LA STORICITÀ DEI MIRACOLI DI
GESÙ:
LA PROBLEMATICA GENERALE
Estratto da:
"Un
ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 2, Mentore, messaggio e
miracoli" - John P. Meier - Queriniana 2003
1. La problematica generale della storicità
Eccoci a trattare finalmente i miracoli di Gesù così come sono narrati
nei quattro vangeli, Come ho sottolineato in tutto il capitolo
diciassettesimo, parlando dei miracoli di Gesù la mia ricerca storica
restringe necessariamente il suo obiettivo. Non pretendo di poter
determinare se date azioni straordinarie compiute da Gesù fossero
effettivamente miracoli, vale a dire interventi diretti di Dio che attua
ciò che nessun essere umano è in grado di realizzare. Come ho già detto,
ritengo che un giudizio di questo genere («questo atto particolare è un
miracolo compiuto direttamente da Dio») va oltre quello che uno storico
può legittimamente asserire entro i limiti della sua disciplina
specifica.
Piuttosto, la mia indagine cerca di rimanere entro l’ambito di quanto è
verificabile, almeno in linea di principio, dalla ricerca storica. Per
questo mi chiedo: dato che ci sono numerosi racconti di miracolo nei
quattro vangeli, ci sono ragioni per ritenere che quanto meno il nucleo
centrale di alcuni di questi racconti risalga al tempo e al ministero di
Gesù stesso? In altre parole, il Gesù storico ha effettivamente compiuto
determinate azioni sorprendenti, straordinarie (per esempio, presunte
guarigioni ed esorcismi), che sono state considerate miracoli da lui
stesso e da quanti gli stavano attorno? Oppure tali resoconti provengono
interamente dall’immaginazione creativa del cristianesimo primitivo, che
ricordava le gesta di Gesù alla luce di personaggi dell’Antico
Testamento quali Elia ed Eliseo e proclamava tali imprese di Gesù entro
un 'mercato' religioso estremamente competitivo, il quale esaltava
taumaturghi ebrei e pagani? Furono le esperienze missionarie della
chiesa primitiva a creare i miracoli di Gesù e il retroproiettarli entro
un ministero di un Gesù storico privo di miracoli?
È questo in realtà lo scenario ipotizzato da diversi studiosi nel secolo
XIX e da alcuni storici delle religioni all’inizio del secolo XX. Il
giudizio espresso da Wilhelm Bousset nella sua influente opera
Kyrios
Christos, pubblicata nel 1913, può valere per molti altri; «Siamo
ancora in grado di vedere chiaramente come la primissima tradizione
della vita di Gesù fosse relativamente esente dall’elemento miracoloso».
Di fatto, un Gesù di questo genere esente da miracoli è stato il santo
Graal cercato da molti studiosi dall’illuminismo in avanti. Un Gesù di
questo tipo è stato reinventato in vari tempi da pensatori americani, da
Thomas Jefferson fino ai divulgatori attuali, che condividono con
Jefferson l’ignoranza dell’esegesi storico-critica, ma non hanno la sua
efficacia, Una presentazione di Gesù senza miracoli va completamente
contro i dati empirici presenti nei vangeli, ma ciò non crea imbarazzo a
un pubblico che regolarmente amava rifare Gesù a propria immagine e
somiglianza.
Bultmann e i suoi seguaci non furono così acritici. Essi non negarono
del tutto la presenza di presunti miracoli nel ministero del Gesù
storico, ma nelle loro presentazioni del Nazareno i miracoli furono
definitivamente messi da parte. Sullo sfondo di questa tendenza a
spazzar via i miracoli imbarazzanti sotto il tappeto heideggeriano si
può apprezzare adeguatamente la reazione di studiosi come Mortori Smith
e E.P. Sanders. Come ho sostenuto sopra, molte affermazioni di Smith su
Gesù mago sono problematiche, ma Smith e Sanders sono certamente
nel giusto quando censurano l’accento posto in misura eccessiva sulle
parole di Gesù a scapito delle sue azioni sorprendenti, inclusi i suoi
presunti miracoli. Ancor prima di arrivare all’applicazione dei criteri
di storicità, già la presenza massiccia di tradizioni sui miracoli nei
quattro vangeli rende inaccettabile il colpo di scopa che li vorrebbe
nascondere sotto un rispettabile tappeto moderno,
È difficile fornire statistiche precise sul numero esatto di miracoli
che riscontriamo nei vangeli, poiché non sempre gli studiosi sono
d’accordo su quale pericope debba essere considerata un racconto a sé
stante e quale pericope costituisca semplicemente un parallelo
letterario o una variante di un racconto presente in un altro vangelo.
Ad ogni modo, la panoramica statistica fornita da David E. Aune dà
un’idea adeguata della presenza enorme e onnipervasiva dei miracoli nei
quattro vangeli. Secondo il computo di Aune (che non considera
separatamente i paralleli), si trovano racconti di sei esorcismi,
diciassette guarigioni (inclusi i racconti di risuscitamento), e otto
cosiddetti miracoli sulla natura (vale a dire, la tempesta sedata, la
moltiplicazione dei pani per nutrire i cinquemila, la moltiplicazione
dei pani per nutrire i quattromila, il cammino sulle acque, la
maledizione del fico, la moneta nella bocca del pesce, la pesca
miracolosa, e la trasformazione dell’acqua in vino a Cana)
[1].
Molti di questi racconti hanno uno o più paralleli negli altri vangeli.
Ai racconti completi di miracolo si possono aggiungere molti altri
versetti dei vangeli che fanno riferimento ai miracoli. I sinottici
presentano diversi sommari narrativi su Gesù che operava miracoli,
suscitando così l’impressione che egli abbia compiuto molti più miracoli
di quelli narrati dai vangeli. Ci sono anche allusioni a singoli
miracoli che non sono narrati per esteso. Per esempio, solo di passaggio
veniamo a sapere che Gesù aveva scacciato da Maria Maddalena sette
demoni (Lc 8,2; cfr.
Mc 16,9). Quando invia i suoi
discepoli a compiere attività di missione, Gesù dà loro il potere di
esorcizzare e/o di guarire (Mt 10,1 e parr.). Altri passi
menzionano di sfuggita che i discepoli compirono anch’essi miracoli o
non riuscirono a farli (Lc
9,6; 10,17-20;
Mc 3,15;
9,18.28.38). Oltre alla sua attività dì taumaturgo, Gesù dimostra una
conoscenza del passato, del presente e del futuro più che umana (per
esempio, Gv 1,48;
Mc 2,8; 14,12-16). In aggiunta al
materiale narrativo riscontriamo nei vangeli vari detti nei quali Gesù
commenta la propria attività miracolosa e ne indica il significato
ultimo all’interno del suo messaggio e ministero globale. Infine,
l’accusa mossa da alcuni dei suoi avversari che i suoi esorcismi
mostrano come egli sia in combutta con Beelzebul costituisce una
ammissione indiretta del fatto che egli compiva azioni non facilmente
spiegabili col ricorso a mezzi umani.
La semplice stesura di questo catalogo non vuol essere una prova del
fatto che tutti i dati elencati qui sono storici. I sommari narrativi
dell’attività taumaturgica di Gesù e i vari riferimenti alla sua
conoscenza più che umana provengono senza dubbio dagli evangelisti e
certi racconti ampi possono essere effettivamente creazioni cristiane,
ma l’enorme quantità di dati vuole far nascere un iniziale sospetto,
salutare di fronte a qualsivoglia tentativo di liquidare o sottovalutare
con indifferenza un materiale così ampio (e per alcuni studiosi
accademici così imbarazzante). Già a un primo sguardo il materiale
sembra troppo imponente e onnipresente in vari strati della tradizione
dei vangeli, per poter dire che si tratta semplicemente di una creazione
della chiesa primitiva. D’altro canto, se vogliamo andare oltre le
impressioni generali dobbiamo applicare i criteri di storicità alle
tradizioni sui miracoli.
2. I criteri di storicità e la problematica globale
Prima di applicare i criteri di
storicità ai singoli racconti o detti riguardanti i miracoli, dovremmo
applicarli alle tradizioni sui miracoli nei vangeli prese nel loro
insieme e rispondere alla questione globale: il Gesù storico ha compiuto
azioni straordinarie che furono considerate miracoli dai suoi
contemporanei, oltre che da lui stesso? Come avremo modo di vedere, i
criteri della molteplice attestazione e della coerenza saranno di
importanza cruciale per fornire una risposta a tale interrogativo,
mentre gli altri criteri serviranno solo come sostegno secondario.
1) Il più importante criterio
singolo nell’indagine sui miracoli di Gesù è il criterio dell'attestazione
molteplice delle fonti e delle forme. a) Per quanto riguarda
le
fonti molteplici la documentazione è schiacciante. Ciascuna fonte
evangelica (Marco, Q, M, L e Giovanni), ciascun evangelista nei suoi
sommari redazionali e infine anche Flavio Giuseppe affermano che Gesù ha
svolto un’attività taumaturgica. In effetti, ciascuna fonte evangelica
lo afferma più di una volta e alcune numerose volte. Per partire
dall’esempio di Marco, secondo il computo effettuato da Alan Richardson,
circa 209 versetti su un totale di 666 (contando fino a
Mc 16,8)
trattano, direttamente o indirettamente, di miracoli. Si tratta di poco
più del 31 per cento del materiale totale di questo vangelo. In effetti,
se si considerano i primi dieci capitoli del vangelo secondo Marco (vale
a dire, se si tralascia il racconto della passione nel senso ampio del
termine), circa 200 versetti su un totale di 425 trattano direttamente o
indirettamente di miracoli; in altri termini, il 47 per cento di tutto
ii materiale.
Marco deve aver mutuato i racconti di miracolo da diverse correnti della
tradizione della prima generazione cristiana. In lui troviamo interi
blocchi di racconti di miracolo (per esempio, la tempesta sedata,
l’esorcismo dell’indemoniato di Gerasa e la risurrezione della figlia di
Giairo con la guarigione della donna che aveva una emorragia, in
4,35-5,43), singoli racconti di miracolo incorniciati da altro tipo di
materiale (per esempio, il ragazzo posseduto dal demonio in 9,14-29),
racconti di miracolo inseriti in cicli più ampi di narrazioni (per
esempio, le due moltiplicazioni del pani all’interno della cosiddetta
‘sezione dei pani’ di Marco [6,7-8,21]), e miracoli singoli forse
già inseriti in una tradizione primitiva premarciana sulla passione (per
esempio, la guarigione del cieco Bartimeo in 10,46-52; la maledizione
del fico in 11,12-14.20.22-25).
Non si può certo dire che lo stile e il tono dei racconti di miracolo
siano uniformi. Alcuni racconti sono decisamente lunghi e circostanziati
(per esempio, l’indemoniato di Gerasa, il ragazzo posseduto dal
demonio); altri molto stringati (per esempio, la guarigione della
suocera di Pietro in 1,30-31). Pochi fanno il nome delle persone e dei
luoghi chiamati in causa (Giairo, che chiede la guarigione della figlia
malata; Bartimeo, il mendicante cieco nei pressi di Gerico), mentre la
stragrande maggioranza non menziona né il richiedente o i richiedenti,
né il beneficiario del miracolo, e nemmeno segnala il luogo esatto in
cui esso è avvenuto, Marco inoltre include manifestazioni di conoscenza
miracolosa da parte di Gesù (per esempio, la predizione di eventi futuri
e della fine del mondo lungo, tutto il capitolo 13; la predizione del
tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro in 14,18-21.29-31).
Pur contenendo materiale sui discorsi molto minore rispetto a Matteo,
Luca e Giovanni, Marco tuttavia a volte presenta Gesù che parla dei
miracoli: la controversia su Beelzebul (3,20-30), l’invio dei discepoli
a compiere, guarigioni ed esorcismi (6,7.13), e la domanda
sull'esorcista che usa il nome di Gesù pur non essendo suo discepolo
(9,38-40), Questa ampia gamma di correnti disparate delle tradizioni sui
miracoli nella prima generazione cristiana, alcune già raggruppate in
collezioni, altre ancora costituite da materiale frammentario e sparso,
mostra che già il solo Marco - che scrive alla fine della prima
generazione cristiana - basta a contestare adeguatamente l’idea che le
tradizioni sui miracoli siano state in tutto e per tutto una creazione
della chiesa primitiva dopo la morte di Gesù. Marco peraltro non è solo
nella sua testimonianza resa alla tradizione evangelica sui miracoli.
Molto diversa per forma e contenuto è la tradizione Q, che è costituita
quasi interamente da detti, ma persino Q contiene un racconto di
miracolo: la guarigione del servo del centurione
(Mt 8,5-13 e
par.), che ha un parallelo lontano nel racconto della guarigione del
figlio dell’ufficiale regio in Gv
4,46-54. Anche vari detti di Gesù attestano la conoscenza da parte di Q
di miracoli da lui compiuti. Per esempio, il riferimento ad esorcismi
nella controversia su Beelzebul (Mt 12,22-32 e par.), l’elenco di
vari miracoli (con l’omissione sorprendente degli esorcismi) nella
replica di Gesù al Battista (Mt 11,5-6 e par.), e i ‘guai’
pronunciati contro le città della Galilea che non hanno creduto in Gesù
nonostante i miracoli da lui compiuti
(Mt 11,20-24 e par.).
Considerato l’accento notevole posto da Q sulla profezia escatologica,
non sorprende che essa evidenzi la conoscenza del futuro da parte di
Gesù in svariate profezie e parabole escatologiche, La versione Q del
discorso missionario mostra Gesù che invia i suoi discepoli a compiere
miracoli a imitazione del suo stesso ministero
(Mt 10,8
//
Lc 10,9).
Le tradizioni speciali sia di Matteo che di Luca sono anch'esse al
corrente di miracoli compiuti da Gesù durante il suo ministero pubblico.
I miracoli esclusivi di Matteo sono relativamente pochi; per esempio,
Pietro che trova la
moneta nella bocca del pesce (Mt
17,27) e Pietro che
cammina sull’acqua
(Mt 14,28-31). La
tradizione lucana speciale contiene invece un numero notevolmente più
vasto di racconti di miracolo: la pesca miracolosa
(Lc 5,1-11;
cfr. Gv 21,1-14), la risurrezione del figlio della vedova a Nain
(Lc 7,11-17), l’esorcismo di sette demoni cacciati da Maria
Maddalena e la guarigione di altre donne (Lc
8,2-3, cfr. Mc 16,9), la guarigione della donna ricurva (Lc
13,10-17), la guarigione dell’uomo colpito da idropisia (14,1-6), la
purificazione dei dieci lebbrosi (17,11-19) e forse Gesù che si sottrae
ai suoi concittadini che vogliono ucciderlo (4,29-30).
Poiché ritengo il vangelo secondo Giovanni letterariamente indipendente
dai sinottici, alla sua distinta tradizione sui miracoli occorre
riservare un trattamento separato, come testimone importante. In
Giovanni è
presente la maggior parte dei medesimi tipi di
racconti di miracolo, alcuni con paralleli nei sinottici: guarigioni,
inclusa una guarigione a distanza (il figlio dell’ufficiale regio), il
risuscitamento dai morti (Lazzaro) e
miracoli sulla natura (la
moltiplicazione dei pani, il cammino sulle acque, il cambiamento
dell’acqua in vino). Gli esorcismi tuttavia sono sorprendentemente
assenti, forse a motivo della particolare prospettiva teologica
di
Giovanni. Alla prospettiva teologica di Giovanni è dovuto anche il
fatto
che i
miracoli con paralleli nei sinottici diventano ancor più accentuati
e
radicali (per esempio, la guarigione dell’uomo
(nato cieco; il
risuscitamento di Lazzaro dopo che è stato nella tomba per quattro
giorni). La cristologia elevata di Giovanni inoltre sottolinea la
conoscenza miracolosa del passato, del presente e del futuro da parte di
Gesù, nonché la sua corrispondente capacità di padroneggiare sempre la
situazione, sia nelle conversazioni, sia nelle successioni degli eventi
(soprattutto nel racconto della passione).
Peraltro, nonostante il linguaggio e la teologia marcatamente giovannei
che pervadono i racconti di miracolo nel quarto vangelo, la critica
delle fonti e quella delle forme segnalano che dietro le attuali
pericopi si trovano forme precedenti, più primitive, di racconti di
miracolo. In effetti, alcuni racconti di miracolo hanno conservato
l'ampiezza e la forma fondamentale che hanno i loro paralleli nei
sinottici: per esempio, la guarigione del figlio dell’ufficiale regio,
la moltiplicazione dei pani e il cammino sulle acque. In altre parole, i
racconti di miracolo di Giovanni non sono stati plasmati
dall’evangelista dal nulla, come dimostrano chiaramente I racconti che
hanno un parallelo in Marco o in Q.
Infine, c’è l’attestazione indipendente di Flavio Giuseppe, nel nucleo
autentico del suo Testimonium Flavianum (Antichità 18,3,3 §§
63-64): «In quel tempo [vale a dire, durante il governo di Ponzio Pilato
quale prefetto della Giudea] apparve Gesù, un uomo saggio. Infatti, fu
operatore di fatti sorprendenti, un maestro di persone che accoglievano
la verità con piacere. E si guadagnò un seguito sia tra molti giudei che
tra molti di origine greca». Come abbiamo visto nel primo volume di
quest’opera, in questa presentazione si può notare come Flavio Giuseppe
proceda in modo molto attento nello sviluppare il suo pensiero.
Anzitutto attribuisce a Gesù il titolo generico di ‘uomo saggio'
(sophòs
anêr). Quindi egli sviluppa questo titolo elencando quelle che ne
costituirebbero le caratteristiche più importanti agli occhi dei lettori
greco-romani. 1) Gesù operò «fatti sorprendenti»
(paràdoxa), un
termine che Flavio Giuseppe utilizza anche per i miracoli compiuti dal
profeta Elia (Antichità
9,7,6 § 182). 2) Gesù insegnò a persone
che erano in cerca della verità. 3) Le azioni miracolose di Gesù e il
suo insegnamento incisivo attirarono un largo seguito composto sia da
ebrei che da pagani. In breve, Gesù fu un capo carismatico i cui poteri
speciali di operare miracoli e di insegnare furono riconosciuti e
confermati dai suoi seguaci. A prescindere dall'idea di attirare molti
pagani durante la sua vita, questa serie di asserzioni presenta una
configurazione del ministero di Gesù esattamente uguale a quella dei
vangeli. Raramente l'attestazione della tradizione evangelica da parte
di testimoni letterari molteplici arriva ad abbracciare fonti cosi
differenti, inclusa una fonte non cristiana. Così accade invece in
questo caso e l’attestazione include un riferimento ai presunti miracoli
di Gesù.
b) Come il nostro inventario delle fonti ha già rivelato, l’attestazione
molteplice sui miracoli di Gesù coinvolge non solo fonti molteplici, ma
anche molteplici forme letterarie. I racconti comprendono tre
forme letterarie principali: gli esorcismi, le guarigioni (inclusi i
racconti di risuscitamenti dai morti) e i miracoli sulla natura. A
fianco di questi racconti e delle sintesi fatte dagli evangelisti sui
miracoli, troviamo riferimenti vari ai miracoli nella tradizione dei
detti. Questi detti sui miracoli riflettono a loro volta tutta una serie
di svariate categorie morfo critiche: per esempio, la parabola dell’uomo
forte (Mc 3,27); il racconto
della controversia in cui Gesù risponde all’accusa di essere in combutta
con Beelzebul con due proposizioni al condizionale
(Mt 12,27-28 e
parr.), una che è una domanda retorica, l’altra una dichiarazione di
fatto; il mandato di Gesù ai suoi discepoli all’interno del discorso
missionario di guarire ed esorcizzare
(Mc 6,7.13;
Lc
10,9
e par.); detti che ostentano la conoscenza miracolosa da parte di Gesù
del presente, del passato e del futuro
(Gv 4,17-18,21; 2,23-25);
affermazioni biografiche generali che sintetizzano la sua stessa
attività in termini di realizzazione di miracoli
(Lc 13,32;
Mt
11,5-6 e par.), e la sua istruzione riguardante l’esorcista che non
appartiene alla cerchia dei suoi discepoli
(Mc 9,38-40).
In breve, fonti molteplici s’intrecciano con forme molteplici per
fornire una testimonianza abbondante del fatto che il Gesù storico ha
compiuto azioni giudicate da lui stesso e da altri come miracoli. Se
l’attestazione molteplice delle fonti e delle forme non produce
risultati attendibili qui, dovrebbe essere lasciata cadere come criterio
di storicità. Difatti, difficilmente qualsiasi altro tipo di materiale
dei vangeli può vantare una attestazione molteplice migliore di quella
sui miracoli di Gesù,
2) L’attestazione molteplice sia
delle fonti che delle forme, tanto nei racconti quanto nei detti,
conduce naturalmente al criterio successivo: la
coerenza. Il
nostro iniziale inventario dei racconti e detti ha dimostrato con
chiarezza che abbiamo qui un esempio notevole di varie azioni e detti di
Gesù convergenti, quasi come le maglie di una rete, e che si sostengono
a vicenda. Per esempio, i vari racconti di esorcismo reclamano a gran
voce una qualche spiegazione. Che significato hanno questi strani eventi
entro il contesto più ampio del ministero di Gesù? Nel materiale dei
detti, sia di Marco che di Q, troviamo la risposta. Gli esorcismi sono
presentazioni drammatiche e realizzazioni parziali del trionfo
escatologico di Dio su Satana e sulle potenze del male tramite le azioni
di Gesù.
Essi
sono esperienze preliminari del futuro regno di Dio, già presente e
vittorioso in qualche misura nel ministero di Gesù
(Mc 3,27, e
parr.; Lc 11,20 e par.). Analogamente, i vari racconti di
guarigione, che occupano un posto di rilievo soprattutto nella
tradizione marciana e in quella speciale di Luca (L), ricevono la loro
interpretazione in un detto Q, la risposta di Gesù al Battista: i
miracoli portano a compimento le profezie di Isaia sul tempo della
definitiva salvezza di Israele. Perciò essi sono anche un invito
implicito a credere nel messaggio e nella missione del taumaturgo
(Mt
11,5-6 e parr.). Se guardiamo al vangelo secondo Giovanni, vediamo
uno schema simile, anche se qui spesso il materiale è molto diverso.
Anche se i ‘segni’ simbolici (vale a dire i miracoli) e i discorsi ampi
nel quarto vangelo possono provenire, almeno in parte, da diverse fonti
giovannee, certi discorsi costituiscono un commento perfetto a certi
segni (per esempio, il discorso sul pane della vita in 6,34-51 rispetto
alla moltiplicazione dei pani in 6,1-15).
In tutto questo è degno di nota il mondo in cui le azioni e i segni
percorrono trasversalmente fonti diverse e differenti categorie
morfocritiche per creare un tutto significante. Questo insieme chiaro,
elegante e non forzato delle azioni e dei detti di Gesù, proveniente da
molte fonti differenti, è un argomento eloquente a sostegno di un fatto
storico fondamentale: Gesù ha effettivamente compiuto azioni che lui
stesso e alcuni dei suoi contemporanei hanno considerato miracoli.
È possibile accostare l’argomento della coerenza anche da un altro punto
di vista, vale a dire dal punto di vista del successo di Gesù che riesce
a conquistare un ampio numero di seguaci. Tutti e quattro i vangeli,
nonché Flavio Giuseppe, parlano del largo seguito conquistato da Gesù e
tutti e quattro i vangeli concordano con Flavio Giuseppe
nell’identificare la potente combinazione di miracoli e insegnamento
come la causa della sua forza di attrazione. Aveva ragione Morton Smith
a sottolineare i miracoli di Gesù come una delle ragioni più importanti
per cui persone così numerose accorrevano a lui; anche se si sbagliava a
minimizzare o ignorare il potere di attrazione esercitato anche
dall’insegnamento di Gesù. In ciò Smith sembra aver trascurato per un
momento il caso di Giovanni Battista. Dopo tutto, Giovanni Battista fu
capace di attirare molti seguaci semplicemente con la sua ardita
predicazione escatologica e il suo particolare rito del battesimo, senza
il sostegno che avrebbero potuto dare i miracoli.
C’era tuttavia una differenza notevole tra l’impatto esercitato dal
Battista e quello di Gesù, e tale differenza riguarda la sua durata.
Dopo la morte del Battista, i suoi seguaci non continuarono a crescere
fino a diventare un movimento religioso capace col tempo di invadere il
mondo greco-romano. Restarono a venerare la memoria e le pratiche di
Giovanni Battista, ma attorno agli inizi del II secolo d.C. qualsiasi
gruppo compatto che potesse rivendicare una connessione organica con il
Battista storico sembra fosse uscito di scena. Invece, il movimento che
aveva iniziato a germogliare attorno al Gesù storico continuò a crescere
– con non poche metamorfosi - lungo tutto il secolo I e oltre: Non del
tutto per caso, il ‘movimento di Gesù’ postpasquale rivendicò il
medesimo tipo di capacità di operare miracoli che Gesù aveva rivendicato
per se stesso durante la sua vita. Questa continuità nella pretesa di
operare miracoli può aiutare a spiegare la crescita continua, invece
dell’assottigliamento, del gruppo che nacque dal ministero di Gesù. In
breve, se da un lato i miracoli non sono strettamente necessari per
spiegare il magnetismo di Gesù capace di attirare molti seguaci, né la
sua esecuzione capitale diparte di Pilato, né il successo continuo della
chiesa anch’essa capace di conquistare numerosi adepti, dall’altro lato
tuttavia la presenza dell’elemento miracoloso nella missione sia di Gesù
che della chiesa primitiva ben si concilia, con il successo temporaneo
di Gesù e con quello permanente della chiesa.
3) Come ci potremmo
aspettare da tutto quello che abbiamo visto nel paragrafo sui miracoli e
le concezioni antiche, il criterio della
discontinuità è utile
soltanto in misura molto limitata. Nel mondo greco-romano esistono,
molte tradizioni sui miracoli sia nella letteratura pagana che in quella
ebraica. Sicché già la semplice idea che Gesù abbia compiuto miracoli
non può certo dirsi discontinua rispetto alla cultura pagana e giudaica
circostante.
Tuttavia alcuni aspetti delle tradizioni sui miracoli nei vangeli
spiccano come insoliti, per non dire unici (per una documentazione
adeguata di quanto vado dicendo qui rimando all'excursus
che segue il capitolo diciottesimo). Anzitutto, la data antica della
testimonianza letteraria resa ai miracoli di Gesù, vale a dire la
vicinanza temporale dei resoconti scritti ai presunti miracoli della
vita di Gesù, e quasi senza paralleli
per il
periodo. L’opinione comune degli studiosi colloca sia lo scritto di
Marco che l'ipotetico documento Q attorno al 70 d.C. Sicché soltanto 40
anni all'incirca separano i presunti eventi dalla loro fissazione per
iscritto.
Volendo stabilire un confronto, sul taumaturgo pagano del I secolo d.C.
Apollonio di Tiana disponiamo di ben poche informazioni precedenti la
stesura della sua biografia da parte di Filostrato, agli inizi del sec.
III. A complicare ulteriormente il problema, la questione se Filostrato
abbia avuto accesso o meno a una fonte di prima mano, come sostiene egli
stesso (vale a dire, al diario di Damis, un discepolo di Apollonio), o
se abbia semplicemente inventato di sana pianta una buona parte del
materiale, è tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi. Come ho
detto nell'excursus, la soluzione più probabile sembra essere
quella che attribuisce a Filostrato l’invenzione di molta parte del
materiale.
Analogamente, nella letteratura rabbinica sono stati attribuiti miracoli
a uomini santi (hasîdîm)
della Galilea, come Honi il disegnatore di cerchi e Hanina ben Dosa.
Così, essi potrebbero fornire paralleli interessanti alla tradizione di
Gesù in quanto uomo santo galileo e operatore di miracoli. Questa almeno
è stata la tesi dì studiosi come Vermès e Crossan. Il problema è che
questi operatori di miracoli sono menzionati solo di sfuggita nella
Mishnà, il più antico corpo di scritti rabbinici, composto 200 anni
all’incirca dopo la vita di Honi. Negli stadi più antichi della
tradizione non si trova alcuna indicazione del fatto che questi uomini
santi provenissero dalla Galilea. Le tradizioni quindi si svilupparono
ulteriormente fino a costituire i due
talmudîm (secoli V e VI),
ma il valore storico di queste tradizioni tardive è quanto mai dubbio.
Per giunta, la natura di questi racconti nelle fonti rabbiniche è
notevolmente differente dai racconti di miracolo che troviamo nei
vangeli. Il contesto rabbinico è costituito solitamente dal fatto che
all’uomo santo viene richiesto di pregare per una qualche benedizione
(per esempio, la pioggia o la guarigione). Le sue preghiere quindi sono
regolarmente o infallibilmente esaudite. Questo non coincide esattamente
con la presentazione di Gesù che guarisce da malattie, esorcizza demoni,
risuscita morti, o placa la tempesta con una semplice parola o un
semplice tocco. In altri termini, nelle primissime tradizioni
rabbiniche, Honi e Hanina non sono, rigorosamente parlando,
operatori
di miracoli. E inoltre l’accento posto sulla fede (per esempio, «la tua
fede ti ha salvato»), che si trova in molti racconti di miracolo nei
vangeli a riguardo di guarigioni o esorcismi o nel loro contesto più
ampio, per lo più manca nei paralleli pagani o ebraici.
Per essere ancora più precisi, la configurazione complessiva, il modello
o la forma o Gestalt di Gesù come predicatore popolare e
narratore di parabole, e inoltre interprete autoritativo della
legge e maestro di morale, e inoltre proclamatore e realizzatore
del regno escatologico di Dio, e inoltre
operatore di miracoli
che attualizza con tali gesti la sua stessa predicazione, non ha alcun
parallelo adeguato né nella letteratura pagana né in quella giudaica
coeva. Come ho già avuto modo di affermare, quando si solleva la
questione spinosa della ‘unicità’ di Gesù, il modo migliore per trattare
di questa unicità non è quello di considerarla in termini di qualche
aspetto singolo del suo ministero preso isolatamente, ma piuttosto di
vederla dal punto di vista della configurazione globale delle sue parole
e azioni. Se il criterio della discontinuità vale per tutti i miracoli
di Gesù, ciò accade soltanto in questo contesto più ampio o in tale
configurazione complessiva.
Si dovrebbe tener
presente che soltanto pochi scrittori greco-romani - Flavio Giuseppe,
Svetonio e Tacito - sono abbastanza vicini nel tempo ad alcuni dei
presunti eventi miracolosi da loro narrati. In nessuna delle loro opere,
peraltro, questi autori concentrano l’attenzione su un qualche operatore
di miracolo per parlare diffusamente della sua attività taumaturgica.
Per esempio, nei suoi voluminosi scritti Flavio Giuseppe racconta ogni
genere di miracolo, prodigio, portento e profezia. Tuttavia quando
arriva a parlare del sec. I d.C., non troviamo alcuna esposizione
dettagliata sulla vicenda di qualche taumaturgo. In particolare, si
dovrebbe notare come di nessuno dei vari ‘profeti dei segni’ ebrei, che
raccolsero seguaci in Palestina con promesse di liberazione e perciò
attirarono su di loro l’ira di Roma, Flavio Giuseppe afferma che abbia
promesso ai suoi sostenitori segni e prodigi nel futuro immediato.
Flavio Giuseppe non dice mai che i profeti dei segni abbiano essi stessi
compiuto tali segni prima che le autorità romane intervenissero.
Quanto a Svetonio e Tacito, le loro pagine più note contenenti racconti
di miracolo riguardano l’episodio semiumoristico che vede come
protagonista Vespasiano in Alessandria, sulla via del rientro a Roma per
farsi incoronare imperatore. A Vespasiano un cieco e un uomo con un
piede storpiato (o una mano storpiata) chiedono entrambi di essere
guariti. Dapprima Vespasiano si rifiuta, ma dopo essersi consultato con
il suo seguito e con i dottori, che esprimono una qualche speranza di
poter curare entrambi i casi, Vespasiano decide infine di provarci.
Sembra impegnarsi in una specie di scommessa alla Blaise Pascal: tentare
non gli costa nulla e anzi potrebbe guadagnarci qualcosa. I due uomini
vengono guariti. Svetonio e Tacito sembrano raccontare l’intero episodio
strizzando l’occhio e col sorriso sulle labbra, un atteggiamento
condiviso probabilmente dallo stesso Vespasiano. L’intero episodio
appare come un equivalente del I secolo di una ‘foto d’occasione'
scattata dal public relations team di Vespasiano per conferire al
neoimperatore una legittimità divina; per gentile concessione del dio
Serapione, il quale si presume abbia ordinato ai due uomini di andare da
Vespasiano. Anche in questo caso sia per quanto riguarda il contenuto
che per quanto concerne la forma siamo lontani dalle tradizioni sui
miracoli dei quattro vangeli, per non dire dal modello complessivo del
ministero di Gesù, entro il quale rientrano perfettamente anche i suoi
miracoli.
4) Al pari del criterio della discontinuità, anche quello dell'imbarazzo
vale solo in misura molto limitata. Le versioni di Marco e di Q
della controversia su Beelzebul (Mc 3,20-30;
Mt 12,22-32 e
par.) indicano che a volte gli esorcismi compiuti esponevano Gesù
all’accusa di essere d’accordo con il diavolo, un’accusa che egli
respinge con vari argomenti. Sembra improbabile che la chiesa abbia
pensato di inventare di propria iniziativa una vicenda del genere, che
colloca Gesù - ed è il minimo che si possa dire - in una luce ambigua.
Che l’accusa sia stata sollevata soltanto in occasioni specifiche o in
un’occasione particolare può essere riflesso nel fatto che non è
presente in tutti i racconti di esorcismo e non è mai riferita ai
miracoli di Gesù in generale.
5) In quale misura il criterio del
rifiuto di cui è stato oggetto Gesù e della sua esecuzione
capitale conferma la tradizione secondo la quale egli fu ritenuto un
operatore di miracoli? Per rispondere adeguatamente a questo
interrogativo dovremo attendere fino al momento in cui tratteremo i
problemi storici riguardanti l’arresto di Gesù, il suo processo o i suoi
processi, e la crocifissione. Tuttavia, possiamo precisare qui alcuni
punti generali. Certi studiosi guardano ai miracoli di Gesù come a uno
dei motivi principali che spiegano perché alla fine egli fu crocifisso.
La magia, si argomenta, era illegale nell'impero romano e così i
miracoli di Gesù - un non conformista spesso in conflitto con le
autorità religiose - avrebbero naturalmente assunto il tono
dell’illegalità, una specie di banditismo religioso che attaccava
l’autorità e la legittimità dei sacerdoti di Gerusalemme e del loro
tempio. Paul Hollenbach va persino oltre e combina insieme un’esegesi
acritica e varie teorie sociologiche e psicologiche per sostenere che
sono stati in particolare gli esorcismi di Gesù a indurre le autorità
pubbliche a considerarlo pericoloso per lo
status quo e quindi a
giustiziarlo: «il primo esorcismo di Gesù portò inevitabilmente alla sua
crocifissione».
Orbene, è vero che in linea di
principio nell'impero romano la magia era illegale, ma le leggi del
tempo non precisavano nei dettagli ciò che poteva essere qualificato
esattamente come magia. In pratica molto era lasciato alla discrezione
dei magistrati locali. Grosso modo si può dire che soltanto la ‘magia
nera’, vale a dire quelle arti segrete usate per fare del male ad altri,
era solitamente punita, se portata all'attenzione delle autorità. Coloro
che erano dediti a pratiche più benigne di solito erano lasciati stare.
Poiché i vangeli non riferiscono alcun miracolo di Gesù inteso
direttamente a nuocere a qualcuno o a punire qualcuno
[2],
anzi poiché i miracoli di Gesù nei vangeli sono quasi del tutto benefici
nei loro effetti, è difficile vedere come gesti quale la guarigione di
un malato o la liberazione di determinate persone dal potere dei demoni
potessero essere considerati azioni criminali. Come abbiamo visto,
l'unica possibile eccezione era la pratica dell’esorcismo, che indusse
alcuni giudei - storicamente non possiamo dire chi e quanti - ad
accusare Gesù di essere alleato di Beelzebul.
È significativo che, quando prendiamo in esame le varie tradizioni sul
processo o sui processi intentati a Gesù e le diverse accuse mosse
contro di lui, non c’è praticamente alcun indizio del fatto che i
miracoli costituissero la ragione principale della sua condanna ed
esecuzione. Ciò è tanto più curioso in quanto tutti gli evangelisti,
operando per unificare il materiale del loro vangeli e trarne opere
letterarie con trame coerenti, lo fanno anche segnalando già in
precedenza nei loro racconti che i miracoli di Gesù indussero vari
partiti a complottare per ucciderlo (per esempio,
Mc 3,6;
Mt
12,14; più blandamente Lc 6,11;
Gv 5,18, con veemenza
crescente lungo il resto del ministero pubblico). Tuttavia, quando,
infine arriviamo effettivamente all’arresto e al processo o ai processi
di Gesù, non ci viene detto nulla sui miracoli come motivo della sua
condanna ed esecuzione. Nelle varie versioni del processo o dei processi
di Gesù leggiamo di alcune accuse che sono più direttamente politiche e
mirano ad attirare l’attenzione di Pilato (Gesù sostiene di essere re
dei giudei e quindi un rivale di Cesare, egli sobilla o corrompe il
popolo con il suo insegnamento, vieta di pagare le tasse a Cesare [Mc
15,2 e parr.; Lc 23,2-3]), e
di alcune domande inquisitorie che sono semplicemente vaghe (il sommo
sacerdote interroga Gesù sul suo insegnamento e sui suoi discepoli [Gv
18,19]). È interessante che tra le versioni ampiamente differenti sul
processo o sui processi di Gesù e nelle accuse mossegli in nessuna vi
sia anche una sola parola sui suoi miracoli.
Questo dato sorprende per la sua
stranezza, dopo la nostra panoramica sulla presenza massiccia di
miracoli in ciascuno dei ritratti che i vangeli fanno del ministero
pubblico di Gesù e dopo aver visto come gli stessi evangelisti
asseriscano già presto nei loro racconti che alcuni gruppi cercarono la
morte di Gesù a motivo di un qualche miracolo da lui compiuto. In certo
qual modo, si ha una curiosa impressione di incoerenza tra uno degli
elementi più importanti del racconto del ministero pubblico (vale a dire
i miracoli, che a volte scatenano progetti intesi a uccidere Gesù) e le
accuse mosse allo stesso Gesù durante il processo o i processi intentati
contro di lui. Perciò, almeno a questo stadio della nostra indagine
e
semplicemente sulla base dei vari modi in cui tutti e quattro i
vangeli descrivono tale processo o tali processi, non possiamo trovare
alcuna documentazione che induca a ritenere che i miracoli di Gesù,
presi per se stessi, abbiano costituito uno dei motivi più importanti
per l’arresto, la condanna e la crocifissione del Nazareno.
A mio modo di vedere, peraltro, dobbiamo lasciare aperta la possibilità
che i miracoli siano stati una ‘circostanza aggravante’ che ha portato
alla morte di Gesù. Non è questa la sede per impegnarci in
un'argomentazione dettagliata su chi o che cosa fu coinvolto
nell’arresto e nel processo o nei processi di Gesù e perché. Per adesso,
e semplicemente in funzione dell’argomentazione, come storico accetto il
punto sul quale Flavio Giuseppe nel suo
Testimonium Flavianum
concorda con tutti e quattro i vangeli
(Antichità 18,3,3 § 64):
«Pilato, per un’accusa portata [o probabilmente; per una incriminazione
presentata] dai nostri capi, lo condannò alla croce». Vale a dire,
Pilato, il quale in qualità di prefetto romano della provincia della
Giudea aveva il supremo potere di vita e di morte sugli abitanti della
provincia, esercitò tale potere crocifiggendo Gesù. Lo fece dopo che
«nostri capi [alla lettera: i primi]», senza dubbio il sommo sacerdote e
altri ufficiali attorno a lui, inclusi forse alcuni esponenti
dell’aristocrazia laica, portarono all’attenzione di Pilato una qualche
denuncia o incriminazione contro Gesù. Che Giuseppe Caifa («Kaiàphas»),
il sommo sacerdote, e Pilato, il prefetto, abbiano lavorato in perfetto
accordo per risolvere il problema chiamato Gesù non deve sorprendere.
Non fu un caso che la durata notevole del periodo in cui riuscirono a
restare in carica entrambi i governanti grosso modo coincida: Caifa dal
18 al 36 d.C. e Pilato dal 26 al 36. Caifa poté restare in carica più di
qualsiasi altro sommo sacerdote nel I secolo d.C. e Pilato fu o il più
longevo o il secondo prefetto più longevo che governò la Giudea. La loro
astuta cooperazione, utile ad entrambi i capi, anche se non sempre ai
loro sudditi, fu uno degli esempi di maggior successo tra i tentativi di
Roma di governare in oriente la popolazione locale servendosi
dell’aristocrazia autoctona, con il potere ultimo ovviamente nelle mani
dei romani.
Se Caifa e i capi aristocratici attorno a lui in Gerusalemme portarono
però dinanzi a Pilato accuse contro Gesù, perché lo fecero?
Indipendentemente dall’esatta formulazione dell’accusa che essi
presentarono a Pilato (forse qualcosa relativo alla pretesa di «essere
re dei giudei»); quale fu il vero motivo per cui essi videro in Gesù un
elemento di disturbo e cercarono di liberarsi di lui? La trattazione
dettagliata della questione è rimandata ad un capitolo successivo. Per
il momento vorrei semplicemente proporre la seguente ipotesi.
Ritengo che sia un errore fondamentale chiedersi quale fu
la
ragione per cui Caifa volle far arrestare Gesù e farlo giustiziare.
Gesù, è questa la mia opinione, è stato arrestato non per una ragione
particolare, ma per una convergenza di motivi., Qui torniamo al punto
che ho sottolineato sopra; l’importanza di tenere bene in mente la
configurazione totale, il modello, o Gestalt del ministero di
Gesù, Le ragioni 'implosive' che hanno spinto Caifa ad agire includevano
senza dubbio: la proclamazione da parte di Gesù che il regno definitivo
di Dio sarebbe giunto presto ed avrebbe posto termine all’attuale
situazione nel mondo in generale e in Israele in particolare e allora lo
stesso Israele sarebbe stato restaurato nella sua gloria e ricostituito
come dodici tribù del tempo finale; la sua pretesa di insegnare con
autorità la volontà di Dio per la vita del popolo, anche se in casi
singoli ciò sembrava andare contro le direttive contenute nella legge di
Mosè; la sua capacità di attirare un ampio seguito, e forse la sua
decisione di creare una cerchia più ristretta e stabile di 12 discepoli,
rappresentanti dei 12 patriarchi e delle 12 tribù dell’Israele
restaurato; la sua pratica di un rito particolare di battesimo per
accogliere alcuni nel suo gruppo di discepoli; e la sua condotta
personale non convenzionale, che si esprimeva nella condivisione di
mensa con esattori e peccatori.
Preso insieme, tutto questo bastava per creare disturbo. Se si aggiunge
a questa mistura mutevole la probabilità che almeno alcuni dei seguaci
di Gesù fossero convinti che egli discendesse dal re Davide e che perciò
lo considerassero il messia davidico atteso da alcuni pii giudei, e se
per giunta si ammette la possibilità che a volte Gesù abbia parlato,
almeno in termini velati, del suo futuro ruolo nel dramma escatologico,
forse usando persino titoli o auto designazioni, la miscela diventa
esplosiva. Se poi si accetta la storicità fondamentale del cosiddetto
ingresso trionfale in Gerusalemme (Mc 11,1-11 e parr,) e la cosiddetta purificazione del tempio (di
fatto un segno profetico della sua futura distruzione,
Mc 11,15-19 e parr.), abbiamo il fiammifero posto sotto il barile di
benzina. Se proseguendo ulteriormente si aggiunge a tutto questo il
fatto che Gesù compì azioni considerate miracolose, iniziative intese
sia come realizzazione parziale del regno di Dio veniente, sia come
legittimazione della sua pretesa nei confronti di Israele, iniziative
che ovviamente devono aver suscitato una grande eccitazione tra il
popolo, allora - agli occhi dei sacerdoti governanti in Gerusalemme - i
miracoli non potevano non assumere una colorazione ancor più minacciosa
e pericolosa, che non hanno se considerati isolatamente. Sarei dell'idea
pertanto che nel condurre Gesù ai Calvario i miracoli possono essere
stati una circostanza aggravante piuttosto che una delle cause
principali.
Con questo sono
stati esaminati a fondo tutti e cinque i criteri primari di autenticità.
Se volgiamo la nostra attenzione ai criteri secondari, vediamo presto
che essi offrono soltanto un sostegno frammentario. Alcuni punti,
tuttavia, sono degni di nota. Per esempio, mentre la stragrande
maggioranza dei racconti di miracolo nei vangeli sono stati
schematizzati e generalizzati durante il cammino percorso per
raggiungere gli evangelisti e perciò ci mettono di fronte a personaggi
anonimi che operano in contesti anonimi, pochi racconti conservano
tracce della loro originaria lingua aramaica e del colorito palestinese.
Per esempio due dei rari casi in cui le parole di Gesù sono state
conservate in aramaico si riscontrano nei racconti di miracolo marciani:
talitha koum («ragazzina, alzati»), parole rivolte alla figlia di
Giairo (Mc 5,41), e
ephphatha («apriti»), espressione
pronunciata da Gesù quando guarisce l’uomo sordo e impossibilitato a
parlare (7,34).
Analogamente, sono poche le eccezioni alla regola generale secondo cui,
nei racconti di miracolo narrati ampiamente gli unici attori che sono
menzionati regolarmente per nome sono Gesù e i suoi discepoli più
vicini. A parte i discepoli che appartengono alla cerchia dei Dodici, i
richiedenti e i destinatari dei miracoli sono solitamente anonimi.
Perciò persone come Giairo, il capo della sinagoga
(Mc 5,22), il
mendicante cieco Bartimeo incontrato da Gesù lungo la via che va da
Gerico a Gerusalemme (Mc 10,46) e Lazzaro di Betania (Gv 11,1), spiccano tra i
racconti di miracolo normalmente senza volti e senza nomi in tutti e
quattro i vangeli. La menzione dei loro nomi è degna di rilievo in
particolare se si considera che alcuni dei racconti ampi, dettagliati, a
volte contenenti nomi geografici, non conservano però il nome del
beneficiario del miracolo; per esempio, i lunghi racconti
dell’indemoniato di Gerasa (Mc
5,1-20 e parr.), del ragazzo indemoniato e di suo padre sconvolto (Mc
9,14-29 e parr.), e l’uomo nato cieco, che domina il racconto per tutto
il cap. 9 del vangelo secondo Giovanili. Analogamente, sorprende il
fatto che i richiedenti siano di condizione sociale relativamente
elevata, per esempio il centurione in
Mt 8,5 e l’ufficiale regio
in Gv 4,46 non sono menzionati per nome, anche se si precisa il
luogo in cui essi esprimono le loro richieste (rispettivamente Cafarnao
e Cana).
Manco a dirlo, il
semplice fatto di individui che sono menzionati esplicitamente non
garantisce la storicità del racconto che li riguarda. Si deve
riconoscere la possibilità che nella tradizione dei vangeli ci sia stata
la costruzione di leggende. In effetti, come ha fatto notare da lungo
tempo E.P. Sanders, non si può parlare globalmente
delle tendenze
della tradizione sinottica. Di fatto, tendenze come quella:
di dilatare o accorciare la tradizione, di aggiungere o lasciar cadere
nomi propri vanno in entrambe le direzioni. Tuttavia, entro l'ambito
molto limitato dei racconti di miracolo dei quattro vangeli canonici,
sembra ci sia una tendenza pronunciata a non conservare nomi propri dei
richiedenti o destinatari, eccezion fatta per i dodici discepoli. In
verità, ciò che è particolarmente degno di nota, alla luce dell’aumento
dei nomi propri nelle leggende cristiane posteriori, è che nei miracoli
dei sinottici, quando passiamo dai racconti in Marco ai loro paralleli
in Matteo e in Luca, non riscontriamo questa tendenza ad aggiungere,
nomi propri. Matteo in particolare tende invece a omettere i nomi che
Marco ha. Perciò si dovrebbero prendere sul serio le caratteristiche
insolite della presenza di nomi propri nei pochi racconti di miracolo
dei vangeli che li contengono.
Per esempio, nei
vangeli sinottici l’unica persona singola che sia menzionata
direttamente mentre richiede una guarigione o, l’esorcismo di un’altra
persona, è Giairo, «uno dei capi della sinagoga»,
(Mc 5,22). Il
fatto che «uno, dei capi della sinagoga»
(héis tōn archisynagogòn)
sia messo in una luce così favorevole può essere già per se stesso
significativo. Matteo, per il quale «la sinagoga» finisce col
rappresentare gli avversari giudei della chiesa cristiana,
significativamente lascia cadere non soltanto il nome proprio del
richiedente, ma anche la sua carica specifica. Così costui diventa
semplicemente e vagamente «un capo», (àrchōn héis,
in Mt
9,18). Marco, e si direbbe anche la tradizione che lo
precede, non avverte ancora alcuna difficoltà a presentare un capo di
sinagoga, noto col suo nome, che richiede e riceve da Gesù un miracolo
particolarmente sorprendente.
Per passare dal richiedente al beneficiato: Bartimeo è l’unico
destinatario di una guarigione e esorcismo nei racconti ampi di miracolo
dei sinottici a essere menzionato per nome. Di fatto, qui si ha anche la
rara congiunzione di un nome di persona con un nome di località (Gerico,
che Gesù aveva appena abbandonato per salire a Gerusalemme per la pasqua
fatale della sua morte). La congiunzione di un nome di persona, di un
nome di località e della designazione almeno approssimativa del tempo,
(vicino alla pasqua della morte di Gesù) è altrimenti inaudita nei
racconti di miracolo dei sinottici. L’unico racconto di miracolo nel
vangelo secondo Giovanni che somigli a quello di Bartimeo sotto questo
aspetto è il risuscitamento di Lazzaro, dove il destinatario (Lazzaro),
i richiedenti (Marta e Maria), il luogo (Betania) e il tempo
(pressappoco vicino alla pasqua della morte di Gesù), sono tutti
segnalati. A parte questa eccezione, in Giovanni i racconti di miracolo
sono anonimi (in particolare per quanto concerne il nome del
beneficiato) quanto lo sono gli esempi sinottici
[3].
Nell'insieme dunque c’è una scarsità sorprendente di nomi personali nei
racconti di miracolo dei vangeli, anche se sotto, altri aspetti tali
racconti sono ampi e dettagliati. Sicché le poche volte in cui il nome
di un richiedente o di un destinatario viene menzionato può essere
indizio di un ricordo storico. Nel migliore dei casi però questo è un
criterio secondario e di appoggio. Su di esso soltanto non si può
costruire alcun argomento in favore della storicità.
3. Conclusione sulla problematica
generale
Riepilogando, il fatto sporico che Gesù abbia compiuto gesti
straordinari ritenuti miracoli, da lui stesso o da altri, è comprovato
decisamente dal criterio dell’attestazione molteplice delle fonti e
delle forme e dal criterio della coerenza. Le tradizioni sui
miracoli nel ministero pubblico di Gesù sono attestare in varie fonti e
forme letterarie già verso la fine della prima generazione cristiana in
maniera così ampia, che una creazione
in toto da parte della
chiesa primitiva è, per essere concreti, praticamente impossibile. Altre
fonti letterarie della seconda e terza generazione, - M, L, Giovanni e
Flavio Giuseppe - non fanno che confermare questa impressione. Il
criterio della coerenza comprova anch’esso la storicità; la nitida
correlazione tra le parole e le azioni di Gesù che emerge da molte fonti
differenti è sorprendente.
Invece, gli altri criteri primari
(la discontinuità, l’imbarazzo, il rifiuto e l’esecuzione capitale)
forniscono al più argomenti soltanto parziali
deboli. Analogamente, i
criteri secondari dell’uso dell’aramaico, del colorito palestinese e le
tendenze della tradizione dei miracoli all’interno dei
quattro vangeli
forniscono al meglio un sostegno soltanto ‘dopo il fatto’. Vale a dire,
data la documentazione importante e convincente proveniente dai criteri
dell’attestazione molteplice e della coerenza, gli altri criteri
orientano tutti nella medesimo direzione della storicità. Per dirla in
termini
negativi; nessuno
degli altri criteri va contro i due criteri decisivi; tutti
forniscono almeno un
debole sostegno.
Il curioso esito della nostra indagine è che, considerata globalmente,
la tradizione dei miracoli di Gesù è sostenuta dai criteri di storicità
più fermamente di quanto non lo siano diverse altre tradizioni ben note
e spesso accettate senza alcuna difficoltà sulla sua vita e il suo
ministero (vale a dire, la sua condizione di carpentiere, il suo uso di
'abba' nella preghiera, la preghiera da lui formulata nel
Getsemani prima dell’arresto). Per dirla in termini drastici, ma senza
troppa esagerazione: se la tradizione sui miracoli durante il ministero
pubblico dì Gesù dovesse essere rifiutata del tutto come astorica,
altrettanto bisognerebbe fare per qualsiasi altra tradizione evangelica
su di lui. In effetti, se i criteri di storicità non valgono nel caso
della tradizione sui miracoli, non c'è motivo dì aspettarsi che essi
valgano altrove. L’indagine dovrebbe essere semplicemente abbandonata.
Inutile dire che non è questa la conclusione alla quale siamo arrivati.
Dopo aver dato una
risposta alla questione globale della storicità,
volgiamo ora la nostra
attenzione a un interrogativi molto più difficile: la
storicità (nel senso modesto definito sopra) di tutti e singoli i
racconti
di
miracolo
presenti nei quattro vangeli.
(Nota del redattore del sito.
Nei capitoli seguenti l'autore esamina nel dettaglio i vari tipi di
miracoli: esorcismi, guarigioni, risuscitamenti e miracoli sulla natura.
Io riporto solo l'introduzione ai suddetti capitoli. Si sappia che nel
secondo volume ben 642 pagine sono dedicate ai miracoli)
Prologo all’inventario: i vari tipi di miracolo di Gesù.
Come abbiamo visto, vari criteri di storicità rendono molto probabile
che il Gesù storico abbia preteso di compiere miracoli e che tanto i
suoi seguaci quanto i suoi nemici fossero convinti che egli era
effettivamente capace di compiere gesti miracolosi. Più concretamente:
Gesù prese l’iniziativa di compiere gesti straordinari come la
guarigione di malati e l’esorcismo per scacciare i demoni; e sia lui che
i suoi seguaci considerano miracoli i risultati positivi di queste
azioni (nel linguaggio dei nostri vangeli greci:
dynameis [azioni
potenti], sêméia [segni],
térata [prodigi],
paràdoxa
[gesti stupefacenti] e thaumàsia [gesta mirabili]).
Una cosa è essere in grado di fare quest’affermazione
globale.
Tutt’altra cosa è passare ad analizzare i particolari tipi di miracolo o
i singoli racconti di miracolo ed esprimere un giudizio sulla loro
storicità. Ovviamente, è più facile parlare della storicità dei
tipi di miracolo. Vale a dire,
è più facile asserire che Gesù ha fatto 'cose di questo genere', nel
senso che quanto meno alcuni dei suoi contemporanei pensavano che
effettivamente egli aveva restituito la vista ai ciechi, esorcizzato
alcuni indemoniati e persino risuscitato alcune persone morte. La
ragione per cui è più facile fare queste asserzioni globali è
l’attestazione molteplice di questi tipi
di miracolo, che
riscontriamo tanto nei racconti che nei detti.
A questo punto la ragione per cui è difficile esprimere un giudizio sui
singoli racconti di miracolo dovrebbe risultare ovvia. Da un
lato, i miracoli di Gesù sono stati raccontati secondo i motivi, i temi
e le forme che erano usuali nel mondo greco-romano. Un racconto
particolare che era non soltanto storico ma anche del tutto insolito,
mentre era tramandato poteva facilmente assumere i contorni
convenzionali della forma letteraria che noi chiamiamo racconto di
miracolo, con la conseguenza che in questo processo i tratti specifici
dell’evento storico andarono perduti. D’altro cauto, i narratori nella
chiesa primitiva e gli uditori curiosi ai quali essi si rivolgevano,
potevano favorire la tendenza opposta: l’introduzione nel racconto di
personaggi con nomi precisi, la collocazione degli episodi in luoghi
familiari, nonché l’aggiunta di dettagli coloriti allo scopo di
vivacizzare la narrazione.
Inoltre, poiché la
chiesa in generale e gli evangelisti in particolare utilizzavano i
racconti di miracolo come simboli della salvezza che Gesù aveva portato,
è possibile che quei tratti che meglio servivano a tale funzione
simbolica fossero evidenziati oppure venissero addirittura inventati.
Per esempio, alcuni dei dettagli riguardanti i racconti delle
moltiplicazione dei pani possono riflettere le tradizioni sull’ultima
cena di Gesù o sull’eucaristia della chiesa. In alcuni casi è possibile
che l’intero racconto di miracolo si sia sviluppato a partire dalla
drammatizzazione di un detto o di una parabola di Gesù. Candidati
chiamati in causa a volte
come esempi
di questo processo di drammatizzazione sono il cambiamento dell’acqua in
vino a Cana, la maledizione del fico e il risuscitamento di Lazzaro.
Un altro problema che nasce quando si tratta di esprimere un giudizio,
su ciascun miracolo, in particolare su quelli che implicano una
guarigione, è che la descrizione della malattia e di altre difficoltà
che si presentano a Gesù non di rado è vaga. Sentiamo parlare di un
‘uomo paralizzato’ che non può camminare, di un uomo con ‘una mano
rattrappita’, di una donna ‘ricurva’, di una donna con una perdita di
sangue, di ‘lebbrosi’, di ‘ciechi’, e via dicendo. Non si dice quale
fosse la patologia precisa in ciascun caso, quale la causa di essa,
quanto fosse seria o irreversibile tale patologia, né si precisa se la
guarigione operata da Gesù sia stata permanente. Dal nostro sguardo
veloce al comitato di medici di Lourdes, possiamo ricordare quanto sia
difficile giudicare pretese 'guarigioni inspiegabili' anche quando la
documentazione clinica e le interviste personali sono disponibili a
dottori del secolo XX. Che cosa dovrà fare lo storico o l’esegeta
posto dì fronte a un abisso di 20 secoli e quasi del tutto privo di
descrizioni mediche attendibili, in particolare quando non c’è alcuna
documentazione sul fatto se la persona curata abbia subito in seguito
una qualche ricaduta o meno?
In aggiunta, anche là dove la patologia nei racconti di miracolo dei
vangeli sembra relativamente chiara, l’interpretazione dell’episodio può
essere resa complicata dalla distanza culturale e scientifica che ci
separa dal I sec. d.C. Per esempio, l’episodio del ragazzo posseduto, in
Mc 9,14- 29, elenca sintomi che rendono probabile l’ipotesi che
il ragazzo soffrisse di epilessia. Peraltro, non solo è dubbio il tipo
preciso di epilessia, ma più rilevante è il fatto che gli attori
principali nella vicenda - Gesù, i discepoli e il padre del ragazzo -
nonché gli evangelisti considerino il caso come un episodio di
possessione demoniaca e non semplicemente di infermità fisica. Sicché,
anche se noi accostiamo un episodio che sembra facile da trattare a
motivo della descrizione concreta della malattia, dobbiamo ricordare che
la moderna concezione del mondo che automaticamente ci determina è
lontana anni luce da quella di Gesù e degli evangelisti, i quali
condividevano la credenza culturale coeva che la sofferenza del ragazzo
fosse causata da un demonio. Anche in quei casi rari nei quali il
problema diagnostico nel racconto evangelico è relativamente chiaro,
dobbiamo ricordarci costantemente di quanto sia diverso il nostro
orizzonte mentale moderno da quello di Gesù e degli evangelisti.
Per tutti questi motivi è più facile analizzare i tipi di miracolo che
Gesù pretese di compiere o che si riteneva operare che non giudicare la
storicità di un singolo racconto di miracolo, in particolare per quanto
concerne i dettagli del racconto stesso. Non si tratta certo di una
prospettiva nuova o controversa. Persino studiosi conservatori o
moderati, i quali accettano la storicità globale della tradizione
secondo cui Gesù compì gesti che erano considerati miracoli, sono cauti
quando si tratta di valutare i singoli episodi. Nella panoramica
seguente perciò raggrupperemo i racconti di miracolo nei vangeli secondo
i tipi, per poter studiare i modelli generali, oltre che per poter
analizzare i singoli racconti. Anche se non saremo sempre in grado di
esprimere un giudizio sicuro su ciascun racconto concreto, il nostro
sguardo d’insieme tuttavia può far luce su alcuni modelli interessanti
in base ai quali ripartire i racconti di miracolo nel loro insieme; per
esempio, quali tipi di miracolo Gesù compì effettivamente o ritenne di
compiere e, per contrasto, quali tipi di miracolo sono relativamente
rari nella tradizione evangelica?
Per quanto riguarda i singoli
racconti di miracolo, il lettore deve ricordare che il nostro obiettivo
è molto limitato: la ricerca di indizi del fatto che l’episodio risale a
Gesù o, alternativamente, che è stato inventato dalla chiesa primitiva.
Di conseguenza, la
forma letteraria e la teologia redazionale con le quali gli evangelisti
hanno rivestito i loro racconti, pur essendo importanti in altri
contesti, non sono oggetto diretto di questa rapida panoramica sui dati.
Nota del redattore del sito: Il testo che riporto è colmo di note. Io riferisco solo queste tre note in maniera parziale.
[1]
Quanto segue è l’elenco completo che fornisce D. E.
Aune,
Magic in
Early Christianity
in "Aufsteig und Niedergang der römischer Welt" II.23.2
(1980) , diviso secondo le tradizionali allegorie
morfocritiche (con l'introduzione di lievi modifiche redazionali
e di correzioni).
A)
Sei esorcismi: l) l’indemoniato nella sinagoga (Mc
1,23-28 //
Lc 4,33-37); 2) l'indemoniato geraseno (o gadareno)
(Mc
5,1-20 //
Mt
8,28-34 //
Lc
8,26-29); 3) la figlia della donna sirofenicia (o cananea) (Mc
7,24-30//
Mt
15,21-28); 4) il ragazzo indemoniato e suo padre (Mc
9,14-29// Mt 17,14-21
// Lc 9,37-43); 5)
l'indemoniato muto (Mt 9,32-34); 6) l'indemoniato cieco e
imito (Mt 12,22-23
//
Lc 11,14-15;
cfr. Mc 3,22). Alcuni computano solo cinque esorcismi,
perché considerano Mt 9,32-34 una semplice variante
redazionale, un pallido riflesso o doppione di
Mt
12,22-24.
B) Diciassette guarigioni: 1) la suocera di Pietro (Mc
1,29-31 // Mt 8,14-15
// Lc
4,38-19); 2) il
lebbroso (Mc 1,40-45
//
Mt 8,1-4 // Lc 5.12-16);
3) il paralitico (Mc 2,1-12
//
Mt 9,1-8
//
Lc 5,17-26);
4) l’uomo con la mano rattrappita (Mc 3,1-6 //
Mt
12.9-14 // Lc
6,6-11); 5) la figlia di Giairo
(Mc
5,21- 24.35-43 //
Mt 9,18-19.23-26 //
Lc 8,40-42.49-56); 6) la donna con una emorragia
(Mc
5,25-34 //
Mt
9,20-22 //
Lc
8,43 48); 7) il sordomuto (Mc 7,31-36); 8) il cieco nei
pressi di Betsaida (Mc
8,22-26); 9) il cieco Bartimeo
(Mc 10,46-52
// Mt
20,29-34 [cfr. il doppione in
Mt 9,27-31]
//
Lc
18,35-43); 10) Il giovinetto di Nain (Lc
7,11-17); 11) la donna ricurva (Lc
14,1-6); 12) i dieci lebbrosi
(Lc 17,11-19); 13) L'uomo
colpito da idropisia (Lc 14,1-6); 14) il paralitico
presso la piscina (Gv 5.1-9); 15) il risuscitamento di Lazzaro
(Gv
11); 16) l’uomo nato cieco (Gv 9); 17) il servo del
centurione (Mt 8,5-13
//
Lc 7, 1-10 //
Gv 4,46-54). Alcuni
vorrebbero contare separatamente
Gv 4,46-54.
C) Otto cosiddetti miracoli sulla natura: 1) la
tempesta sedata (Mc 4,35-41
// Mt 8,23-27
// Lc 8,22-25); 2) il
nutrimento per i cinquemila (Mc 6,32-44
// Mt 14,13-21 //
Lc 9.10-17); 3) il
nutrimento dei quattromila (Mc 8,1-10
//
Mt
15,32-39); 4) Gesù che cammina sulle acque
(Mc
6,45-52 // Mt 14,22-33
// Gv 6,16-21); 5)
la maledizione del fico (Mc 11,12-14.20-26
// Mt 21,18-22); 6)
la moneta nella bocca del pesce
(Mt 17,24-27); 7) la
pesca miracolosa (Lc 5.1-11; cfr.
Gv 21,1-4); 8)
il cambiamento dell’acqua in vino
(Gv 2,1-12).
Questo schema cosi lineare nasconde un certo numero
di difficoltà. 1) Poiché Marco e Matteo considerano il
nutrimento dei quattromila e quello dei cinquemila
come due eventi distinti, essi vengono contati come racconti
distinti dal punto di vista letterario. L'opinione comune è che
di fatto si tratti di varianti della medesima tradizione
fondamentale o del medesimo evento e che forse queste due
varianti fossero già inserite in due cicli paralleli di racconti
prima ancora di Marco. Alcuni studiosi sono favorevoli alla
prima ipotesi ed altri alla seconda. 2) Un’altra difficoltà nel
contare i racconti di miracolo secondo le tre categorie
morfocritiche (esorcismi, guarigioni e miracoli sulla natura)
consiste nel fatto che la redazione di un evangelista
particolare può trasferire un racconto da una categoria
all'altra. Per esempio, la guarigione della suocera di Pietro
appartiene alla categoria dei miracoli di guarigione in
Mc 1,30-51, ma la
redazione di Luca lo sospinge nella direzione di un esorcismo
(Lc 4,38-39: la suocera di Pietro era «colpita» da, o «nella
morsa» di una febbre elevata; «chinatosi sopra di lei, egli
[Gesù] sgridò la febbre e questa la lasciò»). 3). Una terza
difficoltà riguarda la collocazione dei racconti di
risuscitamento di persone defunte. Qui essi sono stati
annoverati tra i miracoli di guarigione, come esempi estremi di
guarigione; è questa la forma alla quale essi assomigliano più
chiaramente. Si potrebbe però pensare di collocarli invece tra i
miracoli sulla natura. Per non complicare questa panoramica
iniziate, per ora lascerò i racconti di risuscitamento entro la
categoria delle guarigioni. Peraltro, per amore di chiarezza
quando arriveremo all’analisi dettagliata dei singoli racconti
tratterò i miracoli di risuscitamento come categoria distinta.
4) Una quarta difficoltà, enorme, è dovuta alla questione se sia
valida o no la categoria stessa di 'miracoli sulla natura'. Come
risulterà chiaro quando tratteremo questo argomento in
dettaglio, non penso che i ‘miracoli sulla natura’ costituiscano
una categoria valida. Per giunta, almeno uno dei 'miracoli'
elencati in questa categoria non è mai raccontato come tale
(vale a dire, la moneta nella bocca del pesce). Ancora una
volta, nel testo accetto per il momento la classificazione
tradizionale, per non porre il lettore di fronte a troppe
complicazioni nella panoramica iniziale e nell'inventario dei
miracoli dei vangeli.
[2]
La mia formulazione è scelta con accuratezza:
«i vangeli non riferiscono alcun miracolo di Gesù inteso
direttamente a nuocere a qualcuno o a punire qualcuno». In due
casi si presume - per quanto il racconto non parli mai del
problema né vi rifletta - che qualche proprietario di beni sia
stato indirettamente danneggiato in una parte della sua
proprietà che è stata distrutta come conseguenza di un
miracolo». I due casi sono; 1) il gregge di circa duemila porci,
nei quali entrano i demoni che erano stati scacciati
dall'indemoniato geraseno, spingendo i maiali a gettarsi nel
Lago di Galilea, dove affogano (Mc
5,11-15 e parr.): 2) il fico che rinsecchisce dopo che Gesù ha
pronunciato contro di esso una maledizione perché, avendo fame,
non aveva trovato alcun frutto su questo albero (Mc
11,12- 14.20-26 e parr.). I due racconti suscitano alcuni
interrogativi interessanti per la critica delle forme e della
redazione, per non dire dei teologi interessati alla giustizia
sociale, ma non hanno grande interesse per gli studiosi intenti
all'indagine del Gesù storico. Esegeti di varie tendenze, che
differiscono notevolmente tra di loro nei tentativi di
ricostruire ipotetici episodi originari dietro gli attuali
racconti, sono d’accordo sull'idea che entrambi gli aneddoti
(vale a dire l''affogamento dei porci e la maledizione del fico
non risalgano al Gesù storico, quanto meno nella loro forma
attuale. Essi rappresentano piuttosto sviluppi leggendari o
reinterpretazioni recenti di una tradizione precedente. Per una
breve trattazione dei due racconti, vedi A. Vögtle,
"The miracles of
Jesus" in "Jesus in
his time", H.J. Scultz ed. 1971, cit. 103-104.
Mi occuperò di entrambi i
casi in dettaglio nei capitoli seguenti, quando parleremo degli
esorcismi (per l’episodio dei maiali) e dei cosiddetti miracoli
sulla natura (per la maledizione del fico).
Entrambi i racconti
sembrano simbolici, quanto meno nella loro fomiti attuale.
1) Il motivo
preciso della saga dei porci è oggetto di dibattito tra gli
esegeti, ma secondo me il punto è che Gesù sembra stare al gioco
dei demoni di Gerasa e poi li mette nel sacco. Sembra
inizialmente acconsentire alla loro richiesta di trasferirsi nel
porci, che consentirebbe loro di restare nella regione della
Decapoli ampiamente pagana, ma alla fine i demoni risultano
ingannati. Nemmeno i porci, animali impuri secondo le leggi
giudaiche di purità, possono ospitare i demoni e quindi si
precipitano verso l’autodistruzione (e simbolicamente,
consegnano i demoni al grande abisso del caos, la dimora che
spetta loro), nel mare. Sicché, il racconto dell'esorcismo dì un
pagano disturbato, diventa simbolo dell'espulsione della potenza
del male dal territorio pagano. Probabilmente la comunità di
Marco doveva vedere nell'aneddoto il simbolo del vangelo dì Gesù
Cristo che trionfa sulle potenze della tenebra e le espelle dal
mondo pagano (cosi affermano alcuni studiosi: per es.
J, Craghan, in "The
Gerasene Demoniac"; R, Pesch, Das Markusevangelium; R.
Guelich, "Mark").
2) Quanto alla
maledizione del fico, che nel racconto di Marco incornicia la
'purificazione' (vale a dire la profezia simbolica della
distruzione) del tempio di Gerusalemme, agli occhi di Marco e
della sua comunità essa simboleggia il destino che attende il
tempio e le sue autorità perché non hanno risposto alla chiamata
di Gesù producendo 'frutti' di fede e di penitenza (cfr.
Mc 1,15), a dispetto
della grande ostentazione di attività religiosa (simboleggiata
dalle foglie), J. Crossan, "The Historical Jesus", insieme a molti altri critici (per esempio,
R. Bornkamm, "Pneuma
alalon")
3)
vede giustamente tale simbolismo nel
racconto quanto meno a livello marciano; Pesch non convince
quando lo nega e non trova seguito tra gli esegeti. Se, dal
tempo della loro formulazione iniziale, i due racconti erano
simboli importanti rispettivamente del destino dei pagani e del
tempio di Gerusalemme, non stupisce il fatto che la questione
concreta, pragmatica, del danno inferto, al proprietario del
gregge di porci o del fico sterile non sia mai nemmeno affiorata
nella tradizione evangelica.
[3]
Poiché
stiamo trattando sempre e solo dell'indagine sul Gesù storico,
la questione della risurrezione di Gesù, delle apparizioni dopo
la risurrezione, nonché dei miracoli che le accompagnano si pone
al di fuori dell'orizzonte della nostra indagine. Come abbiamo
fatto notare sopra, la risurrezione di Gesù e le apparizioni
dopo la sua risurrezione non rientrano nella definizione di
miracolo adottata ai fini della nostra indagine nel primo
paragrafo di questo capitolo. In ogni caso, sembra ragionevole
supporre che i racconti riguardanti la risurrezione e le
apparizioni dopo la risurrezione abbiano avuto un tipo di
tradizione diverso da quello dei racconti di miracolo connessi
con il ministero pubblico.
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17 aprile 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net