremmo anche a detestarli con un odio implacabile, a maledirli e a imprecare continuamente contro loro. Pensare che quegli uomini santi e amici di Dio abbiano detto tali espressioni con sentimento di odio, sarebbe un peccato e un sacrilegio. Essi infatti, prima ancora della venuta di Cristo, si levarono al disopra delle prescrizioni della Legge e, anticipando i tempi, preferirono obbedire ai comanda- menti del Vangelo e ricercare quella perfezione che poi fu degli apostoli. |
CAPUT XXII. Quod non sit potestas nocendi in arbitrio daemonum
collocata. |
XXII -I
demoni non hanno facoltà di nuocere come e quanto a loro piace
Gli spiriti maligni non hanno facoltà di far male a chi vogliono.
L’esempio del beato Giobbe ne è una prova lampante: il nemico non
ardisce tentarlo al di là di quel segno che ha stabilito la volontà
divina. Il fatto è confermato nel Vangelo con la confessione degli
stessi demoni, i quali dicono al Signore: «Se ci scacci di qui, mandaci
in una mandria di porci » [70].
Con quanta più ragione bisognerà pensare che essi non han facoltà di
entrare a loro arbitrio nel corpo di un uomo creato a immagine di Dio,
se si riflette che senza il permesso divino non poterono entrare neppure
in una mandria di porci. Infine, se i demoni avessero la facoltà e la
libertà di nuocere e tentare a loro capriccio, nessuno di questi giovani
che noi vediamo costantemente dimorare nel deserto — anzi nessuno degli
uomini ormai perfetti — potrebbe abitare solo nell’eremo, assediato da
così numerosi e così terribili nemici. E l’evidenza del nostro
ragionamento è suffragata anche dalla parola che il Signore e Salvatore
nostro, nell’umiltà della sua natura umana, rivolse a Pilato: « Non
avresti su di me alcuna potestà, se non ti fosse stata data dall’alto »[71].
XXIII - La
potenza dei demoni è diminuita
La nostra esperienza e
la tradizione che ci viene dagli anziani ci assicurano che i demoni non
hanno, ai nostri tempi, tutta quella forza che avevano una volta, al
principio cioè della vita anacoretica, quando il deserto dava ricetto
soltanto a qualche raro solitario. La loro violenza era allora tanto
feroce che solo un piccolo numero di monaci, ben radicati nella virtù e
molto avanzati in età, poteva sopportare la dimora del deserto. Anzi, la
ferocia dei demoni si scatenava terribile negli stessi monasteri dei
cenobiti, dove vivevano insieme fino a otto e dieci fratelli. Gli
attacchi, anche sotto forma visibile, erano così frequenti che i monaci
non potevano dormire tutti contemporaneamente, ma erano costretti a
darsi il turno. Mentre alcuni prendevano riposo, altri vegliavano nella
recita dei Salmi, nella preghiera, nella lettura spirituale. Quando la
stanchezza li costringeva a prendere riposo, svegliavano gli altri,
perché montassero di guardia e proteggessero quelli che stavano per
darsi al sonno.
Da questo si deduce
che la sicurezza e la fiducia di cui godiamo oggi, non solo noi vecchi
che troviamo un certo aiuto negli anni e nell’esperienza, ma anche i più
giovani, hanno alla loro origine due cause. O la potenza della croce ha
penetrato fino nell’intimo le nostre solitudini e la sua grazia, che
brilla in ogni luogo, ha mortificato i demoni, op pure la nostra
negligenza li ha resi svogliati ad assalirci e li ha dissuasi
dall’impiegare contro di noi la violenza con la quale si scagliavano
contro quegli antichi e meravigliosi atleti di Cristo. La stessa
cessazione degli assalti visibili potrebbe servir loro per ingannarci e
per infliggerci sconfitte più cocenti. Molti monaci ormai son caduti in
una spaventosa tiepidezza. Bisogna accarezzarli con ammonizioni che
sanno di debolezza. Bisogna accontentarsi che non abbandonino le loro
celle, per tornare alle antiche e pericolose inquietudini, per andarsi a
cacciare in vizi più gravi, dopo a- ver assecondato il loro istinto di
girovaghi. Sembra di aver ottenuto molto se si riesce a convincerli di
rimanere nel deserto, anche se appesantiti dall’apatia. Gli anziani
hanno preso l’abitudine di esortarli cosi: « Rimanete nelle vostre
celle, e poi mangiate, bevete, dormite, quanto vi pare e piace: basta
che rimaniate in cella ».
XXIV - Come
i demoni si preparino l'ingresso nel corpo degli ossessi Siamo ormai convinti che gli spiriti immondi non possono penetrare in coloro che vogliono possedere, senza prima essersi impadroniti del loro spirito e dei loro pensieri. Ed ecco le fasi della conquista. Prima sottraggono alle vittime designate il timore di Dio, il suo ricordo, la meditazione spirituale, poi, quando vedono l’anima spoglia del soccorso e della protezione divina, si gettano audacemente sulla preda, che è divenuta facile; infine fissano nell’anima la loro dimora, come se fosse un possesso lasciato in loro balia. |
CAPUT XXV. Quod miserabiliores sunt hi qui vitiis quam qui ab ipsis
daemonibus possidentur. |
XXV - Coloro
che son posseduti dai vizi son più miserabili di coloro che sono
posseduti dal demonio
Ma in una forma ancor più grave e terribile son tormentati dai demoni
coloro che, pur essendo liberi dal loro dominio per quanto riguarda il
corpo, sperimentano nell’anima, fatta schiava dei vizi e dei piaceri
peccaminosi, la più tremenda possessione diabolica. Per loro dice
l’Apostolo: « Uno è schiavo di colui dal quale è stato vinto » [72].
Lo stato di questi tali è il più disperato di tutti, perché, essendo
diventati come cose possedute dal demonio, non si accorgono degli
attacchi ai quali sono esposti e della tirannia che subiscono.
Sappiamo che anche il
corpo di uomini santi fu abbandonato al demonio, o colpito da gravi
malattie, per colpe molto leggere. Ed eccone la ragione: la clemenza di
Dio non sopporta di trovare in loro il più piccolo difetto o la più
piccola macchia, nel gran giorno del giudizio; perciò si prende premura
— come dice il Profeta, anzi come dice
Dio stesso — di
togliere fin da questa vita le scorie che ancora conservano, affinché
possano essere introdotti immediatamente nell'eternità beata, a
somiglianza di oro o d’argento che non abbisogna di altra purificazione,
perché è già stato purificato dal fuoco. « Fonderò — dice il Signore —
le tue scorie e le colerò e toglierò via tutto il tuo stagno; e dopo di
ciò sarai chiamata città del giusto, città fedele »[73].
E ancora: « Come l’argento si prova al fuoco e l’oro al fornello, così
il Signore prova i cuori »[74].
E insiste: « Nel fuoco si saggia l’oro e l’argento e gli uomini accetti
nel crogiuolo dell’umiliazione »[75];
e infine: « Il Signore castiga chi ama e sferza ogni figliolo che
accoglie »[76].
XXVI - Morte
violenta di un profeta sedotto; malattia dell'abate Paolo da lui
meritata a scopo di purificazione
Un esempio che vale a confermare la verità di quanto siamo venuti
dicendo è quel profeta e uomo di Dio del quale si legge al terzo libro
dei Re. Egli
commette una sola colpa di disobbedienza, e non per calcolo o volontà
perversa, ma perché è raggirato da un altro; eppure è subito ucciso da
un leone. Ecco come la Scrittura parla del fatto: « È l’uomo di Dio che,
essendo stato disobbediente alla parola del Signore, fu dal Signore dato
in preda al leone, il quale lo ha lacerato e ucciso secondo la parola
che gli aveva detto » [77].
Questo episodio ci mostra che Dio abbandonò il profeta al leone,
soltanto per lavare la colpa da lui appena commessa, per cancellare
l’errore di un momento d’inavvertenza ; ma nello stesso tempo Dio volle
riaffermare i meriti del suo profeta, come si vide dalla insolita
condotta del leone, il quale, nonostante la sua naturale voracità, non
osò toccare il cadavere che aveva davanti.
Un altro esempio
chiaro e lampante di questa verità, si è avuto ai nostri tempi nella
persona dell’abate Paolo e in quella dell’abate Mosè. Il secondo di
questi abitava quella parte del deserto che si chiama Calamo; il primo
abitava in un eremo vicino alla città di Panefisi; il quale eremo, si è
formato in tempi piuttosto recenti, a seguito di una inondazione d’acque
salate. Quando soffia il vento del Nord, l’acqua, sollevata dagli
stagni, si spande sulle terre circostanti e copre tutta la superficie
della regione; così gli antichi paesi, abbandonati ormai dai loro
abitanti per le ragioni note, emergono sull’acqua come tante isole.
Il nostro abate Paolo,
dunque, nella pace e nel silenzio del deserto, era salito a tale purezza
di cuore da non poter sopportare la vista, non dico di un volto, ma
neppure di un vestito di donna. Un giorno, mentre Paolo, in compagnia
dell’abate Archebio, che abitava nello stesso eremo, andava alla cella
di un monaco anziano, s’imbatté per caso in una donna. L’incontro lo
turbò fino al punto che immediatamente dimenticò il dovere di carità per
il quale si era proposto di render visita al confratello, tornò indietro
e si mise a correre verso il suo monastero con la velocità di uno che
avesse visto un leone o un dragone spaventoso. Inutilmente l’abate
Archebio lo richiamava; grida e implorazioni non valevano a piegarlo e a
convincerlo che bisognava continuare il cammino intrapreso per fare
visita al vecchio confratello.
Quel gesto era stato
ispirato da zelo per la castità e da amore per la purezza, tuttavia non
era compiuto con moderazione, e oltrepassava i limiti di una austerità
anche rigorosa. Il nostro abate credeva di dover fuggire non la sola
familiarità con donne — cosa questa veramente pericolosa — ma la stessa
vista di una figura femminile. Il castigo arrivò immediato. Il suo corpo
fu colpito da paralisi e nessun membro fu più capace di compiere i
propri uffici. I piedi e le mani rifiutavano ogni servizio; la lingua
rimaneva immobile nella bocca muta, le orecchie stesse avevano perduto
la capacità di udire. Diventato insensibile e immobile, conservava la
sola apparenza dell’uomo. In quello stato, la carità degli uomini suoi
confratelli non bastava più a tutti i servizi di cui l’infermo
abbisognava e si mostravano necessarie le cure di una donna. Fu portato
allora in un monastero di sacre Vergini e furono mani femminili a fargli
prendere da mangiare e da bere, a provvedere ad ogni altra sua
necessità; egli ormai era diventato incapace di chiedere qualcosa anche
con un segno del capo. E così durò quattro anni, cioè fino al termine
della sua vita.
Mentre la paralisi
immobilizzava così tutte le sue membra, sottraendo ad esse sensibilità e
moto, usciva da lui una virtù operatrice di miracoli. L’olio che era
stato a contatto con il suo corpo — meglio sarebbe dire cadavere —
guariva istantaneamente i malati che ne venivano unti, qualunque fosse
il loro male. Per tal modo fu chiaro come la luce del sole, anche agli
occhi degli infedeli, che quella paralisi generale era un dono
misericordioso di Dio e la grazia delle guarigioni era venuto, dallo
Spirito Santo, per comprovare la sua purezza e manifestare i suoi
meriti.
XXVII - Tentazione
dell'abate Mosè L’abate Mosè, il quale, come già abbiamo detto, abitava in questo deserto, pur essendo un uomo unico e davvero incomparabile, in punizione di una parola poco caritatevole, che aveva pronunciato nel corso di una discussione con l’abate Macario, fu abbandonato a un demonio tanto crudele che lo spingeva a cibarsi di escrementi umani. Ma il Signore mostrò, con la prontezza della guarigione, che quel castigo aveva lo scopo di purificare il colpevole, affinché nell’anima sua non rimanesse la macchia neppur di una colpa momentanea. Essendosi messo in preghiera l’abate Macario, lo spirito maligno lasciò Mosè in men che non si dice. |
CAPUT XXVIII. Quod sperni non debeant hi qui spiritibus traduntur
immundis. |
XXVIII - Non
si possono disprezzare coloro che sono in potere degli spiriti immondi
Da questo si deve
dedurre che non possiamo abominare o disprezzare quei fratelli che
vediamo alle prese con diverse tentazioni, o dati in potere degli
spiriti maligni. Noi dobbiamo ritenere fermamente due cose: innanzi
tutto, nessuno è tentato dai demoni senza che Dio lo permetta; in
secondo luogo, che tutto quanto ci viene da Dio — triste o lieto che ci
appaia — ci è dato da un padre amoroso, da un medico desideroso del
nostro profitto.
Coloro che sono umiliati assomigliano ai bambini affidati al pedagogo:
l’umiliazione fa sì che, partendosene da questo mondo, si presentino
purificati alla porta dell’eternità, oppure abbiano da subire una
purificazione leggera prima di iniziare la vita beata. Insomma: essi
sono — dice l’Apostolo — « Consegnati a Satana nella vita presente, per
la rovina della sola carne, affinché lo spirito si salvi nel giorno del
Signore » [78]78.
XXIX - Obiezione:
perché coloro che son posseduti dagli spiriti immondi sono esclusi dalla
comunione eucaristica?
Germano -
E allora, perché nelle nostre regioni, coloro che son posseduti dal
demonio, oltre ad essere in orrore e disprezzo a tutti, sono anche — per
un’antica usanza — tenuti lontani dalla comunione eucaristica? Perché si
applica a loro la parola del Vangelo: « Non date le cose sante ai cani;
non gettate le margherite davanti ai porci »? [79].
La nostra condotta non è da approvarsi, se è vero — come tu dici — che
Dio umilia le anime con queste prove al solo fine di purificarle e di
beneficarle.
XXX - Risposta
alla domanda
Sereno -
Se possediamo questa persuasione, o meglio questa fede, di cui ho
parlato sopra, e secondo la quale tutto viene da Dio ed è indirizzato al
bene delle anime, invece di guardare con disprezzo gli indemoniati, noi
pregheremo continuamente per loro, come pei membri del nostro stesso
corpo. Avremo altresì compassione del loro stato, perché « quando un
membro soffre, tutte le membra soffrono con lui »[80].
Dobbiamo ricordare che per il fatto che essi sono « nostre membra », noi
non potremo raggiungere la nostra completa perfezione senza di loro,
come anche i santi che vissero avanti a noi non poterono ottenere senza
di noi il pieno compimento della divina promessa. Dice di loro
l'Apostolo: « Tutti costoro, pur ricevendo testimonianza per la loro
fede, non conseguirono Poggetto della loro promessa, Dio infatti volle —
per un favore particolare che ci ha fatto — non arrivassero alla
perfezione senza di noi »[81]. Quanto alla comunione eucaristica non conosco disposizioni che ne allontanino gli energumeni; penso, al contrario, che essi dovrebbero riceverla ogni giorno. Infatti non è vero che in tal caso — secondo la sentenza evangelica da voi citata a sproposito — si darebbero le cose sante ai cani, o ai demoni, ma si deve invece ritenere che la santa comunione andrebbe a purificare e a proteggere corpo e anima del posseduto da Satana. L’Eucaristia diventa, per lo spirito che risiede in quel corpo o tenta di penetrarci, un fuoco che brucia e lo obbliga a fuggire. In questo modo e con questa cura noi abbiamo visto guarire l’abate Andronico e molti altri. Il nemico sarà tanto più feroce verso il povero ossesso se lo vedrà tenuto lontano dalla medicina celeste, e quanto più a lungo lo vedrà escluso dalla medicina dello spirito, tanto più i suoi assalti si faranno feroci e frequenti. |
CAPUT XXXI. Quod miseri sint hi qui subdi temporalibus istis
tentationibus non merentur. |
XXXI - Sono
più miserabili coloro che non meritano di esser sottoposti a queste
prove temporali
I veri miserabili
sono coloro che, dopo essersi macchiati delle colpe più vergognose, non
solo non lasciano scorgere alcun segno della possessione diabolica, ma
non hanno neppur da subire qualche prova degna della loro condotta; non
ricevono neppure il più piccolo fastidio. Costoro non sono degni del
rimedio rapido e pronto del tempo presente. Il loro indurimento, il loro
cuore impenitente, superano i castighi propri di questa vita. Perciò
essi « ammassano un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della
manifestazione del giusto giudizio di Dio »[82].
E dopo quel giorno, « il loro verme non morrà, e il loro fuoco non si
estinguerà »[83].
Meravigliato di
vedere i santi afflitti da disgrazie e tentazioni, mentre i peccatori
trascorrono il viaggio della vita senza sentire il flagello
dell’umiliazione, anzi allietati dall’abbondanza delle ricchezze e
favoriti dalla fortuna, il Profeta grida in atto sdegnoso: « Per poco
non hanno vacillato i miei piedi, per poco non sono sdrucciolati i miei
passi, perché mi sono indignato contro i malvagi, vedendo la pace dei
peccatori. Non c’è timore nella loro morte, e le piaghe da cui sono
stati colpiti non avevano durata; non hanno per- te alla fatica degli
uomini e con gli uomini non sono stati castigati »[84].
E vuol dire che nell’eternità saranno puniti in compagnia dei demoni
coloro che non meritarono in questa vita la parte e il trattamento dei
figli, né d’essere colpiti come il resto degli uomini.
Anche il profeta
Geremia tratta col Signore della prosperità degli empi e, pur
protestando di non dubitare della giustizia divina (dice infatti: Tu sei
giusto, o Signore, e io non posso disputare con te)[85],
domanda tuttavia la causa di questa disparità, e dice: « Com’è che agli
empi tutto cammina prosperamente, che tutti i prevaricatori e quelli che
si danno a malfare sono felici? Tu li hai piantati e hanno messo radice,
fanno bella crescita e fanno frutto. Tu stai vicino alla loro bocca e
lontano dal loro cuore »[86].
Nonostante tutto, il Signore piange sulla loro rovina, come si legge
nella stessa profezia di Geremia. Pieno di sollecitudine per loro, manda
— allo scopo di guarirli — medici e maestri: li provoca in qualche modo
a piangere con lui, e dice: « All’improvviso è caduta Babilonia ed è
andata in sfacelo, ululate sovr’essa, cercate balsamo pel suo dolore, se
mai potesse guarire »[87].
Ecco ora la risposta disperata degli angeli ai quali è stata affidata la
cura della salvezza degli uomini, oppure, ecco la risposta del profeta a
nome degli Apostoli, oppure, ecco la risposta degli uomini spirituali e
dei maestri che conoscono l'indurimento di questi infelici e il loro
cuore impenitente: « Abbiamo curato Babilonia e non è guarita,
abbandoniamola e andiamo ciascuno al proprio paese, perché il suo
giudizio ha raggiunto il cielo, fino alle nubi si è alzato » [88].
Anche Isaia pensa al loro male inguaribile quando, in persona di Dio,
così parla a Gerusalemme: « Dalla pianta dei piedi fino alla sommità
della testa, non ho nulla di sano; ferita e lividura ed enfiata piaga,
non fasciata, non medicata, né curata con l’olio » [89].
XXXII - Diversità
di gusti e d’inclinazioni che si riscontrano negli spiriti dell’aria
È certo che nei demoni ci sono — come negli uomini — inclinazioni
diverse. Alcuni di loro, che la voce popolare chiama « vagabondi »,
sono ingannatori e buffoni. Stanno in luoghi abitati o sulle strade, ma
non si dilettano a tormentare quei passanti che riescono ad ingannare;
si accontentano di ridere e scherzare: hanno più il gusto di affaticare
che di nuocere.
Alcuni si
divertono ad assalire gli uomini con incubi notturni, ma senza far alcun
male. Ce ne sono altri particolarmente pazzi e crudeli. Non contenti di
tormentare con cru deli
lacerazioni il corpo di coloro che posseggono, si scagliano, anche da
lontano, su coloro che passano per infliggere loro gravissimi danni. Di
questa specie erano i demoni dei quali ci parla il Vangelo: la gente ne
aveva paura, tanto che nessuno ardiva più di passare per la via in cui
svolgevano la loro attività[90].
Son questi stessi demoni — o altri somiglianti a loro — che, accesi di
una ferocia insaziabile, si dilettano di guerre e di stragi.
Vediamo altri demoni, detti volgarmente « Bacucèi »,
gonfiare di sciocco orgoglio coloro che hanno preso a possedere.
Sforzandosi di innalzare la propria statura, questi ossessi prendono
talvolta atteggiamenti alteri e maestosi, altra volta sembra vogliano
farsi piccoli e affabili, prendendo tutti i segni dell’umiltà. Può anche
accadere che pensino di essere grandi personaggi, cosicché tutti tengano
gli occhi fissi su loro; ma ecco che poi s’inchinano come per rendere
omaggio a qualcuno più potente di loro. Qualche volta credono di
ricevere anch’essi segni di rispetto e li accolgono con quegli
atteggiamenti umili o superbi che sono di prammatica nella vita normale.
Abbiamo trovato
certi spiriti del male che non solo amano la menzogna, ma addirittura
ispirano la bestemmia. E questo posso attestarlo io stesso che ho udito
un demonio dichiarare espressamente di essersi servito di Ario e di Ne-
storio per mettere in circolazione dottrine empie e sacrileghe[91].
Uno di questi spiriti bugiardi, nel quarto libro dei Re si
vanta in questi termini: « Uscirò e sarò spirito di menzogna sulla bocca
di tutti i suoi profeti »[92].
Di questa categoria dei demoni parla l’Apostolo, quando, rimproverando
coloro che da essi si fanno ingannare, così esclama: « Alcuni danno
retta a spiriti ingannatori e a dottrine dei demoni che mentiscono
ipocritamente » [93].
Il Vangelo ci
assicura che esistono altri generi di demoni, come quelli sordi e quelli
muti. Il profeta poi ci avverte che esistono spiriti della libidine e
della lussuria, dice infatti: « Lo spirito di fornicazione li trasse
nell’errore ed hanno fornicato apostatando dal loro Dio »[94].
L’autorità della sacra Scrittura c’insegna che esistono i demoni della
notte, del giorno, del mezzogiorno. Ma non si finirebbe più se si
volessero scorrere tutte le sacre Scritture per raccogliervi a imo a uno
tutti i generi di demoni: ci sono gli onocentauri, i pelosi, le sirene,
i gufi, i barbagianni, le lamie, gli struzzi, i ricci: tutti questi si
trovano nei profeti. Bisogna inoltre aggiungere l’aspide e il basilisco
di cui parlano i Salmi, più il leone, il dragone, lo scorpione, di cui
parla il Vangelo, poi il principe di questo mondo, i capi di questo
mondo delle tenebre, gli spiriti di malizia, dei quali parla s. Paolo. E
ancora non dobbiamo credere che questi nomi siano dati a caso. Queste
bestie selvatiche, che sono per noi più o meno dannose, indicano il
particolare grado di ferocia o di rabbia dei vari demoni. È così che la
straordinaria somiglianza con la perfidia veramente sovrana di certi
animali selvaggi e di certi serpenti fa trasferire ai demoni il nome di
quelle bestie. Ad uno si addice la qualifica di leone, a causa della sua
violenza e degli scoppi funesti della sua ferocia; a un altro conviene
il nome di basilisco, a motivo del suo veleno mortale, che uccide prima
ancora di essere avvertito; a un altro ancora il torpore della malizia
ha meritato il nome di onocentauro, riccio, struzzo.
XXXIII - Domanda:
da dove ha origine una sì grande diversità tra i demoni?
Germano -
Siamo certi che si riferiscono ai demoni anche quelle classificazioni di
cui parla s. Paolo quando dice: « La nostra lotta non è col sangue e con
la carne, ma contro i Principi e le Potestà, contro i dominatori del
mondo delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria »[95].
Vorremmo ora conoscere donde deriva una sì grande diversità tra loro e
come hanno avuto origine tanti gradi di malizia. Hanno forse sortito
dalla stessa creazione il grado ora occupato in quella che potremo
chiamare la gerarchia della malizia?
XXXIV - Si
rimanda ad altro tempo la soluzione della questione proposta
Sereno —
Le vostre domande ci hanno fatto dimenticare il riposo della notte; non
ci accorgiamo neppure che è vicina l’aurora; anzi, tutto ci invoglia a
continuare fino alla levata del sole un colloquio che non ci fa mai
sazi. Ma la domanda che mi avete ora rivolto ci condurrebbe — se
raffrontassimo — in un mare vastissimo e profondissimo di problemi, mare
che la brevità del tempo a nostra disposizione non ci consentirebbe di
attraversare. Perciò stimo più conveniente rimandare tutto alla notte
prossima, così anch’io — da un più lungo colloquio con voi — trarrò più
gioia e vantaggio spirituale, e oltre a ciò, se lo Spirito Santo ci
ispirerà propizio, avremo agio di penetrare più a fondo i sensi nascosti
della questione.
Prendiamo dunque un
po’ di sonno, per scuotere quel sopore che, sul far del giorno, ci grava
gli occhi. Poi andremo tutti alla Chiesa, dove ci invita la ricorrenza
domenicale che oggi celebriamo. Dopo la sacra sinassi, sentiremo
raddoppiare la nostra gioia nello scambiarci quei doni di luce che il
Signore ci vorrà elargire, mosso dall’ardore del vostro desiderio. |
[1] Sap
9, 15.
[2] Qo
7, 29.
[3] Pr
19, 7 (LXX).
[4] Sal
83, 6.
[5] Mt
9, 4.
[6] Is
1, 16.
[7] Ger
4, 14.
[8] Is
66, 18.
[9] Rm
2, 15-16.
[10] Mt
8, 9.
[11] Es
18,21; Non stiamo a notare che in questo passo,
l’interpretazione allegorica della sacra Scrittura è più forzata
del solito.
[12] 2
Cor 10, 4.
[13] 2
Cor 10, 4-6.
[14] Ef
6, 16.
[15] 1
Ts 5, 8.
[16] 1
Cor 13, 7.
[17] 1
Ts 5, 8.
[18] Ef
6, 17.
[19] Eb
4, 12.
[20] Bar
3, 11.
[21] Gl
, 10 (LXX).
[22] Gl
3,11.
[23] 2
Cor 12, 10.
[24] 2
Cor 12, 9.
[25] Zc
12, 8 (LXX).
[26] Eb
10, 36.
[27] Sal
62, 9.
[28] Sal
118, 31.
[29] Sal
72, 28.
[30] 1
Cor. 6, 17.
[31] Pr
28, 19.
[32] Pr
14, 23.
[33] Pr
16, 26.
[34] Mt
11, 12.
[35] Gb
5, 7.
[36] Ef
4, 13.
[37] 1
Cor 15, 28.
[38] Gb
4, 4.
[39] Qo
8, 11 (LXX).
[40] Gc
4, 7.
[41] Gb
2, 6.
[42] 1
Cor 15, 40.
[43] 1
Cor 15, 44.
[44] Eb
4, 12-13.
[45] Sal
32, 15.
[46] Sal
43, 22.
[47] 2
Cr 6, 30; oltre a notare che la citazione di Giobbe è sbagliata,
ricordiamo ai nostri lettori che la teologia anteriore a san
Tommaso d’Aquino attribuiva agli spiriti creati un corpo fatto
di sostanza sottilissima, che molti, con termine preso in
prestito da Aristotele, chiamavano « etere ».
[48]Qo
10, 4.
[49] Gv
13,2.
[50] Pr
14, 6.
[51] Dt
32, 31.
[52] Pr
21, 30.
[53] Ef
6, 12.
[54] 1
Cor 9, 26.
[55] 1
Tm 4, 7.
[56] Sal
139, 10.
[57] Sal
7, 17.
[58] Sal
34, 8.
[59] Sal
12, 3-5.
[60] Sal
34, 24-25.
[61] Sal
34, 16-17.
[62] Sal
9, (10), 9.
[63] Sal
103, 21.
[64] Sal
39, 15.
[65] Sal
34, 26.
[66] Ger
17, 18.
[67] Sal
17, 38-39.
[68] Sal
34, 1-3.
[69] Mi
5, 9.
[70] Mt
8, 31.
[71] Gv
19,11.
[72] 2
Pt 2,19.
[73] Is
1, 25-26.
[74]Pr
17, 3.
[75] Pr
2, 5.
[76] Eb
12, 6.
[77] 1
Re (3 Re; Vulg.) 13,26.
[78] 1
Cor 5,5.
[79] Mt
7,6.
[80] 1
Cor. 12, 26.
[81] Eb
11, 39-40.
[82] Rm
2, 5.
[83] Is
66, 24.
[84] Sal
72, 2-5 (LXX).
[85] Ger
12, 1.
[86] Ger
12, 1-2.
[87] Ger
51, 8.
[88] Ger
51, 9.
[89] Is
1, 6.
[90] Mt
8, 28.
[91] Ario
e Nestorio sono due eretici. Il primo negò la divinità di
Cristo, il secondo negò, insieme, la divinità del Figlio e dello
Spirito Santo.
[92] 1
Re (3 Re; Vulg.) 22, 22.
[93] 1
Tm 4, 1-2.
[94] Os
4, 12.
[95] Ef
6, 12.
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24 maggio 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net