Domenica della Parola di Dio

Si celebra anche quest’anno 2023, il 22 gennaio, la “Domenica della Parola di Dio”, istituita dal Pontefice il 30 settembre 2019 – memoria liturgica di san Girolamo, traduttore della Bibbia – con il motu proprio Aperuit illis. Obiettivo di questa iniziativa è, nelle parole con cui Francesco chiudeva il suo documento, «far crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le Sacre Scritture, così come l’autore sacro insegnava già nei tempi antichi: “Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30,14)». La data stabilita dal Papa era e resta la terza domenica del Tempo ordinario, a ridosso quindi della Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei e della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

(Dal sito del quotidiano "Avvenire" del 12 gennaio 2023: https://www.avvenire.it/)


 

La questione dell’ispirazione:

lo Spirito santo come autore della Bibbia

 

(Estratto da “Storia della Bibbia”, a cura del Centro Studi MARME, Ed. Piemme Direct, Mondolibri 2008


 

La Chiesa cattolica non sostiene soltanto un generico valore per il canone scritturistico, ma aggiunge, con dichiarazione dogmatica, che le Scritture che sono entrate a fare parte del canone sono state ispirate da Dio stesso, sia quelle del Primo Testamento, che quelle del Secondo.

 

La dichiarazione del Concilio Vaticano I.

Il concetto di ispirazione è stato definito con chiarezza nel Concilio Vaticano I, nel 1870, con queste parole:

«La Chiesa non li considera tali perché, composti per iniziativa umana, siano stati poi approvati dalla sua autorità, e neppure solo perché contengono la rivelazione senza errore, ma perché, scritti sotto l’ispirazione dello Spirito santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati tramandati alla Chiesa». (Denzinger, 3006)

 

Parola di Dio in scrittura umana.

Le parole furono soppesate con estrema attenzione e vale la pena rileggere sostando un poco:

1. «Scritti sotto l’ispirazione dello Spirito...

2. ...hanno Dio per autore...

3. ...come tali sono stati tramandati...»

In questi tre passaggi viene espresso con chiarezza quel che la Chiesa sostiene, riguardo all’ispirazione biblica: l’autore dei testi non è dunque semplicemente l’uomo, né essi sono testi ‘scritti per mano divina’; ma sono testi che nascono da un’ispirazione divina divenuta parola scritta per mano d’uomo. In questo senso, nella parola scritturistica, vi è una perfetta collaborazione tra la volontà divina e quella umana, nel giungere al medesimo fine: parola di Dio per mano d’uomo.

Questa caratteristica (quasi di unione ipostatica: e non è Cristo forse parola divina fatta carne?) esprime l’unicità del cristiano nel rivolgersi alla Bibbia:

 

«Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» [1].

 

Libertà dell’autore umano e divino.

Il Concilio Vaticano II, riprendendo la dottrina del Concilio precedente, aggiungerà e specificherà ulteriormente questo concetto nella Costituzione dogmatica Dei Verbum:

«Per comporre i libri sacri Dio scelse alcuni uomini e si servì di loro nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto le cose che egli voleva».

In questo modo, la Chiesa voleva salvaguardare la libertà vicendevole dell’autore umano e divino, conservando la co-autorialità di entrambi (quanto a libertà del comunicare il dato ispirato) e la preminenza di Dio nella comunicazione del contenuto di verità.

 

Quanto conta il nome di un autore?

Poiché i testi biblici sono scritti per ispirazione divina e in essi appaiono «tutte e soltanto le cose che Dio voleva», ecco che il nome di uno o di un altro autore non è determinante per la bontà della recezione di un testo.

Facciamo un esempio: più volte abbiamo veduto, in questo stesso libro, come un Vangelo, piuttosto che una lettera o un libro veterotestametario, presentatosi sotto il nome di un personaggio si rivela, alla luce della critica storica, anonimo o persino pseudoepigrafico (scritto sotto pseudonimo): questo per alcuni mette in crisi dati conosciuti tradizionalmente; come fidarsi del Vangelo di Giovanni se l’autore non è l’evangelista Giovanni? La risposta è: l’autore è lo Spirito, che ha scritto questo libro con un uomo che ne ha riportato liberamente, senza mutarlo, il contenuto. Per la Chiesa non conta il nome dell’autore: conta la verità della parola, ispirata da Dio a chi Lui ha voluto.

 

La questione dell’interpretazione.

Proprio a partire da quanto detto sopra, ecco che conseguentemente, anche la ‘lettura e interpretazione dei testi biblici’ deve essere coerente; perciò il Vaticano II proseguiva:

«Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».

Il lavoro dell’interprete deve, dunque, come per qualunque altro testo, conformarsi a metodi di lettura che rispettino l’origine (in questo caso divina) del testo da comprendere. L’interprete della Parola di Dio deve ‘sentire’ secondo la fede, per non farsi ingannare sul contenuto. Come si può, infatti, credere alla bontà di un testo, quando non si ha fiducia nel suo Autore?

 

Una parola divina in linguaggio umano.

Un’ulteriore passaggio va fatto: poiché la Parola ispirata di Dio è stata comunque tradotta in un linguaggio comprensibile agli uomini, ecco che anche l’interpretazione deve tenere conto di questa ‘traduzione’; Dio, il suo Spirito, hanno usato modi di comunicazione che gli uomini (scrittori e ascoltatori della Parola) potessero comprendere: generi letterari, terminologia, modi di dire...: oggi noi, andando alla ricerca del senso profondo del messaggio divino, non possiamo che cercare di andare oltre l’apparenza umana che il messaggio ha preso, per potervi reperire il senso divino profondo.

Questo lavoro, d’altronde, va fatto sempre e ogni volta che noi affrontiamo con la nostra cultura un testo scritto in una cultura non più attuale: come non possiamo leggere e comprendere Dante senza conoscere il linguaggio, la filosofia, le usanze della Firenze medievale, così non possiamo comprendere, per esempio, l’Apocalisse di Giovanni senza una conoscenza della letteratura apocalittica, della filosofia, del modo di pensare di quell’epoca. È ancora Dei Ver bum ad aggiungere:

«[...] Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani». (n. 12)

 

Ma Dio ha dettato ogni singola parola?

Un biblista, il cardinale Giambattista Franzelin, vissuto nel XIX secolo, sosteneva che la scelta di parole sarebbe stata lasciata alla libertà (anche artistica) dello scrittore, limitandosi lo Spirito Santo a una assistenza, in questo caso, «negativa», volta a impedire la possibilità che l’autore umano potesse commettere un errore. In realtà, la gran parte dei biblisti e teologi ritiene che l’intima connessione che vi è, in un testo, tra pensiero e parola che lo esprime rende impossibile separare questi elementi in modo radicale. L’ispirazione divina quindi non potrebbe evitare di esprimersi anche nella scelta delle parole della Bibbia; in qualche modo Dio (pur non dettando le parole allo scrittore), ne ha guidato anche la scelta e la strutturazione.

Nel mondo ebraico, questa concezione è talmente forte che si ritiene che ogni lettera, nella Torah abbia una sua precisa posizione «per volontà divina».

 

Leggere la Bibbia

in comunione con la Chiesa e la tradizione.

Cosa dunque ci garantisce che quando leggiamo il testo biblico comprendiamo veramente il senso di ciò che Dio voleva comunicarci? Ancora Dei Verbum risponde: la comunione di lettura e interpretazione con la Chiesa e la sua tradizione, unica garanzia di continuità nella comprensione secondo lo stesso Spirito che ha ispirato la Parola:

«...dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede, (n.12)

È la Tradizione nella Chiesa che fa conoscere alla Chiesa stessa l’intero canone dei libri Sacri, e fa più profondamente comprendere e le stesse Sacre Lettere.

Con questo, mentre si afferma la possibilità per il credente di entrare in comunione con il mistero di Dio tramite la Sua Parola compresa, viene anche contemporaneamente affermata l’insufficienza dei criteri oggettivi e scientifici (ossia, una lettura solo critica e ‘tecnica’) del testo biblico. Nella Tradizione, che scaturisce dalla stessa divina sorgente da cui è venuta la Parola scritta, la Chiesa riconosce l’opera di illuminazione dello Spirito Santo, che la guida a conservare e custodire la Rivelazione nella sua integrità, per sempre.

 

La questione delle traduzioni della Bibbia

 

Ma se Dio ha ispirato la Bibbia

in una certa lingua, come è possibile tradurla?

Il problema delle traduzioni è una questione molto grande e importante, che non si può certamente risolvere in poche righe.

Il testo biblico, in effetti, è stato scritto fondamentalmente in due lingue: greco e aramaico. E poiché le traduzioni sono sempre, in qualche modo, dei ‘tradimenti’ del testo, in quanto inevitabilmente il traduttore è anche un interprete, come si può garantire la correttezza di una traduzione quando questa riguarda un testo ispirato da Dio stesso? Nella storia della Chiesa, questa domanda è stata profondamente meditata e rielaborata.

E ne porta, effettivamente, con sé un’altra: noi conosciamo il testo biblico originario tramite papiri e codici; e spesso questo papiri e codici portano versioni che variano. E normale che in una trascrizione vi siano errori di scrittura! Come scegliere, in mezzo a tutto ciò, il testo migliore, quello che davvero rispecchia l’ispirazione divina?

Come si vede, la lettura della Bibbia, la sua interpretazione, il mistero che si cela nelle millenarie parole che la compongono è davvero complesso.

Ma qualcosa la si può dire.

 

La traduzione:

un problema che nasce con la Riforma protestante.

Innanzitutto, la Chiesa ritiene che, come Dio ha ispirato la Scrittura, ogni traduzione fatta con umiltà e consapevolezza della distanza «tra l’originale e la copia» (e quindi fatta in comunione con la Chiesa e la sua tradizione), è a sua volta guidata dallo Spirito che «soffia dove vuole». In secondo luogo, occorre sottolineare che il canone ufficiale, nella sua recezione ecclesiale, vede la Vulgata (ossia una traduzione latina) come il vero testo da considerarsi prototipo e ispirato nella sua completezza, secondo la definizione del Concilio di Trento:

 

«Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando che non sarà di poca utilità per la Chiesa di Dio sapere chiaramente fra tutte le edizioni latine in circolazione qual è l’edizione autentica dei libri sacri, stabilisce e dichiara che l’antica edizione della Vulgata, approvata dall’uso secolare della stessa Chiesa, deve essere ritenuta come autentica...».

(Denzinger 1503)

 

Perché il problema viene definito proprio a Trento, a metà del XVI secolo? Semplicemente, perché, sebbene prima del Concilio esistevano alcune traduzioni della Bibbia nelle lingue volgari, fu solo con la Riforma protestante che la questione della traduzione fu affrontata in modo deciso. Il Concilio di Trento non proibiva dunque le traduzioni, ma neppure le favoriva, indicando espressamente che la versione autentica era quella di san Girolamo, detta Vulgata.

La prospettiva sarebbe cambiata con il Concilio Vaticano II, in cui anche il mondo cattolico entrò nell’ottica di favorire la traduzione, purché fosse compiuta con i criteri già sopra indicati: in comunione con la tradizione della Chiesa.

 

Una carrellata tra le edizioni a stampa più importanti.

 

La Bibbia latina di Gutenberg.

Il primo libro a stampa, prodotto nel 1455 nella stamperia di Magonza da parte dell’inventore del rivoluzionario metodo di stampa a caratteri mobili: opera monumentale, su due colonne di quarantadue righe ciascuna la Bibbia di Gutenberg (detta anche Biblia Mazarina dal primo esemplare conosciuto e oggi conservato nella Bibliothèque Mazarine di Parigi) riproduceva il testo della Vulgata di san Girolamo. La prima Bibbia ebraica sarebbe stata invece data alle stampe 27 anni dopo.

 

La Bibbia di Lutero (1522-1534).

È la più famosa traduzione della Bibbia in lingua moderna. Pur non essendo la prima traduzione in tedesco è però la prima condotta sui testi originali. Iniziata nel 1521 la traduzione completa vide la luce a Wittenberg nel 1534, in 6 volumi a cura dell’editore Hans Lufft. Fino al 1546 il testo ebbe 10 edizioni, contenenti continue modifiche e perfezionamenti.

 

Tendale’s New Testament (1525).

Prima traduzione del Nuovo Testamento in inglese, da parte di William Tendale e stampata da Peter Schoeffer a Worms. Ne rimane solo una copia completa: infatti Tendale, proprio a motivo della sua traduzione fu condannato dai vescovi inglesi per eresia e messo al rogo nel 1536. Tutte le copie vennero bruciate. La sua traduzione era stata influenzata da quella tedesca di Lutero e da quella di Erasmo da Rotterdam.

 

Bible de Olivetan (1535).

Pierre-Robert Olivetan (1506-1538), pseudonimo di Louis Olivier (Olivetanus è la forma latina), calvinista pubblicò a Serrières (Svizzera), presso lo stampatore Pierre de Wingle una Bibbia in lingua francese su richiesta dei Valdesi. Si tratta della prima traduzione completa della Bibbia in francese a partire dai testi originali. Il testo era preceduto da una prefazione in latino di Calvino stesso.

 

Le traduzioni italiane.

 

La Bibbia del Malermi.

Tradotta a opera del monaco Nicolò Malermi fu la prima edizione a stampa della Bibbia in una lingua moderna. Vide la luce a Venezia nel 1471.

 

La Bibbia di Antonio Martini.

Vide la luce tra il 1778 e il 1780. È una traduzione dalla Vulgata, con molte note e citazioni patristiche: nel mondo cattolico sopravvisse come la più importante e diffusa ‘bibbia’, fino al XX secolo.

 

La Bibbia di Antonio Brucioli.

Tradotta dai testi originali nel 1530 e riveduta da Filippo Rustici due anni dopo. Edizione non riconosciuta dai cattolici del tempo.

 

La «Diodati».

Traduzione della Bibbia in italiano, da parte del protestante lucchese Giovanni Diodati, vide la luce nel 1607 a Ginevra: Diodati era in esilio per accusa di eresia. Dal punto di vista stilistico, la sua versione viene ritenuta uno dei capolavori della lingua italiana del XVII secolo. Verrà più volte rivisitata e adattata al linguaggio moderno.

 

La «Riveduta» di Luzzi.

Nel 1906 i protestanti elessero un comitato per la revisione della ormai datata «Diodati». La cura e il coordinamento vennero affidati al professor Giovanni Luzzi, Valdese. L’opera apparve in XII volumi, con introduzioni ai vari libri. Anche l’opera di traduzione del Luzzi subirà varie ristampe e riadattamenti.

 

La Bibbia «Salani».

Nel 1957-58 la casa editrice Salani pubblica una Bibbia in 10 volumi con traduzione sui testi originali e note dei professori dell’Istituto Biblico di Roma. Rimarrà fino al Vaticano II la Bibbia di riferimento per il mondo cattolico. La Bibbia Concordata. Pubblicata da Mondadori nel 1968, si tratta della prima edizione di una Bibbia curata in modo ecumenico, da un gruppo di studiosi cattolici, protestanti, ortodossi ed ebrei (spiccano i nomi di: Cipriani, Montanini, Prete, Moraldi, Soggin, Kizeridis, Toaff). La pubblicazione avviene a partire dalla spinta della Società Biblica Italiana.

 

La Bibbia UTET.

Sempre nel 1968, curata da tre biblisti cattolici (Galbiati, Penna e Rossano) viene edita dalla casa editrice UTET di Torino una traduzione condotta sui testi originali e ricca di note. Sarà la base da cui verrà elaborata la traduzione CEI, che diverrà quella ufficiale della Chiesa italiana.

 

La Bibbia CEI.

Iniziata nel 1965, sulla spinta del Concilio Vaticano II, la traduzione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, condotta sui testi originali, ha visto la luce nel 1971, divenendo anche il testo ufficiale letto durante la Messa fino ai nostri giorni. Nel 1974 ne è stata elaborata una revisione, pubblicata per i tipi delle Dehoniane di Bologna col titolo «Bibbia di Gerusalemme»: il testo CEI veniva corredato dalle note dell’edizione francese della Bible de Jérusalem. Nel 2008 vede la luce la grande revisione della traduzione CEI, dopo anni di lavoro e dibattito: sostituisce anche le letture del lezionario domenicale e feriale [2].

 

Traduzione in Lingua Corrente (TILC).

Nata dall’esigenza di adattare lo stile del testo biblico alla freschezza del linguaggio quotidiano, viene pubblicata nel 1976 (Nuovo Testamento) e nel 1985 (Antico Testamento) Per la prima volta in Italia si procede a una traduzione veramente interconfessionale, con studiosi appartenenti alle diverse confessioni cristiane che si confrontano sui criteri di resa stilistica e di fedeltà all’originale.

 

La Bibbia Ebraica.

Viene pubblicata tra il 1995 e il 1996 dalla Giuntina, casa editrice storica dell’ebraismo italiano: è una splendida edizione curata dal rabbino Dario Disegni e divisa in quattro volumi: (1) Pentateuco; (2) Profeti anteriori, (3) Profeti posteriori (4) Agiografi. Ha il testo ebraico (nella versione masoretica) e la traduzione italiana a fianco.

 


[1] Dei Verbum, n. 13

[2] Per un confronto tra le varie traduzioni, vedi nella sezione antologica, pagg. 187-188

 


Ritorno alla Bibbia


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


21 gennaio 2023                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net