LE CONFERENZE SPIRITUALI
di GIOVANNI CASSIANO
CONFERENZA XV
SECONDA CONFERENZA DELL'ABATE NESTORE
I CARISMI *) DIVINI
Estratto da "CONFERENZE AI MONACI"
Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice
1. Il discorso dell'abate Nestore sulla triplice natura delle guarigioni
Dopo la
sinassi della sera, ci sedemmo insieme sulle stuoie, come comporta il costume
dei monaci, in attesa della promessa conferenza. Mentre eravamo ancora tutti in
silenzio per il rispetto dovuto al vegliardo, egli intervenne e prevenne la
nostra rispettosa taciturnità con il seguente discorso, «L’ordine degli
argomenti trattati nella conferenza precedente era giunto a parlare della natura
dei carismi spirituali, dei quali sappiamo fin dalla tradizione degli anziani
che si distinguono in tre forme. La prima ragione del dono delle guarigioni sta
nel fatto che essa accompagna con la grazia dei miracoli e per il merito della
loro santità tutti gli uomini eletti e
giusti;
risulta
infatti manifestamente che gli apostoli e molti santi operarono miracoli e
prodigi per l’autorevole intervento del Signore che così si era
espresso:
“Guarite
gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate ì demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). La seconda si ha
allorché, o per l’edificazione della Chiesa oppure per la fede di coloro che
portano i malati o per la fede dei malati stessi, la virtù delle guarigioni
deriva pure dai peccatori e dagli indegni. Di essi così parla il Salvatore nel
Vangelo: “Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi
profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli
nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuto; allontanatevi
da me, voi operatori di iniquità” (Mt 7,22-23).
Al
contrario, se manca la fede nei portatori dei malati e nei malati stessi, Cristo
non permette che risulti l'efficacia delle guarigioni nemmeno da parte di coloro
ai quali è stato concesso il privilegio del risanamento.
L’evangelista Luca così riferisce intorno a questo argomento: “Gesù non poté
operare tra di essi alcun prodigio per la loro incredulità” (Mc 6,5-6;
non Luca come dice Cassiano),
e così
parla il Signore stesso: “C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta
Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato, se non Naaman, il Siro” (Lc 4,27). Il
terzo genere delle guarigioni deriva pure, per simulazione, anche dal gioco e
dalla frode dei demoni: avviene così che quando un
uomo,
pur
essendo irretito in peccati manifesti, viene ritenuto santo e servo di Dio per
l'ammirazione destata dalle sue guarigioni, ne deriva perfino l’emulazione dei
suoi vizi per opera dei demoni, sicché, apertosi poi il varco della
denigrazione, resta infamata anche la santità della religione, o almeno ne
deriva con certezza che colui, il quale credeva di possedere il dono delle
guarigioni, elevatosi per la superbia del suo cuore, resti poi solennemente
deriso.
Ne segue
perciò che i demoni stessi invocano il nome di coloro che pur conoscono privi
d’ogni merito di santità e senza alcun frutto spirituale e, in più, simulano
perfino di essere colpiti dal fuoco dei loro meriti e costretti ad abbandonare i
corpi da loro già posseduti. Di essi così è detto nel
Deuteronomio
“Qualora
si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un
prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo
dèi stranieri che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non
dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il
Signore vostro vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con
tutto il cuore e con l'anima vostra” (Dt 13, 1-3). E nel Vangelo così troviamo
scritto; “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e
miracoli; così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24,24).
2. In
che cosa si devono ammirare i santi
Pertanto
noi non dobbiamo mai ammirare, per i loro prodigi, coloro che simulano un tale
comportamento, quanto piuttosto osservare se essi sono incensurabili per il
rigetto di tutti i vizi e l'emendazione dei costumi, poiché questi favori sono
concessi dalla benevolenza della grazia divina in vista dei propri impegni e non
riguardo alla fede degli altri o per motivi che non riguardano gli interessati.
È questa la scienza pratica, la quale, con altro termine, è definita
dall'Apostolo come carità, e che, in base alla sua autorità, è preferibile a
tutte le lingue degli uomini e degli angeli, alla pienezza della fede in grado
di trasferire perfino le montagne, ad ogni scienza e ad ogni profezia, alla
rinuncia di tutti i propri beni e, infine, perfino allo stesso glorioso martirio.
Infatti, dopo aver enumerato tutti i generi dei vari carismi, e avere aggiunto:
“A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro il
linguaggio della scienza; a uno la fede; a un altro il dono delle guarigioni, a
uno il potere dei miracoli” e altre cose, allorché viene a parlare della carità,
preferendola a tutti i carismi, osservate come egli vi accenni con ben poche
parole: “Io vi mostrerò una via migliore di tutte” (1 Cor 12,31). E con questo,
ovviamente, si dimostra che il meglio della perfezione e della beatitudine non
consiste nell'operare
quelle
meraviglie, ma nella purezza della carità. Infatti quelle concessioni sono
destinate a finire e a scomparire, mentre la carità rimane per sempre (1 Cor 13,
8).
È questo
il motivo per cui vediamo che i nostri padri non hanno mai fatto ostentazione di
operare questi prodigi; al contrario, qualora avessero posseduto quel potere per
concessione dello Spirito Santo, mai avrebbero voluto esercitarlo, a meno che,
per puro caso, un’estrema e inevitabile necessità non li avesse costretti.
3.
Un morto risuscitato dall’abate Macario
È così che
noi ricordiamo come venne risuscitato un morto da parte dell'abate Macario, il
quale per primo trovò la sua abitazione nel deserto di Scete. Infatti, poiché un
certo eretico, seguace della perfida eresia di Eunomio, cercava di pervertire
con la sua arte diabolica la sincerità della fede cattolica e già aveva
ingannato un gran numero dì uomini, il beato Macario, pregato da fedeli
cattolici, profondamente preoccupato per la rovina recata da una sovversione
così grave, intervenne allo scopo di liberare la semplicità della fede,
professata in tutto l'Egitto, dal naufragio di quella infedeltà. Allorché dunque
l'eretico cercò di affrontarlo con la sua arte dialettica, procurando di
condurre lui, ignorante, nel groviglio del bosco aristotelico, il beato
Macario,
tanto per
concludere quella loquacità con la brevità tutta propria dell’Apostolo, così
disse: “Il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza (1 Cor 4,20);
rechiamoci
perciò presso
i
sepolcri e
invochiamo il nome del Signore sopra il morto che noi incontreremo per primo, e
cosi, come sta scritto, dimostriamo la nostra fede in rapporto alle opere (Cfr.
Gc 2, 14) in
modo che siano in evidenza, con quella testimonianza, le prove manifestissime
della vera fede, e così noi siamo in grado di dimostrare la perspicacia della
verità, non con le vane dispute delle parole, ma con la potenza dei miracoli e
con quel giudizio che non può essere ingannato”. All’udire questo discorso
l'eretico, costretto dall'imbarazzo di fronte a quella folla, promettendo con
simulazione di rendersi presente per partecipare alla condizione così proposta e
assicurando di intervenire per il giorno appresso, in realtà, proprio il giorno
dopo, quando ormai tutta la gente s’era affollata per la curiosità di quello
spettacolo presso il luogo
stabilito, egli, atterrito per la coscienza della sua infedeltà, se
ne
fuggì e ben presto si allontanò da tutto l’Egitto.
Il beato
Macario, dopo aver atteso assieme alla folla fino all’ora nona, avendo compreso
che egli si era allontanato perché indotto dalla sua mala coscienza, dopo aver
invitato a seguirlo quella gente che dall'eretico era stata ingannata, si recò
alla volta della sepoltura da lui suggerita. Le inondazioni del fiume Nilo hanno
indotto gli Egiziani a quest’usanza: poiché tutta l'estensione di quelle regioni
viene ricoperta come un mare lungo e disteso per tutta una non breve stagione
dell'anno a causa del solito straripare dell'acqua, tanto che non è permesso a
nessuno di compiere un viaggio, se non ricorrendo alle barche, i corpi di morti,
trattati con balsami assai profumati, vengono deposti in piccole celle alquanto
sollevate da terra. Il suolo infatti, pregno come per il flusso continuo
dell'acqua, non consente la sepoltura dei cadaveri. Di fatto, se la terra, una
volta scavata, accoglie i corpi dei morti, è poi costretta a rigettarli fuori,
in superficie, a causa dell’eccesso di quelle inondazioni. Non appena dunque il
beato Macario si avvicinò alla tomba di uno che era morto da moltissimo tempo,
così prese a parlare: “O uomo, se fosse venuto qui, assieme a
me, quell’eretico,
figlio di perdizione, e in sua presenza, invocando il nome di Cristo, io ti
avessi chiamato per nome, dichiara, davanti a tutti costoro, che per poco non
furono
sommersi
dalle
sue
frodi, se
tu saresti risorto”. Egli allora, risorgendo, rispose affermativamente
con un
“sì". E poiché l’abate Macario lo interrogò per sapere che cosa egli fosse stato
durante la vita, in
quale
età fosse vissuto e se avesse conosciuto il nome di Cristo in quel suo tempo,
egli rispose d’essere vissuto in epoca molto antica, nell’età dei re, e dichiarò
di non avere mai udito in quei
tempi
il nome di
Cristo.
Fu allora
che l’abate Macario gli disse: “Dormi in pace, in attesa d’essere
risuscitato
da Cristo
nella
tua condizione,
alla fine
dei tempi,
con tutti gli altri". Pertanto, questa sua virtù
e
questa sua
grazia,
per quanto
dipendeva da lui, sarebbero rimaste forse per sempre sconosciute, se la
necessità di tutta quella provincia immersa nel pericolo e la piena devozione di
lui per Cristo, col suo amore per lui così sincero, non l'avessero indotto a
compiere quel miracolo.
E
non fu
sicuramente l’ostentazione della gloria a persuaderlo a compiere quanto egli
fece,
ma lo
costrinse l'amore di Cristo e il vantaggio di tutta quella popolazione. Tutto
questo
anche
il
Libro dei Re
lo
dichiara
compiuto dal beato Elia: fu lui a chiedere che dal cielo
discendesse
il fuoco
sopra le vittime deposte sulla catasta di
legna
allo scopo
di
salvare la fede, posta
in
pericolo dal prestigio
dei falsi
profeti, di tutto quel popolo (Cfr. 1 Re 18, 36-38).
4.
Il miracolo compiuto dall'abate Abramo sul
seno
di una donna
E perché non dovrei ricordare le gesta dell'abate Abramo, denominato
aploûs,
cioè il semplice, per la semplicità del suo comportamento e per la sua
innocenza?
Essendosi
egli
recato fino in Egitto per attendere alla mietitura nei giorni della
Quinquagesima, (che decorrono dalla Pasqua alla Pentecoste), fu avvicinato da
una donna che recava in braccio il figlioletto sofferente per la mancanza del
latte e ridotto in fin di vita: egli allora, pregato e quasi costretto da quella
donna tutta in lacrime, le porse da bere in un bicchiere d’acqua, sul quale
aveva impresso un segno di croce. Bevuta quell’acqua, immediatamente e in modo
meraviglioso, il seno di quella donna, fino a quel momento del tutto inaridito,
s’effuse in un abbondante flusso di latte.
5.
Guarigione di uno storpio operata dal medesimo abate Abramo
E ancora.
Mentre un giorno il medesimo abate si recava verso un villaggio, venne
circondato da una folla di gente, tutta protesa a insultarlo: in quello stesso
momento, in cui lo schernivano, gli posero davanti un povero uomo con un
ginocchio rattrappito, che da molti anni gli impediva di camminare, sicché, per
quell’antica infermità, egli procedeva, strascinandosi per terra. Essi dunque,
per tentarlo, gli gridavano: Abate Abramo, dimostraci se sei il servo di Dio, e
restituisci costui alla sua prima sanità, affinché noi crediamo che il nome di
Cristo, che tu adori, non è un nome vano! Egli allora, immediatamente, dopo aver
invocato il nome di Cristo, chinatosi, trasse a sé la gamba rattrappita di quel
poveretto. A quel contatto, il ginocchio rattrappito e incurvato prontamente si
raddrizzò, sicché, ripreso l'uso del camminare, che la lunga infermità gli aveva
ormai fatto dimenticare, se ne andò via del tutto rinfrancato.
6.
Non si devono giudicare i meriti di qualcuno in base ai miracoli da lui operati
Questi uomini nulla attribuivano a se stessi per il compimento di quei prodigi;
al contrario, dichiaravano che venivano operati, non per loro merito, ma dalla
misericordia del Signore, e di fronte all’ammirazione destata da quei miracoli,
essi rifiutavano ogni gloria umana, richiamandosi alle parole degli Apostoli:
“Fratelli, perché vi meravigliate di questo e continuate
a
fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare
quest’uomo?" (At 3,12). Essi ritenevano che nessuno, nei doni e nei prodigi
compiuti da Dio, doveva essere posto in vista; al contrario, si doveva piuttosto
fare riferimento ai frutti delle virtù praticate,
i
quali vengono prodotti dall’impegno della mente e dall'efficacia delle opere-
Per lo più infatti, come in precedenza è già stato rilevato, uomini di mente
corrotta e reprobi in fatto di fede, espellono i demoni e compiono massimi
prodigi in nome del Signore. E poiché di tali individui gli Apostoli adducevano
un motivo per dire al Signore: “Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i
demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi
tra
i tuoi seguaci” (Lc 9,49), sul momento Cristo rispose loro: “Non glielo
impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi" (Lc 9,50). Tuttavia, alla
fine dei tempi, allorché essi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo noi
profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi
nel tuo nome?",
Egli attesta che così ad essi risponderà; “Non vi ho mai conosciuti;
allontanatevi da me, voi operatori
di
iniquità" (Mt 7, 22-23). Perciò, anche a coloro ai quali Egli stesso ha concesso
la gloria e il potere dei miracoli in vista dei meriti guadagnati dalla loro
santità, rivolge il seguente ammonimento, affinché non si esaltino per un tale
motivo: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi
piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10,20).
7.
Il potere dei carismi non consiste nell'operare cose meravigliose,
ma nell'umiltà
Infine, lo
stesso autore di tutti i prodigi e di tutti i poteri, allorché invitò i
discepoli all'apprendimento della sua dottrina, dimostrò che cosa i veri e
sceltissimi suoi seguaci debbono ovviamente e particolarmente imparare da Lui:
“Venite e imparare da me” (Mt 11, 28),
non certo
a cacciare via i demoni con un potere che viene dal cielo; non a guarire i
lebbrosi; non a dare la vista ai ciechi; non a suscitare i morti; di fatto,
anche se io opero simili prodigi per mezzo dei miei servi, non può la condizione
umana pretendere le lodi dovute unicamente a Dio, né può il ministro e il
servitore arrogarsi in questo campo alcuna parte, poiché la gloria è tutta e
unicamente della divinità.
“Voi
imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 28-29). È questo infatti
quello che in genere è possibile per tutti imparare a praticare; l’attuazione
dei prodigi e dei miracoli non è sempre necessaria, non conviene a tutti e
neppure è concessa a tutti. L’umiltà è dunque la maestra di tutte le virtù, è il
saldissimo fondamento dell’edificio celeste, è il dono tutto proprio del
Salvatore. E in realtà opererà tutti i miracoli che Cristo ha operato e senza
pericolo d’autoesaltazione colui che si fa seguace del Signore così mite non con
la sublimità dei prodigi, ma con la virtù della pazienza e dell'umiltà. Al
contrario, colui che pretende di comandare agli spiriti immondi e di offrire il
dono della sanità ai malati, oppure s’adoperava per esibire alla gente qualche
prova mirabile anche se nella sua ostentazione invoca il nome di Cristo, egli
risulta alieno da Cristo, appunto perché non segue il maestro dell’umiltà. Di
fatto, anche quando stava per ritornare al Padre e intese estendere, per così
dire, il suo testamento, questo lasciò detto ai discepoli: “Vi dò un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cosi
amatevi anche voi gli uni gli
altri”
(Gv 13, 34) e subito
soggiunse:
“Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”
(Gv 13, 35),
ma è certo
che un tale amore non potranno coltivarlo se non i miti e gli umili.
Per questo
motivo mai i nostri padri hanno stimato come monaci virtuosi e privi del morbo
della vanità coloro che si vantano davanti alla gente come esorcisti e vanno
divulgando con vanitosa ostentazione tra la folla degli ammiratori questa grazia
che essi hanno meritato o presumono d’aver meritato. Tutto inutile. Infatti “chi
s’appoggia sulle menzogne, insegue gli uccelli mentre volano” (Pr 10,4).
Senza
dubbio avverrà a lui quanto è detto nei
Proverbi:
“Come sono evidenti i venti, le nuvole e le piogge, così pure lo sono coloro che
si gloriano per doni falsi” (Pr 25,14).
E allora,
se uno davanti a noi compie qualcuno di tali prodigi, dovrà esser oggetto di
lodi da parte nostra, non però per l'ammirazione destata da quei miracoli, ma
per il comportamento della sua condotta, e noi dovremo indagare non se i demoni
si rendono a lui
soggetti,
quanto
piuttosto se egli possiede quegli elementi che fanno parte della
carità,
di cui
parla l’Apostolo (1 Cor 13, 4, ss.).
8.
Vale di più espellere i vizi da se stessi che scacciare i demoni dal corpo degli
altri
In realtà
estirpare il fomite della lussuria dalla propria carne è un miracolo più grande
che espellere gli spiriti immondi dal corpo degli altri; è un segno più distinto
mortificare i moti truculenti della propria irascibilità con la virtù della
pazienza che imporre dei comandi alle potenze dell’aria, e vale di più
ricacciare i morsi divoranti della tristezza dal proprio cuore che sanare le
malattie procurate dalla febbre nel corpo degli altri: infine, sotto molti
rispetti, è virtù più nobile e profitto più elevato curare i mali della propria
anima che curare quelli del corpo degli altri. Quanto più l’anima è superiore
alla carne, tanto più vale la sua salute, e perciò, quanto più preziosa e più
eccellente è la sua sostanza, di tanto risulta più grave e più deleteria si
rivelerà la sua rovina.
9.
Quanto l’integrità della vita sia superiore all’attuazione dei miracoli
Della cura
di quelle malattie corporali così fu detto ai beatissimi Apostoli: “Non
rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi” (Lc 10,20). Infatti ad
operare quei risultati non era il loro potere, ma l’efficacia del nome invocato;
perciò essi venivano ammoniti, affinché, sotto questo riguardo, si guardassero
bene dall’attribuire a se stessi qualche parte di beatitudine e di gloria, che
appartiene unicamente alla potenza e alla virtù di Dio; semmai, si gloriassero
della purezza della loro vita e del loro cuore, in merito alla quale meritavano
che i loro nomi fossero scritti nei cieli.
10.
Rivelazione sulla prova della castità perfetta
E
affinché, quanto ora io ho detto, resti approvato dalle testimonianze degli
anziani e dagli oracoli divini, io riferirò con le stesse sue parole che cosa
abbia pensato il beato Pafnuzio dell’ammirazione destata dai prodigi e dalla
grazia della purezza, o meglio, riferirò quello che egli conobbe dalla
rivelazione di un angelo. Egli dunque, essendo vissuto per molti anni in
un’austerità così singolare da credersi ormai del tutto immune dai lacci della
concupiscenza carnale, dato che ormai egli si riteneva superiore a tutti gli
assalti dei demoni, coi quali era venuto in aperto conflitto per tanto tempo,
mentre dunque, per l’arrivo di certi santi uomini attendeva a preparare per loro
un piatto di lenticchie, da loro denominato
athéra
1),
la sua mano, come di solito avviene, rimase scottata a causa d’una fiamma
sprigionatasi dal forno. Il fatto prese a renderlo assai triste al punto che
egli cominciò a riflettere così fra se stesso: “Perché mai il fuoco non ha pace
con me, dato che ormai sono cessate per me le lotte ben più dure con i demoni?
Nel temibile giorno del giudizio, allorché il fuoco inestinguibile e inquisitore
dei meriti di tutti gli uomini mi sorprenderà, come non dovrà trattenermi con
sé, se ora non mi ha risparmiato, pur essendo soltanto esterno, temporale e così
ridotto?”.
Ancora
agitato da questi tristi pensieri e sorpreso da un improvviso assopimento, gli
apparve un angelo del Signore che così prese a parlargli: “Pafnuzio, perché sei
triste, solo perché il fuoco terreno non si è ancora acquietato nei tuoi
confronti, mentre intanto nelle tue membra continua, non ancora del tutto
sedata, la reazione dei tuoi movimenti carnali? Finché le radici di questo fuoco
perdureranno nelle tue viscere, non permetteranno affatto che questo fuoco
materiale ti lasci in pace. Tu non potrai avvertire di esserti liberato dal
fuoco materiale in altro modo, se non quando sperimenterai, con il seguente
indizio, che si sono spenti in te tutti i tuoi moti interni. Perciò ora va',
prenditi una donzella ancora vergine, nuda e bellissima, e allora, in presenza
sua, se avvertirai che in te è rimasta imperturbata la tranquillità del tuo
cuore e insensibili gli ardori della tua carne, anche il contatto di questa
fiamma visibile ti toccherà in forma mite e inoffensiva al modo stesso che si
verificò per i tre giovinetti in Babilonia" (Dn 3).
Il vecchio
pertanto, impressionato da questa rivelazione, non tentò la prova che pur gli
era stata divinamente proposta, ma, interrogando la propria coscienza,
esaminando la purezza del suo cuore e ritenendo che il potere della sua castità
non era ancora in grado di sostenere il peso di quella prova, così concluse:
“Non devo meravigliarmi se, pur avendo superato le lotte combattute contro gli
spiriti immondi, ho sperimentato che le scottature del fuoco, che io credevo
fossero inferiori ai ferocissimi assalti dei demoni, mi hanno ancora colpito. È
ben più grande quindi e più sublime grazia quella di estinguere l'interna
libidine della carne che non quella di assoggettare col segno della croce e il
potere della divina virtù la malvagità dei demoni che ti assaltano dall’esterno,
o anche ricacciarli dal corpo degli ossessi con
l'invocazione
del nome di Dio”».
L’abate Nestore, ponendo fine all’esposizione sul modo
di porre in pratica veracemente i carismi, ci accompagnò con certa fretta, pur
continuando i suoi insegnamenti, fino alla cella del vecchio Giuseppe, distante
all'incirca un miglio dalla sua.
Note:
*) Con il termine “carismi” s’intende di solito i doni concessi dallo Spirito di Dio per operare miracoli e guarigioni.
Origene era persuaso che, pur essendo diminuiti i segni soprannaturali in confronto a quanto era avvenuto nella Chiesa primitiva, il monachesimo costituiva la sede privilegiata della loro manifestazione. Il Crisostomo, da parte sua, riteneva che i carismi non fossero un privilegio esclusivo della gerarchia ecclesiastica e del monachesimo.
Cassiano si limita
a considerare il fenomeno nell’ambiente monastico, ne adduce diversi esempi,
concludendo però che, al di sopra della concessione elargita a pochi
privilegiati, quello che vale è la perfezione della vita vissuta.
1) Athéra è un termine d'origine egiziana che designa un bollito di lenticchie.
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3 marzo 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net