LE CONFERENZE SPIRITUALI
di GIOVANNI CASSIANO
Cassianus Ioannes - Collationes
CONLATIO IX - ABBATIS ISAAC.
DE ORATIONE
Estratto da "Patrologia Latina Database" vol. 49 - J. P. Migne |
CONFERENZA
IX L'ORAZIONE
Estratto da “Dispensa di Storia della Spiritualità antica”
A cura di Antonio Montanari – A.A. 2012 – 2013 – dal sito
www.teologiamilano.it e
da “Giovanni Cassiano –
Conferenze spirituali” – Edizioni Paoline
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CAPUT PRIMUM.— Prooemium. Ibid. |
I - Introduzione alla conferenza;
II - Parole dell'abate Isacco sull'essenza
della preghiera;
III - Come si ottiene una preghiera pura
é
sincera;
IV - Mobilità dell'anima, che vien paragonata ad una piuma;
V - Le cause da cui
deriva l'appesantimento dello spirito;
VI - Visione di un monaco anziano
circa l'inquieto
affannarsi
di un confratello;
VII - Domanda: se sia più difficile conservare i buoni
pensieri o farli nascere;
VIII - Risposta sulle diverse forme di preghiera;
IX -
Le quattro specie di preghiera;
X -
Ordine da seguire tra
le quattro specie di,
preghiera;
XI - Ossecrazione;
XII - Promessa;
XIII -
Domanda;
XIV - Rendimento di grazie;
XV - Se le quattro forme di preghiera siano necessarie a
tutti simultaneamente, oppure siano necessarie
a
ciascuno separatamente;
XVI - A quali forme di preghiera
dobbiamo
preferibilmente
rivolgerei;
XVII - Quattro forme di preghiera indicate
dall'esempio
del Signore;
XVIII - Il Pater Noster;
XIX -
«
Venga
il tuo regno
»;
XX -
«
Sia
fatta la tua volontà
»;
XXI - Il pane soprasostanziale o quotidiano;
XXII - «Rimetti a
noi i nostri
debiti
»;
XXIII -
«Non c'indurre in tentazione
»;
XXIV - Non si devono chiedere
altre cose oltre
quelle
contenute nella preghiera del Signore;
XXV - Natura di
una preghiera più sublime del Pater;
XXVI
-
Varie cause di compunzione;
XXVII - Diverse
forme che la
compunzione
può assumere;
XXVIII - Domanda:
perché
non dipende da noi
il dono delle lacrime?;
XXIX - Diversità dei
sentimenti
che
si manifestano attraverso le
lacrime;
XXX - Non si cerchi di versare lacrime quando non sono spontanee;
XXXI
-
Parere dell'abate Antonio sulla
natura della
preghiera;
XXXII
-
Il segno per giudicare
che
siamo
stati esauditi;
XXXIII
-
Obiezione:
la fiducia
di
essere
esauditi conviene
soltanto ai santi;
XXXIV
-
Risposta:
diverse cause
che
fanno
esaudire le nostre preghiere;
XXXV - Preghiera
nella propria
cella
e
a porta chiusa;
XXXVI - Utilità
della preghiera breve
e silenziosa.
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I. De perpetua
orationis atque incessabili iugitate quod in secundo Institutionum libro
promissum est , conlationes senis huius quem nunc in medium proferemus,
id est abbatis Isaac domino fauente conplebunt. Quibus explicatis et
praeceptis beatissimae memoriae papae Castoris et desiderio uestro, o
beatissime papa Leonti et sancte frater Helladi, satisfecisse me credo,
uoluminis amplitudine primitus excusata, quae studentibus nobis non
solum sermone succincto narranda praestringere, sed etiam plurima
silentio praeterire in maiorem modum quam disposueramus extensa est.
Praemissa namque super diuersis institutis disputatione copiosa, quam
nos studio breuitatis resecare maluimus, haec ad extremum beatus Isaac
intulit uerba.
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I - Premessa alla Conferenza
Le due conferenze seguenti, pronunciate dal venerando abate Isacco
intorno alla
ininterrotta
continuità dell'orazione, adempiranno, con l'aiuto del Signore,
la promessa da me avanzata fin dal secondo libro delle
Istituzioni.
Una volta compiuto il lavoro, io credo d'aver soddisfatto l'incarico
ricevuto dal vescovo Castore, di felicissima memoria, ed espresso da
voi, benignissimo vescovo Leonzio, ed Elladio, fratello santo. Mi scuso,
prima di tutto, dell'ampiezza di questa trattazione, perché essa è stata
estesa più largamente di quanto avevamo deciso nel periodo dei nostri
progetti, pur avendo io cercato di trattarne in misura succinta e di
aver lasciato moltissimi elementi nel silenzio. Di fatto, il beato
Isacco, dopo aver trattato a lungo di diversi argomenti che io, per
amore di brevità, ho lasciato da parte, così finalmente prese a parlare.
II - Le parole dell'abate Isacco sulla natura della preghiera
«Tutta la finalità del monaco e la perfezione del suo cuore tendono alla continua e ininterrotta perseveranza della preghiera e, in più, per quanto è concesso alla fragilità dell'uomo, all'immobile tranquillità della mente e ad una perseverante purezza, per effetto della quale noi andiamo in cerca instancabilmente ed esercitiamo continuamente non soltanto la fatica del corpo, ma anche la contrizione dello spirito. Esiste fra l'una e l'altra certo quale reciproco e inseparabile legame. E di fatto, come l'ordinamento di tutte le virtù tende alla perfezione della preghiera, così pure, se tutte queste esigenze non saranno fra loro congiunte e aggregate dal complemento della preghiera, non potranno certo perdurare ferme e stabili. Infatti, come senza tali requisiti non sarà possibile acquistare e assicurare una perenne e costante tranquillità di quella preghiera, di cui stiamo parlando, così pure quelle virtù che predispongono alla preghiera non potranno essere assicurate senza l'assiduità dell'orazione. E allora noi non potremo, con un discorso improvvisato, né trattare convenientemente dell'effetto della preghiera né introdurci nel suo fine principale, che si raggiunge con la costruzione di tutte le virtù, se prima, in vista del suo raggiungimento, non richiameremo ed esamineremo ordinatamente quegli elementi che occorre eliminare oppure disporre, e, in più, secondo il contesto del brano evangelico a, non saranno discussi e diligentemente aggregati i coefficienti che contribuiscono alla costruzione di quella spirituale e altissima torre. E tuttavia tali elementi né gioveranno, anche se preparati, né potranno essere sovrapposti l'uno all'altro per raggiungere opportunamente la sommità della perfezione, se prima, una volta effettuata la ripulitura dei vizi e rimossi i grossi e morti ruderi delle passioni, non verranno gettati sopra la terra viva e solida del nostro cuore, come si usa dire, anzi, sulla pietra evangelica, i fondamenti della semplicità e dell'umiltà; è con tali criteri di costruzione che si dovrà edificare la torre delle virtù spirituali al punto da venire immobilmente assicurati fino ad essere elevati con la fiducia d'una propria fermezza ai sommi fastigi dei cieli. Colui che si appoggerà su tali fondamenti, anche se cadranno scrosci di pioggia rovinosa, anche se irromperanno violenti rovesci di persecuzione alla maniera di colpi d'ariete, anche se si scatenerà la terribile tempesta degli spiriti nemici, non solo non lo colpirà alcuna rovina, ma quell'urto non riuscirà in alcun modo a smuoverlo dalla sua fermezza.
III - In che modo si raggiunge una preghiera pura e semplice
Ne segue allora che, affinché la preghiera possa riuscire coltivata con quel fervore e quella purezza, con la quale deve essere condotta, debbono essere osservate in tutti i modi le norme seguenti. Anzitutto dev'essere bandita nel modo più completo la sollecitudine provocata dalle tendenze carnali, in secondo luogo non si deve ammettere alcuna preoccupazione di qualche affare o di qualche altro stimolo, ma neppure, e del tutto, il loro ricordo. Nel modo stesso vanno eliminate le detrazioni, i vani colloqui o quelli prolungati, come pure le scurrilità. In modo completo dev'essere rimosso l'insorgere dell'ira e della tristezza, così come dev'essere estirpato il dannoso fomite della concupiscenza carnale e della brama del danaro. E allora, una volta distrutti ed eliminati tutti questi e simili vizi, i quali possono apparire perfino agli occhi degli uomini, e assicurata, come già abbiamo detto, una tale epurazione purificatrice, la quale si ottiene attraverso una purezza fatta di semplicità e di innocenza, occorrerà gettare anzitutto i fondamenti inconcussi d'una profonda umiltà, i quali, ovviamente, siano in grado di sostenere quella torre che si eleva fino al cielo; in secondo luogo occorre aggiungere la costruzione spirituale delle virtù e impedire all'animo ogni distrazione e divagazione lubrica, in modo che a poco a poco l'animo stesso cominci ad elevarsi alla contemplazione di Dio e alla visione delle realtà spirituali. Tutto quello infatti che l'animo nostro ha concepito prima dell'ora dell'orazione, necessariamente ritornerà a farsi presente attraverso la suggestione della memoria, allorché noi ci metteremo a pregare. Perché, quali noi ci ripromettiamo di essere trovati durante la nostra orazione, tali dobbiamo disporci ad essere prima del tempo destinato alla preghiera. Nell'applicarci all'orazione la mente si ritrova nello stato in cui s'era precedentemente atteggiata: quindi, nel disporsi a pregare, ecco affacciarsi ai nostri occhi l'immagine del nostro abituale comportamento e perfino il ricordo delle parole e le impressioni dei nostri sentimenti, ed eccoci allora inclini, secondo le nostre disposizioni, alla irascibilità o alla tristezza, a risentire in noi i motivi della passata concupiscenza o della grottesca risibilità nel parlare, di cui c'è perfino vergogna a parlare, come pure il facile ricorso a precedenti discorsi. E allora, prima di metterci a pregare, procuriamo di escludere con sollecitudine, dall'intimità del nostro cuore, quanto non vorremmo vi entrasse, appunto per poter adempiere quello che ci è stato suggerito dall'Apostolo: "Pregate senza interruzione", e ancora: "(Voglio che gli uomini preghino) ovunque si trovino, alzando al cielo mani pure, senza ira e senza contese". Noi non saremo in grado di aderire a questi suggerimenti, se la nostra anima, purificata da ogni contagio dei vizi e dedita unicamente alle virtù come a dei beni ad essa connaturali, non si nutrirà della continua contemplazione di Dio onnipotente.
IV-
Mobilità dell’anima,
che vien paragonata ad una piuma
La natura dell’anima si può paragonare opportunamente
ad una lanugine o ad una piuma leggera. Se l’umidità che sopraggiunge
dall’esterno
non corrompe e non penetra la piuma, essa, per la leggerezza della sua natura,
con l’aiuto di un minimo soffio di vento, si leva verso le altezze del cielo. Ma
se è appesantita e penetrata da qualche liquido, non solo non sarà più rapita
dalla sua naturale leggerezza ai voli per l’aria, ma sarà precipitata, dal peso
del liquido assorbito, verso la bassezza della terra.
La stessa cosa avviene per l’anima nostra. Se i vizi
e le preoccupazioni mondane non l’appesantiscono,
se l’umore della libidine non la corrompe, essa, sollevata dal privilegio
naturale della purezza, si innalzerà verso le altezze, al più leggero soffio
della meditazione spirituale, e, lasciando le cose basse della terra, volerà a
quelle invisibili del cielo. Perciò noi siamo assai opportunamente ammoniti dal
Signore nel Vangelo con questo comando: « Badate a voi stessi,
perché i vostri cuori non si aggravino per crapula, o per ubriachezza, o per le
preoccupazioni della vita ».
Se dunque vogliamo
che le nostre preghiere penetrino i cieli e li travalichino dobbiamo liberare
l’anima nostra da ogni vizio terreno, mondarla dalle sozzure delle passioni,
ridurla alla sua naturale imponderabilità. Allora la sua preghiera, non più
gravata dal peso
dei vizi, salirà fino a Dio.
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V. Notandum tamen
quibus ex causis grauari mentem dominus designauerit. Non enim adulteria,
non fornicationes, non homicidia, non blasphemias, non rapinas, quae
mortalia esse et damnabilia nullus ignorat, sed crapulam posuit et
ebrietatem et curas siue sollicitudines saeculares. Quae in tantum nemo
hominum mundi huius cauet aut damnabilia iudicat, ut etiam nonnulli,
quod pudet dicere, semet ipsos monachos nuncupantes isdem ipsis
distentionibus uelut innoxiis et utilibus inplicentur.
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V -
Le cause da cui deriva l'appesantimento
dello spirito.
Guardiamo ora da quali cause l’anima è appesantita,
secondo la parola del Signore. Egli non ha parlato di adulterio, di
fornicazione, di omicidio, bestemmia, furto: nessuno infatti ignora che queste
colpe causano la morte e la dannazione eterna. Ha rammentato invece la crapula,
l’ubriachezza, le cure, o preoccupazioni del mondo, le quali cose son
tanto lontane da essere sfuggite o giudicate dannose dagli uomini del mondo, che
perfino molti monaci lo dico arrossendo
- vi si gettano dentro, come se fossero cose
innocenti e utili.
Quei tre vizi, presi alla lettera, appesantiscono l’anima, separano da Dio, la
precipitano a terra. Tuttavia è facile evitarli, specialmente per noi che siamo
separati dal mondo e dal suo modo di vivere, con una distanza ben lunga, né
abbiamo alcuna occasione, di farci prendere dall’affanno per le cose visibili, o
dagli eccessi del bere e del mangiare.
C’è però un’altra crapula non meno dannosa, c’è una
ubriachezza spirituale più difficile ad evitarsi, c’è una cura o preoccupazione
mondana che assale anche noi, nonostante che abbiamo rinunciato completamente
alle nostre ricchezze ed abbiamo eliminato ogni uso di vino e di banchetti.
Quelle colpe non cessano
di farci cadere nelle loro reti, anche se viviamo nella più completa solitudine.
Il profeta parla di noi quando dice: « Svegliatevi
voi che siete ubriachi, ma non di vino
».
Un altro profeta dice: « Stupite e strabiliate, brancolate e vacillate,
inebriatevi ma non per vino, brancolate ma non per ubriachezza ».
Il vino che produce questa ebbrezza non può essere altro che il « furore dei
dragoni » di cui parla il profeta. Vedete ora da quale radice deriva quel vino.
Dice ancora la sacra Scrittura:
« La loro vite viene dalla vigna di Sodoma e dai dintorni di Gomorra ».
Volete ora conoscere il frutto di questa vite, il
prodotto di questo tralcio? Ecco:
« L’uva loro è uva di fiele, e i grappoli sono amarissimi ».
Certamente, se non saremo puri da ogni vizio e immuni
dalla crapula delle passioni, avremo rinunciato invano all’abbondanza
del vino e del cibo: il nostro cuore risentirà la pesantezza d’una ubriachezza e
di una crapula più dannosa ancora.
A provare che le preoccupazioni della vita
secolaresca possono talvolta cadere anche su di noi, a dispetto della nostra
separazione dalla vita del mondo, interviene la regola degli anziani. Essi affermano
che tutto quanto supera le necessità della vita quotidiana e
i bisogni più elementari della carne, deve
essere ritenuto una preoccupazione di questo mondo. Per esempio: se il lavoro a
cui corrisponde un soldo di compenso basta per provvedere ai nostri bisogni, è
male lavorare e affaticarci allo scopo di guadagnare due o tre soldi. Due
tuniche bastano a coprirci: una per il giorno e una per la notte; non dobbiamo
perciò procurare di possederne tre o quattro. Una o due celle basterebbero per
ripararci, ma noi, presi dalle ambizioni secolaresche e dal desiderio di
grandeggiare, ce ne costruiamo quattro o anche cinque, e le vogliamo riccamente
ornate e più grandi di quel che chiedono le nostre necessità. In tutto ciò
dimostriamo
- per quanto ci è possibile
- di essere presi dalle passioni e dalle
concupiscenze del mondo.
VI -
Visione di un monaco anziano
circa l'ingiusto
affannarsi
di un confratello
Ci sono motivi
chiarissimi per dire che tutto questo avviene dietro suggerimento del demonio.
Uno dei nostri anziani più stimati, passava un giorno
presso la cella di un confratello, il quale era ammalato di quella malattia che
stiamo descrivendo. Non passava giorno senza che quel monaco si inquietasse a
riparare o costruire cose superflue. L’anziano lo vide di lontano, mentre
s’affannava a spezzare una pietra durissima per mezzo di un maglio. Accanto a
lui vide un Etiope che aveva
intrecciato le sue mani a quelle del monaco, e tirava con lui colpi di maglio;
inoltre lo provocava a quel lavoro accostandogli fiaccole ardenti. L’anziano
si fermò a lungo,
sia per osservare gli incitamenti del crudelissimo demonio, sia per ammirare la
spaventosa illusione del monaco. Quando il poveretto,
mezzo morto dalla dura fatica, vorrebbe prendersi un po’ di riposo, o metter
fine all’opera, lo spirito maligno lo incita a riprendere il maglio, a non
abbandonare l’opera intrapresa, ma a portarla a termine. Incitato così, il
nostro monaco non sente affatto il peso di sì grande fatica.
Il vecchio monaco alla fine, profondamente commosso
di questo inganno del demonio, si indirizza alla cella del confratello e lo
saluta così: « Che cosa stai facendo, fratello? ». Quello risponde: « Lavoriamo
su questa pietra durissima, per vedere se alla fine la manderemo in frantumi ».
Allora il vecchio riprese: « Hai detto bene «
Lavoriamo
», perché non sei solo a tirar colpi di maglio: un altro è con te, che tu non
vedi, ma sta al tuo fianco durante il lavoro, non già per aiutarti, ma per
istigarti violentemente ».
Per dimostrare che l’anima nostra è immune dal contagio delle ambizioni
secolaresche non basta dunque star lontani da quelle occupazioni che, anche
volendo, non potremmo esercitare; non basterà disprezzare quelle cose alle quali
non è possibile attaccarsi senza incontrare la disapprovazione degli uomini
spirituali e di quelli mondani.
Noi dimostreremo di esserci liberati da quel male, se rifiuteremo con fermezza
inflessibile anche le cose che si possono lecitamente usare, o che si potrebbero
coprire con una certa apparenza di onestà.
Queste cose che sembrano da poco
- anzi da nulla - e sono perciò comunemente
ammesse dagli uomini della nostra professione, viste nella giusta luce, appaiono
gravissime. Non sono certo meno gravi, per la nostra coscienza
di monaci, di quel che siano le grandi colpe per la
coscienza degli uomini mondani. Le cosiddette « cose da nulla » impediscono
al monaco di purificarsi dalle
scorie terrestri, per poi elevarsi a Dio.
Elevarsi a Dio : ecco dove il nostro cuore dovrebbe
tendere incessantemente; la più piccola separazione dal sommo Bene dovrebbe
sembrarci una morte: la peggiore delle morti.
Quando l’anima
si sarà stabilita in questa tranquillità e si sarà sciolta da tutti i legami
delle passioni carnali, per aderire con tutte le potenze del cuore a questo Bene
unico e sommo, allora si avvererà il comando dell’Apostolo:
« Pregate senza mai cessare
»; « In ogni luogo innalzate le vostre mani
pure, senza odio e senza contesa ». In
forza di questa purezza l’anima si libera dai
sensi e dalla terra, e si atteggia a somiglianza degli angeli. Allora, tutto
quello che pensa
o che fa, diventa preghiera pura e sincera.
VII -
Domanda: se sia difficile
conservare i buoni pensieri,
o farli nascere.
Germano
- Volesse il cielo che noi avessimo, nel trattenere i buoni pensieri, la stessa
facilità che abbiamo nel concepirli! Essi invece, appena li abbiamo formati
- col ricordo delle parole lette nei libri
sacri, o con la memoria di qualche azione virtuosa, o per mezzo della
contemplazione dei misteri celesti
- prendono adagio adagio a fuggire dalla
mente, e ben presto scompaiono. Se poi la mente scopre qualche nuova sorgente
dei buoni pensieri, subito insorgono le distrazioni, e quei pensieri che eravamo
riusciti a fissare,
sia pur debolmente, se ne vanno, sospinti da una nefasta volubilità. L’anima
è incapace di rimanere costantemente sui buoni pensieri. Anche quando sembra che
in qualche modo riesca a conservarli, è lecito credere che c’è riuscita per
caso, piuttosto che per la sua diligenza:
Inoltre, come si potrà credere che la loro nascita dipenda dalla nostra libera
volontà, se poi la loro perseveranza non dipende da noi?
Ma affinché l’esame di questo argomento non ci porti
troppo lontano dal tema dell’orazione che abbiamo preso a trattare, lasciamo la
questione riguardante l’origine dei buoni pensieri ad altro tempo, e intanto
parliamo della natura della preghiera: è una questione che c’interessa tanto.
Noi chiediamo che ci sia spiegato in che cosa consiste la preghiera. La
questione è di grande importanza, dal momento che l’Apostolo ci esorta a non
interrompere la preghiera: « Pregate
- egli dice
- senza intermissione ».
Noi desideriamo innanzi tutto che ci sia spiegata la natura della preghiera, poi
quale sia la proprietà specifica di una preghiera incessante.
Infine desideriamo sapere quali sono i mezzi per rimanere nella preghiera e
renderla perpetua.
L’esperienza quotidiana e il discorso che abbiamo udito dalle tue labbra
santissime ci dimostrano che un cuore mediocremente impegnato non arriva a
questa forma di preghiera. Eppure, la tua dottrina ha riposto il fine del monaco
e il culmine della perfezione, nella preghiera perfetta.
VIII - Le diverse forme della
preghiera
ISACCO:
«Io sono del parere che senza una
grande purezza del cuore e dell'anima e senza l'illuminazione dello Spirito
Santo non sia possibile comprendere tutte le specie della preghiera.
Tali
specie sono tante, quante in un'anima, o meglio, in tutte le anime, possono
esservi prodotti i generi e le forme differenti. Pertanto, sebbene risulti che
per l'inettitudine del nostro cuore noi non riusciremo a individuare tutte le
specie proprie della preghiera, tuttavia, per quanto la mediocrità della mia
esperienza lo consentirà, tenteremo in ogni modo di discorrerne. Infatti,
secondo il grado della purezza, alla quale ogni anima tende, e secondo la
disposizione effettiva, in cui, o per motivi esteriori o per la sua operosità,
ogni anima si perfeziona, quelle varie specie di preghiera in ogni momento si
modificano;
ne segue allora con certezza
che da nessuno possono essere pronunciate preghiere sempre uguali. E in
realtà ognuno prega in un modo, allorché si sente lieto, e invece prega in altro
modo, quando si sente oppresso dal peso della tristezza o della disperazione;
prega in un modo, quando si sente forte per i successi del suo spirito, e in un
altro modo, allorché è preso di mira dall'assalto delle tentazioni; in un modo,
allorché chiede il perdono per i propri peccati, in un altro, quando domanda
l'acquisto d'una grazia o prega per ottenere la sicura estinzione di qualche
vizio; in un modo, allorché si sente contrito nella considerazione dell'inferno
e per il timore del giudizio futuro, in un altro, quando s'infiamma per la
speranza e il desiderio dei beni futuri; in un modo, allorché si trova nelle
necessità e nei pericoli, in un altro, quando vive nella sicurezza e nella
tranquillità; in un modo, allorché viene illuminato dalla rivelazione dei
misteri celesti, in un altro, quando si sente represso dalla sterilità in fatto
di virtù e dall'aridità in fatto di aspirazioni.
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IX. Et idcirco
his super orationum qualitate digestis, licet non quantum exposcit
materiae magnitudo, sed quantum uel temporis admittit angustia uel certe
capere tenuitas ingenii nostri et cordis praeualet hebitudo, maior nobis
nunc inminet difficultas, ut ipsas singillatim orationum species
exponamus, quas apostolus quadripertita ratione distinxit ita dicens :
Deprecor itaque primo omnium fieri |
IX - Le quattro specie di
preghiera
Quindi, una volta richiamati questi accenni intorno alla varietà delle
preghiere, benché non sia stato esposto da me quanto l'importanza della materia
esigeva, ma solo quanto l'ha permesso l'angustia del tempo e, senza dubbio, la
ristrettezza del mio ingegno e il torpore del nostro cuore, subentra ora per noi
una difficoltà ben più grande in vista dell'esposizione delle varie specie della
preghiera, trattate ognuna singolarmente, così come l'Apostolo le ha distinte,
distinguendole in quattro forme:
"Raccomando prima di tutto che si facciano obsecrazioni, orazioni,
suppliche e ringraziamenti per tutti gli uomini". Non v'è alcun
dubbio che tale distinzione sia stata fatta dall'Apostolo non senza motivi
fondati. Anzitutto dovremo indagare che cosa egli intenda per
obsecrazioni,
orazione,
supplica e
ringraziamento. In secondo luogo
occorrerà ricercare se queste quattro specie di preghiera siano da praticare
tutte contemporaneamente, vale a dire, se occorra associarle insieme ogni
qualvolta che uno si mette a pregare, oppure siano da offrire a Dio
alternativamente e singolarmente, come, per esempio, se si debba prima praticare
le obsecrazioni, poi le orazioni, poi le suppliche e i ringraziamenti, ovvero se
uno debba offrire le obsecrazioni, uno le orazioni, un altro le suppliche, un
altro ancora i ringraziamenti, in rapporto cioè alla propria età, relativamente
alla quale ogni anima riesce a progredire in proporzione al proprio impegno.
X - Quale è l’ordine da
osservare nella pratica delle quattro specie di preghiera
In primo luogo occorre trattare delle proprietà stesse dei vocaboli e dei
termini, e così esaminare bene quale differenza intercorra fra orazione,
obsecrazione e supplica; in secondo luogo occorrerà decidere, in modo analogo,
se sarà bene presentare quella successione singolarmente ovvero unitamente; in
terzo luogo dovremo indagare se quell'ordine, disposto dall'autorità stessa
dell'Apostolo, esiga d'essere in qualche modo ampliato a beneficio di chi
ascolta, oppure debba essere accolta nella sua semplicità quella distinzione
stessa, tanto da ritenere che la disposizione sia stata offerta dall'Apostolo
con tutta indifferenza, ma una tale conclusione a me parrebbe assurda:
non bisogna affatto ritenere che lo
Spirito Santo abbia enumerato proprio per mezzo dell'Apostolo qualche
provvedimento solo di passaggio e senza motivo fondato Perciò noi
tratteremo ogni parte a sé stante con lo stesso ordine con cui tutto abbiamo
ricevuto, e ne tratteremo così come il Signore ci concederà di parlarne.
XI -
L'obsecrazione
Dice l'Apostolo: "Raccomando prima di tutto che si facciano obsecrazioni".
L'obsecrazione è un'implorazione ossia
una domanda dettata a causa dei peccati; per essa ognuno, ravveduto per
le colpe commesse al presente o nel passato, chiede perdono.
XII - L'orazione
Le orazioni comportano certi impegni, con i quali
noi offriamo, ossia, votiamo a Dio qualche cosa, ed è quello che in lingua greca
si dice euché,
cioè voto. Infatti, là dove in greco è detto:
tàs euchàs mou
tò Kuriò apodòso, in latino si legge:
"Io offrirò al Signore i miei voti" , e questo, secondo la
proprietà del termine, così può essere tradotto:
"Io offrirò al Signore le mie orazioni".
Anche quello che leggiamo nell'Ecclesiaste:
"Quando hai fatto un voto a Dio, non
indugiare a soddisfarlo", scrive similmente in greco:
eàn eùxe
euchèn tò Kuriò, vale a dire:
"Se voi offrirete un'orazione al Signore, non rimandate il compierla".
E così essa sarà posta in atto da ciascuno di noi in questo modo. Noi infatti
preghiamo allorché, rinunciando a questo mondo, promettiamo, una volta negati a
tutte le attitudini e ai rapporti con il mondo, di servire il Signore con tutta
la dedizione del cuore. Noi preghiamo, allorché, dopo aver disprezzato gli onori
del secolo e rinunziato alle ricchezze terrene, aderiamo al Signore con tutta la
contrizione del cuore e con la povertà di spirito. Noi preghiamo, allorché
promettiamo di coltivare per sempre una purissima castità del corpo e
un'incrollabile pazienza, o anche quando facciamo voto di sradicare dal nostro
cuore le radici dell'irascibilità e della tristezza, che è una causa di morte.
Se noi poi, abbandonandoci all'ignavia e ritornando agli antichi vizi, non
adempiremo le nostre promesse, diverremo colpevoli per non aver tenuto fede a
quelle stesse nostre promesse e ai nostri voti, al punto che si dirà di noi:
"Era meglio non fare voti piuttosto che fare voti e poi non mantenerli". Tale
sentenza si può esprimere così secondo la lingua greca:
"È meglio non pregare piuttosto che
pregare e poi non mantenere".
XIII - La
supplica
Al terzo posto sono poste
le
suppliche, quelle che noi, nel fervore dello spirito, siamo soliti presentare
anche per gli altri, sia che le nostre richieste tengano presenti i nostri
familiari oppure si estendano alla pace di tutto il mondo, come pure,
tanto per servirmi delle parole dello stesso Apostolo, noi eleviamo suppliche
"per tutti gli uomini, per i re e per tutti coloro che stanno al potere".
XIV - Il ringraziamento
Al quarto luogo sono poste
le azioni
di grazia, quelle che l'anima esprime al Signore con ineffabile impeto, allorché
ricorda i benefici ricevuti da Dio nel tempo passato,
oppure quando pone mente a quali e
quanto grandi favori Iddio intende concedere nell'avvenire a coloro che lo amano.
Ed è pure con questa stessa disposizione che talora vengono espresse preghiere
più abbondanti, allorché il nostro spirito, considerando con occhi purissimi i
premi riservati ai santi nella vita futura, si sente animato a dirigere a Dio,
con immensa gioia, grazie ineffabili. |
XV. Ex quibus
quattuor speciebus licet nonnumquam soleant occasiones supplicationum
pinguium generari |
XV - Si discute se queste
specie di preghiera siano necessarie tutte insieme e per tutti, oppure ognuna
singolarmente e successivamente per ciascuno, a parte.
Da coteste quattro specie nascono solitamente occasioni di larghe suppliche.
Infatti dalla specie dell'obsecrazione, la quale è originata dalla compunzione
dei peccati e dalla disposizione dell'orazione, che a sua volta nasce dalla
fiducia nell'emissione dei voti e del loro compimento in base alla purità della
coscienza, come pure dalle suppliche, originate dall'ardore della carità, e
dalla gratitudine, generata a sua volta dalla considerazione dei benefici di
Dio, della sua grandezza e dalla sua pietà, è da allora, ripeto, che noi
rimaniamo convinti che
prendono vita
molto spesso ferventissime e infuocate preghiere al
punto che appare evidente come tutte le specie di preghiera da noi fin qui
richiamate riescano utili a tutti gli uomini, tanto che in un solo e medesimo
individuo la variazione intesa ora delle obsecrazioni, ora delle orazioni, ora
delle domande, produrrà sincere e frequentissime suppliche.
E tuttavia la prima specie (le
obsecrazioni) sembra convenire maggiormente ai principianti, poiché essi
sono ancora presi dal rimorso e dal ricordo dei loro vizi;
la seconda (le orazioni) sembra adatta a
coloro che si sono già assicurati, per l'effetto del loro progresso spirituale e
per il conseguimento delle virtù, una certa elevatezza del loro spirito;
la terza (la domanda) è adatta a coloro,
i quali, adempiendo alla perfezione le esigenze dei loro voti, sono indotti a
intervenire in favore degli altri, in considerazione della loro
fragilità, stimolati, come si sentono, dall'impulso della carità;
la quarta è adatta per coloro i quali,
dopo avere ormai repressa nel loro cuore la spina punitrice della loro
coscienza, divenuti sicuri, si dedicano ormai con mente purissima alla
considerazione della generosità del Signore e alle misericordie da Lui
concesse nel passato e che Egli elargisce nel presente e prepara per il futuro,
e così si sentono attratti con cuore ferventissimo a
quella preghiera infuocata che dalle
parole non può essere né compresa né espressa.
Talora però l'anima, una volta stabilitasi in quell'autentico grado di
purezza, e in esso inizialmente radicatasi,
raccogliendo nel loro insieme tutte quelle forme di preghiera e
trascorrendo dall'una all'altra alla maniera d'una fiamma inafferrabile e
vorace, suole rivolgere a Dio preghiere d'un vigore purissimo; lo Spirito Santo,
intervenendo a sua volta, le rivolge a Dio a nostra insaputa;
l'anima concepisce allora, in
quell'unico momento, ed effonde con ineffabile profusione suppliche così
ardenti, quante in altro tempo la mente non saprebbe ripetere, non dico a
parole, ma nemmeno nel ricordo. Può perciò accadere talora che qualcuno,
in qualunque grado venga a trovarsi, si ritrovi nella condizione di emettere
preghiere pure e intense, poiché,
pur essendo egli nel primo e umile grado della vita spirituale, il grado che si
estende nel timore del giudizio finale, proprio allora egli venga sorpreso dalla
compunzione del cuore al punto da sentirsi nel pieno dell'impeto della
obsecrazione con non minore alacrità di chi invece, per la purezza del suo
cuore, contemplando ed esaminando la magnificenza di Dio, si senta invaso da una
gioia ineffabile. E in realtà, secondo la sentenza stessa del Signore, egli
comincia ad amare di più, perché riconosce che gli è stato perdonato di più.
XVI - Quale forma di
preghiera dobbiamo preferire?
E tuttavia noi dobbiamo adeguarci di preferenza, in vista del progresso
della nostra vita e del raggiungimento delle virtù, a quella specie di
preghiera, la quale viene effusa con la contemplazione dei beni futuri e anche
con l'ardore della carità, oppure, o con certezza, tanto per parlare più
umilmente e secondo la misura dei principianti, attenerci alla preghiera
destinata al progresso delle virtù ordinarie e all'estinzione d'ogni vizio. In
casi diversi infatti
noi non potremmo in
alcun modo giungere a specie di preghiera più elevate, di cui abbiamo in
precedenza fatta parola, a meno che la mente non progredisca lentamente e
gradatamente attraverso l'ordine di queste nostre domande.
XVII - Delle quattro specie
di preghiera offerte dall'esempio di Nostro Signore
Queste quattro specie di orazione così formulate il Signore stesso si è
degnato, col suo esempio, di insegnarcele, così designandole, sicché anche in
questo Egli compì quanto di Lui è detto:
"Gesù cominciò a fare e ad insegnare tutto questo". Infatti così
Egli prese ad osservare la specie dell'obsecrazione: "Padre, se è possibile,
passi da me questo calice". Valga anche quello che, in rapporto alla sua
persona, si legge nel Salmo:
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?". Vi sono altri passi, simili a questi, ed è preghiera anche
questa, allorché Egli così si esprime: "Io ti ho glorificato sopra la terra,
compiendo l'opera che mi hai dato da fare".
Ed ecco un altro testo: "Per loro io consacro me stesso, perché siano
anch'essi consacrati nella verità". Si ha una domanda, allorché Egli così prega:
"Padre, voglio che anche quelli che mi hai dati, siano con me, dove sono io,
perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai data", come pure: "Padre,
perdonali, perché non sanno quello che fanno". Il ringraziamento è così da Lui
espresso: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate
ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te". E ancora: «Padre, ti
ringrazio, perché mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre tu mi dai ascolto". E
tuttavia, sebbene il Signore stesso abbia dichiarato il dovere di offrire le
quattro specie di preghiera distintamente e in momenti diversi secondo il modo
da noi in precedenza indicato,
nondimeno il Signore ha pure dimostrato che quelle forme si possono
esprimere anche con una supplica perfetta, e lo ha enunciato col suo
esempio per mezzo di quella continuata
preghiera da Lui stesso pronunciata, quella che noi leggiamo verso la
conclusione del vangelo di Giovanni ad E poiché sarebbe troppo lungo
ripercorrere tutto questo testo, ogni diligente lettore potrà persuadersi di
questa certezza anche solo consultando direttamente il testo ora da noi
richiamato. Ad ogni modo anche l'Apostolo, nella sua lettera diretta ai
Filippesi, pur mutando l'ordine succedentesi delle vane specie d'orazione,
dichiarò molto espressamente che
talvolta quelle preghiere dovrebbero essere elevate tutte insieme sotto
l'impulso di una identica supplica. E così egli scrive: "In ogni promessa
e obsecrazione le vostre domande siano presentate a Dio con azioni di grazie".
Con questo ammonimento egli volle farci intendere in modo del tutto particolare
che nell'orazione e nell'obsecrazione, l'azione di grazie dev'essere aggiunta
alla domanda.
XVIII - La preghiera del
Signore
Tali specie di suppliche saranno seguite da una disposizione dell'animo
ancora più alta e soprannaturale, confermatasi a sua volta in vista della
contemplazione del solo Dio e dell'ardore della carità, per la quale la mente,
appena libera e proiettata in avanti,
parla con pietà particolare con Dio come col proprio padre. E che poi per
noi sia un dovere quello d'aspirare ad acquistare un tale stato del nostro
animo, ce lo indica la formula della preghiera dettata dal Signore, che così
appunto si esprime:
"Padre nostro".
E allora, poiché noi confessiamo con la nostra stessa voce che nostro Padre è
Dio, signore dell'universo, noi ammettiamo pure con certezza di essere stati
liberati dalla condizione della schiavitù e di essere stati ammessi
nell'adozione di figli, tanto è vero che subito vi si aggiunge: "che sei
nei cieli". Il fine di questa preghiera è appunto quello di farci
disprezzare con ogni orrore la dimora della vita presente, per la quale noi
abbiamo in questa terra come in un luogo straniero che ci separa tanto lontano
dal nostro Padre, e così dovremmo preferire il raggiungimento di quella regione,
in cui confessiamo che risiede il Padre nostro, in modo da prepararci a questo
fine con sommo desiderio, senza permetterci nulla di quello che, rendendoci
indegni della nostra professione e della nobiltà di un'adozione così grande, e
privandoci, perché indegni, dell'eredità paterna, ci obblighi ad incorrere
nell'ira della sua giustizia e della sua severità. Una volta immessi in
quest'ordine e grado di figlio, noi ci infiammeremo ben presto della pietà tutta
propria dei buoni figli, tanto da coltivare tutto il nostro affetto, non già per
soddisfare le nostre voglie, ma per la gloria del nostro Padre, dicendo a Lui:
"Sia santificato il tuo nome", e così testimoniare che il nostro desiderio e la
nostra gioia sono la gloria del nostro Padre. Saremo insomma imitatori di colui
che disse: "Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la
gloria di colui che l'ha mandato, è veritiero, e in lui non c'è ingiustizia".
Anche Paolo, vaso di elezione, ripieno com'egli è di quell'affetto, desidera
divenire anatema, separato da Cristo, pur di vedere acquistata a lui una grande
famiglia e accresciuta per la gloria del Padre suo la salvezza di tutto il
popolo di Israele. Egli desidera morire per Cristo, sicuro com'egli è, perché è
certo che nessuno può morire in vista della vera vita. Perciò egli afferma: "Ci
rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti". Quale meraviglia può
esservi allora, se il vaso di elezione desidera divenire anatema e separato da
Cristo proprio per la gloria di Cristo, per la conversione dei suoi fratelli e
la salvezza dei gentili così privilegiati, dato che perfino il profeta Michea
preferì divenire bugiardo e privato dell'ispirazione dello Spirito Santo, purché
al popolo giudaico fossero risparmiate le piaghe e le rovine da lui predette?
Così infatti egli afferma: "Volesse Dio che io fossi un uomo, in cui non
risiedesse lo Spirito, e così pronunciassi menzogne". E lasciamo pur da
parte l'aspirazione dell'autore della Legge (mosaica), il quale non ricusò di
soccombere unitamente ai suoi fratelli, qualora fossero condannati a perire, e
così si espresse: "Ti prego, Signore; questo popolo ha commesso un grande
peccato; ed ora perdona loro questa colpa, oppure, se non perdoni, cancellami
dal tuo libro, che hai scritto". Ed ecco le parole seguenti: "Sia santificato il
tuo nome": esse potrebbero benissimo essere intese anche nel senso che Dio è
santificato dalla nostra perfezione. Rivolgendoci infatti a Lui e dicendo: "Sia
santificato il tuo nome" con tali parole noi intendiamo dire questo:
rendici in grado, o Padre, di
comprendere quanto sia grande la tua santità o almeno di meritare di
comprenderla, o anche
fa' in modo che la
tua santità sia manifesta per effetto della nostra vita spirituale. È
allora che tutto questo si adempie efficacemente in noi, allorché "gli uomini
vedono le nostre opere buone e rendono gloria al Padre nostro che è nei cieli".
|
XIX. Secunda
petitio mentis purissimae aduenire iam iamque regnum sui patris exoptat,
uel istud scilicet quo cotidie Christus regnat in sanctis (quod ita fit,
cum diaboli imperio per extinctionem foetentium uitiorum de nostris
cordibus pulso deus in nobis per uirtutum bonam fragantiam coeperit
dominari et deuicta fornicatione castitas, superato furore tranquilitas,
calcata superbia humilitas in nostra mente regnauerit), uel certe illud
quod praestituto tempore omnibus est perfectis ac dei filiis generaliter
repromissum, in quo eis dicetur a Christo : uenite benedicti patris mei,
possidete paratum uobis regnum a constitutione mundi , intentis illud
quodammodo obtutibus ac defixis desiderans et expectans dicensque ad eum
: ueniat regnum tuum . Nouit enim testimonio conscientiae suae, cum
apparuerit, mox eius se futuram esse consortem. Haec enim dicere uel
optare criminosorum nullus audebit, quia nec uidere tribunal iudicis
uolet, quisque sub aduentu eius non palmam nec praemia suis meritis, sed
poenam nouit protinus repensandam. |
XIX
–
«
Venga il tuo regno »
Con la seconda domanda del Pater Noster, l’anima purissima esprime il desiderio
che venga presto il regno di Dio suo Padre. Qui si può intendere in primo luogo
quel regno che Gesù Cristo fonda ogni giorno nell’anima dei santi.
Ecco come quel regno si stabilisce: quando il demonio
è stato cacciato dal nostro cuore,
unitamente ai vizi coi quali lo corrompeva, Dio entra in noi come un re e nello
stesso tempo sparge nell’anima il buon odore della virtù. Vinta ormai la
fornicazione, la castità incomincia a regnare; superata l’ira, la pace ne prende
il posto; calpestata e schiacciata la superbia, l’umiltà incomincia a regnare.
Ma si può anche intendere quel regno che è stato
promesso
- per il tempo stabilito da Dio
- a tutti i perfetti, a tutti i figli di Dio.
A quel tempo Cristo dirà:
« Venite, benedetti dal Padre mio; possedete il regno che fu preparato per voi
fin dall’origine del mondo ».
L’anima guarda con occhi desiderosi e attenti quel regno, lo brama, lo aspetta,
e intanto dice: « Venga il tuo regno
». Sa, per testimonianza della propria coscienza, che appena quel regno si
mostrerà ne diventerà partecipe. Non c’è
invece alcun peccatore che possa osare di pronunciar quelle parole o di
formulare un simile voto. Non vuole infatti vedere il tribunale del giudice
colui che dal giudizio non si ripromette né palma né corona, come compenso per i
suoi meriti, ma sa che incontrerà un giusto castigo.
XX –
« Sia fatta la
tua volontà »
La terza domanda dei figli del Padre è questa: « Sia
fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra ». Non ci può essere una
preghiera più bella di quella che desidera la terra fatta uguale al cielo. Che
cosa significa infatti la domanda « Sia fatta la tua volontà come in cielo così
in terra », se non che gli uomini siano simili agli angeli? Come quegli spiriti
beati fanno in cielo la volontà divina, così si desidera che gli uomini, in
terra, facciano la volontà di Dio e non la propria.
Una preghiera di tal genere potrà liberarla dal
profondo del cuore colui che crede aver Dio disposto tutte le cose di questo
mondo per il nostro bene: gioie e dolori. Chi prega così deve credere che la
Provvidenza divina ha più sollecitudine per la salvezza e il bene di coloro che
ad essa si affidano, di quel che non siamo solleciti noi per noi stessi. Ma
questa stessa domanda si potrebbe anche intendere nel senso che Dio ci vuole
tutti salvi, secondo la parola nota di san Paolo:
« Dio vuole che tutti gli uomini si salvino
e arrivino alla conoscenza della verità ».
Di questa volontà salvifica parla anche il profeta Isaia in persona dell’Eterno
Padre: « Ogni mia volontà sarà adempiuta ».
Perciò, quando diciamo: « Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
», è come se dicessimo, con altre parole: « Come quelli che sono in cielo, così
tutti coloro che sono in terra, si salvino, o Padre, per la conoscenza del tuo
nome!
»
XXI
-
Il pane soprassostanziale
o quotidiano
Vien poi la domanda: « Dacci oggi il nostro pane
Epiùsion,
cioè soprassostanziale
», oppure
(secondo un altro evangelista) « il nostro
pane quotidiano ».
Il primo aggettivo, « soprassostanziale
», indica la nobiltà e la preziosità del nostro cibo; nobiltà e preziosità che
lo pongono al di sopra di ogni sostanza e gli fanno superare in grandezza e
santità tutte le creature. Il secondo aggettivo indica l’uso che bisogna farne e
la sua utilità. Il termine « quotidiano » significa che senza questo pane noi
non possiamo vivere neppure un giorno della nostra vita spirituale. La parola «
oggi », « dacci oggi », indica che bisogna nutrirsene tutti i giorni: non
basterebbe averlo ricevuto ieri, se non ci fosse dato anche oggi.
Il bisogno quotidiano che noi abbiamo di questo pane c’insegna a rivolgere
continuamente a Dio questa preghiera. Non c’è infatti un sol giorno in cui non
sia per noi necessario mangiare questo pane per fortificare il cuore del nostro
uomo interiore.
Tuttavia la parola « oggi » si può intendere anche in riferimento alla vita
presente. Allora la domanda prende questa forma: « Finché siamo in questo mondo,
donaci questo pane. Sappiamo bene che lo donerai anche nel regno eterno a coloro
che l’avranno meritato, ma noi ti preghiamo di donarcelo fin d’ora, perché chi
non l’avrà ricevuto in questa vita, non potrà esserne partecipe neppure
nell’altra ».
XXII
- « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ».
« Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ».
O
clemenza ineffabile
di Dio! Non solo ci ha dato in questa domanda un modello di preghiera; non solo
ha stabilito una regola di comportamento a lui accetto; non solo attraverso la
formula con la quale vuole essere continua- mente pregato
- ci strappa dal cuore le radici dell’ira e
della tristezza, ma presenta un’occasione, apre una via a fare su di noi un
giudizio misericordioso. Dio ci dà in certo modo la possibilità di addolcire la
sua sentenza, di obbligarlo al perdono con l’esempio pratico della nostra
indulgenza. Gli diciamo infatti:
« Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri ».
Basandosi fiducioso su questa preghiera, domanderà
perdono con la certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo
verso i suoi debitori. Si noti bene la parola: « verso i suoi propri debitori »,
non verso quelli del Signore. Dico questo perché molti di noi sono soliti (cosa
veramente insopportabile) dimostrarsi dolci e indulgenti quando si tratta di
offese fatte a Dio, anche se sono gravissime. Ma quando
le offese toccano noi; allora vogliamo la riparazione con severità inflessibile.
È certo però che chiunque non avrà perdonato dal profondo del cuore le offese
ricevute dal fratello, recitando questa domanda del Pater, attirerà su di sé la
condanna e non il perdono: egli infatti chiederà un giudizio più severo proprio
perché dirà: « Perdonami, Signore, come ho perdonato io ». Se sarà trattato come
suona la sua domanda, che altro gli toccherà se non una punizione implacabile e
una sentenza irreformabile?
Dunque, se vogliamo essere giudicati benignamente, vediamo di essere anche
noi benigni verso coloro che ci hanno recato qualche offesa.
Molti tremano a questo pensiero; perciò, quando il
popolo raccolto in chiesa recita coralmente il
Pater Noster, lasciano passare questa
domanda senza dirla, per paura di condannarsi (e non di giustificarsi) con la
loro stessa bocca. Ma non si accorgono che queste sottigliezze sono sciocche di
fronte al divin
Giudice? Il suo giudizio non si sfugge: egli ha voluto far capire in anticipo, a
coloro che lo pregano, come li giudicherà. Perché non vuole essere severo verso
di noi egli ci ha rivelato la regola del suo giudizio, affinché noi giudichiamo
i fratelli
- quando hanno commesso qualche cosa contro di
noi
- come noi stessi desideriamo essere giudicati
da lui. « Il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha usato
misericordia ». |
XXIII. Deinde
sequitur : et ne nos inducas in temptationem , de quo non minima
nascitur questio. Si enim oramus ne permittamur temptari, et unde erit
in nobis uirtus constantiae conprobanda secundum illam sententiam :
omnis uir qui non est temptatus, non est probatus , et iterum : beatus
uir qui suffert temptationem ? Non ergo hoc sonat ne inducas nos in
temptationem, id est : ut non permittas nos aliquando temptari, sed : ne
permittas nos in temptatione positos superari.
|
XXIII - «
Non c’indurre
in tentazione
»
La domanda che viene ora:
« non c’indurre in tentazione », fa nascere una questione difficile. Se
preghiamo per non essere messi alla prova, come si dimostrerà che c’è in noi la
virtù della
costanza? Sta scritto infatti: « Chi non è stato tentato, non è stato provato ».
E non è anche detto:
« Felice l’uomo che sopporta la tentazione »?
Pertanto la domanda: « Non c’indurre
in tentazione », non significa: non permettere che siamo tentati; significa
invece: non permettere che, quando la tentazione ci coglie, siamo da essa
superati. Giobbe, per esempio,
fu tentato, ma non fu indotto in tentazione,
perché non accusò Dio di mancare di sapienza, né si lasciò trascinare alla
bestemmia. Fu tentato
Abramo, fu tentato Giuseppe, ma nessuno dei
due fu indotto in tentazione, perché nessuno acconsentì al tentatore.
Viene poi l’ultima
domanda: « Ma liberaci dal male ». Vale a dire:
non permettere che noi siamo tentati dal diavolo al disopra delle nostre forze,
ma « con la tentazione procuraci la via d’uscita, onde possiamo sopportarla ».
XXIV - Non
dobbiamo domandare nulla in più di quanto è compreso in questa orazione del
Signore
Voi dunque potete ora vedere quale sia la forma dell'orazione, per mezzo
della quale lo stesso giudice dispose d'essere pregato: in essa non è contenuta
nessuna domanda di ricchezze, nessun'aspirazione alle dignità, nessuna pretesa
di potere e di potenza, nessun accenno alla sanità del corpo e alla vita
temporale. Egli infatti esige che a Lui, creatore dell'eternità, nulla sia
domandato che sappia di fugace, di interessato, di temporale. Ne segue allora
che gli infligge una gravissima ingiuria chiunque, messe da parte le domande che
importano valori eterni, preferisce chiedergli qualche dono di valore
transitorio e peribile, e così rischia di incorrere, con la sua preghiera
interessata, più in un'offesa che non nella propiziazione del giudice.
XXV - Natura di una preghiera
più
sublime
Questa
orazione del Pater,
sebbene sembri contenere ogni pienezza di perfezione,
appunto perché suggerita e fissata dall'autorità del Signore, tuttavia essa
induce coloro che abitualmente la recitano, ad adottare la forma di preghiera
più elevata, già da noi in precedenza richiamata: essa li induce
progressivamente ad un'orazione ardente, nota a pochissimi e da pochissimi
sperimentata, anzi, per meglio esprimermi, ineffabile;
tale orazione, trascendendo ogni senso
umano, non si esprime con il suono della voce, con il movimento della lingua, o
con la pronuncia delle parole, essa è tale che la mente, illuminata
dall'infusione della luce celeste, non la esprime con voci umane e ristrette,
ma, al contrario, essa la effonde come da una fonte copiosissima e la invia fino
a Dio copiosamente e ineffabilmente, e produce tanta effusione in quel solo
movimento, quanta la mente, una volta ritornata in se stessa, non potrebbe
esprimere facilmente a parole, né ripercorrere.
Un tale stato di orazione ce lo indicò anche Nostro Signore con la formula
di quella supplica che Egli, come s'è detto, ritiratosi tutto solo sul monte,
oppure, tacitamente, espresse, allorché, nella preghiera della sua agonia,
profuse perfino con gocce di sangue, con un esempio inimitabile di intensità.
XXVI - Diverse cause di compunzione
ISACCO: «Chi potrebbe sufficientemente,
anche se fornito d'una superiore esperienza, esporre la varietà, le cause
stesse e l'origine della compunzione, da cui la mente, infiammata e ardente,
viene sospinta fino all'adozione di preghiere pure e ferventissime? Di tali
elementi, almeno in parte, per quanto mi sarà possibile con l'aiuto
dell'illuminazione del Signore, io ora tratterò, proponendo alcuni esempi.
Alcune volte un versetto di qualche
Salmo,
durante la recitazione, mi offrì l'occasione d'una preghiera
molto ardente. Talora la melodia armoniosa d'un confratello eccitò il mio animo
stupito ad elevarsi ad un'orazione molto attenta. Io so pure che l'impegno e il
fervore della recitazione dei Salmi
ha suscitato nei presenti un
grandissimo fervore. Anche l'esortazione d'un uomo perfetto e la sua
conversazione hanno spesso contribuito ad elevare a preghiere fervidissime
l'animo di chi versava nella passività. Io so pure che, in occasione della morte
d'un confratello o d'una persona cara non sono stato meno indotto alla pienezza
della compunzione. Ed anche il ricordo della mia tiepidezza ha suscitato
talvolta in me un salutare ardore dello spirito. In questo modo non v’ha dubbio
che non mancano innumerevoli occasioni, per le quali, con la grazia di Dio, ci
possiamo sollevare dalla tiepidezza e dalla sonnolenza dello spirito.
|
XXVII. Quemadmodum
uero uel quibus modis istae ipsae conpunctiones de intimis animae
conclauibus proferantur, non minoris difficultatis est indagare.
Frequenter enim per ineffabile gaudium et alacritatem spiritus
saluberrimae conpunctionis fructus emergit, ita ut etiam in clamores
quosdam intolerabilis gaudii inmensitate prorumpat et cellam uicini
iucunditas cordis et exultationis penetret magnitudo. Nonnumquam uero
tanto silentio mens intra secretum profundae taciturnitatis absconditur,
ut omnem penitus sonum uocis stupor subitae inluminationis includat
omnesque sensus adtonitus spiritus uel contineat intrinsecus uel amittat
ac desideria sua gemitibus inenarrabilibus effundat ad deum. Interdum
uero tanta conpunctionis abundantia ac dolore suppletur, ut alias eam
digerere nisi lacrimarum euaporatione non possit.
|
XXVII - Le varie forme della compunzione
Non è di minore difficoltà indagare in
quale misura e in quali modi tali forme di compunzione scaturiscano
dall'intimità dell'anima. Spesso infatti, per effetto d'una gioia ineffabile e
dell'alacrità dello spirito, emerge il frutto d'una compunzione saluberrima al
punto da prorompere perfino in certe grida a causa della eccezionalità di
quella gioia, e così la giocondità del cuore e la grandezza dell'esultanza
penetrino perfino nella cella del monaco vicino. Talora invece la mente si
raccoglie in silenzio entro il segreto d'una profonda taciturnità al punto che
lo stupore di quella improvvisa illuminazione spegne del tutto ogni vibrazione
di voce, sicché lo spirito, così sorpreso, trattiene nell'intimo le sue
sensazioni o le esclude, e allora effonde davanti a Dio i propri desideri con
gemiti inesprimibili. Talora invece l’anima è sorpresa da tale profusione di
compunzione e da tanto dolore da non poter superarlo in altro modo, se non con
l'effusione delle lacrime.
XXVIII - Perché non è in nostro potere l'effusione delle lacrime
GERMANO: «Quest'aspetto della compunzione,
anche da parte mia, la mia ristrettezza non lo ignora. Frequentemente infatti,
apparse le lacrime al ricordo delle mie colpe, fui ricolmato, come tu hai
rammentato, da tale ineffabile gioia per la visita del Signore, che la
grandezza di quella letizia mi suggerì di non dover disperare del perdono. Io
ritengo che non vi sarebbe nulla di più sublime di quello stato, se il suo
ricupero dipendesse dall'arbitrio nostro. Talvolta infatti, pur desiderando io
con tutte le forze stimolarmi per giungere ad una simile compunzione delle
lacrime con il raffigurarmi davanti agli occhi tutti i miei errori e i miei
peccati, non riesco ad eccitare quell'abbondanza di lacrime, e così i miei occhi
persistono nella condizione stessa di una durissima pietra al punto che da essi
non fuoriesce neppure una stilla di pianto. E così io, quanto godo nella
profusione delle lacrime concessa da Dio, altrettanto provo dolore, allorché
io, pur desiderandolo, non riesco a trovarla»
XXIX - Varietà delle compunzioni mostrate nelle lacrime
ISACCO: «Non ogni profusione di lacrime
deriva da un unico sentimento, così come non è prodotta da una sola virtù. In un
modo infatti sgorga il pianto, allorché esso prorompe a causa della spina dei
peccati che punge il nostro cuore, ed è allora che così è scritto: “Sono
stremato per i lunghi lamenti; ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio,
irroro di lacrime il mio letto”; e di nuovo: “Fa’ scorrere come torrente le tue
lacrime giorno e notte! Non darti pace, non abbia tregua la pupilla del tuo
occhio”; in altro modo sgorga il pianto, allorché esso irrompe dalla
contemplazione dei beni eterni e dal desiderio dello splendore futuro, da cui
pure derivano sorgenti più copiose di lacrime per l'eccesso della gioia e
l'ampiezza dell'aspirazione, allorché la nostra anima tende alla fortezza del
Dio vivente ed esclama: “Quando verrò ed apparirò davanti a Dio? Le lacrime
sono il mio pane giorno e notte!”; ogni giorno ella proclama con alta voce e
lamenti: “Ahimè! Il mio esilio si è prolungato”, e ancora: “L’anima mia vi ha
abitato a lungo come straniera”.
In altro modo ancora scaturiscono le
lacrime non provocate dalla coscienza di colpe gravi, ma dal timore
dell'inferno o dal pensiero di quel terribile giudizio; anche il profeta,
colpito da questo terrore, così prega, rivolto al Signore: "Non chiamare a
giudizio il tuo servo, perché davanti a te nessun vivente è giusto".
Vi è pure un genere ulteriore di lacrime,
prodotto non da motivi di coscienza, ma per la durezza dei peccati degli altri:
è per questo movente che pianse Samuele a causa di Saul, come pure il Signore
nel vangelo per la città di Gerusalemme, ed anche Geremia, il quale, in età
remota, così si esprime: “Chi spargerà acqua sul mio capo e una fonte di
lacrime sui miei occhi? Giorno e notte io piangerò i morti della figlia del
mio popolo”. Tali risultano pure le lacrime, delle quali è parola nel
Salmo
101: “Di cenere io mi nutro come di pane, e alla mia bevanda io mescolo il
pianto”. È certo che tali lacrime non sono provocate dal sentimento, in merito
al quale nel Salmo
6 esse sgorgano nella persona di un penitente; esse
prorompono anche a causa delle ansietà, delle angustie e delle tribolazioni di
questa vita, da cui anche i giusti vengono colpiti in questo mondo. Questa
realtà la dichiara con tutta evidenza non solo il testo di un
Salmo,
ma anche il suo titolo, perché, proprio nella persona di quel povero, di
cui nel vangelo è scritto: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno
dei cieli", così è dichiarato: “Preghiera dì un povero, quando è afflitto e
sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia”.
XXX - Non si debbono provocare le lacrime, se esse non sgorgano
spontaneamente
Ne segue dunque che corre una forte
differenza fra queste lacrime e quelle che sgorgano da un cuore duro e da occhi
secchi. Anche se noi crediamo che tali lacrime non siano infruttuose, infatti
la loro emissione è dovuta a un buon proposito, soprattutto da parte di coloro
che non hanno ancora raggiunto una scienza perfetta o non sono riusciti a
purificarsi del tutto dalle macchie di vizi antichi e recenti, quanti tuttavia
sono già arrivati alla brama delle virtù, non devono in nessun modo provocare
l'emissione delle lacrime, così come non devono sforzarsi per produrre ad ogni
costo il pianto, tutto proprio dell’uomo esteriore. Un tale pianto infatti,
prodotto in qualunque modo, non potrà mai raggiungere la ricchezza delle lacrime
spontanee; al contrario, esso, con quegli sforzi, abbatte l'anima di chi prega,
lo mortifica, lo abbassa a livello d'uomo, e lo distacca da quella sublimità
celeste, nella quale la mente elevata di chi prega dev'essere incessantemente
fissa, e così lo costringerà, una volta soggiogato dall'intensità della
preghiera personale, a languire, divenuto vittima di lacrime sterili e
forzatamente provocate. |
XXXI. Et ut
orationis uerae percipiatis adfectum, non meam uobis, sed beati Antoni
sententiam proferam. Quem ita nonnumquam in oratione nouimus perstitisse,
ut eodem in excessu mentis frequenter orante cum solis ortus coepisset
infundi, audierimus eum in feruore spiritus proclamantem :
|
XXXI - Giudizio
dell'abate Antonio sulla natura della preghiera
E affinché voi comprendiate la natura della vera orazione, io non vi esporrò
una mia idea, ma la sentenza del beato Antonio. Sappiamo che talvolta egli durò
così a lungo immerso nella preghiera che, mentre era ancora elevato nell'estasi
della sua orazione, allorché cominciava a levarsi la luce del sole, l'abbiamo
udito esclamare nel fervore del suo spinto:
"Perché mi importuni, o sole, che già
sorgi, tanto che mi distogli dallo splendore di questa luce?". E
allora, affinché noi pure, secondo la misura della nostra esiguità, osiamo
allegare qualche aggiunta a questa ammirevole sentenza, assocerò, in base alla
mia esperienza, qualche idea su quali indizi si può ritenere che la preghiera
sia udita dal Signore.
XXXII - Gli indizi
dell'esaudimento della preghiera
Quando, nel pregare, nessuna esitazione è intervenuta a ostacolarci e
neppure s'è interposta a distoglierci, con qualche diffidenza, dalla
fiducia posta nella nostra orazione, ma, al contrario, per la stessa effusione
della nostra preghiera, avremo avuto la sensazione d'aver ottenuto quanto
chiedevamo, allora non mettiamo dubbi che le nostre orazioni non siano arrivate
fino a Dio. E in effetti, tanto ognuno meriterà di essere esaudito e di ottenere
quanto avrà creduto d'essere tenuto presente da Dio e avrà creduto che Dio possa
concedere. Di fatto, è irreversibile questa sentenza di Nostro Signore:
"Tutto quello che voi domandate nella
preghiera, abbiate fiducia di ottenerlo, e vi sarà accordato".
XXXIII – Obiezione: la
fiducia di essere esaudito conviene soltanto ai santi
GERMANO: «Noi siamo convinti che
una tale fiducia d'essere esauditi deriva ovviamente dalla purezza della propria
coscienza. Noi perciò, il cui cuore è ancora punto dalla spina dei
peccati, come potremo nutrire quella fiducia, non essendo protetti da quei
meriti, per i quali dovremmo presumere fiduciosamente che le nostre preghiere
verrebbero esaudite?». |
XXXIV. ISAAC :
Diuersas exauditionum causas esse secundum animarum diuersum ac uarium
statum euangelica siue prophetica testantur eloquia. Habes enim in
duorum consensione fructum exauditionis dominica uoce signatum secundum
illud : si duo ex uobis consenserint super terram de omni re quamcumque
petierint, fiet illis a patre meo qui in caelis est . Habes aliam in
fidei plenitudine quae grano senapis comparatur. Si enim habueritis,
inquit, fidem sicut granum senapis, dicetis monti huic : transi hinc, et
transibit, et nihil inpossibile erit uobis.
|
XXXIV -
Risposta: diverse cause che
fanno esaudire le nostre preghiere
Isacco -
Il Vangelo e le profezie ci assicurano che le cause per le quali siamo esauditi
sono molte, come sono molte le anime e le loro disposizioni.
Ecco un prima condizione: che due anime siano unite
nella loro preghiera, secondo quanto è indicato dalla voce del Signore: « Se due
di voi si mettono d’accordo
sulla terra a domandare qualsiasi cosa, essa sarà loro concessa dal Padre mio
che sta nei cieli ».
Un’altra
condizione è la pienezza della fede, quella fede che vien paragonata ad un
granello di senape: « Se avrete fede quanto un grano di senape, direte a questo
monte: passa di qui a là! e passerà ».
Altra condizione per essere esauditi è che la
preghiera sia assidua. Questa assiduità, a causa della sua insistenza
instancabile, è chiamata dal Signore « importunità
»: «
Io vi dico che se egli non si levasse a
darglieli (i pani) perché è suo amico, pure si alzerà per l’insistenza e gliene
darà quanti ha di bisogno ».
Un’altra condizione è l’elemosina: « Chiudi
l’elemosina nel cuore del povero, essa t’impetrerà la liberazione da ogni male ».
Una condizione per essere esauditi è l’emendazione
della vita e la pratica delle opere di misericordia, secondo quel detto del
Signore: « Rompi le catene dell’empietà, togli i pesi che ti aggravano ».
Poco più avanti, dopo aver condannato l’inutilità di un digiuno senza frutto, il
Signore aggiunge: « Allora tu invocherai, e il Signore ti esaudirà; chiamerai,
ed egli dirà:
eccomi ».
Talvolta anche l’eccesso della tribolazione può
essere un segno che saremo esauditi. Ce
lo attestano
queste parole dei libri Sacri:
« Nella tribolazione ho elevato la mia voce al Signore ed egli mi ha esaudito ».
E ancora: « Non opprimere il forestiero e non l’affliggere, perché se griderà a
me io l’esaudirò, per la mia misericordia ».
Vedete quanto sono numerosi i modi nei quali si può
ottenere la grazia d’essere esauditi; nessuno dunque
- anche se la coscienza gli rimorde
- disperi di essere ascoltato, quando si
tratta dei beni eterni e di ciò che è necessario per la salvezza.
Io vedo quanto siamo miseri e voglio ammettere
che a noi mancano completamente le virtù di cui abbiamo parlato sopra. Non
abbiamo quel lodevole consenso fra due anime;
non abbiamo la fede che è paragonata al grano di senape; siamo lontani da quelle
opere di misericordia che il profeta descrive; ma non potremo avere quella
importunità che è disposizione di chiunque la voglia? Eppure il Signore promette
di concedere, anche per la sola importunità, tutto ciò che gli domanderemo.
Insistiamo dunque nella preghiera, senza esitare e senza dubitare. Crediamo
fermamente che la costanza nel chiedere ci farà ottenere tutto ciò che avremo
domandato nel nome del Signore.
Gesù, che desidera sommamente concederci i beni
celesti ed eterni, ci esorta affinché gli facciamo una dolce violenza con la
nostra importunità. Egli è lontanissimo dal disprezzare e schiacciare
gl’importuni:
li invita, li loda, promette che concederà
volentieri tutto quello che gli chiederanno. « Chiedete e vi sarà dato; cercate
e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Perché chi chiede, riceve: chi cerca,
trova: a chi picchia sarà aperto ».
E ancora: « Ogni cosa che domanderete con fede l’otterrete. Niente vi sarà
impossibile ».
Perciò, se noi siamo privi di tutte le condizioni per essere esauditi, ci
incoraggi almeno l’insistenza degli importuni. Essa non chiede né grandi meriti
né grandi fatiche, si lascia prendere da chi la vuole. Ma stiamo certi di
questo: chi dubita, mentre prega, di poter essere esaudito, non sarà esaudito.
Per incoraggiarci a pregare incessantemente, c’è
anche l’esempio, già riferito, del profeta Daniele. Egli fu esaudito fin dal
primo giorno in cui pregò, ma l’effetto
della sua preghiera l’ottenne dopo ventun
giorni. Anche noi dunque non dobbiamo raffreddare l’ardore delle nostre
preghiere se vediamo che l’effetto tarda a venire. Può darsi che sia il Signore
a ritardare la grazia, e ciò per il nostro bene. Può darsi che l’angelo mandato
a portarci il dono di Dio, pur essendo già partito dal trono dell’Altissimo, sia
ritardato dal demonio che gli si oppone. E quell’angelo non potrà certo
comunicarci la grazia di cui è stato fatto latore, se al suo arrivo ci troverà
intiepiditi nella nostra preghiera. Questo inconveniente sarebbe capitato anche
al profeta Daniele, se egli, con virtù incomparabile, non avesse perseverato
nella preghiera per ventun giorni.
Non ci lasciamo allontanare dalla costanza nella fede
per qualche pensiero di disperazione; rimaniamo immobili anche quando ci
accorgiamo di non aver ottenuto quel che chiedevamo. Non dubitiamo della parola
del Signore che dice: « Ogni cosa che domanderete con fede l’otterrete ».
Dobbiamo considerare anche una frase di san Giovanni evangelista che toglie ogni
dubbio sull’argomento di cui ci occupiamo. « Questa è la fiducia che noi abbiamo
in Lui; che qualunque cosa chiederemo secondo la sua volontà, Egli ci esaudisce
».
Con questo siamo avvertiti che si deve avere completa
fiducia di essere esauditi quando chiediamo ciò che è conforme alla volontà di
Dio, non ciò che conviene ai nostri gusti e al nostro piacere naturale. Questo
sentimento siamo invitati ad unirlo anche alla preghiera del Pater Noster,
quando diciamo: « Sia fatta la tua volontà ». La
tua
- si noti bene
- non la
nostra.
Se ci richiamiamo alla mente la parola dell’Apostolo:
« Noi non sappiamo ciò che conviene domandare »,
ci accorgeremo che noi, qualche volta, chiediamo cose contrarie alla nostra
salvezza; è dunque logico che Dio, il quale conosce meglio di noi ciò che ci
aiuta e ciò che ci danneggia, ce le neghi. È certo che qualche cosa di simile
accadde all’Apostolo
delle Genti. Egli pregava che fosse allontanato l’angelo di Satana messogli
vicino dalla volontà benefica di Dio per percuoterlo. « Tre volte
- egli dice
- ho pregato il Signore perché lo allontanasse
da me. Ed Egli mi rispose: ti basti la mia
grazia, perché la virtù ha il suo compimento nelle infermità ».
Anche il Signore espresse nella sua preghiera di uomo
lo stesso sentimento, per offrirci
in questo, come nel resto, un modello da imitare:
« Padre
- Egli disse
- se è possibile, passi da me questo calice:
però si faccia la tua volontà e non la mia ».
Eppure, anche la sua volontà umana non contrasta con quella del Padre; dice
infatti la Scrittura: « Il Figlio dell’Uomo è venuto a salvare ciò che era
perduto e a dare la sua vita per la redenzione di molti ».
A proposito della sua vita dice il Signore stesso:
« Nessuno me la toglie ma io la dò da me stesso:
ho il potere di darla e il potere di riprenderla ».
Sulla continua unione di volontà fra Gesù Cristo e il Padre, così parla il
profeta David, in persona del Messia, al salmo 39: «
Io voglio, mio Dio, fare la tua volontà ».
È vero che noi leggiamo a riguardo del Padre queste parole:
« Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito »,
ma anche del Figlio si legge così:
« Diede se stesso per i nostri peccati ».
Come del Padre si legge:
« Non risparmiò il suo proprio Figliolo, ma per tutti noi lo diede »,
così del Figlio è detto: « È stato sacrificato perché lo ha voluto ».
L’unione di volontà tra il Padre e il Figlio è manifesta dovunque, anche nel
mistero della risurrezione, in cui vediamo che la loro azione converge. Infatti,
se l’Apostolo afferma che fu il Padre a risuscitare Cristo da morte, « Dio Padre
lo risuscitò da morte »,
anche il Figlio assicura che sarà lui a riedificare il tempio del suo corpo: «
Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo riedificherò ».
Ammaestrati dagli esempi del Signore, dobbiamo
terminare le nostre preghiere con una clausola simile a quella che usava Lui:
dobbiamo aggiungere a tutte le nostre richieste: « Però si faccia la tua volontà
e non la mia ».
Questo è il significato dei tre inchini che si fanno nelle assemblee dei monaci:
a conclusione della sinassi; ma è certo che un monaco assorto nella preghiera
non si accorgerà di questo gesto.
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XXXV. Ante omnia
sane illud euangelicum praeceptum diligentius obseruandum est, ut
intrantes in cubiculum nostrum cluso ostio nostro oremus patrem nostrum.
Quod a nobis ita inplebitur. Intra nostrum cubiculum supplicamus, cum ab
omnium cogitationum siue sollicitudinum strepitu cor nostrum penitus
amouentes secreto quodammodo ac familiariter preces nostras domino
reseramus. Clauso oramus ostio, cum strictis labiis omnique silentio
supplicamus non uocum, sed cordium scrutatori. In abscondito oramus,
quando corde tantum et intenta mente petitiones nostras soli pandimus
deo, ita ut ne ipsae quidem aduersae ualeant potestates genus nostrae
petitionis agnoscere. Propter quod cum summo est orandum silentio, non
solum ne fratres adstantes nostris susurris uel clamoribus auocemus et
orantium sensibus obstrepamus, sed ut ipsos quoque inimicos nostros, qui
orantibus nobis maxime insidiantur, lateat nostrae petitionis intentio.
Ita enim praeceptum illud inplebimus : Ab ea, quae dormit in sinu tuo,
custodi claustra oris tui. |
XXXV - La preghiera elevata
nella propria cella, a porta chiusa
Prima di tutto occorre senza dubbio tener presente con molta diligenza quel
precetto del vangelo, il quale ordina che, entrando nella nostra camera per
pregare il Padre nostro, ne chiudiamo la porta. Tale precetto sarà da noi
osservato in questo modo. Noi pregheremo veramente nell'intimità della nostra
camera, allorché, rimessa completamente dal nostro cuore la risonanza di tutti i
pensieri e di tutte le sollecitudini, eleveremo in qualche modo in tutta
segretezza e familiarità le nostre preghiere al Signore.
Noi dunque preghiamo a porte chiuse
allorché, serrate le labbra e in completo silenzio, eleviamo le nostre suppliche
a Colui che non tiene conto delle parole, ma scruta il cuore. Preghiamo in
segreto, allorché noi presentiamo unicamente a Dio le nostre richieste solo con
il cuore e con l'attenzione della mente, sicché neppure le potenze del male
potranno conoscere il contenuto della nostra orazione.
E necessario
dunque pregare in pieno silenzio, non solo per non distrarre col nostro mormorio
e con la nostra voce i fratelli vicini, e così non importunare il raccoglimento
di quanti stanno pregando,
ma anche
perché il silenzio della nostra orazione resti pure occulto per i nostri nemici,
i quali, a causa delle nostre preghiere, sarebbero indotti ad attaccarci
maggiormente. E così che noi metteremo in pratica quel precetto:
"Custodisci le porte della tua bocca davanti a colei che riposa vicino a te".
XXXVI - Utilità
della preghiera breve e silenziosa
E' questo il motivo, per cui noi dobbiamo pregare
frequentemente, ma anche brevemente, appunto perché così, non dilungandoci, il
nemico non avrà modo, con le sue insidie, d'insinuare nel nostro cuore qualcosa
di estraneo.
E questo infatti il sacrificio vero, perché "uno spirito contrito è
sacrificio a Dio";
e questa
l'offerta salutare, queste le pure oblazioni, questo "il sacrificio della
giustizia"; "questo il sacrificio di lode"; queste le "vittime pingui e adipose,
i ricchi olocausti", offerti dai cuori contriti e umiliati, sicché,
nell'offrirli nel modo e con l'attenzione dello spirito già da noi indicata,
potremo presentarli con tutta l'efficacia, dicendo:
"Come incenso salga a Te la mia
preghiera; le mie mani alzate, come sacrificio della sera". Ma ecco
che il giungere dell'ora della notte consiglia anche a noi di compiere quel
sacrificio della sera, e allora, sebbene di questo nostro argomento sembri siano
stati trattati, nonostante i limiti della mia pochezza, molti aspetti e con
larghezza, tuttavia, data l'elevatezza e le difficoltà della materia, credo che
tutto sia stato discusso con molta ristrettezza».
******
E noi allora, pieni di meraviglia
ancora più che saziati, celebrata la sinassi della sera, ristorammo con un poco
di sonno le nostre membra, e al primo apparire della luce ritornammo nelle
nostre dimore, gioiosi per la promessa d'una trattazione ulteriore e più larga, e soddisfatti sia
per l'acquisto delle notizie ricevute sia per la sicurezza della promessa a noi
annunziata. Eravamo persuasi che era stata a noi dimostrata soltanto
l'eccellenza della preghiera, ma il metodo e l'efficacia, con cui viene
acquistata e fissata la sua continuità, noi eravamo convinti di non averli
ancora del tutto assicurati in quel primo discorso. |
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24 maggio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net