LE CONFERENZE SPIRITUALI
di GIOVANNI CASSIANO
Cassianus Ioannes - Collationes
COLLATIO DECIMA QUARTA, Quae est prima abbatis Nesterotis. DE SPIRITALI SCIENTIA.
Estratto da "Patrologia Latina Database" vol. 49 - J. P. Migne Ed. Chadwyck-Healey
1996 |
CONFERENZA XIV PRIMA CONFERENZA DELL'ABATE NESTORE LA SCIENZA SPIRITUALE Estratto da "CONFERENZE AI MONACI" Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice |
CAPUT PRIMUM. |
1. Discorso dell’abate Nestore sulla scienza
propria degli uomini religiosi |
Sciendum tamen est, duplici nobis laboris intentione sudandum, tam in expellendis vitiis quam in virtutibus acquirendis. Et hoc non nostra capimus conjectura, sed illius sententia perdocemur, qui solus officii [ Lips. in marg. opificii] sui vires rationemque cognoscit: Ecce, inquit, constitui te hodie super gentes et super regna, ut evellas et destruas et disperdas et dissipes et aedifices et plantes (Jerem. I). In expulsione enim noxiarum rerum quatuor esse necessaria designavit, id est, evellere, destruere, disperdere, dissipare. In perficiendis vero virtutibus et his quae ad justitiam pertinent acquirendis, aedificare tantummodo atque plantare. Unde liquido patet difficilius convelli atque eradicari inolitas corporis atque animae passiones, quam spiritales exstrui plantarique virtutes. |
L’ordine della mia promessa e l’itinerario seguito nel nostro viaggio mi obbliga
a dare notizia dell’insegnamento impartitoci dall’abate Nestore, uomo eccellente
in tutto e di grandissima scienza. Egli, essendosi accorto che noi ricordavamo
alcuni passi della Sacra Scrittura e desideravamo di averne una spiegazione,
prese a parlarcene nel modo seguente: «Sono molti in questo mondo i generi delle
scienze, e così numerosi quanta è la varietà delle arti e delle professioni.
Essendo esse, però, tutte quante, inutili o adatte solo ai vantaggi della vita
presente, non v’è però alcuna che non abbia un proprio ordine e un procedimento
relativo al proprio contenuto dottrinale in modo da poter essere appresa da
quanti ne hanno desiderio. E allora, se quelle arti tendono al loro
apprendimento attraverso metodi propri e sicuri, quanto più la disciplina
professata dalla nostra religione, la quale tende alla contemplazione arcana dei
misteri invisibili e si ripromette non guadagni presenti, ma la ricompensa dei
beni eterni, esige un ordine sicuro e razionale. Doppia ne risulta così la
scienza: la prima è
praktiké,
vale a dire attiva, e si acquista con l’emendazione dei costumi e con la
purificazione dai vizi; la seconda è
theoretiké,
e consiste nella contemplazione delle cose divine e nella conoscenza delle
verità più sacre.
2.
L’apprendimento della scienza spirituale
Ne segue pertanto che se uno intende giungere alla scienza teoretica, dovrà
necessariamente e anzitutto dedicarsi con ogni impegno e dedizione alla scienza
attiva. Infatti la scienza pratica si può possederla anche senza quella
teoretica, mentre la scienza teoretica non si può raggiungerla in nessuna
maniera senza quella pratica. Si tratta, dopo tutto, di certi gradi così
ordinati e distinti fra loro da essere possibile all’uomo ascendere dal grado
inferiore a quello superiore. Pertanto, se essi si succedono col criterio da me
ora suggerito, sarà possibile giungere al grado successivo, al quale invece non
sarà possibile risalire qualora venga a mancare quello inferiore. Invano dunque
pretende di arrivare fino alla visione di Dio colui che prima non si distacca
dal contagio dei vizi: “Lo Spirito di Dio odia la finzione e non abita in un
corpo soggetto ai peccati” (Sap 1,5 e 4).
3.
La perfezione attiva si fonda su due principi
Questa scienza attiva dunque si fonda su due princìpi. Il primo è quello di ben
conoscere la natura di tutti i vizi e il metodo adatto a sanarli. Il secondo è
quello di ben conoscere l’ordine delle virtù e di accordare la nostra mente alla
perfezione da esse richiesta, in modo che la mente stessa non vi si assoggetti
come asservita e quasi obbligata da una violenta imperiosità, quanto piuttosto
allettata e alimentata come da un bene naturale, al punto da affrontare con
piacere quella via ardua e ristretta. E in realtà, come potrebbe uno raggiungere
la compagine delle virtù, in cui consiste il secondo grado relativo alla
disciplina attiva, o addirittura come potrebbe conoscere i misteri delle cose
spirituali e celesti, le quali formano il grado più elevato della scienza, se
prima egli non è riuscito a comprendere la natura dei suoi vizi e non si è
curato di estirparli? Ne segue quindi che, ovviamente, non potrà pretendere di
salire a un piano superiore chi non è stato in grado di assicurarsi prima nel
piano inferiore, e molto meno comprenderà le cose che gli stanno al di fuori
chiunque prima non è stato in grado di comprendere quelle che sono innate nel
suo interno.
Occorre comunque sapere che bisogna affaticarsi con ben maggiore impegno
nell’espellere i vizi di quanto occorra adoperarsi per acquistare le virtù. Una
tale asserzione non è frutto di una mia congettura, ma è un insegnamento dettato
da Colui che, unico, conosce le forze e le condizioni delle sue creature. “Ecco,
Egli dice, io ti ho costituito oggi sopra i popoli e sopra i regni per sradicare
e per demolire, per distruggere e per abbattere, per edificare e per piantare”
(Ger 1,10). E di fatto il Profeta dichiarò che quattro sono gli elementi
necessari per l’espulsione delle cose nocive, e cioè “sradicare, demolire,
distruggere e abbattere”, mentre, per acquistare le virtù e assicurare i
requisiti della giustizia, egli fece parola unicamente di queste condizioni:
“edificare e piantare". Ne risulta perciò che è ben più difficile divellere e
sradicare le innate passioni del corpo e dell’anima di quanto lo sia inserire e
piantare le virtù spirituali.
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CAPUT IV. Quod actualis vita erga multas professiones ac studia
derivetur.
Quosdam xenodochii et susceptionis pium delectat obsequium, per quod
etiam in praeteritis Abraham patriarcham et Loth Domino placuisse
scimus, et nuper beatum Macarium singularis mansuetudinis ac patientiae
virum, qui xenodochio ita apud Alexandriam praefuit, ut nulli eorum qui
solitudinis secreta sectati sunt, inferior sit credendus. Quidam
eligentes aegrotantium curam, alii intercessionem quae pro miseris atque
oppressis impenditur, exsequentes, aut doctrinae instantes, aut
eleemosynam pauperibus largientes, inter magnos ac summos viros, pro
affectu suo ac pietate viguerunt.
Nec enim ulla membra aliorum sibi membrorum possunt
ministeria vindicare, quia nec oculi manuum, nec nares aurium utuntur
officio: et idcirco non omnes apostoli, non omnes prophetae, non omnes
doctores, non omnes gratias habent curationum, non omnes linguis
loquuntur, non omnes interpretantur.
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4.
La vita attiva s’indirizza verso professioni e impegni
Questa vita attiva dunque, la quale, come ho detto, si fonda su due sistemi,
s’indirizza verso molte professioni e impegni. Alcuni infatti fanno consistere
il meglio dei loro impegni in vista della segretezza della solitudine e nella
purezza del cuore,
come si osserva, nei tempi passati, per Elia e per
Eliseo, e, ai tempi nostri, per il beato Antonio e per altri, seguaci
dell’identico proposito; noi sappiamo che essi hanno conseguito, nel silenzio
del deserto, una grande familiarità con Dio; altri invece hanno indirizzato ogni
loro impegno all’ammaestramento dei fratelli e alla costruzione vigilantissima
di cenobi, come, in tempi recenti, ricordiamo l'abate Giovanni, il quale governò
il grande cenobio sono nelle vicinanze della città che porta il nome di Tmuis (Thumuis,
città posta sulla riva destra del Nilo, lungo il Delta, non lontana da
Panefisi),
e alcuni altri uomini di un medesimo merito,
segnalatisi pure per miracoli che ci fanno ricordare i tempi apostolici.
Alcuni si compiacciono di offrire il loro pietoso servizio, destinandolo ad
accogliere gli stranieri; per tale prestazione, in tempi passati, anche il
patriarca Abramo e Lot piacquero al Signore, e recentemente vi si dedicò il
beato Macario, uomo di singolare mansuetudine e pazienza, il quale fu a capo
dell’ospedale sorto nei pressi di Alessandria, e lo resse in modo tale da far
ritenere che egli non fu affatto inferiore a nessuno di quanti vissero nella
solitudine dei deserti. Alcuni scelsero la cura degli infermi; altri si
dedicarono alla difesa dei miseri e degli oppressi, applicandosi
all’insegnamento o distribuendo elemosine ai poveri, e così tutti quanti
emersero tra gli uomini grandi e più elevati per il loro affetto e la loro
pietà.
5. La perseveranza nella professione abbracciata
Ne segue dunque che a ciascuno ritorna utile e conveniente procurare di giungere
al più presto, con somma dedizione e diligenza secondo il disegno da lui
formulato e la grazia divina da lui ricevuta, alla perfezione dell’impegno
assunto, senza rinunciare alla professione da lui una
volta eletta, pur lodando e ammirando le virtù degli altri, persuaso, come
insegna l’Apostolo, che uno solo è il corpo della Chiesa, pur essendo molte le
sue membra (Rm 12,4 ss.), e convinto così “che abbiamo doni diversi secondo la
grazia che ci è stata conferita: il dono della profezia, secondo la misura della
fede; il ministero, nell’esercizio del ministero; l’insegnamento, per impartire
la dottrina; l’esortazione, per chi deve esortare; chi dona, lo faccia con
semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia,
le compia con gioia” (Rm 12,6-8).
Infatti nessuna delle varie membra può rivendicare l’ufficio proprio delle altre
membra, appunto perché gli occhi non fanno uso del compito proprio delle mani, e
il naso di quello proprio delle orecchie. Proprio per questo non tutti sono
apostoli, non tutti sono profeti, non tutti sono dottori, non tutti hanno il
potere delle guarigioni, non tutti hanno il dono delle lingue e non tutti quello
di interpretarle (Cf. 1 Cor 12,28).
6.
La mobilità dei deboli
Di fatto, coloro che non sono ancora ben fondati nella professione da loro
intrapresa, allorché sentono dire che alcuni vengono esaltati nei loro impegni e
per le loro virtù, si sentono così animati da quelle lodi da essere indotti
immediatamente a imitare quella condotta; ne risulterà però che l’umana
fragilità renderà necessariamente vani quegli sforzi. È infatti impossibile che
un solo e medesimo individuo riesca a risplendere contemporaneamente per tutte
le virtù da me in precedenza richiamate. Se poi qualcuno intenderà affrontare
insieme quelle virtù, necessariamente egli incorrerà in questo risultato, che,
mentre intenderà praticarle tutte, non ne compirà effettivamente nessuna, e
così, da una tale varia mutazione, ricaverà più danno che utilità. Molte sono le
vie che conducono a Dio, e perciò ognuno percorra con irrevocabile impegno nel
suo cammino la strada una volta intrapresa, in modo da riuscire perfetto nella
professione da lui scelta.
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CAPUT VII. Exemplum castitatis quo docetur non omnia ab omnibus
aemulanda.
Et cum haec quoque abbati Joanni, necdum ad comparationem tantae gratiae, qua eum praelatum sibi esse cernebat, idonea viderentur, atque ab eo quidnam esset illud quod tantae gratiae meritis conferri posset, sciscitans scrutaretur, ille reverentia tam sollicitae inquisitionis astrictus, uxorem se parentum vi imperioque compulsum, cum profiteri monachum vellet, ante undecim annos accepisse confessus est, quam, nemine etiam nunc conscio, sororis loco a se virginem custodiri testabatur. Quod factum cum audisset senex, tanta est admiratione permotus, ut coram ipso publice proclamaret: Non immerito daemonem qui se despexerat, illius non tolerasse praesentiam, cujus ipse virtutem non solum in juventutis ardore, sed ne nunc quidem sine discrimine castitatis auderet appetere.
Quod factum abbas Joannes
licet summa admiratione praetulerit [ Lips. in marg. protulerit], tamen
neminem monachorum, ut experiretur, hortatus est, sciens multa recte ab
aliis gesta, magnam aliis imitantibus intulisse perniciem, nec usurpari
ab omnibus posse, quod paucis Dominus speciali munere contulisset.
Igitur praedictae quatuor figurae in unum ita si volumus confluunt, ut una atque eadem Jerusalem quadrifariam possit intelligi: secundum historiam civitas Judaeorum, secundum allegoriam Ecclesia Christi, secundum anagogen civitas Dei illa coelestis quae est mater omnium nostrum; secundum tropologiam anima hominis, quae frequenter hoc nomine aut increpatur, aut laudatur a Domino. De his quatuor interpretationum generibus Apostolus ita dicit: Nunc autem, fratres, si venero ad vos linguis loquens, quid vobis prodero, nisi vobis loquar, aut in revelatione, aut in scientia, aut in prophetia, aut in doctrina (II Cor. XIV)? Revelatio namque ad allegoriam pertinet, per quam ea quae tegit historica narratio spirituali sensu et expositione reserantur, ut, verbi gratia, si illud aperire tentemus, quemadmodum patres nostri omnes sub nube fuerint, et omnes in Mose baptizati sint in nube et in mari, et quemadmodum omnes eamdem escam spiritalem manducaverint, et eumdem spiritalem de consequenti petra biberint potum; petra autem erat Christus (I Cor. X);
quae expositio
praefigurationi corporis et sanguinis Christi, quem quotidie sumimus,
comparata, allegoriae continet rationem. Scientia vero quae similiter ab
Apostolo memoratur, tropologia est, qua universa quae ad discretionem
pertinent actualem, utrum utilia vel honesta sint, prudenti examinatione
discernimus, ut est illud: Cum apud nosmetipsos judicare praecipimur,
utrum deceat mulierem non velato capite orare Deum (I Cor. XI). Quae
ratio, ut dictum est, moralem continet intellectum. Item prophetia, quam
tertio Apostolus intulit loco, anagogen sonat, per quam ad invisibilia
ac futura sermo transfertur, ut est illud: Nolumus autem vos ignorare,
fratres, de dormientibus, ut non contristemini, sicut et caeteri qui
spem non habent. Si enim credimus quod Christus mortuus est et
resurrexit, ita et Deus eos qui dormierunt, per Jesum adducet cum eo.
Hoc enim vobis dicimus in verbo Domini, quia nos qui vivimus, qui
residui sumus, in adventu Domini non praeveniemus eos qui dormierunt
quoniam ipse Dominus in jussu et in voce archangeli, et in tuba Dei
descendet de coelo; et mortui qui in Christo sunt, resurgent primi (I
Thess. IV). Qua exhortationis specie anagoges figura praefertur.
Doctrina vero simplicem historiae expositionis ordinem pandit, in qua
nullus occultior intellectus, nisi qui verbis resonat, continetur, sicut
est illud: Tradidi enim vobis in primis quod et accepi, quoniam Christus
mortuus est pro peccatis nostris, secundum Scripturas, et quia sepultus
est, et quia resurrexit tertia die, et quia visus est Cephae (I Cor.
XV). Et: Misit Deus Filium suum factum ex muliere, factum sub lege, ut
eos qui sub lege erant redimeret (Galat. IV). Sive illud: Audi, Israel,
Dominus tuus Deus unus est (Deut. VI).
Ille enim psallens intelligit quae canuntur, qui in via immaculata gressu puri cordis innititur. Et idcirco si scientiae spiritali sacrum in corde vestro vultis tabernaculum praeparare, ab omnium vos vitiorum contagione purgate, et curis saeculi praesentis exuite. Impossibile namque est animam quae mundanis vel tenuiter distentionibus occupatur, donum scientiae promereri, vel generatricem spiritualium sensuum, aut tenacem sacrarum lectionum fieri. Observate igitur in primis, et maxime tu, Joannes, cui magis ad custodienda haec quae dicturus sum, aetas adhuc adolescentior suffragatur, ne studium lectionis ac desiderii tui labor vana elatione cassetur, ut indicas summum ori tuo silentium. Hic est enim primus disciplinae actualis ingressus: Omnis quippe labor hominis in ore ipsius (Eccles. VI), et ut omnium seniorum instituta atque sententias intento corde et quasi muto ore suscipias; ac diligenter in pectore tuo condens, ad perficienda ea potius quam ad docenda festines.
Ex hoc enim cenodoxiae perniciosa praesumptio, ex illo autem fructus spiritalis scientiae pullulabunt. Nihil itaque in collatione seniorum proferre audeas, nisi quod interrogare te aut ignoratio nocitura, aut ratio necessariae cognitionis impulerit, ut quidam vanae gloriae amore distenti, pro ostentatione doctrinae, ea quae optime norunt interrogare se simulant. Impossibile enim est eum qui proposito acquirendae laudis humanae, studio lectionis insistit, donum verae scientiae promereri. Nam qui hac passione devictus [ Lips. in marg. devinctus] est, necesse est ut aliis quoque et maxime superbiae vitiis obligetur, et ita in actuali atque ethica congressione prostratus, scientiam spiritalem quae ex ea nascitur minime consequetur. Esto ergo per omnia citus ad audiendum, tardus autem ad loquendum (Jac. I), ne cadat in te illud quod notatur a Salomone: Si videris virum velocem in verbis, scito quia spem habet insipiens magis quam ille (Prov. XXIX).
Nec quemquam verbis docere praesumas, quod opere ante non feceris. Hunc enim nos ordinem tenere debere, etiam exemplis suis Dominus noster instituit, de quo ita dicitur: Quae coepit Jesus facere et docere (Actor. I). Cave ergo ne ante actum prosiliens ad docendum, in illorum numero deputeris, de quibus in Evangelio Dominus ad discipulos suos loquitur: Quae dicunt vobis servate et facite, secundum opera vero eorum nolite facere: dicunt enim et non faciunt. Alligant autem onera gravia et importabilia, et imponunt ea super humeros hominum; ipsi autem digito suo nolunt ea movere (Matth. XXIII). Si enim ille qui unum mandatum minimum solvens docuerit sic homines, minimus vocabitur in regno coelorum (Matth. V); qui multa et majora negligens docere praesumpserit, consequens profecto est ut jam non minimus in regno coelorum, sed in gehennae supplicio maximus habeatur. Et ideo cavendum tibi est ne illorum ad docendum inciteris exemplis, qui peritiam disputandi ac sermonis affluentiam consecuti, quia possunt ea quae voluerint ornate copioseque disserere, scientiam spiritalem possidere creduntur ab his qui vim ejus et qualitatem discernere non noverunt. Aliud namque est facilitatem oris et nitorem habere sermonis, et aliud venas ac medullas coelestium intrare dictorum, ac profunda et abscondita sacramenta purissimo cordis oculo contemplari, quod nullatenus humana doctrina, nec eruditio saecularis, sed sola puritas mentis per illuminationem sancti Spiritus obtinebit. |
7.
Un esempio della castità destinalo a dimostrare che non tutti gli impegni
convengono a tutti
A parte la considerazione del danno, da cui ho detto che viene colpito il monaco
indottosi ad affrontare impegni diversi da quelli già da lui assunti, anche per
un altro motivo può sorgere in lui un rischio mortale, il fatto che talvolta
certi impegni, sostenuti convenientemente da alcuni, vengono poi, per malinteso
esempio, affrontati da altri, e perciò, quello che per alcuni aveva sortito un
buon esito, per altri si risolve in un risultato deleterio. E allora, tanto per
citare un esempio, è come se qualcuno volesse imitare la virtù di quell'illustre
personaggio che l’abate Giovanni suole proporre, non per offrire un esempio da
imitare, quanto piuttosto un modello da ammirare. Un tale, recatosi dal predetto
venerando abate, in abito secolare, per offrirgli le primizie raccolte nei suoi
campi, trovò, già in presenza dell’abate, un individuo posseduto da un
ferocissimo demonio. Quello spirito maligno, dimostrando disprezzo di fronte
agli ordini e agli scongiuri dell’abate Giovanni, protestava che mai si sarebbe
allontanato da quel corpo da lui posseduto, sottostando alle sue ingiunzioni;
poi, atterrito però per l’arrivo di quell’individuo (il secolare), il demonio
fuggì, dopo averne pronunciato il nome con una voce piena di riverenza. Il
vegliardo, preso da alta ammirazione per quella grazia così evidentemente
concessa e, per di più, stupito nel vedere quel nuovo individuo vestito con
abiti secolari, cominciò ad informarsi accuratamente della vita e della
professione da lui praticata. E poiché il nuovo arrivato dichiarava di essere un
secolare e legato col vincolo matrimoniale, il beato Giovanni, riflettendo
sull’eccellenza di quella sua virtù e della grazia a lui concessa, volle
indagare con più cura quale fosse la sua professione. Egli allora dichiarò di
essere un agricoltore e di procurarsi il vitto con il lavoro quotidiano delle
sue mani, di non essere consapevole di alcun bene, se non di recarsi al mattino
al lavoro nei suoi campi, né di ritornare alla sera nella propria casa se prima
non s’era recato nella chiesa a ringraziare, per il vitto quotidiano, Colui che
ne era l’elargitore; aggiunse pure di non avere mai sottratto parte dei suoi
prodotti, se prima non aveva offerto a Dio le loro primizie e le decime, così
come mai aveva condotto i suoi buoi attraverso i campi coltivati degli altri, se
prima non aveva egli stesso disteso una reticella sulla loro bocca, affinché i
vicini non avessero a subire qualche danno a causa della sua negligenza.
Ma poiché tutte queste informazioni non sembravano ancora idonee all’abate
Giovanni, se confrontate con la grazia così grande a lui concessa, e poiché
cercava di conoscere il vero segreto dei meriti, per i quali poteva essere
conferita quella grazia così grande, questi, indotto per riverenza, di fronte ad
una ricerca così sollecitata, confessò che dodici anni prima, pur desiderando di
farsi monaco, costretto dalla volontà imperiosa dei suoi genitori, aveva preso
moglie, e che essa, senza che nessuno lo sapesse, era stata considerata come una
sorella e conservata nello stato verginale. Il vegliardo, udito il fatto, fu
preso da tanta ammirazione da dover dichiarare pubblicamente davanti a lui che
giustamente il demonio, pur avendo disprezzato lui, non aveva tollerato la
presenza del nuovo venuto, e che egli perciò non avrebbe osato aspirare fino a
quella virtù, non solo in rapporto all’ardore della prima giovinezza, ma neppure
in rapporto alla vita presente, senza compromettere la sua castità.
Quantunque l’abate Giovanni esaltasse questo fatto con la più alta ammirazione,
tuttavia non esortò nessuno dei suoi monaci a ripetere lo stesso esperimento,
ben sapendo che molte di tali esperienze, affrontate rettamente da altri, hanno
recato un grande danno a quanti hanno voluto imitarle, e che perciò non si
poteva pretendere di ricevere dal Signore quello che Egli aveva concesso a pochi
con sua speciale donazione.
8.
La scienza spirituale
Ritorniamo perciò all’esposizione della scienza, da cui ebbe inizio il nostro
discorso. Pertanto, come in precedenza abbiamo rilevato, la vita attiva riguarda
molte professioni e impegni, invece la vita contemplativa si suddivide in due
parti, l’una perché s’interessa dell’interpretazione storica (delle Scritture),
l’altra dell’intelligenza spirituale (Cassiano applica
soprattutto alla scienza delle Scritture quanto occorre dire della teoria,
ovvero della contemplazione). Anche Salomone, volendo
dichiarare la grazia multiforme della Chiesa, così si esprime: “Tutti i suoi di
casa hanno doppia veste” (Pr 31,21 LXX). Tre sono i generi della scienza
spirituale: la tropologia, l’allegoria e l’anagogia. Di essi nei
Proverbi
così è detto: “Scrivi queste cose in tre modi sulla estensione del tuo cuore”
(Pr 22,20 LXX). Pertanto la storia abbraccia la conoscenza delle cose passate e
visibili, e così viene chiamata dall’Apostolo: “Sta scritto infatti che Abramo
ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello dalla
schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in
virtù della promessa” (Gal 4,22-23). Appartengono alla allegoria
le
parole di
Paolo che fanno seguito, poiché le cose che
realmente erano accadute sono espresse in modo da prefigurare la forma di un
ulteriore mistero. Così infatti egli dichiara: “Le due donne rappresentano le
due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è
rappresentata da Agar; il Sinai è un monte dell’Arabia e corrisponde alla
Gerusalemme attuale che di fatto è chiava insieme ai suoi figli” (Gal 4,24-25).
L’anagogia è quella che, partendo dai misteri spirituali, ascende ai segreti del
cielo più alti e più sacri, ed è così dichiarata dall’Apostolo: “La Gerusalemme
di lassù invece è libera, ed è nostra madre. Sta scritto infatti: Rallegrati, o
sterile, che non partorisci; grida nell’allegria, tu che non partorisci, perché
molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito”
(Gal 4,26-27). La tropologia è la spiegazione morale che ha per fine
l’emendazione della vita e l’insegnamento pratico, come se intendessimo le due
Alleanze, rispettivamente, l’una come espressione della vita attiva, l’altra
come scienza contemplativa, o anche, come se noi volessimo interpretare
Gerusalemme e Sion come figure dell’anima dell’uomo, secondo la sentenza: “Loda,
Gerusalemme, il Signore; loda il tuo Dio, Sion” (Sal 147,12).
Ne deriva dunque che, volendo, le predette quattro figurazioni confluiscono in
una sola configurazione, in modo che l’unica e medesima Gerusalemme può essere
intesa in quattro forme: secondo la storia, essa sarà la città dei Giudei;
secondo l’allegoria, sarà la Chiesa di Cristo; secondo l’anagogia, sarà la città
celeste di Dio, la “madre di tutti noi” secondo la tropologia, sarà l’anima
umana che di frequente, con questo nome, ora è biasimata, ora è lodata dal
Signore. Di questi quattro generi di interpretazione il beato Apostolo così
parla: “E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono
delle lingue; in che cosa vi potrei essere utile, se non parlassi a voi in
rivelazione o in scienza o in profezia o in dottrina?” (1 Cor 14,6). La
rivelazione
infatti appartiene all’allegoria: per essa le cose che restano coperte dalla
narrazione storica vengono rivelate dal senso e dalla esposizione spirituale, ed
è, ad esempio, come se volessimo chiarire quel passo della Scrittura, come “i
nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti furono battezzati in rapporto
a Mosè nella nuvola e nel mare”, e come “tutti mangiarono lo stesso cibo
spirituale e tutti bevvero la stessa bevanda che scaturiva da una roccia, e
quella roccia era il Cristo” (1 Cor 10,1-4).
Questo richiamo, confrontato con la prefigurazione del Corpo e del Sangue, che
noi assumiamo ogni giorno, contiene il motivo tutto proprio dell’anagogia. La
scienza,
similmente richiamata dall’Apostolo, fa parte della tropologia: per essa noi
riusciamo a distinguere con criterio prudente tutte le cose in riferimento alla
vita attiva, se esse sono utili e oneste, come comporta il precetto del
giudizio, la cui decisione è lasciata a noi stessi, di giudicare “se è
conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo coperto” (1 Cor
11,13). Questa forma di interpretazione, come già ho osservato, comporta
un’applicazione di valore morale. Parimenti la
profezia,
collocata dall’Apostolo al terzo posto, comporta l’anagogia, per effetto della
quale il discorso viene trasferito alle cose invisibili e future, così come
suona il passo seguente: “Vogliamo lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa
quelli che sono morti perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che
non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così
anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui.
Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in
vita per la venuta del Signore, non precederemo quelli che sono morti. Perché il
Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di
Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo”
(1 Ts 4,13-16).
In questa forma di esortazione
appare la figura dell’anagogia. La
dottrina
invece riferisce il semplice ordine dell’esposizione storica, nella quale non è
inteso nessun occulto riferimento al di fuori di quello che risulta dalle stesse
parole, come appare nel passo seguente; 'Vi ho trasmesso anzitutto quello che
anch'io ho ricevuto, che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le
Scritture, e fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, e apparve a Cefa”
(1
Cor 15,3-5), e ancora: “Iddio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la
legge, per riscattare coloro che erano sorto la legge" (Gal 4,4-5); come pure:
“Ascolta, Israele: il Signore, tuo Dio, è l’unico Signore” (Dt 6,4).
9. Occorre partire dalla scienza attiva per arrivare a
quella spirituale
Pertanto, se vi sta a cuore arrivare alla luce della scienza spirituale, non
spinti dal vizio di una vana presunzione, ma per la grazia data in vista
dell’emendazione, infiammatevi anzitutto del desiderio di quella beatitudine, di
cui è detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio’’ (Mt 5,8), in modo da
poter giungere a quel traguardo, di cui parlò l’angelo a Daniele: “I saggi
risplenderanno con lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti
alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre” (Dn 12,3), così come
presso altri profeti è detto: “Accendete in voi il lume della scienza, finché
c'è tempo” (Os 10,12 LXX) . E allora, mantenendo costante la premura
della lettura (della Scrittura), che io già m’accorgo da voi coltivata,
procurate di perfezionare con ogni cura la vostra vita attiva, vale a dire
quella morale. Senza di questa infatti non è possibile arrivare alla purezza
della contemplazione, di cui già ho parlato; una tale purezza, infatti, la
raggiungono soltanto coloro che sono divenuti perfetti, non per effetto degli
insegnamenti altrui, ma per l’efficacia della propria condotta e quasi come per
ricompensa dopo essersi impegnati con molta dedizione e molte fatiche. E in
realtà essi non hanno conseguito quell’intelligenza dalla meditazione della
Legge, ma dal frutto della loro operosità, e così perciò possono cantare con il
salmista: “Dai tuoi decreti io ricevo intelligenza” (Sal 118,104), come pure,
dopo avere soppresse tutte le loro passioni, possono ripetere con fiducia:
“Voglio cantare inni a Te e agirò con intelligenza nella via dell’innocenza”
(Sal 100,1-2).
Di fatto, nella recitazione dei salmi, comprenderà quello che viene cantato
proprio colui che pone i passi del suo cuore puro lungo le vie dell’innocenza.
Perciò, se voi volete disporre nel vostro cuore il sacro tabernacolo della
scienza spirituale, purificatevi dal contagio di tutti i vizi e dalle influenze
del secolo presente. Non è infatti possibile che un’anima, occupata anche per
poco nelle faccende del mondo, meriti il dono della scienza o la capacità di
produrre frutti spirituali o di divenire tenace prosecutrice delle sante
letture. Fate dunque in modo, anzitutto, e specialmente tu, Giovanni, a cui
l’età così giovane suggerisce maggiormente l’osservanza di quanto ora sto per
dire, che non resti sminuito per un vano sussiego l’impegno della lettura e lo
sforzo del tuo desiderio, e perciò imponi alla tua bocca un sommo silenzio. È
questa la prima risoluzione della vita attiva, accogliere gli insegnamenti e le
decisioni di tutti gli anziani con cuore attento e con la bocca pressoché
chiusa, e poi, riponendo tutto nel proprio intimo, decidersi a mettere tutto in
pratica anziché disporsi per insegnarlo agli altri.
Da quest’ultima tendenza nasce infatti il danno della vanagloria; dal silenzio
invece nascono i frutti della scienza spirituale. Non osare perciò di
intervenire durante le conferenze degli anziani, se non fosse perché ignorare
qualche cosa sarebbe di danno o perché chiarire qualche notizia necessaria
indurrebbe a porre delle interrogazioni; vi sono di quelli infatti che, esaltati
dal desiderio della vanagloria, simulano di fare delle interrogazioni al solo
scopo di mettere in evidenza quello che essi già conoscono. E in realtà non è
possibile che uno, il quale si occupi nell’impegno della lettura allo scopo di
acquistarsi le lodi degli uomini, possa poi meritare il dono della vera scienza.
Di fatto, chi è vinto da una tale passione, necessariamente sarà sopraffatto da
altre passioni, e soprattutto dalla superbia, e perciò, una volta abbattuto
nella lotta ingaggiata nella vita attiva e morale, non conseguirà per nulla la
scienza spirituale che da essa prende inizio. Costui dunque “sia pronto ad
ascoltare, lento a parlare” (Gc 1,19), in modo da non cadere nella colpa già
rilevata da Salomone: “Se vedi un uomo veloce nel parlare, sappi che c’è più da
sperare in uno stolto che non in lui” (Pr 29,20 LXX), e quindi non presumere di
insegnare ad altri con le tue parole quello che prima tu non hai saputo
compiere.
Che poi noi dobbiamo attenerci a questo comportamento ce lo ha dimostrato pure
nostro Signore, di cui così è detto: “Gesù cominciò a fare queste cose e ad
insegnare” (At 1,1). Guardati bene perciò, qualora tu voglia insegnare prima di
operare, dall’essere incluso nel numero di coloro, di cui il Signore parla ai
discepoli nel vangelo: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate
secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti fardelli
pesanti e insopportabili, e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non
vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,3-4). Se dunque “colui che
trasgredirà uno solo, anche minimo, di questi precetti, e insegnerà agli altri a
fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Mt 5,19), colui
che trasgredirà molti gravi precetti e presumerà di farsi maestro agli altri,
otterrà certamente, non già di essere considerato minimo nel regno dei cieli, ma
di essere ritenuto il maggiore nei supplizi dell’inferno. Perciò devi ben
guardarti dall’essere indotto ad insegnare sull’esempio di coloro, i quali,
avendo raggiunto la perizia dell’eloquenza e la facilità di parola, poiché
riescono ad esporre ornatamente e copiosamente quello che vogliono, si crede, da
parte di quanti non sanno giudicare la forza qualitativa di quella eloquenza,
che essi possiedano la scienza spirituale. Infatti altra cosa è possedere la
facilità nel parlare e lo splendore nel discorrere, e altra cosa è introdursi
nel midollo e nell’intimo delle parole celesti, e così completare col purissimo
occhio del cuore la profondità e la segretezza dei misteri, che in nessun modo
saprebbe raggiungere l’umana dottrina e l’erudizione secolare, ma unicamente la
purezza della mente per mezzo dell’illuminazione dello Spirito Santo.
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CAPUT X. De apprehendenda verae scientiae disciplina.
Quamobrem diligenter memoriae commendanda est et incessabiliter recensenda sacrarum series Scripturarum.
Haec etenim meditationis jugitas duplicem nobis confert
fructum. Primum quod dum in legendis ac parandis lectionibus occupatur
mentis intentio, necesse est ut nullis noxiarum cogitationum laqueis
captivetur; deinde quod ea quae creberrima repetitione percursa, dum
memoriae tradere laboramus, intelligere id temporis obligata mente non
quivimus, postea ab omnium actuum ac visionum illecebris, praecipueque
nocturna meditatione taciti revolventes, clarius intuemur, ita ut
occultissimorum sensuum, quos ne tenui quidem vigilantes opinatione
percepimus, quiescentibus nobis et vel soporis stupore demersis,
intelligentia reveletur.
Scriptum est in lege: Non fornicaberis (Exod. XX). Hoc ab homine carnalium adhuc obscenitatum passionibus obligato secundum simplicem litterae sonum salubriter custoditur. Ab eo autem qui jam ab hac actione lutulenta et impuro discessit affectu, necesse est idipsum spiritaliter observari, ut scilicet non solum a caeremoniis idolorum, sed etiam ab omni superstitione gentilium et auguriorum omniumque signorum et dierum ac temporum observatione discedat, vel certe ne quorumdam verborum aut nominum conjecturis, quae sinceritatem fidei nostrae polluunt, implicetur. Hac enim fornicatione etiam Jerusalem dicitur constuprata, quae fornicata est in omni colle sublimi, et sub omni ligno frondoso (Jerem. III). Et quam Dominus iterum increpans per prophetam: Stent, inquit, et salvent te augures coeli, qui contemplabantur sidera et supputabant menses, ut ex eis annuntiarent ventura tibi (Isaiae XLVII).
De qua fornicatione et alibi arguens eos Dominus, ait: Spiritus fornicationis decepit eos, et fornicati sunt a Deo suo (Ose. IV). Quisquis vero a gemina hac fornicatione discesserit, habebit tertiam quam devitet, quae in lege et Judaismi superstitionibus continetur. De quibus Apostolus: Dies, inquit, observatis et menses et tempora et annos (Galat. IV). Et iterum: Ne tetigeris, ne gustaveris, neque conjecturaveris (Coloss. II). Quae de superstitionibus legis dicta esse non dubium est, in quas si quis inciderit, proculdubio moechatus a Christo, ab Apostolo non meretur audire: Despondi enim vos uni viro virginem castam exhibere Christo (II Cor. XI); sed illud ad eum quod sequitur voce ejusdem Apostoli dirigetur: Timeo autem vos, ne sicut serpens seduxit Evam astutia sua, ita corrumpantur sensus vestri a simplicitate quae est in Christo Jesu (Ibid.).
Quod si immunditiam hujus quoque fornicationis effugerit, habebit quartam quae haeretici dogmatis adulterio perpetratur. De qua idem B. Apostolus: Ego, inquit, scio, quia post discussionem meam intrabunt lupi graves in vos, non parcentes gregi, et ex vobis ipsis surgent viri loquentes perversa, ut abducant discipulos post se (Actor. XX). Hanc etiam qui potuerit declinare,
caveat ne subtiliore peccato in fornicationis vitium collabatur, quae
scilicet in cogitationum pervagatione consistit, quia omnis cogitatio
non solum turpis, sed etiam otiosa, a Deo quantulumcumque discedens, a
perfecto viro immundissima fornicatio deputatur.
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10.
Il metodo per apprendere la vera scienza
Tu devi dunque preoccuparti, se desideri acquistare la scienza delle Scritture,
di assicurarti anzitutto una immobile umiltà di cuore, la quale conduce, non
alla scienza che gonfia (Cf. 1 Cor 8,2), ma alla scienza che illumina per mezzo
della completezza della carità. È infatti impossibile che una mente impura
acquisti il dono della scienza spirituale. Procura perciò di evitare con ogni
cautela che, pur con l’impegno della lettura, sorgano in te, non già il lume
della scienza e la gloria eterna promessa per l’illuminazione della vera
dottrina, quanto piuttosto motivi di perdizione, prodotti dalla vanità
dell’arroganza. Appresso tu dovrai in tutti i modi adoperarti affinché, superata
ogni sollecitudine e preoccupazione terrena, ti renda disponibile in modo
assiduo e, ancora più, continuo alla sacra lettura della Scrittura, al punto che
quella incessante meditazione riempia la tua mente e, per così dire, la conformi
a sua propria immagine, rendendola, in certo qual modo, un’arca del Testamento
(Cf. Eb 9,4-5), contenente in se stessa le due tavole di pietra, vale a dire la
saldezza del duplice Testamento, come pure l’urna d’oro, e cioè la memoria pura
e sincera che conservi in sé con fermezza indefettibile la manna ivi nascosta,
vale a dire la dolcezza perenne e celeste dei sensi spirituali e di quel pane
angelico; conserverà pure la verga di Aronne, cioè il vessillo salvifico del
sommo e vero pontefice, Gesù Cristo, che sempre rifiorisce col verde della sua
immortale memoria. Gesù Cristo infatti è la verga che, dopo essere stata recisa
dalla radice di Jesse (Cf. Is 11,1) rinverdisce con forza maggiore proprio dopo
la sua morte.
Tutti questi elementi sono protetti da due Cherubini, vale a dire dalla purezza
della scienza storica e spirituale. “Cherubino” infatti significa “la pienezza
della scienza”. Essi proteggono in continuità il propiziatorio di Dio, e cioè la
tranquillità della tua anima, e la custodiscono immune da tutti gli assalti
degli spiriti malvagi. E così la tua mente, elevata fino a raggiungere non solo
l’arca della divina Alleanza, ma pure il rango del regno sacerdotale, assorbita
nella conoscenza della scienza spirituale per effetto dell’aspirazione derivata
in lei dalla sua indefettibile purezza, adempirà il precetto rivolto al
pontefice dal Legislatore: “Non uscirà dal santuario per non profanare il
santuario di Dio” (Lv 21,12), ed è quanto dire, il suo cuore, nel quale il
Signore promette di abitare costantemente, dicendo: “Abiterò in mezzo a loro e
camminerò in mezzo a loro” (2 Cor 6,16).
Perciò occorre affidare con tutta diligenza alla nostra memoria e richiamare
senza tregua il complesso delle Scritture.
Una tale continuità
di meditazione ci apporterà un duplice frutto: anzitutto, che mentre
l’attenzione della mente è occupata nella lettura e nell’apprendere quegli
insegnamenti, necessariamente essa non sarà accattivata dai lacci dei pensieri
nocivi; in secondo luogo, mentre noi ci sforziamo di assicurare quei passi alla
nostra memoria, essendo però la nostra mente in quei momenti molto occupata, non
riusciremo a comprenderli; in seguito però, una volta liberi da tutte le
intrusioni delle occupazioni diurne, e soprattutto quindi durante la meditazione
della notte, allorché in silenzio li richiameremo, riesaminandoli con maggiore
chiarezza, è allora che ci si rivelerà l’intelligenza di quei passi così oscuri,
che, nella veglia, non eravamo riusciti a percepire neppure con leggera
supposizione, e proprio in quell’ora, pur essendo noi dediti al riposo della
notte e come immersi nel torpore del sonno.
11.
I molteplici sensi delle divine Scritture
Ne segue perciò che, per effetto di un tale studio e per il progresso della
nostra mente, anche la visione delle Scritture comincerà a modificarsi e la
bellezza d’una comprensione più profonda in un certo senso progredirà con il
progredire della mente. Gli aspetti delle Scritture infatti si adattano alla
capacità dell’intelligenza umana, e così appariranno terreni a chi è vittima
della carne, e divini agli uomini spirituali, in modo che coloro, ai quali in
precedenza quella visione appariva involuta per una certa nebbia brumosa, non
saranno certo in grado di intuirne la sottigliezza e neppure di sostenerne il
fulgore. E allora, affinché quanto io mi sto sforzando di costruire appaia più
chiaro con il ricordo di qualche esempio, basterà riportare una sola
testimonianza della Legge, per effetto della quale io possa dimostrare che pure
tutti i precetti divini sono estesi a tutto il genere umano secondo la misura
del nostro stato.
Così è scritto nella Legge: “Non fornicare” (Es 20,14). Questo precetto viene
osservato salutarmente, secondo il semplice suono delle lettere, dall’uomo
ancora in preda alle passioni vergognose. Ma da colui che già si è svincolato da
questa condotta limacciosa e dalle affezioni impure, questo precetto sarà
osservato con criterio spirituale, in modo da astenersi non solo dal culto degli
idoli, ma anche dalle superstizioni praticate dai gentili, quindi dagli auguri,
dalle divinazioni, dall’osservanza di tutti i segni, dei giorni e dei tempi; e
questo in modo che egli non si lasci compromettere dalle congetture derivate da
certe parole e da certi nomi, aventi per fine di guastare la sincerità della
nostra fede. Si dice infatti che anche Gerusalemme si è macchiata per tale
fornicazione, essendosi prostituita “in ogni luogo elevato e sotto ogni albero
verde” (Ger 3,6)). Anche il Signore le rinfaccia questa colpa, dicendole per
mezzo del Profeta: “Si presentino e ti salvino gli astrologi che osservavano le
stelle, e ti pronosticavano ogni mese, osservandole, quello che ti sarebbe
accaduto” (Is 47,13).
Anche altrove il Signore accusa il suo popolo di fornicazione, dicendo: “Uno
spirito di fornicazione li ha ingannati, ed essi si sono prostituiti,
allontanandosi dal loro Dio” (Os 4,12).
Chiunque pertanto avrà evitato questa duplice fornicazione, dovrà evitarne pure
una terza,
indicata nelle superstizioni della Legge, tutte proprie del Giudaismo. Di esse
così parla l’Apostolo: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni” (Gal 4,10),
e ancora: “Così è prescritto: Non prendere, non gustare, non toccare” (Col
2,21). Senza dubbio queste parole sono state dette con riferimento alle
superstizioni della Legge; se però qualcuno finisce per cadere in esse,
certamente, una volta allontanatosi, così peccando, da Cristo, non meriterà di
udire dall’Apostolo queste parole: “Io
vi ho promesso a un unico
sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2), e invece
saranno dirette a lui, sempre dalla voce dell’Apostolo, le parole che seguono:
“Io temo che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri
pensieri vengano traviati dalla loro semplicità, che è in Cristo Gesù" (2 Cor
11,3).
Chi poi riuscirà ad evitare anche l’immondezza di questa fornicazione, potrebbe
incorrere nella quarta, la quale si contrae, perpetrando l’adulterio tutto
proprio della professione ereticale. Di essa così parla lo stesso Apostolo: “Io
so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non
risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare
dottrine perverse per attirare discepoli dietro di loro” (At 20,29-30). E se
qualcuno riuscirà ad evitare anche questa colpa, si guardi bene dal cadere in un
peccato più sottile, nel vizio cioè di quella fornicazione che consiste nella
divagazione dei pensieri, proprio perché ogni pensiero, non solo turpe, ma anche
ozioso e, anche per poco, lontano da Dio, viene considerato dall’uomo perfetto
come una impudentissima fornicazione».
12.
Questione: com'è possibile dimenticare i poemi secolari
A questo punto io, turbato dapprima per una interna compunzione, e poi uscito in
gravi gemiti, così presi a dire: «Questi rilievi, da ora abbondantemente
espressi, mi hanno apportato un senso di scoraggiamento maggiore di quello
provato fino al presente, e la ragione è questa: oltre quei richiami generici,
propri dell’animo, dai quali non dubito che si lasciano attrarre gli spiriti
ancora deboli, s’aggiunge un impedimento particolare ostile alla mia salvezza a
causa di quella cultura letteraria, pur esigua, che mi sembra d’essermi
procurata: per essa l’impegno
del pedagogo e la
mia dedizione alla lettura mi occuparono talmente che ora la mia mente, come
pervasa da quei poemi, non fa che ripensare alle inezie di quelle favole e alle
narrazioni di quelle guerre, del cui pascolo essa ebbe a nutrirsi fin da ragazzo
nei miei primi studi; ed ora, nel tempo della preghiera, nella recitazione dei
salmi e quando chiedo perdono per i miei peccati, mi sorprende la memoria
indiscreta di quei poemi e mi si rappresenta quasi davanti agli occhi l’immagine
di quei bellicosi eroi, sicché la visione di tali fantasmi, con le loro continue
illusioni, non permette alla mia mente di aspirare alla contemplazione delle
cose celesti al punto che non riesco neppure a ricacciarli via con pianti effusi
ogni giorno».
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CAPUT XIII. Responsio, quo pacto memoriam eorum possimus abolere.
Quamdiu enim non habuerit quo recurrat, et indefessos exerceat motus, necesse est ut ad illa quibus ab infantia imbuta est, collabatur, eaque semper revolvat quae longo usu ac meditatione concepit. Ut igitur haec in te scientia spiritalis perpetua soliditate roboretur, nec ea jam temporarie perfruaris, sicut illi qui eam non suo studio, sed aliena relatione contingunt, et velut aereo, ut ita dixerim, odore percipiunt, sed ut sensibus tuis inviscerata quodammodo et perspecta atque palpata condatur, illud omni observantia custodire te convenit, ut etiamsi ea quae optime nosti, forte audieris in collatione proferri, non ex hoc quod tibi jam nota sint, aspernanter fastidioseque suscipias, sed ea cordi tuo illa aviditate commendes, qua debent desiderabilia salutis verba, vel auribus nostris indesinenter infundi, vel de nostro ore jugiter proferri. Quamvis enim adhibeatur sanctarum rerum crebra narratio, numquam tamen animae, sitim verae scientiae sustinenti, satietas generabit horrorem, sed ea quotidie velut nova ac desiderata suscipiens, quanto frequentius hauserit, tanto avidius vel audiet, vel loquetur, et confirmationem potius perceptae scientiae ex eorum repetitione quam ullum ex frequenti capiet collatione fastidium. Evidens namque est tepidae ac superbae mentis indicium, si verborum salutarium medicinam, quamvis studio nimiae assiduitatis ingestam, fastidiose negligenterque suscipiat. Anima enim quae in satietate est, favis illudit; animae autem egenti etiam amara dulcia videntur (Prov. XXVII). Si itaque haec diligenter excepta, et in recessu mentis condita atque indicta, fuerint taciturnitate signata, postea ut vina quaedam suave olentia et laetificantia cor hominis, cum sensus canitie et patientiae fuerint vetustate decocta, cum magna sui fragrantia de vase tui pectoris proferentur, et tamquam perennis fons de experientiae venis et irriguis virtutum meatibus redundabunt, fluentaque continua velut de quadam abysso tui cordis effundent.
Eveniet namque in te illud quod in
Proverbiis ad illum dicitur qui haec opere consummavit: Bibe aquas de
tuis vasis, et de puteorum tuorum fonte supereffluant tibi aquae de tuo
fonte, in tuas autem plateas pertranseant aquae tuae (Prov. V). Ac
secundum Isaiam prophetam, eris quasi hortus irriguus, et sicut fons
aquarum, cujus non deficient aquae, et aedificabuntur in te deserta a
saeculis, fundamenta generationis et generationis suscitabis, et
vocaberis aedificator sepium, avertens semitas iniquitatum (Isaiae
LVIII). Illa etiam tibi beatitudo proveniet, quam idem propheta
promittit; Et non faciet Dominus avolare a te ultra doctorem tuum, et
erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum, et aures tuae audient verbum
post tergum monentis. Haec via, ambulate in ea, neque ad dextram neque
ad sinistram (Isaiae XXX). Atque ita fiet ut non solum omnis directio ac
meditatio cordis tui, verum etiam cunctae evagationes atque discursus
cogitationum tuarum, sint tibi divinae legis sancta et incessabilis
ruminatio.
Impossibile namque est immundam animam
quantalibet desudaverit lectionis instantia, adipisci scientiam
spiritalem. Nemo enim in vas fetidum atque corruptum unguentum aliquod
nobile aut mel optimum, aut pretiosi quidquam liquoris infundit.
Facilius enim quamvis odoratissimum myrum semel horrendis imbuta
fetoribus testa contaminat, quam ut aliquid ex eo suavitatis aut gratiae
ipsa concipiat; quia multo citius munda corrumpuntur, quam corrupta
mundantur. Ita igitur et vas pectoris nostri nisi prius fuerit ab omni
fetidissima vitiorum contagione purgatum, non merebitur suscipere illud
benedictionis unguentum de quo dicitur per Prophetam: Sicut unguentum in
capite quod descendit in barbam, barbam Aaron, quod descendit in oram
vestimenti ejus (Psal. CXXXII); nec illam scientiam spiritalem et
eloquia Scripturarum, quae dulciora sunt super mel et favum (Psal.
XVIII), impolluta servabit. Quae enim participatio justitiae cum
iniquitate? Aut quae societas luci cum tenebris? Quae autem conventio
Christi ad Belial (II Cor. VI)?
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13.
Risposta: com’è possibile
liberare la memoria dai vari intralci
Nestore:
«Da questa stessa difficoltà, dalla quale sorge per te il maggiore ostacolo per
uscirne fuori, potrà sortire ben presto il rimedio efficace, solo che tu
trasferisca lo stesso costante impegno, da te dedicato agli studi profani, alla
lettura e alla meditazione delle Scritture. Necessariamente infatti la tua mente
sarà occupata dall’influsso di quei poemi per tutto quel tempo in cui con simile
impegno e assiduità, essa non accoglierà in se stessa altri interessi, e così,
in luogo di espedienti infruttuosi e terreni, produca frutti spirituali e
divini. Una volta che tu riesca a concepire una tale progettazione e a
nutrirtene in modo reale ed efficace, potrai ridurre sensibilmente i pensieri
precedenti o addirittura cacciarli via del tutto. La mente dell’uomo non può
rimanere vuota di ogni pensiero, e perciò, nel tempo in cui essa non è occupata
da impegni spirituali, necessariamente rimarrà vincolata da quelli curati in
precedenza.
Di fatto, per tutto il tempo in cui essa non avrà un altro fine, a cui dedicarsi
in continuità, necessariamente riprenderà gli interessi coltivati fin
dall’infanzia e così attenderà ancora a quei compiti, da essa curati con
prolungata abitudine e riflessione. E affinché la scienza spirituale si rafforzi
con saldezza perenne e di essa tu possa godere non solo per breve tempo, come
coloro che t'attingono non per proprio impegno, ma per rapporti c quasi, per
così dire, per respiro d’aria, affinché dunque tale scienza risulti, in un certo
qual modo, inviscerata nei tuoi sensi, ti conviene attenerti con ogni cura al
seguente comportamento: anche se in questo nostro incontro ascolterai cose che
per avventura già ben conosci, non accoglierle con disprezzo e con fastidio per
il solo fatto che già ti sono note, ma affidale al tuo cuore con quella avidità,
con la quale le parole desiderabili della salvezza devono essere affidate alle
nostre orecchie ed essere proferite continuamente dalla nostra bocca. Infatti,
per quanto di frequente avvenga l’incontro con l’esposizione delle cose sante,
per l’anima assetata della vera scienza mai la sazietà procurerà ripugnanza;
essa, al contrario, accettando ogni volta quell’incontro come nuovo e
desiderato, quanto più frequentemente ne avvertirà il contenuto, con tanta
maggiore avidità l’ascolterà e ne parlerà, e dalla sua ripetizione riceverà
conferma di quella scienza già da lei coltivata, anziché fastidio dalla sua
frequente reiterazione. Risulta infatti indizio evidente di una mente tiepida e
superba accogliere fastidiosamente e negligentemente la medicina delle parole
salvifiche, anche se accompagnate dall’impegno di una eccessiva assiduità:
“L’anima, che risulta già sazia, disprezza il miele; ma all’anima che si trova
nel bisogno, anche le cose amare sembrano dolci" (Pr 27,7 LXX). Se dunque tali
insegnamenti saranno accolti con diligenza, una volta nascosti e contrassegnati
nell’intimo della tua mente e assicurati dal silenzio, in futuro, come certi
vini soavemente olezzanti e allietanti il cuore dell’uomo, maturati
dall’anzianità della meditazione e dalla longevità della pazienza, verranno
riesposti e tirati fuori con il loro grande profumo dal fondo del tuo animo e,
come una fonte perenne, fluiranno dalle vene dell’esperienza e dagli irrigui
meati delle virtù, ed effonderanno onde continue come da un certo abisso del tuo
cuore.
Avverrà infatti per te quello che nei
Proverbi
è detto per colui che aveva compiuto tutto questo con le sue opere: “Bevi
l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo; le tue sorgenti
scorrano per te al di fuori e i tuoi ruscelli si effondano nelle pubbliche
piazze” (Pr 5,15-16 LXX); così pure Isaia: “Sarai come un giardino irrigato e
come una sorgente, le cui acque non inaridiscono. Per tuo mezzo saranno
riedificati i luoghi abbandonati da secoli e farai risorgere i fondamenti posti
di generazione in generazione, e perciò sarai chiamato riparatore di siepi e
restauratore di vie nella sicurezza” (Is 58,11-12). Sarà riferita a te la
beatitudine promessa dallo stesso Profeta: “Il Signore farà in modo che non si
allontani più da te il tuo maestro. I tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi
orecchi sentiranno questa parola dopo di te: Questa è la strada, percorretela
senz’andare né a destra né a sinistra” (Is 30,20-21). Avverrà così che non solo
ogni indirizzo e meditazione del tuo cuore, ma perfino tutte le divagazioni e le
distrazioni dei tuoi pensieri si risolvano per te in un ripensamento santo e
incessante della legge divina.
14.
L’anima che non è pura non può offrire e nemmeno accogliere la scienza
spirituale
È impossibile, come già ho avuto modo di dire, che possa conoscere e insegnare
la scienza spirituale chi non ne ha fatto esperienza. E in realtà, se uno non è
in grado neppure di accoglierla, come potrebbe comunicarla ad altri? Anche se
egli presumerà di insegnarne qualche parte, senza dubbio le sue parole
giungeranno inefficaci e inutili solo alle orecchie di quanti le ascoltano, ma
non potranno penetrare nel loro cuore a causa della deficienza delle sue opere e
della infruttuosità, tutta sua propria, della sua vanità, poiché il suo discorso
non sorge dal tesoro d’una buona coscienza, ma dalla vana presunzione della sua
ostentazione.
È impossibile infatti che un’anima, senza essere pura, riesca
a raggiungere la scienza spirituale, nonostante si sforzi caparbiamente
nella continuità delle sue letture. Di fatto, nessuno versa in un vaso
maleodorante qualche unguento costoso o dell’ottimo miele o, comunque, qualche
liquore prezioso. Infatti sarà più facile che un vaso, già pregno di un tanfo
insopportabile, corrompa un profumo anche se odoratissimo, anziché sia il vaso
ad accogliere da quel profumo qualche porzione di soavità e di gradimento,
poiché ben più presto le cose monde vengono corrotte di quanto le corrotte siano
purificate. E allora ne segue che il vaso del nostro cuore, se prima non viene
purificato da ogni fetidissimo contagio dei vizi, non meriterà di accogliere
quell’unguento di benedizione, di cui è detto per mezzo del Profeta: “È come
l’olio sul capo, che scende sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della
sua veste” (Sal 132,2), e neppure conserverà
inalterata la scienza
spirituale e le espressioni delle
Scritture, le quali sono “più dolci del miele e di un favo di miele” (Sal
18,11). “Quale rapporto infatti può esservi tra la giustizia e l’iniquità, o
quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Belial”? (2 Cor
6,14-15.
Belial (=nullità, inutilità) è parola ebraica per indicare gli idoli e satana)».
15.
Obiezione: molti, che non hanno il cuore puro, posseggono la scienza; al
contrario, molti santi non la posseggono
GERMANO: «La vostra illazione non ci sembra sorretta dalla verità e neppure
sostenuta da ragione probabile. Ammesso infatti che tutti coloro che rifiutano
la fede di Cristo o per lo meno la corrompono con l’empia deformità dei loro
dogmi, risultano immondi di cuore, come va allora che molti tra i Giudei e tra
gli eretici e perfino tra i cattolici, pur essendo avvolti tra molteplici vizi,
hanno raggiunto una completa conoscenza delle Scritture e si vantano della loro
dottrina spirituale, mentre un grande numero di uomini santi, il cui cuore è
mondo da ogni contagio di peccati, soddisfatti della pietà derivata dalla
semplicità della loro fede, ignora i segreti di una scienza più profonda? Come
si regge allora questa vostra conclusione, che attribuisce la scienza spirituale
unicamente alla purezza del cuore?».
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CAPUT XVI. Responsio quod mali scientiam veram habere non possunt. Etenim vera scientia non nisi a veris Dei cultoribus possidetur, quam is utique non habet populus, cui dicitur: Audi, popule stulte, qui non habes cor, qui habetis oculos et non videtis, et aures et non auditis (Jerem. V). Et iterum: Quia tu scientiam repulisti, et ego repellam te, ne mihi sacerdotio fungaris (Ose. IV). Cum enim in Christo omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi esse dicantur (Coloss. III), quomodo is qui Christum invenire contempsit, aut inventum sacrilego ore blasphemavit, aut certe catholicam fidem immundis operibus polluit, veram scientiam assecutus esse credendus est? Spiritus enim Dei disciplinae effugiet fictum, nec habitabit in corpore subdito peccatis (Sapient. I). Non ergo alias ad scientiam spiritalem nisi hoc ordine pervenitur, quem unus prophetarum eleganter expressit, dicens: Seminate vobis ad justitiam, metite spem vitae, illuminate vobis lumen scientiae (Ose. X).
Primum ergo seminandum nobis est ad justitiam, hoc est, ut actualem perfectionem operibus justitiae propagemus; deinde metenda est nobis spes vitae, id est, virtutum spiritualium fructus, expulsione vitiorum carnalium congregandi, et ita illuminare nobis lumen scientiae poterimus. Quem ordinem etiam Psalmographus teneri debere decernit, dicens: Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini, beati qui scrutantur testimonia ejus (Psal. CXVIII). Non enim prius dixit: Beati qui scrutantur testimonia ejus, et post intulit: Beati immaculati in via; sed prius, inquit, beati immaculati in via: per hoc evidenter ostendens, neminem recte posse ad perscrutanda Dei testimonia pervenire, nisi prius per actualem conversationem in via Christi immaculatus incedat. Hi ergo, quos dixisti, non istam quam immundi habere non possunt, sed τῆς ψευδωνύμου, hoc est, falsi nominis scientiam possident, de qua beatus Apostolus: O, inquit, Timothee, depositum custodi, devitans profanas vocum novitates, et oppositiones falsi nominis scientiae (I Tim. VI), quod in Graeco dicitur: ἐκτρεπόμενος τὰς βεβήλους κενοφωνίας καὶ ἀντιβάσεις τῆςψευδωνύμου γνώσεως..
De istis ergo qui imaginem quamdam scientiae videntur acquirere, vel de his qui cum sacrorum voluminum lectioni ac memoriae Scripturarum diligenter insistant, carnalia tamen vitia non relinquunt, in Proverbiis eleganter exprimitur: Sicut inauris aurea in naribus suis, ita mulieri male moratae species (Prov. XI). Quid enim prodest quempiam ornamentum eloquiorum coelestium et illam pretiosissimam Scripturarum speciem consequi, si eam, lutulentis operibus vel sensibus inhaerendo, quasi immundissimam terram subigendo confringat, aut coenosis libidinum suarum polluat volutabris? Fiet enim ut id quod recte utentibus decori esse consuevit, non solum istos ornare non possit, verum etiam majoris coeni colluvione sordescat. Ex ore enim peccatore non est pulchra laudatio (Eccli. XV): Cui dicitur per Prophetam, Quare tu enarras justitias meas, et assumis testamentum meum per os tuum (Psal. XLIX)? De hujusmodi animabus, quae nequaquam stabiliter timorem Domini possidentes (de quo dicitur, Timor Domini disciplina et sapientia est ) Scripturarum acquirere sensum de jugi earum meditatione conantur, satis proprie in Proverbiis memoratur: Ut quid fuerint [Lips. in marg. ad quid sunt] divitiae insipienti? Possidere enim sapientiam excors non poterit (Prov. XV, sec. LXX). In tantum vero ab illa eruditione saeculari quae carnalium vitiorum sorde polluitur, vera haec et spiritalis scientia submovetur, ut eam in nonnullis elinguibus ac pene illitteratis sciamus nonnumquam mirabiliter viguisse. Quod in apostolis multisque etiam sanctis viris evidentissime comprobatur, qui non inani philosophorum delectabantur luxuria, sed veris spiritalis scientiae fructibus curvabantur. De quibus et in Actibus Apostolorum scriptum est: Videntes autem Petri constantiam et Joannis, et comperto quod homines essent sine litteris et idiotae, admirabantur (Actor. IV). Et idcirco si tibi curae est ad ejus immarcescibilem fragrantiam pervenire, cunctis primum conatibus elabora, ut a Domino puritatem castitatis obtineas. Nullus enim in quo adhuc carnalium passionum et maxime fornicationis dominatur affectus, spiritalem poterit scientiam possidere. In corde enim bono requiescet sapientia; et qui timet Deum, inveniet scientiam cum justitia (Prov. XIV). Hoc autem quo praediximus ordine ad spiritalem scientiam perveniri, etiam beatus Apostolus docet. Nam cum universarum virtutum suarum non solum catalogum texere, verum etiam ordinem earum vellet exponere, ut quae quam sequeretur vel quae quam parturiret exprimeret, post aliquanta intulit, dicens: In vigiliis, in castitate, in scientia, in longanimitate, in suavitate, in Spiritu sancto, in charitate non ficta (I Cor. VI). In qua conjugatione virtutum evidentissime nos voluit erudire, de vigiliis atque jejuniis ad castitatem, de castitate ad scientiam, de scientia ad longanimitatem, de longanimitate ad suavitatem, de suavitate ad Spiritum sanctum, de Spiritu sancto ad charitatis non fictae praemia pervenire. Cum igitur hac disciplina atque hoc ordine tu quoque perveneris ad scientiam spiritalem, habebis proculdubio, sicut diximus, nec sterilem, nec inertem, sed vivam fructuosamque doctrinam, semenque salutaris verbi, quod cum a te fuerit audientium cordibus commendatum, subsequens Spiritus sancti imber largissimus fecundabit, ac secundum id quod pollicitus est propheta, dabitur pluvia semini tuo, ubicumque seminaveris in terra, et panis frugum terrae tuae erit uberrimus et pinguis (Isaiae XXX).
Oportet itaque ut hujusmodi hominibus
spiritalium sensuum contegens sacramenta efficaciter canas: In corde meo
abscondi eloquia tua ut non peccem tibi (Psal CXVIII). Sed dicis
forsitan: Et quibus divinarum Scripturarum dispensanda sunt sacramenta?
Docet te sapientissimus Salomon: Date, inquit, ebrietatem his qui in
tristitia sunt, et vinum bibere his qui in doloribus sunt, ut
obliviscantur paupertatis, et dolorum suorum non meminerint amplius
(Prov. XXXI), id est, his qui pro poenitudine actuum pristinorum moerore
atque tristitia deprimuntur, spiritalis scientiae jucunditatem, velut
vinum quod laetificat cor hominis (Psal. CIII), affluenter infundite,
eosque salutaris verbi crapula refovete, ne forte jugitate moeroris ac
lethali desperatione demersi, abundantiore absorbeantur tristitia qui
ejusmodi sunt (II Cor. II). De illis vero qui in tepore ac negligentia
constituti, nullo cordis sui dolore mordentur, ita dicitur: Nam, qui
suavis et sine dolore est, in egestate erit (Prov. XXI). Quanta potes
igitur cautione devita ut ne vanae gloriae amore detentus, illius quem
propheta collaudat, particeps esse non possis, qui pecuniam suam non
dedit ad usuram (Psal. XIV). Omnis enim qui eloquia Dei (de quibus
dicitur (Psal. XI), Eloquia Domini eloquia casta, argentum igne
examinatum, probatum terrae, purgatum septuplum ) humanae laudis amore
dispensat, pecuniam suam erogat ad usuram, non solum nulla pro hac laude
praemia, sed etiam supplicia meriturus. Ob hoc enim pecuniam Domini
maluit profligare, ut ex ea temporalem consequeretur ipse mercedem, non
ut Dominus, sicut scriptum est, veniens, reciperet quod suum est cum
usura (Lucae XIX).
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16.
I cattivi non possono possedere la vera scienza
NESTORE: «Non
correttamente interpreta il valore della mia conclusione chi non pesa
esattamente tutte le parole della illazione da me avanzata. Io ho dichiarato che
quei tali possiedono soltanto la perizia e la facoltà di ben discorrere, ma non
hanno la capacità di entrare nelle vene delle Scritture e nei segreti di quei
sensi spirituali.
Infatti la vera scienza non è posseduta se non dai veri cultori di Dio, e non è
certamente posseduta da quel popolo, a cui sono rivolte queste parole: “Ascolta,
o popolo privo di senno! Pur avendo gli occhi, non vedete, e pur avendo orecchi,
non udite!” (Ger 5,21), e ancora: “Tu hai rifiutato la mia scienza, e allora io
rifiuterò te, affinché tu non eserciti il mio sacerdozio” (Os 4,6). E di fatto,
poiché è detto che in Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e
della scienza” (Col 2,3), come potrebbe uno che ha avuto in disprezzo il cercare
Cristo, oppure, dopo averlo trovato, lo bestemmia con bocca sacrilega, ovvero,
sicuramente, contamina con le sue opere immonde la fede cattolica, come potrebbe
far credere d’avere raggiunto la vera scienza? “Lo Spirito di Dio infatti
rifugge dalla finzione e non abita in un corpo soggetto al peccato” (Sap 1,5 e
4). Ne segue dunque che alla scienza spirituale non si arriva, se non con il
criterio delineato elegantemente dal Profeta con queste parole: “Seminate per
voi secondo giustizia, e mieterete la speranza della vita; illuminate per voi il
lume della scienza” (Os 10,12 LXX).
Anzitutto dunque noi dobbiamo seminare secondo giustizia, vale a dire, propagare
la perfezione ascetica per mezzo delle opere della giustizia; quindi dovremo
mietere la speranza della vita, vale a dire raccogliere i frutti delle virtù
spirituali con il cacciar via i vizi carnali; e così potremo illuminare in noi
il lume della scienza. Anche il salmista dichiara che si deve tener presente
questo criterio: “Beati coloro che sono senza macchia nella loro via e che
camminano nella legge del Signore. Beati coloro che scrutano le sue
testimonianze" (Sal 118,1-2). Egli non disse prima: “Beati coloro che scrutano
le sue testimonianze”; al contrario, prima dichiara: “Beati coloro che sono
senza macchia nella loro via”, dimostrando con queste parole che nessuno può
giungere a scrutare le testimonianze di Dio rettamente, se prima non cammina
senza macchia nella via di Cristo, attenendosi ad una vita ascetica. Coloro
dunque, dei quali voi mi avete parlato, non sono in grado di possedere questa
scienza, negata a quanti non sono puri; essi possiedono una scienza
pseudónumon,
vale a dire una scienza di falso nome, della quale così parla il beato Apostolo:
"O Timoteo, custodisci il deposito, evitando le novità profane di certe voci e
le obiezioni d’una scienza di falso nome" (1 Tm 6,20), il che in greco cosi
suona
tàs antithéseis tês
pseudónumon gnóseos.
Dì costoro dunque, i quali sembrano in grado di acquistare qualche apparenza di
scienza, oppure di coloro che insistono premurosamente nella lettura dei testi
sacri e nel ricordare le Scritture, e tuttavia non rinunciando ai vizi della
carne, è detto elegantemente nei
Proverbi:
“Quale è un anello d'oro al naso d'un suino, tale è la bellezza per una donna di
mala vita" (Pr 11,22 LXX). Infatti che cosa giova ad uno possedere l’ornamento
delle elocuzioni celesti e la bellezza preziosissima delle Scritture, se poi,
assentendo ad opere immonde e ai suoi propri sensi, si mette tutto sotto
i
piedi come una terra luridissima, e tutto imbratta con le brutture fangose delle
sue libidini? Avverrà allora che egli non solo non potrà adornare quello che
solitamente torna di decoro a quanti ne usano rettamente, ma, in più, egli lo
renderà abbruttito con le sozzure del suo assai sordido fango. “Non è bella la
lode che esce dalla bocca del peccatore” (Sir 15,9), e a lui così è detto per
mezzo del Profeta: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la
mia alleanza?” (Sal 49,16). Di tali anime, le quali, non possedendo il timore di
Dio, - di esse, infatti, è detto: “Il timore del Signore è scienza e sapienza *
(Pr 15,33 LXX) -, si sforzano comunque di penetrare il senso delle Scritture con
una continua meditazione, così è detto con sufficiente proprietà nei
Proverbi:
“A che serve il danaro in mano dello stolto? L’uomo privo di intelligenza non
potrà possedere la sapienza » (Pr 17,16 LXX).
La scienza vera e spirituale è talmente lontana da codesta erudizione secolare,
inquinata dalla sordidezza dei vizi carnali, da doverla talvolta riconoscere
presente, da parte nostra, in alcuni, i quali sono senza pratica di eloquio e
pressoché illetterati. E questo risulta, con tutta evidenza, vigente negli
apostoli come pure in molti santi uomini, i quali non si esaltavano, (come certi
alberi), per il loro inutile fogliame, ma si incurvavano sotto il carico dei
reali frutti della loro scienza spirituale. E di essi che così è scritto negli
Atti degli Apostoli:
“Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni, e considerando che essi erano
senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti” (At 4,13). Perciò, se ti sta
a cuore di assaporare quella incorruttibile fragranza, procura anzitutto di
ottenere con ogni sforzo dal Signore la purezza della castità. Nessuno, in cui
domini ancora l’affezione delle passioni carnali, e specialmente della
fornicazione, potrà possedere la scienza spirituale. “In un cuore buono
risiederà la sapienza” (Pr 14,33), e ancora: “Chi teme il Signore, troverà la
scienza con la giustizia” (Sir 32,20).
Anche il beato Apostolo insegna che si giunge alla scienza spirituale con
l’ordine da me in precedenza indicato. Infatti, volendo comporre non solo
l’ordine di tutte le sue virtù, ma anche il loro ordine successivo, e cioè sia
la virtù che succedeva alla precedente, ma anche quella da essa immediatamente
originata, così conclude: “Nelle veglie, nei digiuni, nella castità, nella
scienza, nella longanimità, nella mansuetudine, nello Spirito Santo, nell’amore
sincero” (2 Cor 6,6); con questa elencazione egli intese comprendere con tutta
evidenza che dalle veglie e dai digiuni si giunge alla
castità,
dalla
castità
alla scienza, dalla scienza alla longanimità, dalla longanimità alla
mansuetudine, dalla mansuetudine allo Spirito Santo, dallo Spirito Santo al
premio dell’amore sincero. E allora, siccome per mezzo di questa disciplina e
con quest’ordine tu pure giungerai alla scienza spirituale, certamente
possederai, come già ho asserito, una dottrina, non sterile e incerta, ma vivida
e ricca di frutti, e così il germe della parola salvifica, da te estesa al cuore
di quanti ti ascolteranno, sarà assai largamente fecondata dalla rugiada dello
Spirito Santo, secondo quanto ebbe a promettere il Profeta: “Sarà concessa la
pioggia alla tua semente in qualunque terra tu l’abbia seminata, e il pane
prodotto dalle messi della tua terra, sarà per te abbondantissimo e sostanzioso”
(Is 30,23).
17.
A chi deve essere rivelata la via della perfezione
C’è di più. Quanto tu avrai appreso dalle tue letture e dalla tua operosa
esperienza, allorché l’età più matura ti avrà posto nell’occasione di dover
insegnare agli altri, guardati bene, una volta sedotto dall’amore della
vanagloria, dal diffonderlo qua e là a uomini indegni per la vita da essi
condotta, in modo da non incorrere nella colpa così indicata dal sapientissimo
Salomone: “Non condurre l’empio nei pascoli del giusto e non lasciarti adescare
dalla sazietà del ventre” (Pr 24,15 LXX).
Infatti “allo stolto non convengono le delizie” (Pr 19,10 LXX),
e “non v’è bisogno di sapienza, dove non v’è l’intelligenza, perché vi si fa
mostra della insipienza" (Pr 18,2 LXX). “Il servo refrattario non si corregge a
parole; anche se comprenderà, si rifiuterà di obbedire” (Pr 29,19 LXX). E
ancora: “Non parlare agli orecchi di uno stolto, affinché egli non disprezzi le
tue sagge parole” (Pr 23,9), come pure: "Non date le cose sante ai cani e non
gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro
zampe e poi si voltino a sbranarvi” (Mt 7,6).
Occorre dunque nascondere a uomini tali i misteri dei sensi spirituali, in modo
che tu possa cantare efficacemente: “Ho nascosto le tue parole nel mio cuore per
non offenderti con il mio peccato” (Sal 118,119).
Ma tu forse mi obietterai: Ma allora a chi devono essere dichiarati i misteri
delle divine Scritture? Ti risponderà il sapientissimo Salomone: “Date bevande
inebrianti a chi è nella tristezza, e vino a chi ha l’amarezza nel cuore,
affinché dimentichino la loro povertà e non ricordino più le loro pene”
(Pr 31,6-7 LXX), ed è quanto dire: “Offrite abbondantemente la giocondità
della scienza spirituale, come vino che allieta il cuore dell’uomo” (Sal
103,15), a coloro, i quali si sentono dolorosamente e tristemente depressi per
il pentimento del loro passato comportamento; voi dovete rianimarli col
versamento della vostra parola salutare, affinché, disanimati come forse sono
dalla continuità del dolore e da un mortale avvilimento, “quanti si trovano in
quello stato, non soccombano sotto un dolore troppo forte” (2 Cor 2,7). Invece,
per coloro che, fermi ormai nella loro tiepidezza e nella loro negligenza, non
sono morsi da nessun dolore del loro cuore, così viene detto: “Colui che vive
nelle dolcezze e senza dolore, soffrirà la povertà” (Pr 14,23 LXX). E allora,
con la maggiore cautela che ti è possibile, evita di lasciarti prendere
dall’amore della vanagloria, così da non essere escluso dalle lodi rivolte dal
Profeta a colui “che presta danaro senza fare usura” (Sal 14,5). Infatti,
chiunque dispensa le perle di Dio, delle quali è detto: “I detti del Signore
sono puri, argento raffinato nel crogiuolo, purificato sette volte” (Sal 11,7),
per amore delle lodi umane, eroga ad usura il proprio danaro e così, non solo
proprio per questo, non meriterà alcuna lode, quanto piuttosto la punizione. Di
fatto egli ha preferito disseminare il danaro del Signore per assicurarsi con
quel mezzo un compenso
temporaneo, e non perché il Signore, come sta scritto, “ritornando, potesse
ritirare il suo danaro con interesse” (Mt 25,27).
18. Le
cause che rendono infruttuosa la dottrina spirituale
Per due cause risulta inefficace la dottrina delle cose spirituali. Infatti, o
colui che insegna si sforza di istruire il proprio uditore, comunicando però le
cose senza esperienza e solo col suono delle sue parole, oppure, e senza dubbio,
l’uditore, uomo perverso e pieno di vizi, non è in grado di percepire nel suo
cuore del tutto sordo la dottrina santa e salutare da parte di quell’uomo
spirituale. Di gente simile così è detto per mezzo del Profeta: “Il cuore di
questo popolo si è accecato ed è divenuto duro d’orecchi; ha chiuso i suoi occhi
per non vedere con i suoi propri occhi, e non intendere con le sue proprie
orecchie, in modo che il suo cuore non comprenda e così non si convertano, ed io
non li possa guarire” (Is 6,10 LXX).
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CAPUT XIX. Quod plerumque etiam indigni gratiam salutiferi sermonis
accipiunt. |
19.
Per lo più anche gli indegni ricevono la grazia di parole
salutari
Tuttavia, talora, la generosa liberalità di Dio, nostro benefattore, “il quale
vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità” (1 Tm 2,4), dispone che proprio colui che non si è reso degno di
predicare il vangelo con una vita irresponsabile, acquisti la grazia della
dottrina spirituale in vista della salvezza di molti. In quali modi pertanto
siano concessi perfino i carismi delle guarigioni, affinché dal Signore siano
cacciati via i demoni, è evidente che noi dovremo esaminarli in una trattazione
simile a questa, da riservare per la serata, dopo che avremo provveduto per la
nostra refezione, poiché è pur vero che con la mente si riceve sempre più
efficacemente tutto quello che ci viene impartito gradatamente e senza
affaticare eccessivamente il nostro corpo».
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28 maggio 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net