IL
VANGELO DI GIOVANNI – INTRODUZIONE
Ugo Vanni
Estratto da:
“Il tesoro di Giovanni – Un percorso biblico-spirituale nel Quarto Vangelo”-
Cittadella Editrice
2016
1.
Il «Vangelo spirituale»
Il Quarto Vangelo era chiamato da Clemente Alessandrino
«pneumatikòn euanghélion», vale a dire «Vangelo spirituale». Questa
definizione, che è una tra le più note del Vangelo di Giovanni, è riportata da
Eusebio di Cesarea (cf.
Historia
Ecclesiastica,
VI, 14,7), il quale riferisce come ad Alessandria d’Egitto, verso la metà del
secondo secolo, il vescovo Clemente così designava tale Vangelo, rifacendosi
alla testimonianza dei primi presbiteri. In questo senso, egli lo distingueva
dagli altri tre, che invece chiamava
sómatikà,
cioè «corporali». «Vangelo spirituale», quindi, ma non nell’intenzione di
attribuirgli una spiritualità vaga, fumosa, quasi si trattasse di uno scritto
puramente emozionale, ma nel senso più profondo del termine greco
pneumatikòn,
e cioè «ispirativo». Tale presupposto è valido per l’intera Scrittura, per cui
quando si afferma che essa è ispirata non s’intende soltanto - come spesso
accade - che le verità lì indicate sono prive di errori o imperfezioni, ma anche
e soprattutto che è una Parola di Dio «ispirativa», la quale non si limita a
trasmettere principi dottrinali, seppur importantissimi, ma è fonte primaria di
ispirazione e motivo di impulso positivo per la persona.
L’ispirazione quindi non va concepita solo come una prerogativa appartenente
esclusivamente al passato e che ha dato un’impronta indelebile a questi libri,
ma è necessario comprendere che essi racchiudono una Parola viva, attuale, in
costante attesa di essere spiegata e assimilata per tutta la vita. Quando
nell’ascolto si rivela come Parola di Dio, essa può dirsi attivamente ispirata.
Ora, il Quarto Vangelo si presta a esserlo in modo particolare, in quanto
Vangelo spirituale, sensibile alla presenza dello Spirito e quindi assai forte
ed efficace nell’indicarci la strada per meglio cogliere o comprendere la sua
peculiare prospettiva.
2. L
’attribuzione del Quarto Vangelo e la questione dell'autenticità
Tra le varie definizioni, «Quarto Vangelo» è preferibile in quanto non risulta
eccessivamente compromettente; quando facciamo riferimento al «Vangelo di
Giovanni», infatti, attribuiamo un nome preciso all’autore e nella fattispecie
ci riferiamo a Giovanni l’apostolo, ma non è certo che sia stato proprio lui a
redigerlo. La questione che riguarda l’identità dell’autore del Quarto Vangelo è
piuttosto dibattuta e a tratti controversa: ciò che emerge è la figura del
discepolo amato, il quale ha avuto il privilegio di stare a diretto contatto con
Gesù; può anche darsi allora che l’attribuzione della paternità di questo
scritto all’apostolo Giovanni nasconda una sorta di personalizzazione ideale
dell’autore.
2.1 La testimonianza
della tradizione antica
Particolarmente preziosa è la testimonianza di Ireneo, il quale afferma:
«Giovanni, il discepolo del Signore, quello che pure riposò sul suo petto,
anch’egli pubblicò il Vangelo dimorando in Efeso dell’Asia» (cf.
Adversus Haereses
3,1,1). La memoria di Ireneo ha un peso non indifferente, dal momento che
attraverso di lui è possibile risalire a Policarpo, il quale a sua volta ha
avuto contatti diretti con gli apostoli. A questa testimonianza va aggiunta
quella di Policrate, vescovo di Efeso, il quale verso il 190 d.C. scrive a papa
Vittore attestando pressoché le medesime cose. Riassumendo questi dati, allora,
si evince l’attribuzione del Quarto Vangelo all’apostolo Giovanni, il quale lo
avrebbe composto verso la fine del primo secolo in Asia minore, e più
precisamente a Efeso. Concordano con queste indicazioni, nel complesso, anche il
«frammento muratoriano», Clemente Alessandrino e Tertulliano.
Com’è facilmente prevedibile, si registrano anche delle voci discordi nella
tradizione antica. Emblematico è il caso di una piccola setta dell’Asia Minore i
cui aderenti, alla fine del quarto secolo, erano noti come gli «alogoi», nome
ironicamente attribuito loro da Epifanio, che può significare sia «i negatori
del
logos» che «irrazionali».
Costoro, per motivi interni e in polemica con gli gnostici, attribuivano il
Quarto Vangelo a Cerinto. Inoltre all’inizio del terzo secolo Gaio Romano scarta
volutamente questo scritto, perché adottato dai montanisti a difesa delle loro
idee. Ciò che appare evidente, comunque, è il fatto che queste opinioni
negative, oltre a essere alquanto circoscritte, si basano sostanzialmente su
motivi interni e polemici, per cui di fatto non incrinano il valore delle
testimonianze accreditate dalla tradizione più antica.
2.2 La critica
razionalistica
Questa conclusione è stata messa in discussione dalla «critica razionalistica»
del diciannovesimo secolo. Ancora prima, però, l’attribuzione del Quarto Vangelo
a Giovanni, fondata sulla tradizione storica, era stata contestata da Karl
Gottlieb Bretschneider proprio sul piano storico. Basandosi su un frammento
attribuito a Papia, riscontrabile in Filippo di Side (V secolo) e Giorgio
Hamartolos (IX secolo), egli negò decisamente che Giovanni fosse l’effettivo
autore del Quarto Vangelo e che la sede della sua dimora fosse collocabile a
Efeso. Il frammento, infatti, riporta che «il teologo Giovanni e suo fratello
Giacomo sarebbero stati giustiziati dai Giudei», verso il 44 d.C. Ora, si può
obiettare che l’attribuzione del frammento a Papia è controversa, almeno nella
forma pervenutaci. Prima del IV secolo, inoltre, Giovanni non veniva designato
come teologo; quindi, se Papia ha veramente scritto anche solo una parte del
frammento attribuitogli, non ha di certo usato il termine teologo e, di
conseguenza, è legittimo supporre che si sia verificato un rimaneggiamento.
Tuttavia è anche possibile che il testo primitivo di Papia si riferisse a
Giovanni Battista. Resta il fatto che, data l’incertezza dell’attribuzione e il
probabile ritocco del frammento, non può essere assunto come argomento valido
contro le altre testimonianze esplicite citate.
Vi sono poi alcuni studiosi che hanno messo in dubbio l’interpretazione della
testimonianza di Ireneo. In particolare essi si rifanno a una citazione di
Papia, in cui si afferma l’esistenza di un altro Giovanni, «il presbitero», e
sostengono che quanto Ireneo afferma di Giovanni riguardi in realtà il
presbitero (cf. Eusebio di Cesarea,
Historia
Ecclesiastica,
3,39). L’obiezione mossa a quest’ultima ipotesi consiste in questo: ammettendo
pure l’esistenza di Giovanni il presbitero - cosa non affatto sicura, in quanto
il passo di Papia è piuttosto oscuro a riguardo - e supponendo inoltre che
Ireneo lo abbia conosciuto, tutto ciò non prova l’inattendibilità della sua
testimonianza. Potevano infatti esistere diversi «Giovanni», e tutti conosciuti
da Ireneo; questo però non implica che egli li abbia confusi con Giovanni
l’apostolo. In sintesi, il riferimento a Giovanni il presbitero rimane alquanto
enigmatico; quello che è certo, però, è che non invalida in alcun modo la
testimonianza della tradizione.
2.3. Il contributo della critica interna
Ci sono anche dei dati che emergono dalla critica interna del testo.
Innanzitutto, l’autore dimostra una certa familiarità con i luoghi (cf. 1,28;
2,1; 3,23), con i tempi (cf. 1,28; 2,1; 3,2), con le persone (cf. 1,40-44; 6,71;
12,2) e con gli episodi inerenti la vita di Gesù (cf. 2,6; 4,28; 11,20). Tutto
questo, unito ad altri particolari precisati nella narrazione (cf. 1,14; 19,35;
21,24), farebbe pensare a un Giudeo palestinese, testimone oculare degli
avvenimenti. Tale dato risulta inoltre supportato dal quadro che emerge dalla
critica letteraria: l’autore è un semita, anche se scrive in greco e in ambiente
ellenistico. Ciò sarebbe in linea con la testimonianza della tradizione più
antica (cf. 21,24) e con la convinzione che l’autore sia da ricercare senz’altro
tra gli apostoli (cf. 2,11; 2,17-22; 4,27-33). Interessanti in questo senso sono
anche i punti di contatto con
Qumran,
località collocata sulla riva occidentale del Mar Morto, vicino alle rovine di
Gerico, e famosa per la scoperta, risalente alla prima metà del Novecento, dei
cosiddetti «Manoscritti del Mar Morto» e dei resti di una sorta di monastero,
dove si ritiene vivesse una comunità di Esseni. Ora, se Giovanni Battista fosse
davvero stato educato in tale ambiente e se Giovanni fosse un discepolo del
Battista, tutto coinciderebbe.
In definitiva, è legittimo domandarsi: «Ma è proprio l’apostolo Giovanni
l’autore del Quarto Vangelo?». La risposta sembra non poter essere che
affermativa: procedendo per esclusione, infatti, l’autore parla di un discepolo
anonimo che era uno dei tre amici più intimi di Gesù (cf. 13,23). Questi amici
intimi sono, come risulta dai Sinottici, Pietro, Giacomo e Giovanni. Ora, nel
Quarto Vangelo troviamo testimoniata, in maniera generica, l’esistenza di un
«discepolo», di un «altro discepolo» e del «discepolo che Gesù amava», mentre
nei Sinottici si parla, più specificamente e con una certa frequenza, di Giacomo
e Giovanni: Giovanni viene nominato in Matteo 2 volte, in Luca 9, in Marco 6.
L’assenza nel Quarto Vangelo di nomi precisi è giustificabile soltanto
ammettendo che l’autore sia Giovanni stesso: ecco il motivo per cui anche dalla
critica interna emergerebbe una conferma dell’attribuzione di questo Vangelo a
Giovanni l’apostolo.
2.4. Conclusione
È un dato di fatto che, per la maggior parte degli studiosi, l’intero materiale
del Quarto Vangelo deriva da un contatto particolare e diretto con la vita e i
fatti di Gesù ed è stato gestito personalmente proprio da chi tale contatto lo
ha vissuto e ce lo ha poi trasmesso. Si tratterebbe in questo caso del discepolo
amato, e molto probabilmente dell’apostolo Giovanni o, in ogni caso, di una
figura che ha lui come ideale modello di riferimento. Il legame diretto con la
vita di Gesù si rivela di fondamentale importanza e lo è ancor più alla luce
delle conferme registrate in campo archeologico.
È opportuno precisare inoltre che Giovanni segue delle tradizioni proprie,
differenti da quelle dei Sinottici. Ad esempio, la collocazione della morte del
Signore sul Golgota e la durata di tre anni della sua vita pubblica sono
informazioni forniteci unicamente da Giovanni, il quale, nello specifico, parla
di quattro pasque, di cui l’ultima sarebbe stata quella della Passione. Numerosi
ulteriori particolari vengono desunti proprio grazie al suo Vangelo, in cui si
registra un’aderenza forte e dettagliata ai fatti e ai luoghi della vita di
Gesù.
3.
La data e il luogo di composizione
Elemento che crea non pochi problemi è la data di composizione. Ci sono diversi
fattori convergenti che sembrano suffragare la testimonianza della tradizione,
confermando una data relativamente antica. Il primo indizio in tal senso è
rappresentato dall’influsso del Quarto Vangelo su S. Giustino, martirizzato
attorno al 150 d.C., e sul
Pastore di Erma,
composto tra il 140 e il 145. Alcuni contatti si rilevano anche con le Lettere
di S. Ignazio di Antiochia, databili intorno al 110; più discutibile, invece, è
la dipendenza, tra il 95 e il 98, di S. Clemente Romano. Di importanza decisiva
è stata la scoperta di due papiri:
Egerton 2
e
Rylànds 457
(classificato come P52). Essi riportano alcuni frammenti del Vangelo
di Giovanni e vengono attribuiti dagli studiosi ai primi decenni del II secolo,
più precisamente tra il 120 e il 130.
La prima testimonianza scritta che possediamo è un frammento di papiro, il
«Papiro di Ossirinco», risalente a un periodo compreso tra il 120 e il 130.
Possedere la testimonianza di un documento scritto pressoché contemporaneo o di
poco successivo ai fatti che sono ivi narrati, considerando la non indifferente
distanza di venti secoli che ci separa dai tempi di Gesù, è un privilegio
piuttosto raro, paragonandolo per esempio al fatto che i più antichi codici dei
testi omerici in nostro possesso risalgono a un periodo di dieci secoli
successivo al tempo in cui si presume sia vissuto il poeta.
Poter disporre di un frammento trovato in Egitto nel 120, inoltre, costituisce
un valido supporto probativo della fondatezza effettiva della tesi in questione.
Per noi oggi possedere questo papiro può sembrare un particolare non così
significativo, ma nella metà dello scorso secolo, quando è stato scoperto, ha
rappresentato senza dubbio un fatto eccezionale. La considerevole profondità a
livello spirituale del contenuto, infatti, portava a presupporre una data di
composizione del Quarto Vangelo collocabile tra il III e il IV secolo. Tale
supposizione, tuttavia, si è rivelata errata proprio grazie al ritrovamento di
questo papiro. Quello che è certo, allora, è che il Vangelo di Giovanni è stato
scritto prima del 120, il che costituisce un
terminus ante quem
inamovibile. Questo limite potrebbe addirittura essere retrodatato al 100 circa,
in quanto le testimonianze citate attestano che Giovanni fosse ancora vivente al
tempo dell’imperatore Traiano (98-117) e inoltre certificano la dipendenza
letteraria di Ignazio di Antiochia (giustiziato nel 110).
Stabilire il
terminus post quem
risulta più complicato. Un’antica tradizione colloca a Efeso e dintorni la
presenza della «Chiesa giovannea» dalla quale deriva senz’altro il Quarto
Vangelo. Questa comunità cristiana comincia a fiorire in tale zona in un periodo
successivo a S. Paolo, quindi dagli anni sessanta in poi, ma il dato non ci
permette ulteriori precisazioni. In questo modo si prenderebbe in considerazione
un arco di tempo compreso tra il 60 e il 120; e volendo restringere
ulteriormente il campo, sarebbe lecito supporre una data compresa tra il 90 e il
100. Si potrebbe essere anche propensi ad anticipare agli anni ottanta, ma sono
tutte opinioni che si basano su congetture, dal momento che non è possibile
stabilire una datazione più precisa. Poiché è testimoniato da Ireneo che
Giovanni scrisse il suo Vangelo successivamente agli altri evangelisti, possiamo
ipotizzare che ciò avvenne dopo l’80. In conclusione, si è generalmente inclini
ad accettare come datazione probabile gli anni novanta.
Per quanto riguarda il luogo di stesura del Vangelo, Ireneo e le altre
testimonianze citate indicano l’Asia Minore, e precisamente la città di Efeso.
Taziano o, più esattamente, S. Efrem, in un’appendice del
Diatessaron,
parla invece di Siria di Antiochia. Vari autori moderni, tra i quali Bruno
Bauer, Emmanuel Hirsch e Rudolf Bultmann, propendono per questa seconda
opinione, basandosi su un presunto legame tra Giovanni e la gnosi siriaca;
tuttavia entrambe le testimonianze non risultano del tutto affidabili. È assai
probabile infatti che fossero semplici tappe della redazione avvenuta in luoghi
e tempi distinti.
4.
Destinatari e finalità
Il Quarto Vangelo non è indirizzato a una categoria specifica di lettori. Ciò
significa che non è rivolto esclusivamente ai giudeo-cristiani, ma che, più
genericamente, prevede come destinatari lettori ellenistici, senza particolari
distinzioni di origine. Questa considerazione viene effettuata alla luce del
contenuto del testo, dal quale risulta evidente l’intento dell’autore di farsi
comprendere da un pubblico ampio e variegato. Infatti i termini in aramaico
vengono puntualmente tradotti e inoltre, riferendosi a usi e costumi tipicamente
palestinesi, l’autore non li tratta come argomenti scontati, ma si preoccupa di
fornirne una sommaria spiegazione per coloro ai quali non fossero familiari.
Tuttavia in Giovanni permane una tendenza universalistica come mostrano
chiaramente alcuni particolari, tra i quali spicca senz’altro l’appellativo di
Gesù, «Re dei Giudei», appeso alla croce, che «era scritto in ebraico
(verosimilmente in aramaico), in latino e in greco» (cf. 19,20).
La motivazione di fondo che sta alla base della stesura di questo scritto, al di
là di quello che si potrebbe pensare, non è quella di sostituire i Sinottici,
tant’è vero che in molti casi si fa riferimento alla loro narrazione.
Analogamente non pare corretto affermare che l’intento sia di completarne le
eventuali lacune: l’autore infatti non riprende affatto il loro schema, né
palesa l’intenzione di narrare la totalità degli eventi occorsi a Gesù (cf.
20,30-31; 21,24-25). Va escluso inoltre un intento polemico-apologetico: esso
affiora e prende corpo piuttosto nell’Apocalisse, come nel caso della critica ai
«Nicolaiti» (cf. Ap 2,6.15), e nelle Lettere, dove emerge la polemica contro gli
eretici, ma non se ne trova traccia apprezzabile nel Quarto Vangelo. L’intento
di Giovanni sembra invece quello di comporre un’opera personale, nella quale
l’intero messaggio cristiano, maturato nell’esperienza ecclesiale di decine di
anni, viene rimeditato e quindi compreso più in profondità. Ciò viene
manifestato chiaramente nel momento in cui ci si sofferma sul contenuto
teologico di questo testo.
Vi è infatti un tema
centrale
che, in accordo con André Feuillet, potremmo sintetizzare in questo modo:
la rivelazione del
Figlio unigenito di Dio incarnato, che viene dato al mondo dal Padre, affinché
gli uomini partecipino della sua stessa vita.
Esso si suddivide poi a sua volta in vari temi particolari. Innanzitutto, quello
inerente il Padre, che si esplica in concreto nella sua volontà, nel suo
comando, nel suo amore, nel suo dono. Vi è poi il tema più espressamente
cristologico, incentrato sul Figlio: la sua origine celeste, la venuta, la
missione, la rivelazione della verità, la sua ora. A seguire troviamo il tema
dello Spirito, che è «il consolatore» donato alla Chiesa per una missione
specifica, vitale. Connessi a questi tre temi principali, che compongono lo
sfondo trinitario, ve ne sono altri che fungono da corollario: i temi della luce
e della vita, come doni offerti da Cristo; il tema della vita della Chiesa, che
comporta la missione dei discepoli, i sacramenti - in special modo il Battesimo
e l’Eucaristia - e la carità fraterna.
Va sottolineato che questi temi si riferiscono in modo precipuo all’amore di
Dio. Ne esiste poi tutta una serie che riguarda più specificatamente l’azione
degli uomini. Vi è innanzitutto il tema della fede: l’uomo è chiamato ad
accogliere la rivelazione, a «credere» e quindi a prendere posizione. Di
conseguenza, si ha il tema del «giudizio» (krísis),
con la distinzione tra coloro che, accettando Cristo e mettendosi alla sua
sequela, camminano nella luce e chi invece, rifiutandolo, rimane nelle tenebre.
Infine, troviamo il tema escatologico: se è vero che Giovanni ritiene che tutto
questo abbia un’immediata realizzazione nel presente, rimane comunque la
tensione verso il pieno compimento nel futuro, senza soluzione di continuità. In
questo modo si manifesta appieno la prospettiva peculiare di Giovanni.
5.
La caratura teologica dell’autore
Nella sua Prima Lettera, che appartiene senza dubbio al medesimo contesto del
Quarto Vangelo, Giovanni fa un’affermazione molto forte, sostenendo che lui
stesso e gli altri testimoni del Risorto annunciano ciò che hanno visto,
ascoltato e toccato con mano riguardo alla Parola della vita (cf. 1,1-3).
L’autore di l Gv (Ndr: Prima lettera di Giovanni) è più difficile da accertare
rispetto a quello del Vangelo, ma non va dimenticato che ci troviamo in ogni
caso nel solco della grande Chiesa giovannea; di conseguenza, se chi scrive la
Prima Lettera afferma questo, e lo fa con una simile autorevolezza, ciò risuona
come una garanzia di autenticità confortante. Da una parte, infatti, si parla di
un Gesù che è stato ascoltato, visto, toccato con mano, il che presuppone un
contatto diretto alquanto forte; dall’altra, questa relazione personale è come
se evolvendo subisse una progressiva verticalizzazione, caratteristica
soprattutto del Quarto Vangelo. Basti pensare, a tal proposito, alla percezione
che questo scritto rivela della preesistenza di Gesù a livello trinitario, come
pure del rapporto intimo tra Gesù e il Padre e della dinamica del dono dello
Spirito.
Nel Quarto Vangelo sono già presenti i grandi nuclei fondamentali propri della
riflessione cristiana. Questo emerge in modo del tutto particolare in
riferimento alla persona di Gesù: che il Figlio di Dio si incarni lo rivela
espressamente Giovanni, mentre gli altri evangelisti riportano semplicemente il
fatto che nasca. Sempre a Giovanni va riconosciuto il merito esclusivo di far
luce sul rapporto stupendo tra Gesù e il Padre e di offrirci il quadro più
completo sulla natura e l’azione dello Spirito. Per questa ragione, l’autore è
chiamato, specialmente nella tradizione orientale, «Giovanni il teologo», in
quanto manifesta questi originali picchi di profondità non riscontrabili negli
altri Vangeli. Una genialità analoga è tuttavia rintracciabile all’interno degli
scritti di Paolo, ma con uno stile e un retroterra di fondo completamente
differenti.
Giovanni ci parla di un Gesù col quale ha vissuto a stretto contatto, e lo fa
con una dovizia di particolari assai rigorosa. Come ha messo in luce lo storico
tedesco Martin Hengel, si tratta al contempo di un Gesù che sia Giovanni che la
sua comunità hanno compreso in profondità e altezza. Va precisato inoltre che il
Quarto Vangelo è stato tendenzialmente inquadrato nell’ottica della cosiddetta
«teoria delle forme», la quale asserisce che l’intero testo è costruito con
materiale creato e improntato a posteriori dalla comunità. Hengel, invece,
ribadisce che ci troviamo di fronte a una figura di spicco, per cui è convinto
che il Quarto Vangelo celi in realtà una personalità talmente forte e autorevole
che esula dal contesto di una semplice comunità che applica certi valori.
6.
La forma letteraria e la struttura
Tra le molteplici questioni che è necessario affrontare accostandosi al Quarto
Vangelo, ce n’è una che risulta di fondamentale importanza: esiste in questo
scritto un’unità letteraria? Julius Wellhausen e la sua scuola l’hanno negata,
impegnandosi in un minuzioso lavoro di sezionamento al fine di identificare le
presunte fonti scritte. Mentre lo stesso metodo, applicato al Pentateuco, ha
raggiunto ottimi risultati, per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni si è
concluso in un nulla di fatto. Oggi pertanto l’unità letteraria del Quarto
Vangelo è comunemente riconosciuta, sia generalmente in ambito protestante che
in quello cattolico.
I motivi alla base di tali conclusioni emergono principalmente dalla critica
interna. Innanzitutto il vocabolario risulta povero, tuttavia riconducibile
senz’altro a quello tipico di Giovanni. Inoltre è interessante in tal senso un
confronto con i Sinottici, in merito ad alcune parole-chiave:
|
Mt |
Mc |
Le |
Gv |
Agapàõ
(amare) |
8 |
5 |
13 |
36 |
Alêtheia
(verità) |
1 |
3 |
2 |
25 |
Zõê
(vita) |
7 |
4 |
5 |
36 |
Patêr
(padre) |
64 |
18 |
56 |
137 |
Phês
(luce) |
7 |
1 |
7 |
23 |
Lo stile, caratteristico e sempre coerente con se stesso, è contraddistinto in
particolare dall’uso della paratassi, che consiste nell’accostamento sullo
stesso piano di tante proposizioni coordinate, su un livello equivalente e non
subordinato - al contrario di quanto avviene invece nell’ipotassi - collegate
tra loro dalla semplice congiunzione «e»
(kai).
Assai significativo è anche l’utilizzo dell’asindeto, in cui delle frasi vengono
disposte l’una accanto all’altra, senza congiunzioni; a partire da Gv
1,40.42.45.47, si contano almeno 39 casi. Un altro elemento peculiare è il
ricorso frequente alla congiunzione narrativa
oūn
(«dunque»): essa non indica di per sé una conseguenza, ma qui ricorre ben 194
volte sulle 493 totali del Nuovo Testamento. L’enumerazione potrebbe continuare,
ma già da questi esempi emerge chiaramente la percezione di uno stile unitario,
di impronta semitica.
Giovanni utilizza una forma e un modo di esprimersi che potremmo definire «a
cerchi concentrici», in quanto riprende più volte il medesimo argomento,
considerando e approfondendo a ogni ripresa un aspetto diverso di esso. Già il
Prologo costituisce in questo senso un esempio emblematico. A tal fine, ci sono
delle espressioni caratteristiche che ricorrono frequentemente e che risuonano
appunto come un invito a scavare ulteriormente in profondità, ed è questo il
caso dei pronomi interrogativi «come?»
(pôs)
e «da dove?» (póthen).
L’autore del Quarto Vangelo dimostra di essere uno scrittore dalla carica
eccezionale, capace di esprimerla senza ostentare sgradevoli ricercatezze o
mostrarsi compiaciuto della propria abilità letteraria. In tal senso, è
sufficiente citare i suoi racconti, come quelli della samaritana, di Lazzaro e
del cieco nato, a dimostrazione dell’effetto letterario fuori dal comune che
sono in grado di suscitare. Tutto ciò, insieme agli altri elementi
caratteristici dal punto di vista linguistico e alla profondità teologica
dell’autore, rende la lettura di questo Vangelo particolarmente affascinante e
complessa allo stesso tempo.
Compito altrettanto impegnativo da svolgere è definire la struttura di questo
testo, dal momento che non segue affatto lo schema tradizionale dei Sinottici.
Vi è una scansione generale che viene condivisa ormai da tutti, mentre
all’interno di ogni sezione principale vengono attuate le più svariate e
complesse strutturazioni.
Innanzitutto vi è il «Prologo» (1,1-18), che consiste in un inno antico poi
collocato come introduzione alla lettura del Vangelo. Esso risulta
caratterizzato da una connotazione liturgica che orienta in tale prospettiva la
lettura dell’intero Vangelo. Inoltre va sottolineato il fatto che questo inno è
assai vivace e coinvolgente; per questo motivo è significativa la sua
collocazione iniziale, finalizzata a infondere il medesimo tono vivo all’intera
narrazione successiva. Di conseguenza sarebbe suggestivo poter far cantare ad
alta voce il Quarto Vangelo alla comunità, in quanto interamente influenzato
dalla carica dell’inno celebrativo che lo introduce.
Di seguito si trova il «libro dei segni» (1,19-12,50), incentrato sui prodigi
che Gesù ha operato. In Giovanni infatti il miracolo assume i connotati del
«segno», in quanto è accompagnato da un messaggio che ne spiega il senso e
aggiunge all’episodio stesso alcune interpretazioni di carattere religioso e
dottrinale.
Successivamente troviamo il «libro della gloria» (13,1 - 20,31), o più
correttamente chiamato «libro dell’ora», in quanto risulta appunto incentrato
sull’«ora» di Gesù, vale a dire tutta la trafila del suo ritorno al Padre che
comporta la Passione, la risurrezione, il ritorno al cielo e l’insediamento
sullo stesso trono del Padre. Questa terminologia scandisce il Quarto Vangelo, a
cominciare dal momento in cui Gesù menziona la sua «ora» nelle nozze di Cana
(cf. 2,4), proseguendo poi per l’episodio nel corso del quale la folla tenta di
aggredirlo, ma invano, perché ancora non è giunta «la sua ora» (cf. 7,30). Si
rileva quindi un’insistenza su questo riferimento, che non lascia dubbi sul
fatto che dal cap. 13 in poi cominci una fase mirata alla realizzazione della
vita e del ministero di Gesù.
Infine vi è l’epilogo (cap. 21), considerato un’ultima conclusione, in quanto
composto in un secondo momento rispetto al resto del Quarto Vangelo. Ciò non
significa però che debba essere considerato di minor valore, anzi, è vero il
contrario, in quanto lì confluisce a livello ecclesiale tutta la portata del
Quarto Vangelo. Potremmo concludere definendolo come il Vangelo vissuto nella
Chiesa.
Questa strutturazione è condivisa anche da Raymond Brown, per il quale è
suggerita dal Vangelo stesso. Feuillet, invece, si concentra maggiormente sulla
drammatica contrapposizione tra «luce» e «tenebre». Ora, tale contrasto esiste
indubbiamente e ha un suo sviluppo specifico; nel determinare le singole fasi
basandosi unicamente su questo, però, c’è il pericolo di cadere in una
ripartizione eccessivamente soggettiva.
Com’è già stato anticipato, poi, ci sono varie teorie, in base alle quali
vengono proposte delle ripartizioni più specifiche. Una delle più aderenti al
testo è indubbiamente quella proposta da Donatien Mollat nella
Bibbia di Gerusalemme.
Tale suddivisione si
potrebbe così sintetizzare:
1,1-18: Prologo. È la sintesi di tutto il Vangelo.
1,19-12,50: Prima parte. È il libro delle feste dei Giudei, che si suddivide in
sei sezioni:
1,19-4,54: Pasqua del nuovo tempio.
5,1-47: In un giorno di festa viene guarito il paralitico.
6,1-7,1: Pasqua del pane di vita in Galilea.
7,2-10,21: Festa dei tabernacoli e guarigione del cieco nato.
10,22-11,54: Festa della dedicazione.
11,55-12,50: Conclusione della prima parte e preparazione della Pasqua della
crocifissione.
13,1-20,31: Seconda parte. È il libro dell’«ora di Gesù», che si suddivide in
tre sezioni:
13,1-17,26: Ultima cena con i discepoli.
18,1-19,42: Racconto della passione.
20,1-31: La risurrezione.
21,1-25: Ultima conclusione.
Charles Kingsley Barrett propone una divisione analoga, ma ancor più
semplificata:
1,1-18: Prologo
1,19-12,50: Racconti, conversazioni e discorsi.
13,1-17,26: Gesù solo con i discepoli.
18,1-20,31: Passione e risurrezione.
21,1-25: Ultima conclusione.
7.
Il
procedimento simbolico
Un altro elemento di cui l’autore si serve ampiamente e sul quale è
indispensabile quindi fare luce, per cogliere il messaggio autentico del Quarto
Vangelo, è costituito dal simbolismo. Nell’Apocalisse questo procedimento viene
utilizzato a tutto campo, per cui, senza una sua adeguata interpretazione, anche
la semplice lettura risulta impossibile. Per quanto riguarda il Quarto Vangelo
il discorso è più sottile: teoricamente sarebbe anche possibile leggere il testo
senza ricorrere in alcun modo al simbolismo, ma ciò risulterebbe decisamente
riduttivo e il senso più profondo del testo verrebbe inevitabilmente sminuito o
addirittura rischierebbe di non essere colto affatto.
In accordo con Oscar Cullmann, si parla comunemente di due piani sui quali si
situa il messaggio di Giovanni: il primo è realistico, mentre il secondo è
simbolico ed è proprio quest’ultimo che l’evangelista intende comunicarci.
Ci sono dei passi in cui questo procedimento, che caratterizza tutta la
narrazione di Giovanni, emerge in modo particolarmente chiaro. È il caso
dell’episodio che vede come protagonista Giuda, al momento dell’uscita dal
cenacolo, momento che viene descritto dicendo espressamente che era notte (cf.
13,30). L’ambientazione notturna dell’episodio assume una valenza che va ben
oltre il semplice significato letterale di ora tarda. In Giovanni, infatti,
troviamo continuamente il dualismo luce-tenebre: Gesù è portatore di luce e chi
non accetta la sua luce si chiude inevitabilmente in una zona d’ombra. Si tratta
di un ciclo teologico costante in Giovanni: chi accetta Gesù è immerso nella
luce, mentre chi lo rifiuta è destinato alle tenebre. Tenendo presente tale
sfondo, è chiaro che l’indicazione cronologica, di per sé apparentemente
trascurabile, dell’evento narrato nasconde un messaggio essenziale. Non va
scordato che niente è casuale in Giovanni. Giuda, uscendo dal cenacolo, entra
nella notte diventando un «anti-Gesù», simbolo di chi rifiuta la luce e
sprofonda nelle tenebre.
Un esempio analogo ci viene offerto dal racconto della Passione. Nell’ultima
scena, sul Golgota, viene descritta l’apertura del costato di Gesù. Arrivato il
momento di deporre il corpo dalla croce, a differenza degli altri condannati, a
Gesù non viene praticato il «crurifragio», ossia la spezzatura del femore
eseguita con mazze di ferro, alla quale seguiva pressoché all’istante il decesso
dell’individuo agonizzante. Dal momento che Gesù era già morto, non era
necessario compiere questa ulteriore fatica; tuttavia, uno dei soldati gli
infligge ugualmente un colpo di lancia e Giovanni afferma che immediatamente dal
suo costato uscirono sangue e acqua (cf. 19,33-34). Gesù tuttavia in quel
momento era già morto, per cui anche questo particolare, a una lettura
superficiale, può apparire anomalo. D’altra parte, analizzando più
approfonditamente il testo ci si accorge che in tutto il Quarto Vangelo, come
avviene generalmente in ambito semitico, il sangue rappresenta il simbolo della
vita: è la vita che viene donata. Giovanni, nel tratteggiare il quadro della
crocifissione, non indugia a lungo sulla sofferenza, in quanto per lui il Gesù
che muore è il crocifisso risorto e la sua condizione di crocifisso rappresenta
per lui un’oblatività piena, assoluta. Per Giovanni, allora, il sangue scaturito
dal costato di Gesù, in questa situazione di dono totale, simboleggia la vita
che abbandona il suo corpo per raggiungere ognuno di noi attraverso
l’Eucarestia, i sacramenti e, più in generale, per mezzo di tutto ciò che lui
generosamente offre di se stesso.
Per quanto concerne l’acqua, invece, essa rappresenta il simbolo dello Spirito.
Com’è già stato puntualizzato in precedenza, Giovanni associa morte e
risurrezione, per cui il Gesù che si presenta la sera di Pasqua nel cenacolo (Gv
20,19) è lo stesso che porta ancora in sé la Passione; in tal senso, non mostra
le ferite, delle quali non c’è traccia nel testo, ma piuttosto si focalizza su
ciò che ha realizzato per noi. Il dono dello Spirito, dono pasquale, proviene da
Gesù in stato di crocifissione e oblatività totale. Egli subendo la
crocifissione si dona totalmente, realizzando in questo modo l’offerta suprema
al Padre e affidando a noi lo Spirito. In Giovanni dunque è possibile rilevare
un’articolazione su due piani: il primo è quello reale, ma in esso l’autore, con
genialità e notevole abilità letteraria, inserisce il secondo, il quale non nega
il precedente, ma gli attribuisce un ulteriore significato, marcatamente più
intenso. Giovanni, così facendo, convoglia l’attenzione sul secondo elemento,
conferendogli in chiave simbolica un significato e una profondità ulteriori. È
in questo modo che riesce a veicolare ed esprimere, proprio attraverso quel
particolare, un messaggio che permette anche al primo piano di assumere un
valore nuovo, decisamente più importante.
8.
Il contesto e rapporto ecclesiale
È noto che i Vangeli, analogamente agli altri scritti della Bibbia, non nascono
dall’elaborazione, benché geniale, di una singola persona. Anche il Quarto
Vangelo, pur con la notevole creatività soggettiva di Giovanni, possiede una
forte base comunitaria, rappresentata dalla Chiesa giovannea, su cui poggia
saldamente.
Non va infatti dimenticato che a monte esiste, in ogni caso, una realtà
ecclesiale che sperimenta con la propria vita quegli stessi valori religiosi
messi per iscritto dall’autore, con l’ausilio dell’ispirazione divina. Già nella
vita della comunità infatti è presente lo Spirito, il quale comunica tutti i
grandi valori e i messaggi che poi l’autore a sua volta riprende e riproduce in
forma scritta. Egli, che è parte integrante della comunità, a un certo punto è
come se emergesse da essa, senza tuttavia discostarsene completamente, e
raccogliesse l’intero bagaglio esperienziale vissuto nel contesto di fede di
quella particolare realtà ecclesiale. Poi rielaborerà tutto ciò in maniera
personale, mantenendosi comunque in sintonia con la comunità e darà infine forma
a quel testo che attraverserà il corso dei secoli fino ad arrivare a noi. A noi
poi è affidato il compito, nonché la responsabilità di spiegarlo e
approfondirlo, non tralasciando di ricordare che in origine quel messaggio è
scaturito proprio dalla comunità.
Ciò vuol dire che anche noi, per comprendere nella sua autenticità uno scritto
ispirato che ci è stato tramandato sin dalle origini, non possiamo limitarci a
una mera indagine intellettuale, benché corretta e accurata. Questo messaggio
infatti ha assolutamente bisogno di entrare in contatto con la nostra vita di
comunità cristiana credente.
Quando leggiamo un testo e lo interpretiamo, dunque, dobbiamo tener presente che
il suo contenuto non è ancora attualizzato e personalizzato: è necessario
infatti rapportarne ogni singolo aspetto con la nostra vita. È proprio questa
capacità di confronto a garantire quella profondità di comprensione di cui
necessitiamo. Per capire il Vangelo dovremo, quindi, ripercorrere la stessa
esperienza di fede della comunità giovannea, facendo calare progressivamente
nella realtà ecclesiale attuale i grandi valori che si trovano lì condensati, in
modo da poterli sperimentare in prima persona.
21 maggio 2023
a cura di Alberto "da Cormano" Bibbia@ora-et-labora.net