IL VANGELO DI GIOVANNI – INTRODUZIONE

Ugo Vanni

Estratto da: “Il tesoro di Giovanni – Un percorso biblico-spirituale nel Quarto Vangelo”- Cittadella Editrice 2016

(Si veda anche Il Cristo di Giovanni)

 

1. Il «Vangelo spirituale»

Il Quarto Vangelo era chiamato da Clemente Alessandrino «pneumatikòn euanghélion», vale a dire «Vangelo spirituale». Questa definizione, che è una tra le più note del Vangelo di Giovanni, è riportata da Eusebio di Cesarea (cf. Historia Ecclesiastica, VI, 14,7), il quale riferisce come ad Alessandria d’Egitto, verso la metà del secondo secolo, il vescovo Clemente così designava tale Vangelo, rifacendosi alla testimonianza dei primi presbiteri. In questo senso, egli lo distingueva dagli altri tre, che invece chiamava sómatikà, cioè «corporali». «Vangelo spirituale», quindi, ma non nell’intenzione di attribuirgli una spiritualità vaga, fumosa, quasi si trattasse di uno scritto puramente emozionale, ma nel senso più profondo del termine greco pneumatikòn, e cioè «ispirativo». Tale presupposto è valido per l’intera Scrittura, per cui quando si afferma che essa è ispirata non s’intende soltanto - come spesso accade - che le verità lì indicate sono prive di errori o imperfezioni, ma anche e soprattutto che è una Parola di Dio «ispirativa», la quale non si limita a trasmettere principi dottrinali, seppur importantissimi, ma è fonte primaria di ispirazione e motivo di impulso positivo per la persona.

L’ispirazione quindi non va concepita solo come una prerogativa appartenente esclusivamente al passato e che ha dato un’impronta indelebile a questi libri, ma è necessario comprendere che essi racchiudono una Parola viva, attuale, in costante attesa di essere spiegata e assimilata per tutta la vita. Quando nell’ascolto si rivela come Parola di Dio, essa può dirsi attivamente ispirata. Ora, il Quarto Vangelo si presta a esserlo in modo particolare, in quanto Vangelo spirituale, sensibile alla presenza dello Spirito e quindi assai forte ed efficace nell’indicarci la strada per meglio cogliere o comprendere la sua peculiare prospettiva.

 

2. L ’attribuzione del Quarto Vangelo e la questione dell'autenticità

Tra le varie definizioni, «Quarto Vangelo» è preferibile in quanto non risulta eccessivamente compromettente; quando facciamo riferimento al «Vangelo di Giovanni», infatti, attribuiamo un nome preciso all’autore e nella fattispecie ci riferiamo a Giovanni l’apostolo, ma non è certo che sia stato proprio lui a redigerlo. La questione che riguarda l’identità dell’autore del Quarto Vangelo è piuttosto dibattuta e a tratti controversa: ciò che emerge è la figura del discepolo amato, il quale ha avuto il privilegio di stare a diretto contatto con Gesù; può anche darsi allora che l’attribuzione della paternità di questo scritto all’apostolo Giovanni nasconda una sorta di personalizzazione ideale dell’autore.

 

2.1 La testimonianza della tradizione antica

Particolarmente preziosa è la testimonianza di Ireneo, il quale afferma: «Giovanni, il discepolo del Signore, quello che pure riposò sul suo petto, anch’egli pubblicò il Vangelo dimorando in Efeso dell’Asia» (cf. Adversus Haereses 3,1,1). La memoria di Ireneo ha un peso non indifferente, dal momento che attraverso di lui è possibile risalire a Policarpo, il quale a sua volta ha avuto contatti diretti con gli apostoli. A questa testimonianza va aggiunta quella di Policrate, vescovo di Efeso, il quale verso il 190 d.C. scrive a papa Vittore attestando pressoché le medesime cose. Riassumendo questi dati, allora, si evince l’attribuzione del Quarto Vangelo all’apostolo Giovanni, il quale lo avrebbe composto verso la fine del primo secolo in Asia minore, e più precisamente a Efeso. Concordano con queste indicazioni, nel complesso, anche il «frammento muratoriano», Clemente Alessandrino e Tertulliano.

Com’è facilmente prevedibile, si registrano anche delle voci discordi nella tradizione antica. Emblematico è il caso di una piccola setta dell’Asia Minore i cui aderenti, alla fine del quarto secolo, erano noti come gli «alogoi», nome ironicamente attribuito loro da Epifanio, che può significare sia «i negatori del logos» che «irrazionali». Costoro, per motivi interni e in polemica con gli gnostici, attribuivano il Quarto Vangelo a Cerinto. Inoltre all’inizio del terzo secolo Gaio Romano scarta volutamente questo scritto, perché adottato dai montanisti a difesa delle loro idee. Ciò che appare evidente, comunque, è il fatto che queste opinioni negative, oltre a essere alquanto circoscritte, si basano sostanzialmente su motivi interni e polemici, per cui di fatto non incrinano il valore delle testimonianze accreditate dalla tradizione più antica.

 

2.2 La critica razionalistica

Questa conclusione è stata messa in discussione dalla «critica razionalistica» del diciannovesimo secolo. Ancora prima, però, l’attribuzione del Quarto Vangelo a Giovanni, fondata sulla tradizione storica, era stata contestata da Karl Gottlieb Bretschneider proprio sul piano storico. Basandosi su un frammento attribuito a Papia, riscontrabile in Filippo di Side (V secolo) e Giorgio Hamartolos (IX secolo), egli negò decisamente che Giovanni fosse l’effettivo autore del Quarto Vangelo e che la sede della sua dimora fosse collocabile a Efeso. Il frammento, infatti, riporta che «il teologo Giovanni e suo fratello Giacomo sarebbero stati giustiziati dai Giudei», verso il 44 d.C. Ora, si può obiettare che l’attribuzione del frammento a Papia è controversa, almeno nella forma pervenutaci. Prima del IV secolo, inoltre, Giovanni non veniva designato come teologo; quindi, se Papia ha veramente scritto anche solo una parte del frammento attribuitogli, non ha di certo usato il termine teologo e, di conseguenza, è legittimo supporre che si sia verificato un rimaneggiamento. Tuttavia è anche possibile che il testo primitivo di Papia si riferisse a Giovanni Battista. Resta il fatto che, data l’incertezza dell’attribuzione e il probabile ritocco del frammento, non può essere assunto come argomento valido contro le altre testimonianze esplicite citate.

Vi sono poi alcuni studiosi che hanno messo in dubbio l’interpretazione della testimonianza di Ireneo. In particolare essi si rifanno a una citazione di Papia, in cui si afferma l’esistenza di un altro Giovanni, «il presbitero», e sostengono che quanto Ireneo afferma di Giovanni riguardi in realtà il presbitero (cf. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, 3,39). L’obiezione mossa a quest’ultima ipotesi consiste in questo: ammettendo pure l’esistenza di Giovanni il presbitero - cosa non affatto sicura, in quanto il passo di Papia è piuttosto oscuro a riguardo - e supponendo inoltre che Ireneo lo abbia conosciuto, tutto ciò non prova l’inattendibilità della sua testimonianza. Potevano infatti esistere diversi «Giovanni», e tutti conosciuti da Ireneo; questo però non implica che egli li abbia confusi con Giovanni l’apostolo. In sintesi, il riferimento a Giovanni il presbitero rimane alquanto enigmatico; quello che è certo, però, è che non invalida in alcun modo la testimonianza della tradizione.

 

2.3. Il contributo della critica interna

Ci sono anche dei dati che emergono dalla critica interna del testo. Innanzitutto, l’autore dimostra una certa familiarità con i luoghi (cf. 1,28; 2,1; 3,23), con i tempi (cf. 1,28; 2,1; 3,2), con le persone (cf. 1,40-44; 6,71; 12,2) e con gli episodi inerenti la vita di Gesù (cf. 2,6; 4,28; 11,20). Tutto questo, unito ad altri particolari precisati nella narrazione (cf. 1,14; 19,35; 21,24), farebbe pensare a un Giudeo palestinese, testimone oculare degli avvenimenti. Tale dato risulta inoltre supportato dal quadro che emerge dalla critica letteraria: l’autore è un semita, anche se scrive in greco e in ambiente ellenistico. Ciò sarebbe in linea con la testimonianza della tradizione più antica (cf. 21,24) e con la convinzione che l’autore sia da ricercare senz’altro tra gli apostoli (cf. 2,11; 2,17-22; 4,27-33). Interessanti in questo senso sono anche i punti di contatto con Qumran, località collocata sulla riva occidentale del Mar Morto, vicino alle rovine di Gerico, e famosa per la scoperta, risalente alla prima metà del Novecento, dei cosiddetti «Manoscritti del Mar Morto» e dei resti di una sorta di monastero, dove si ritiene vivesse una comunità di Esseni. Ora, se Giovanni Battista fosse davvero stato educato in tale ambiente e se Giovanni fosse un discepolo del Battista, tutto coinciderebbe.

In definitiva, è legittimo domandarsi: «Ma è proprio l’apostolo Giovanni l’autore del Quarto Vangelo?». La risposta sembra non poter essere che affermativa: procedendo per esclusione, infatti, l’autore parla di un discepolo anonimo che era uno dei tre amici più intimi di Gesù (cf. 13,23). Questi amici intimi sono, come risulta dai Sinottici, Pietro, Giacomo e Giovanni. Ora, nel Quarto Vangelo troviamo testimoniata, in maniera generica, l’esistenza di un «discepolo», di un «altro discepolo» e del «discepolo che Gesù amava», mentre nei Sinottici si parla, più specificamente e con una certa frequenza, di Giacomo e Giovanni: Giovanni viene nominato in Matteo 2 volte, in Luca 9, in Marco 6. L’assenza nel Quarto Vangelo di nomi precisi è giustificabile soltanto ammettendo che l’autore sia Giovanni stesso: ecco il motivo per cui anche dalla critica interna emergerebbe una conferma dell’attribuzione di questo Vangelo a Giovanni l’apostolo.

 

2.4. Conclusione

È un dato di fatto che, per la maggior parte degli studiosi, l’intero materiale del Quarto Vangelo deriva da un contatto particolare e diretto con la vita e i fatti di Gesù ed è stato gestito personalmente proprio da chi tale contatto lo ha vissuto e ce lo ha poi trasmesso. Si tratterebbe in questo caso del discepolo amato, e molto probabilmente dell’apostolo Giovanni o, in ogni caso, di una figura che ha lui come ideale modello di riferimento. Il legame diretto con la vita di Gesù si rivela di fondamentale importanza e lo è ancor più alla luce delle conferme registrate in campo archeologico.

È opportuno precisare inoltre che Giovanni segue delle tradizioni proprie, differenti da quelle dei Sinottici. Ad esempio, la collocazione della morte del Signore sul Golgota e la durata di tre anni della sua vita pubblica sono informazioni forniteci unicamente da Giovanni, il quale, nello specifico, parla di quattro pasque, di cui l’ultima sarebbe stata quella della Passione. Numerosi ulteriori particolari vengono desunti proprio grazie al suo Vangelo, in cui si registra un’aderenza forte e dettagliata ai fatti e ai luoghi della vita di Gesù.

 

3. La data e il luogo di composizione

Elemento che crea non pochi problemi è la data di composizione. Ci sono diversi fattori convergenti che sembrano suffragare la testimonianza della tradizione, confermando una data relativamente antica. Il primo indizio in tal senso è rappresentato dall’influsso del Quarto Vangelo su S. Giustino, martirizzato attorno al 150 d.C., e sul Pastore di Erma, composto tra il 140 e il 145. Alcuni contatti si rilevano anche con le Lettere di S. Ignazio di Antiochia, databili intorno al 110; più discutibile, invece, è la dipendenza, tra il 95 e il 98, di S. Clemente Romano. Di importanza decisiva è stata la scoperta di due papiri: Egerton 2 e Rylànds 457 (classificato come P52). Essi riportano alcuni frammenti del Vangelo di Giovanni e vengono attribuiti dagli studiosi ai primi decenni del II secolo, più precisamente tra il 120 e il 130.

La prima testimonianza scritta che possediamo è un frammento di papiro, il «Papiro di Ossirinco», risalente a un periodo compreso tra il 120 e il 130. Possedere la testimonianza di un documento scritto pressoché contemporaneo o di poco successivo ai fatti che sono ivi narrati, considerando la non indifferente distanza di venti secoli che ci separa dai tempi di Gesù, è un privilegio piuttosto raro, paragonandolo per esempio al fatto che i più antichi codici dei testi omerici in nostro possesso risalgono a un periodo di dieci secoli successivo al tempo in cui si presume sia vissuto il poeta.

Poter disporre di un frammento trovato in Egitto nel 120, inoltre, costituisce un valido supporto probativo della fondatezza effettiva della tesi in questione. Per noi oggi possedere questo papiro può sembrare un particolare non così significativo, ma nella metà dello scorso secolo, quando è stato scoperto, ha rappresentato senza dubbio un fatto eccezionale. La considerevole profondità a livello spirituale del contenuto, infatti, portava a presupporre una data di composizione del Quarto Vangelo collocabile tra il III e il IV secolo. Tale supposizione, tuttavia, si è rivelata errata proprio grazie al ritrovamento di questo papiro. Quello che è certo, allora, è che il Vangelo di Giovanni è stato scritto prima del 120, il che costituisce un terminus ante quem inamovibile. Questo limite potrebbe addirittura essere retrodatato al 100 circa, in quanto le testimonianze citate attestano che Giovanni fosse ancora vivente al tempo dell’imperatore Traiano (98-117) e inoltre certificano la dipendenza letteraria di Ignazio di Antiochia (giustiziato nel 110).

Stabilire il terminus post quem risulta più complicato. Un’antica tradizione colloca a Efeso e dintorni la presenza della «Chiesa giovannea» dalla quale deriva senz’altro il Quarto Vangelo. Questa comunità cristiana comincia a fiorire in tale zona in un periodo successivo a S. Paolo, quindi dagli anni sessanta in poi, ma il dato non ci permette ulteriori precisazioni. In questo modo si prenderebbe in considerazione un arco di tempo compreso tra il 60 e il 120; e volendo restringere ulteriormente il campo, sarebbe lecito supporre una data compresa tra il 90 e il 100. Si potrebbe essere anche propensi ad anticipare agli anni ottanta, ma sono tutte opinioni che si basano su congetture, dal momento che non è possibile stabilire una datazione più precisa. Poiché è testimoniato da Ireneo che Giovanni scrisse il suo Vangelo successivamente agli altri evangelisti, possiamo ipotizzare che ciò avvenne dopo l’80. In conclusione, si è generalmente inclini ad accettare come datazione probabile gli anni novanta.

Per quanto riguarda il luogo di stesura del Vangelo, Ireneo e le altre testimonianze citate indicano l’Asia Minore, e precisamente la città di Efeso. Taziano o, più esattamente, S. Efrem, in un’appendice del Diatessaron, parla invece di Siria di Antiochia. Vari autori moderni, tra i quali Bruno Bauer, Emmanuel Hirsch e Rudolf Bultmann, propendono per questa seconda opinione, basandosi su un presunto legame tra Giovanni e la gnosi siriaca; tuttavia entrambe le testimonianze non risultano del tutto affidabili. È assai probabile infatti che fossero semplici tappe della redazione avvenuta in luoghi e tempi distinti.

 

4. Destinatari e finalità

Il Quarto Vangelo non è indirizzato a una categoria specifica di lettori. Ciò significa che non è rivolto esclusivamente ai giudeo-cristiani, ma che, più genericamente, prevede come destinatari lettori ellenistici, senza particolari distinzioni di origine. Questa considerazione viene effettuata alla luce del contenuto del testo, dal quale risulta evidente l’intento dell’autore di farsi comprendere da un pubblico ampio e variegato. Infatti i termini in aramaico vengono puntualmente tradotti e inoltre, riferendosi a usi e costumi tipicamente palestinesi, l’autore non li tratta come argomenti scontati, ma si preoccupa di fornirne una sommaria spiegazione per coloro ai quali non fossero familiari. Tuttavia in Giovanni permane una tendenza universalistica come mostrano chiaramente alcuni particolari, tra i quali spicca senz’altro l’appellativo di Gesù, «Re dei Giudei», appeso alla croce, che «era scritto in ebraico (verosimilmente in aramaico), in latino e in greco» (cf. 19,20).

La motivazione di fondo che sta alla base della stesura di questo scritto, al di là di quello che si potrebbe pensare, non è quella di sostituire i Sinottici, tant’è vero che in molti casi si fa riferimento alla loro narrazione. Analogamente non pare corretto affermare che l’intento sia di completarne le eventuali lacune: l’autore infatti non riprende affatto il loro schema, né palesa l’intenzione di narrare la totalità degli eventi occorsi a Gesù (cf. 20,30-31; 21,24-25). Va escluso inoltre un intento polemico-apologetico: esso affiora e prende corpo piuttosto nell’Apocalisse, come nel caso della critica ai «Nicolaiti» (cf. Ap 2,6.15), e nelle Lettere, dove emerge la polemica contro gli eretici, ma non se ne trova traccia apprezzabile nel Quarto Vangelo. L’intento di Giovanni sembra invece quello di comporre un’opera personale, nella quale l’intero messaggio cristiano, maturato nell’esperienza ecclesiale di decine di anni, viene rimeditato e quindi compreso più in profondità. Ciò viene manifestato chiaramente nel momento in cui ci si sofferma sul contenuto teologico di questo testo.

Vi è infatti un tema centrale che, in accordo con André Feuillet, potremmo sintetizzare in questo modo: la rivelazione del Figlio unigenito di Dio incarnato, che viene dato al mondo dal Padre, affinché gli uomini partecipino della sua stessa vita. Esso si suddivide poi a sua volta in vari temi particolari. Innanzitutto, quello inerente il Padre, che si esplica in concreto nella sua volontà, nel suo comando, nel suo amore, nel suo dono. Vi è poi il tema più espressamente cristologico, incentrato sul Figlio: la sua origine celeste, la venuta, la missione, la rivelazione della verità, la sua ora. A seguire troviamo il tema dello Spirito, che è «il consolatore» donato alla Chiesa per una missione specifica, vitale. Connessi a questi tre temi principali, che compongono lo sfondo trinitario, ve ne sono altri che fungono da corollario: i temi della luce e della vita, come doni offerti da Cristo; il tema della vita della Chiesa, che comporta la missione dei discepoli, i sacramenti - in special modo il Battesimo e l’Eucaristia - e la carità fraterna.

Va sottolineato che questi temi si riferiscono in modo precipuo all’amore di Dio. Ne esiste poi tutta una serie che riguarda più specificatamente l’azione degli uomini. Vi è innanzitutto il tema della fede: l’uomo è chiamato ad accogliere la rivelazione, a «credere» e quindi a prendere posizione. Di conseguenza, si ha il tema del «giudizio» (krísis), con la distinzione tra coloro che, accettando Cristo e mettendosi alla sua sequela, camminano nella luce e chi invece, rifiutandolo, rimane nelle tenebre. Infine, troviamo il tema escatologico: se è vero che Giovanni ritiene che tutto questo abbia un’immediata realizzazione nel presente, rimane comunque la tensione verso il pieno compimento nel futuro, senza soluzione di continuità. In questo modo si manifesta appieno la prospettiva peculiare di Giovanni.

 

5. La caratura teologica dell’autore

Nella sua Prima Lettera, che appartiene senza dubbio al medesimo contesto del Quarto Vangelo, Giovanni fa un’affermazione molto forte, sostenendo che lui stesso e gli altri testimoni del Risorto annunciano ciò che hanno visto, ascoltato e toccato con mano riguardo alla Parola della vita (cf. 1,1-3). L’autore di l Gv (Ndr: Prima lettera di Giovanni) è più difficile da accertare rispetto a quello del Vangelo, ma non va dimenticato che ci troviamo in ogni caso nel solco della grande Chiesa giovannea; di conseguenza, se chi scrive la Prima Lettera afferma questo, e lo fa con una simile autorevolezza, ciò risuona come una garanzia di autenticità confortante. Da una parte, infatti, si parla di un Gesù che è stato ascoltato, visto, toccato con mano, il che presuppone un contatto diretto alquanto forte; dall’altra, questa relazione personale è come se evolvendo subisse una progressiva verticalizzazione, caratteristica soprattutto del Quarto Vangelo. Basti pensare, a tal proposito, alla percezione che questo scritto rivela della preesistenza di Gesù a livello trinitario, come pure del rapporto intimo tra Gesù e il Padre e della dinamica del dono dello Spirito.

Nel Quarto Vangelo sono già presenti i grandi nuclei fondamentali propri della riflessione cristiana. Questo emerge in modo del tutto particolare in riferimento alla persona di Gesù: che il Figlio di Dio si incarni lo rivela espressamente Giovanni, mentre gli altri evangelisti riportano semplicemente il fatto che nasca. Sempre a Giovanni va riconosciuto il merito esclusivo di far luce sul rapporto stupendo tra Gesù e il Padre e di offrirci il quadro più completo sulla natura e l’azione dello Spirito. Per questa ragione, l’autore è chiamato, specialmente nella tradizione orientale, «Giovanni il teologo», in quanto manifesta questi originali picchi di profondità non riscontrabili negli altri Vangeli. Una genialità analoga è tuttavia rintracciabile all’interno degli scritti di Paolo, ma con uno stile e un retroterra di fondo completamente differenti.

Giovanni ci parla di un Gesù col quale ha vissuto a stretto contatto, e lo fa con una dovizia di particolari assai rigorosa. Come ha messo in luce lo storico tedesco Martin Hengel, si tratta al contempo di un Gesù che sia Giovanni che la sua comunità hanno compreso in profondità e altezza. Va precisato inoltre che il Quarto Vangelo è stato tendenzialmente inquadrato nell’ottica della cosiddetta «teoria delle forme», la quale asserisce che l’intero testo è costruito con materiale creato e improntato a posteriori dalla comunità. Hengel, invece, ribadisce che ci troviamo di fronte a una figura di spicco, per cui è convinto che il Quarto Vangelo celi in realtà una personalità talmente forte e autorevole che esula dal contesto di una semplice comunità che applica certi valori.

 

6. La forma letteraria e la struttura

Tra le molteplici questioni che è necessario affrontare accostandosi al Quarto Vangelo, ce n’è una che risulta di fondamentale importanza: esiste in questo scritto un’unità letteraria? Julius Wellhausen e la sua scuola l’hanno negata, impegnandosi in un minuzioso lavoro di sezionamento al fine di identificare le presunte fonti scritte. Mentre lo stesso metodo, applicato al Pentateuco, ha raggiunto ottimi risultati, per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni si è concluso in un nulla di fatto. Oggi pertanto l’unità letteraria del Quarto Vangelo è comunemente riconosciuta, sia generalmente in ambito protestante che in quello cattolico.

I motivi alla base di tali conclusioni emergono principalmente dalla critica interna. Innanzitutto il vocabolario risulta povero, tuttavia riconducibile senz’altro a quello tipico di Giovanni. Inoltre è interessante in tal senso un confronto con i Sinottici, in merito ad alcune parole-chiave:

 

 

Mt

Mc

Le

Gv

Agapàõ (amare)

8

5

13

36

Alêtheia (verità)

1

3

2

25

Zõê (vita)

7

4

5

36

Patêr (padre)

64

18

56

137

Phês (luce)

7

1

7

23

 

Lo stile, caratteristico e sempre coerente con se stesso, è contraddistinto in particolare dall’uso della paratassi, che consiste nell’accostamento sullo stesso piano di tante proposizioni coordinate, su un livello equivalente e non subordinato - al contrario di quanto avviene invece nell’ipotassi - collegate tra loro dalla semplice congiunzione «e» (kai). Assai significativo è anche l’utilizzo dell’asindeto, in cui delle frasi vengono disposte l’una accanto all’altra, senza congiunzioni; a partire da Gv 1,40.42.45.47, si contano almeno 39 casi. Un altro elemento peculiare è il ricorso frequente alla congiunzione narrativa oūn («dunque»): essa non indica di per sé una conseguenza, ma qui ricorre ben 194 volte sulle 493 totali del Nuovo Testamento. L’enumerazione potrebbe continuare, ma già da questi esempi emerge chiaramente la percezione di uno stile unitario, di impronta semitica.

Giovanni utilizza una forma e un modo di esprimersi che potremmo definire «a cerchi concentrici», in quanto riprende più volte il medesimo argomento, considerando e approfondendo a ogni ripresa un aspetto diverso di esso. Già il Prologo costituisce in questo senso un esempio emblematico. A tal fine, ci sono delle espressioni caratteristiche che ricorrono frequentemente e che risuonano appunto come un invito a scavare ulteriormente in profondità, ed è questo il caso dei pronomi interrogativi «come?» (pôs) e «da dove?» (póthen).

L’autore del Quarto Vangelo dimostra di essere uno scrittore dalla carica eccezionale, capace di esprimerla senza ostentare sgradevoli ricercatezze o mostrarsi compiaciuto della propria abilità letteraria. In tal senso, è sufficiente citare i suoi racconti, come quelli della samaritana, di Lazzaro e del cieco nato, a dimostrazione dell’effetto letterario fuori dal comune che sono in grado di suscitare. Tutto ciò, insieme agli altri elementi caratteristici dal punto di vista linguistico e alla profondità teologica dell’autore, rende la lettura di questo Vangelo particolarmente affascinante e complessa allo stesso tempo.

Compito altrettanto impegnativo da svolgere è definire la struttura di questo testo, dal momento che non segue affatto lo schema tradizionale dei Sinottici. Vi è una scansione generale che viene condivisa ormai da tutti, mentre all’interno di ogni sezione principale vengono attuate le più svariate e complesse strutturazioni.

Innanzitutto vi è il «Prologo» (1,1-18), che consiste in un inno antico poi collocato come introduzione alla lettura del Vangelo. Esso risulta caratterizzato da una connotazione liturgica che orienta in tale prospettiva la lettura dell’intero Vangelo. Inoltre va sottolineato il fatto che questo inno è assai vivace e coinvolgente; per questo motivo è significativa la sua collocazione iniziale, finalizzata a infondere il medesimo tono vivo all’intera narrazione successiva. Di conseguenza sarebbe suggestivo poter far cantare ad alta voce il Quarto Vangelo alla comunità, in quanto interamente influenzato dalla carica dell’inno celebrativo che lo introduce.

Di seguito si trova il «libro dei segni» (1,19-12,50), incentrato sui prodigi che Gesù ha operato. In Giovanni infatti il miracolo assume i connotati del «segno», in quanto è accompagnato da un messaggio che ne spiega il senso e aggiunge all’episodio stesso alcune interpretazioni di carattere religioso e dottrinale.

Successivamente troviamo il «libro della gloria» (13,1 - 20,31), o più correttamente chiamato «libro dell’ora», in quanto risulta appunto incentrato sull’«ora» di Gesù, vale a dire tutta la trafila del suo ritorno al Padre che comporta la Passione, la risurrezione, il ritorno al cielo e l’insediamento sullo stesso trono del Padre. Questa terminologia scandisce il Quarto Vangelo, a cominciare dal momento in cui Gesù menziona la sua «ora» nelle nozze di Cana (cf. 2,4), proseguendo poi per l’episodio nel corso del quale la folla tenta di aggredirlo, ma invano, perché ancora non è giunta «la sua ora» (cf. 7,30). Si rileva quindi un’insistenza su questo riferimento, che non lascia dubbi sul fatto che dal cap. 13 in poi cominci una fase mirata alla realizzazione della vita e del ministero di Gesù.

Infine vi è l’epilogo (cap. 21), considerato un’ultima conclusione, in quanto composto in un secondo momento rispetto al resto del Quarto Vangelo. Ciò non significa però che debba essere considerato di minor valore, anzi, è vero il contrario, in quanto lì confluisce a livello ecclesiale tutta la portata del Quarto Vangelo. Potremmo concludere definendolo come il Vangelo vissuto nella Chiesa.

Questa strutturazione è condivisa anche da Raymond Brown, per il quale è suggerita dal Vangelo stesso. Feuillet, invece, si concentra maggiormente sulla drammatica contrapposizione tra «luce» e «tenebre». Ora, tale contrasto esiste indubbiamente e ha un suo sviluppo specifico; nel determinare le singole fasi basandosi unicamente su questo, però, c’è il pericolo di cadere in una ripartizione eccessivamente soggettiva.

Com’è già stato anticipato, poi, ci sono varie teorie, in base alle quali vengono proposte delle ripartizioni più specifiche. Una delle più aderenti al testo è indubbiamente quella proposta da Donatien Mollat nella Bibbia di Gerusalemme. Tale suddivisione si potrebbe così sintetizzare:

 

1,1-18: Prologo. È la sintesi di tutto il Vangelo.

1,19-12,50: Prima parte. È il libro delle feste dei Giudei, che si suddivide in sei sezioni:

1,19-4,54: Pasqua del nuovo tempio.

5,1-47: In un giorno di festa viene guarito il paralitico.

6,1-7,1: Pasqua del pane di vita in Galilea.

7,2-10,21: Festa dei tabernacoli e guarigione del cieco nato.

10,22-11,54: Festa della dedicazione.

11,55-12,50: Conclusione della prima parte e preparazione della Pasqua della crocifissione.

13,1-20,31: Seconda parte. È il libro dell’«ora di Gesù», che si suddivide in tre sezioni:

13,1-17,26: Ultima cena con i discepoli.

18,1-19,42: Racconto della passione.

20,1-31: La risurrezione.

21,1-25: Ultima conclusione.

 

Charles Kingsley Barrett propone una divisione analoga, ma ancor più semplificata:

 

1,1-18: Prologo

1,19-12,50: Racconti, conversazioni e discorsi.

13,1-17,26: Gesù solo con i discepoli.

18,1-20,31: Passione e risurrezione.

21,1-25: Ultima conclusione.

 

7. Il procedimento simbolico

Un altro elemento di cui l’autore si serve ampiamente e sul quale è indispensabile quindi fare luce, per cogliere il messaggio autentico del Quarto Vangelo, è costituito dal simbolismo. Nell’Apocalisse questo procedimento viene utilizzato a tutto campo, per cui, senza una sua adeguata interpretazione, anche la semplice lettura risulta impossibile. Per quanto riguarda il Quarto Vangelo il discorso è più sottile: teoricamente sarebbe anche possibile leggere il testo senza ricorrere in alcun modo al simbolismo, ma ciò risulterebbe decisamente riduttivo e il senso più profondo del testo verrebbe inevitabilmente sminuito o addirittura rischierebbe di non essere colto affatto.

In accordo con Oscar Cullmann, si parla comunemente di due piani sui quali si situa il messaggio di Giovanni: il primo è realistico, mentre il secondo è simbolico ed è proprio quest’ultimo che l’evangelista intende comunicarci.

Ci sono dei passi in cui questo procedimento, che caratterizza tutta la narrazione di Giovanni, emerge in modo particolarmente chiaro. È il caso dell’episodio che vede come protagonista Giuda, al momento dell’uscita dal cenacolo, momento che viene descritto dicendo espressamente che era notte (cf. 13,30). L’ambientazione notturna dell’episodio assume una valenza che va ben oltre il semplice significato letterale di ora tarda. In Giovanni, infatti, troviamo continuamente il dualismo luce-tenebre: Gesù è portatore di luce e chi non accetta la sua luce si chiude inevitabilmente in una zona d’ombra. Si tratta di un ciclo teologico costante in Giovanni: chi accetta Gesù è immerso nella luce, mentre chi lo rifiuta è destinato alle tenebre. Tenendo presente tale sfondo, è chiaro che l’indicazione cronologica, di per sé apparentemente trascurabile, dell’evento narrato nasconde un messaggio essenziale. Non va scordato che niente è casuale in Giovanni. Giuda, uscendo dal cenacolo, entra nella notte diventando un «anti-Gesù», simbolo di chi rifiuta la luce e sprofonda nelle tenebre.

Un esempio analogo ci viene offerto dal racconto della Passione. Nell’ultima scena, sul Golgota, viene descritta l’apertura del costato di Gesù. Arrivato il momento di deporre il corpo dalla croce, a differenza degli altri condannati, a Gesù non viene praticato il «crurifragio», ossia la spezzatura del femore eseguita con mazze di ferro, alla quale seguiva pressoché all’istante il decesso dell’individuo agonizzante. Dal momento che Gesù era già morto, non era necessario compiere questa ulteriore fatica; tuttavia, uno dei soldati gli infligge ugualmente un colpo di lancia e Giovanni afferma che immediatamente dal suo costato uscirono sangue e acqua (cf. 19,33-34). Gesù tuttavia in quel momento era già morto, per cui anche questo particolare, a una lettura superficiale, può apparire anomalo. D’altra parte, analizzando più approfonditamente il testo ci si accorge che in tutto il Quarto Vangelo, come avviene generalmente in ambito semitico, il sangue rappresenta il simbolo della vita: è la vita che viene donata. Giovanni, nel tratteggiare il quadro della crocifissione, non indugia a lungo sulla sofferenza, in quanto per lui il Gesù che muore è il crocifisso risorto e la sua condizione di crocifisso rappresenta per lui un’oblatività piena, assoluta. Per Giovanni, allora, il sangue scaturito dal costato di Gesù, in questa situazione di dono totale, simboleggia la vita che abbandona il suo corpo per raggiungere ognuno di noi attraverso l’Eucarestia, i sacramenti e, più in generale, per mezzo di tutto ciò che lui generosamente offre di se stesso.

Per quanto concerne l’acqua, invece, essa rappresenta il simbolo dello Spirito. Com’è già stato puntualizzato in precedenza, Giovanni associa morte e risurrezione, per cui il Gesù che si presenta la sera di Pasqua nel cenacolo (Gv 20,19) è lo stesso che porta ancora in sé la Passione; in tal senso, non mostra le ferite, delle quali non c’è traccia nel testo, ma piuttosto si focalizza su ciò che ha realizzato per noi. Il dono dello Spirito, dono pasquale, proviene da Gesù in stato di crocifissione e oblatività totale. Egli subendo la crocifissione si dona totalmente, realizzando in questo modo l’offerta suprema al Padre e affidando a noi lo Spirito. In Giovanni dunque è possibile rilevare un’articolazione su due piani: il primo è quello reale, ma in esso l’autore, con genialità e notevole abilità letteraria, inserisce il secondo, il quale non nega il precedente, ma gli attribuisce un ulteriore significato, marcatamente più intenso. Giovanni, così facendo, convoglia l’attenzione sul secondo elemento, conferendogli in chiave simbolica un significato e una profondità ulteriori. È in questo modo che riesce a veicolare ed esprimere, proprio attraverso quel particolare, un messaggio che permette anche al primo piano di assumere un valore nuovo, decisamente più importante.

 

8. Il contesto e rapporto ecclesiale

È noto che i Vangeli, analogamente agli altri scritti della Bibbia, non nascono dall’elaborazione, benché geniale, di una singola persona. Anche il Quarto Vangelo, pur con la notevole creatività soggettiva di Giovanni, possiede una forte base comunitaria, rappresentata dalla Chiesa giovannea, su cui poggia saldamente.

Non va infatti dimenticato che a monte esiste, in ogni caso, una realtà ecclesiale che sperimenta con la propria vita quegli stessi valori religiosi messi per iscritto dall’autore, con l’ausilio dell’ispirazione divina. Già nella vita della comunità infatti è presente lo Spirito, il quale comunica tutti i grandi valori e i messaggi che poi l’autore a sua volta riprende e riproduce in forma scritta. Egli, che è parte integrante della comunità, a un certo punto è come se emergesse da essa, senza tuttavia discostarsene completamente, e raccogliesse l’intero bagaglio esperienziale vissuto nel contesto di fede di quella particolare realtà ecclesiale. Poi rielaborerà tutto ciò in maniera personale, mantenendosi comunque in sintonia con la comunità e darà infine forma a quel testo che attraverserà il corso dei secoli fino ad arrivare a noi. A noi poi è affidato il compito, nonché la responsabilità di spiegarlo e approfondirlo, non tralasciando di ricordare che in origine quel messaggio è scaturito proprio dalla comunità.

Ciò vuol dire che anche noi, per comprendere nella sua autenticità uno scritto ispirato che ci è stato tramandato sin dalle origini, non possiamo limitarci a una mera indagine intellettuale, benché corretta e accurata. Questo messaggio infatti ha assolutamente bisogno di entrare in contatto con la nostra vita di comunità cristiana credente.

Quando leggiamo un testo e lo interpretiamo, dunque, dobbiamo tener presente che il suo contenuto non è ancora attualizzato e personalizzato: è necessario infatti rapportarne ogni singolo aspetto con la nostra vita. È proprio questa capacità di confronto a garantire quella profondità di comprensione di cui necessitiamo. Per capire il Vangelo dovremo, quindi, ripercorrere la stessa esperienza di fede della comunità giovannea, facendo calare progressivamente nella realtà ecclesiale attuale i grandi valori che si trovano lì condensati, in modo da poterli sperimentare in prima persona.

 


Ritorno al testo del Vangelo di Giovanni

Ritorno alla Bibbia

21 maggio 2023                a cura di Alberto "da Cormano"   Grazie dei suggerimenti  Bibbia@ora-et-labora.net