LA GENEALOGIA, LA NASCITA E L'INFANZIA DI GESÙ

SECONDO IL VANGELO DI MATTEO

di John P. Meier

Estratto e tradotto da: "MATTHEW (MATTEO)", Liturgical Press - Collegeville, Minnesota 1980 [1]

 

INTRODUZIONE

In un certo periodo intorno all'80-90 d.C., un dotto cristiano, forse un ebreo, forse un gentile semita, rifondò e riunì i due principali documenti liturgici e catechetici della sua chiesa: il vangelo di Marco ed una raccolta di detti di Gesù che gli studiosi chiamano "Q." Questi due documenti erano già radicati nelle tradizioni orali della chiesa dell'autore, tradizioni che noi etichettiamo globalmente come "M.". Combinando e modificando sapientemente queste tre fonti, l'autore ha creato il capolavoro teologico che chiamiamo il vangelo di Matteo. Nel commento che segue cercheremo di comprendere il pensiero dell'autore tracciando con attenzione il processo attraverso il quale ha riunito fonti disparate in un'unità originale e significativa. Confrontare ciò che l'autore dice con ciò che le sue fonti hanno detto; questo sarà il modo fondamentale con cui entreremo nella mente dell'autore.

Questa nuova sintesi di Marco, Q e M fu resa necessaria da una grave crisi nella chiesa dell'autore. Strettamente ebraica nelle origini, aveva sperimentato il trauma della separazione dalla sinagoga ed una grande affluenza di gentili nei suoi ranghi. Questo cambiamento nella sua esistenza cristiana richiese una nuova interpretazione delle antiche tradizioni, un nuovo modo di guardare a Cristo ed alla sua chiesa, all'Antico Testamento ed alla storia della salvezza, al discepolato ed al sistema morale. Per raggiungere questa nuova sintesi, l'autore ha suddiviso la storia della salvezza in tre periodi: "tutti i profeti e la Legge" fino al Battista (Mt 1,1-13); il ministero pubblico di Gesù, limitato alla nazione ed al popolo di Israele (10,5-6; 15,24); e la missione per tutte le nazioni, una missione resa possibile dal grande punto di svolta, la resurrezione dalla morte di Gesù (27,51-54; 28,2-3; 28,16-20). Limitati ed esclusivistici resoconti ebraico-cristiani potrebbero quindi essere stati mantenuti riferendosi al periodo unico del “pubblico ministero” di Gesù, mentre l'evangelista potrebbe aver visto il proprio tempo come sotto il mandato finale universale di 28,16-20. Questo flusso della storia della salvezza mostra che la chiesa, non il giudaismo, è il vero popolo di Dio perché è il popolo formato dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, l'adempimento della Legge e dei profeti. La soluzione dell'autore alla sua problematica teologica è un modello di discontinuità all'interno di un ampio quadro di continuità.

Chi fosse l'autore di questo vangelo non lo possiamo dire, anche se probabilmente non è l'apostolo Matteo. Scrivendo in un greco migliore di Marco e rivolgendosi ad una grande chiesa urbana circa nell’anno 80-90 d.C., Matteo - come continueremo a chiamarlo - operò in Siria, probabilmente ad Antiochia. Così come Luca è un ritrattista verbale, Matteo è un architetto verbale. Il ministero pubblico è riunito in cinque libri, ogni libro composto da una prima parte narrativa e poi da un discorso. Cinque grandi discorsi, messi insieme da Matteo, formano i cinque pilastri del Vangelo: il sermone della montagna (cap. 5-7), il discorso missionario (cap. 10), le parabole (capitolo 13), il discorso sulla vita della chiesa (capitolo 18) ed il discorso finale (24-25). Il punto saliente giunge alla morte-risurrezione (capitoli 26-28), un culmine che è prefigurato dalla narrativa introduttiva dell'infanzia (cap. 1-2).

Poiché Matteo utilizza Marco come colonna portante della sua narrativa, rimando il lettore al volume "Marco" di questa serie per una considerazione dettagliata del materiale che si trova anche in Marco. Qui ci concentreremo sul nuovo messaggio che Matteo trasmette con il suo "rimodellamento" della buona notizia. Per gli argomenti a favore delle tesi sostenute in questo commento, rimando il lettore a due mie altre opere: Law and History in Matthew's Gospel (Legge e storia nel Vangelo di Matteo) (Roma: Biblical Institute Press, 1976) e The Vision of Matthew: Christ, Church and Morality in the First Gospel (La visione d Matteo: Cristo, Chiesa e Moralità nel primo Vangelo (New York: Paulist Press. 1979).

 

ABBREVIAZIONI: AT - Antico Testamento; NT - Nuovo Testamento; Mt - Matteo; Mc - Marco; Lc – Luca; Gv – Giovanni; v – versetto; vv. – versetti; cap. – capitolo.

 

IL PROLOGO

Mt l-2:

L'INFANZIA ANTICIPA

LA PASSIONE

 

Il PROLOGO del vangelo di Mt non deve essere liquidato come una raccolta di festose storie di Natale senza un messaggio teologico sostanziale, e quindi senza alcuna connessione essenziale con il corpo del Vangelo. Come il prologo del vangelo di Giovanni, Mt 1-2 costituisce una "ouverture" all'intera opera, riunendo come in una miniatura una serie di temi significativi che verranno riprodotti in modo esteso nella progressione del Vangelo. Come il prologo di Gv, Mt 1-2 cerca di definire il significato di Gesù (1) applicandogli una serie di titoli; e (2) definendo la sua origine ed il suo fine, il suo "da dove" e il suo "dove". Nel vangelo di Gv, questo "da dove" e "dove" sono definiti in termini di preesistenza del Figlio con il Padre ed il suo ritorno al Padre tramite la sua esaltazione sulla croce. In Mt, il "da dove" è definito in termini di (1) continuità con la storia della salvezza dell’AT (la genealogia), (2) discontinuità con quella storia quando irrompe l'ora finale (il miracolo escatologico della concezione verginale), e (3) mediante l'adempimento della "geografia escatologica" tracciata per il Messia nell'AT (nascita nella città di Davide, Betlemme, pellegrinaggio dei gentili a Gerusalemme, fuga ed esodo dall'Egitto, residenza del "Nazireo" a Nazareth). Il "dove" consiste in allusioni riguardanti il destino ultimo di questo bambino: rifiuto da parte degli ebrei, accettazione da parte dei gentili, persecuzione fino alla morte, ripristino in vita tramite l'intervento del Padre a favore di suo Figlio. La narrativa della passione alla fine del vangelo si rispecchia in scala ridotta specialmente nel cap.2.

 

A. GENEALOGIA: GESÙ IL FIGLIO DI DAVIDE,

IL FINE DELLA STORIA D’ISRAELE.

Mt 1, 1-17

[Lc 3,23-38].

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4vAram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5 Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8 Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 13 Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

17 In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

 

L'affermazione di base della genealogia è duplice: (1) le origini di Gesù si trovano nel vecchio popolo di Dio, Israele; e (2) Gesù è il compimento della storia di Israele, una storia attentamente guidata da Dio verso il suo fine. Mt enfatizza lo "status" di Gesù come Re messianico tracciando la sua linea attraverso Davide ed i re di Giuda. Al contrario, Lc traccia il lignaggio di Gesù all'indietro, attraverso i figli non regnanti di Davide, ad Adamo, il padre di tutta la razza umana, che era, in virtù della sua creazione diretta, un po' come un "figlio di Dio". Mt potrebbe aver usato fonti ebraico-cristiane che a loro volta attingono a Ruth 4,18-22 ed a 1 Cr 1-3. La maggior parte dei nomi nella terza parte dell'elenco non hanno paralleli altrove nelle liste genealogiche della Bibbia e, quindi, l'accuratezza storica di questa parte della genealogia non può essere determinata. Dal momento che Mt e Lc non sono d'accordo per la maggior parte del periodo dopo l'esilio, almeno uno di loro, e forse entrambi, non riportano la genealogia effettiva di Gesù. Le genealogie in Mt e Lc devono essere intese come affermazioni teologiche e non relazioni biologiche.

Mt sottolinea il fatto che la sua genealogia è accuratamente suddivisa in tre gruppi di quattordici generazioni. Perché Mt ha disposto la storia di Israele in questa forma artificiale, fino al punto di tralasciare arbitrariamente i nomi dei re della Giudea? Nel periodo di Mt, il pensiero apocalittico ebraico era molto interessato nel suddividere la storia del mondo in periodi ordinati di sette, composta così da tante "settimane" di anni. Mt riassume l'altalenante storia di Israele contando due "settimane" di generazioni (2 x 7 = 14 generazioni) dagli inizi di Israele ad Abramo fino al punto più alto nel Re Davide, altre due settimane dal suo culmine al suo punto più basso nel disastro dell'esilio babilonese e altre due settimane durante la sua ascesa verso la sua meta, Gesù il Messia. Gesù Cristo inizia così il settimo periodo, il periodo di perfezione e di realizzazione (cfr. Le settanta settimane di Daniele in Dn 9). Quindi Mt usa una convenzione apocalittica per proclamare che Dio ha segretamente ordinato l'economia della salvezza in modo che tutta la storia di Israele avanzi senza intoppi verso il Messia. Inoltre, Mt potrebbe aver giocato con i valori numerici indicati dalle lettere ebraiche (una tecnica chiamata "gematria" [2]). Le consonanti nel nome ebraico di Davide messe insieme assommano a quattordici (D + W + D) = 4 + 6 + 4). Quando si "mette insieme" il significato della storia di Israele, la linea di base è Gesù Cristo, il Figlio di Davide.

Il primo versetto di questa sezione funge da titolo, ma un titolo per cosa? La Bibbia CEI traduce geneseōs come genealogia, fornendo così un titolo per 1,2-17, o al massimo 1,2-25. È anche possibile, tuttavia, la traduzione "origine" o "nascita"; la parola introdurrebbe così l'intera narrativa dell'infanzia. Alcuni potrebbero persino tradurre geneseōs come "storia" o "cronologia", che riassumerebbe tutto il vangelo; ma geneseōs non può avere un significato così ampio. Due titoli sono immediatamente aggiunti a Gesù Cristo nel v. l. Gesù è figlio di Davide, e quindi il re messianico promesso. Ma è anche figlio di Abramo, e quindi l'adempimento della promessa che nel seme di Abramo "tutte le nazioni" della terra sarebbero state benedette (cfr. Gen 22, 18). Gesù adempie questa promessa alla fine del vangelo quando manda gli undici a fare i discepoli di "tutte le nazioni" (Mt 28, 19). Questa benedizione universale è già prefigurata nei Magi del cap. 2.

Una caratteristica sorprendente della genealogia di Mt è che vengono citate quattro donne: Tamar, Rahab, Rut (o Ruth) e, indirettamente, Betsabea ("la moglie di Uria"). Invece di essere le grandi matriarche di Israele, queste donne formano una strana comunità di donne. Alcuni pensano che Mt le abbia introdotte per sottolineare che la salvezza di Cristo è offerta anche ai peccatori e/o ai gentili. Ma la spiegazione più probabile è che esse rappresentino "sacre irregolarità" nel piano ordinato di Dio; esse rappresentano delle discontinuità all'interno della continuità della storia della salvezza. Dio scrive diritto con linee storte. Tutte e quattro le donne indicano la suprema santa irregolarità, la suprema discontinuità: la concezione verginale di Gesù da parte di Maria.

La genealogia ci mostra quindi l'approccio di base di Mt per risolvere la relazione dell'AT con Gesù. Da un lato, c'è una sottostante continuità. Infatti, Mt include persino il salmista Asaf ed il profeta Amos tra i re di Giuda per sottolineare che Gesù è il compimento di tutte le Scritture. Eppure, d'altra parte, c'è anche una rottura poiché l'era conclusiva irrompe nella storia di Israele. Questa è simboleggiata dalle quattro donne e dalla concezione verginale nel v. 16, dove il modello genealogico è spezzato ed il "di chi" si riferisce propriamente a Maria. Ci può anche essere un accenno di discontinuità dentro la continuità nel fatto che la terza parte della genealogia contiene solo tredici generazioni (cioè coppie di genitori e generati). Se non consentiamo un errore da parte di Mt o di uno scriba successivo, potremmo avere qui un'indicazione che "Gesù” e "Cristo" devono essere contati separatamente. Gesù è nato dalla linea regale all'interno del flusso della storia, ma come Messia non solo conclude la vecchia legge, ma apre anche una nuova era (proprio come Davide conclude una parte della genealogia e ne inizia un'altra). In questo senso, Mt ha ragione nel sostenere che fino a "Cristo" (non "fino a Gesù") ci sono quattordici generazioni (v. 17). Il Messia chiude il sesto e finale periodo del vecchio Israele e introduce il settimo periodo, il periodo di adempimento, il periodo del Messia.

 

B. GESÙ, CONCEPITO VERGINALMENTE

 TUTTAVIA FIGLIO DI DAVIDE.

Mt 1, 18-25.

18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25 senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

 

Il tema della discontinuità all’interno della continuità procede da come Gesù è definito, sia dalla sua concezione verginale (discontinuità), che dalla paternità legale di Giuseppe (continuità). Il Messia davidico (continuità) è più di un semplice Messia; lui è Dio con noi (discontinuità). I versetti 18-25 agiscono come una estesa nota a piè di pagina al v. 16, che ha già accennato ad una concezione verginale. Questa concezione non è intesa in termini di qualche dio promiscuo della mitologia greca. Lo "Spirito Santo" (femminile in ebraico, neutro in greco) non indica unione sessuale ma il potere vivificante di Dio. Nei circoli apocalittici, un nuovo slancio di attività dello Spirito Santo era atteso come segno degli ultimi giorni. La concezione verginale non è, quindi, solo un altro miracolo, ma un evento escatologico. Gli eventi escatologici, tuttavia, di solito disturbano le cose. Sicuramente disturbarono Giuseppe. Giuseppe era già fidanzato con Maria; di conseguenza, anche prima di portarla a casa sua per regolari rapporti sessuali, contava come suo "marito" e aveva diritti legali su di lei. Se trovata incinta da un altro uomo, Maria avrebbe potuto, secondo la lettera severa della Legge, essere messa a morte. Giuseppe è in un dilemma. Egli è "giusto" in un doppio senso: desidera mostrare lealtà e gentilezza a Maria, tuttavia deve soddisfare il requisito della Legge di non tollerare l'adulterio. Cerca di soddisfare entrambi i desideri dando privatamente a Maria il documento di divorzio prescritto. (Poiché Mt si adegua alla tradizione che ha ricevuto, apparentemente non si chiede come questo atto possa proteggere Maria dalla vergogna pubblica nel momento in cui dovrà presto mettere al mondo un figlio senza il contributo del marito. In realtà, l'unico modo con cui Giuseppe potrebbe salvare Maria dalla disgrazia sarebbe quello di sposarla. Tutto questo ci ricorda che Mt sta scrivendo teologia, non sta dando un rapporto di testimoni oculari).

I calcoli umani di Giuseppe sono interrotti da un improvviso intervento divino. Un angelo appare in un sogno e fa conoscere il misterioso piano di Dio al suo eletto. Sebbene qui ci sia una certa atmosfera apocalittica, il tema del sogno ricorda più i sogni concessi ai patriarchi nella Genesi. Ricordiamo in particolare che il patriarca Giuseppe era un sognatore, oltre che un uomo compassionevole e giusto. Le parole dell'"angelo del Signore" (nell'AT, il Signore stesso in forma visibile) ricadono in un preciso schema di comando (v. 20a) e spiegazione (20b), comando (21a) e spiegazione (21b). Giuseppe, "il figlio di Davide", deve portare Maria nella sua casa, non tanto per proteggerla quanto per conferire la paternità Davidica a suo figlio e così inserire il suo bambino nel suo giusto posto nella storia della salvezza: Giuseppe non deve avere scrupoli, poiché le vere origini del bambino non risiedono nella linea davidica o umana, ma nel potere creativo dello Spirito di Dio. Questa nascita escatologica supera di gran lunga le nascite miracolose nell'AT. Il ruolo chiave di Giuseppe è quindi quello di agire come padre del bambino dandogli il nome che Dio ha già scelto, un nome non menzionato nella genealogia di Giuseppe. Dio sceglie il nome comune ma significativo Gesù, una forma successiva del Giosuè biblico. Originariamente significava "Yahvé aiuta", ma dal primo secolo d.C. la spiegazione popolare del nome fu "Yahvé salva". L'angelo, in vero stile Genesi, fa un gioco di parole sul significato popolare dichiarando che Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati (cfr. Sal 130,8). Gli Ebrei stavano infatti aspettando un liberatore nazionale come Davide, ma Gesù, il liberatore davidico, concederà al suo popolo una liberazione spirituale in modo quasi sacerdotale. La liberazione offerta da Gesù non sarà gradita alla maggior parte del popolo di Israele. Le persone che accettano effettivamente l'atto salvifico di Gesù, il suo popolo, saranno il gruppo che Gesù chiama "mia Chiesa" (Mt 16,18). Queste persone formano l’"altro popolo" (21,43), inclusi i gentili, che accettano la morte donatrice di vita di Gesù (27,51-54), una morte che Gesù dichiara nell'Ultima Cena essere "per la remissione dei peccati" (26,28), una morte il cui potere salvifico è sempre disponibile per "il suo popolo" nella celebrazione ecclesiale dell'eucaristia. La Chiesa è il popolo che Gesù, il Messia, crea perdonando i peccati attraverso la sua morte.

Come è sua abitudine, Mt si ferma per un momento, fa un passo indietro, guarda l'evento che sta narrando e riflette su quanto perfettamente questo episodio della vita di Gesù compia la profezia dell'AT. Al v. 22 egli introduce la prima di circa dodici "citazioni di riflessione" o "citazioni di compimento" [3] che commentano la sua "vita" di Gesù. Ogni citazione mostra che, nella vita di Gesù, Dio sta ordinando attentamente la storia verso l'adempimento della sua parola profetica. In questa citazione di Is 7,14, Mt rielabora il testo originale per sottolineare l'adempimento escatologico in Cristo. Isaia parlava di una giovane donna che avrebbe concepito; Mt adotta la traduzione greca standard, "la vergine concepirà". Ma Mt è più interessato al nome che Gesù porta ed al fatto che Giuseppe e Maria glielo conferiscono. (Il testo di Mt 1,23 recita letteralmente: "gli daranno il nome... ", sebbene il testo ebraico standard menzioni solo la donna).

All'inizio sembra strano che una storia sul nome di Gesù debba avere come suo fondamento nei profeti un versetto che parla di "Emmanuele" piuttosto che di "Giosuè". Mt che legame vede tra il nome personale Gesù ed il "nome dinastico" Emmanuele? In Gesù, troviamo adempiuta la grande promessa di Dio ai patriarchi ed ai profeti: "Io sarò con te". È Gesù, "Dio-con-noi" in persona, che conclude il vangelo di Mt promettendo alla sua Chiesa: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Ma cosa ha impedito questa presenza salvifica fino ad ora? La grande divisione che ha separato Dio dall'uomo è il peccato. È proprio rimuovendo il peccato dal suo popolo che Gesù ("Egli salverà dal peccato") rimuove la maledetta distanza e rende Dio presente tra la sua gente. Così mantiene la promessa del suo "nome dinastico". Emmanuele.

Nel v. 24 Mt ritorna alla sua narrazione: Giuseppe, essendo giusto, obbedisce immediatamente al comando di Dio, come fa anche nel cap.2. Mt usa qui il modello di comando-ed-esecuzione-del-comando ("egli fece come gli aveva ordinato" - seguito dall'azione comandata). Questo modello appare numerose volte nel Vangelo per sottolineare che un vero discepolo obbedisce immediatamente e perfettamente. Fa parte di questa obbedienza, nel caso di Giuseppe, la rinuncia al rapporto coniugale ("non la conobbe") "finché" non generò il bambino miracoloso [4]. In ebraico ed in greco, "finché" non significa dire che ci sia stato un cambiamento nella situazione dopo la nascita di Gesù. D'altra parte, l'autore che ha scritto Mt 1,25 ha anche scritto in 13,55 che la madre di Gesù è Maria ed i suoi fratelli (non "cugini") sono Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda. Storicamente, questi versetti hanno creato difficoltà per la tradizione successiva della chiesa sulla verginità perpetua di Maria, una dottrina che diventa comune nel quarto secolo d.C. Tuttavia, la preoccupazione principale per Mt alla fine di questa storia non è la verginità di Maria, ma la funzione di Giuseppe, che colloca Gesù nella linea Davidica per adozione.

 

C. GESÙ IL RE. LA SPERANZA

 DEI GENTILI.

Mt 2, 1-12.

1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2 e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3 All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6 E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9 Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

Il capitolo 2 si dedica più alla questione del "dove", il destino di Gesù: adorato dai gentili, ma perseguitato fino alla morte dal suo stesso popolo. Mt indica questo triste "dove" usando motivi tratti da storie su Giacobbe (Israele) e Mosè. Alcuni hanno etichettato come "midrāsh haggadico" [5] la rielaborazione creativa di Mt delle narrative dell'AT per illuminare la nascita di Cristo, paragonabile alla rivisitazione fantasiosa dell'AT nelle omelie ebraiche.

Con precisione, Mt pone la nascita di Gesù a Betlemme di Giudea (al contrario di un'altra Betlemme in Galilea). Erode il Grande regnò su un regno ebraico grande quanto quello di Davide dal 37 al 4 a.C. Per tutta la sua durata il regno di Erode fu in continua lotta sanguinosa per mantenere il suo trono di fronte all'opposizione degli Asmonei (dinastia sacerdotale Giudaica) ed ai movimenti messianici. Con il suo "ecco" frequentemente usato (che segnala un nuovo intervento divino), Mt introduce i Magi, tradotti anche come "saggi". I Magi erano originariamente membri della casta sacerdotale persiana, ma la parola significava qualsiasi possessore di conoscenza e potere soprannaturale, spesso con una sfumatura peggiorativa. Qui sono astrologi. Come altri gentili, essi parlano del Re dei Giudei; il titolo ricorre di nuovo solo nella narrazione della passione (in particolare 27,37). Era un motivo comune nell'antichità che una nuova stella segnasse la nascita di un sovrano. Mt riprende il motivo della storia dell'AT di Balaam, un "mago" venuto dall'est, che dovrebbe maledire Israele, ma invece lo benedice: "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro [o "uomo", in greco] sorge da Israele "(Nm 24,17). Non bisogna cercare nei fenomeni astrologici del tempo, ad esempio la congiunzione di Giove e Saturno nel 7 a.C., per dare una spiegazione ad un motivo letterario e teologico. I Magi vengono ad adorare il re per prostrazione (proskyneō, un verbo preferito da Mt, che indica un'attività correttamente resa solo a Dio od a Gesù). L'adorazione di Gesù sarà l'ultimo atto fisico dei discepoli (28,17). Dato che a questo punto la stella non si muove più davanti a loro, i Magi devono scoprire il luogo di nascita. Osservando il corso appropriato della storia della salvezza, i gentili vanno dagli ebrei per ricevere istruzioni sulla profezia messianica.

La domanda sul nuovo re dei giudei spaventa Erode, il re dei giudei e tutta Gerusalemme con lui. Mt è intento a presentare un giudaismo ufficiale unito contro Gesù; in realtà, la maggior parte degli ebrei, compresi i sacerdoti, odiava Erode e lo avrebbero visto volentieri andare via. Erode chiama insieme la nobiltà sacerdotale e gli studiosi di professione (scribi); così, i futuri nemici di Gesù testimoniano ironicamente la verità sulla nascita di Gesù e sulla sua messianicità. Mt adatta Michea 5,1-3 (inserendo "davvero"), si unisce a 2 Sam 5,2 ("il mio popolo Israele"), e lo mette in bocca agli esperti, senza la solita introduzione di una "citazione di compimento". Il buon pastore escatologico di Israele deve nascere nella città da dove è venuto il re-pastore Davide. Allora Erode si fa dire il tempo dell'apparizione della stella, in modo da poter valutare l'età del bambino. Così viene preparato il massacro di 2,16-18. Mt si scaglia spesso contro il peccato di ipocrisia in tutto il suo vangelo; qui lo incontriamo per la prima volta. Dopo che i Magi lasciano l'assassino e la città omicida (cfr. 23,37), la stella riappare ed ora fa da guida, forse come la colonna di fuoco in Esodo 13,21 e seguenti. Il segno astrologico porterà i Magi fuori dalla superstizione ed adorazione pagana. La grande gioia escatologica dei Magi ricorda la narrativa dell'infanzia di Lc, mentre Mt nel complesso è più sobrio.

Il centro dell'attenzione diventa il bambino e sua madre (vv. 11,13,14,20,21). Giuseppe non è neppure nominato in questa storia; appare solo quando necessario. Nel mondo antico non si visitava mai un dio o un re senza doni. I Magi offrono i tre doni: l'oro (Sal 72,10-15), l'incenso (Is 60,6) e la mirra (un altro tipo di gomma aromatica, come il franchincenso [6]). I tre doni successivamente hanno dato origine all'idea dei tre Magi, mentre Mt dice alcuni, che in seguito sono diventati re con nomi specifici. Un sogno, l'ordinaria forma della rivelazione nella narrativa dell'infanzia, impedisce ai Magi di essere complici di Erode. Dio guida il corso della storia per salvare suo Figlio ed il suo popolo.

 

D. GESÙ IL FIGLIO DI DIO.

 RIFIUTATO DA ISRAELE.

Mt 2, 13-18.

13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

16 Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17 Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18 Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più.

 

Due antiche tradizioni contribuiscono a questa storia. (1) In una leggenda riguardante Mosè, Giuseppe Flavio, lo storico giudeo, narra come gli astrologi avvertirono il faraone che un liberatore sarebbe nato per Israele. Spaventato, il faraone comandò l'omicidio di tutti i bambini Israeliti maschi; ma in un sogno il padre di Mosè viene avvertito. (2) In un racconto della Pasqua ebraica (haggada), Giacobbe (= Israele) e la sua famiglia si dice che siano stati perseguitati da Labano e costretti a fuggire in Egitto. Mt usa queste tradizioni per affermare che Gesù, il nuovo Mosè ed il nuovo Israele, riassume in sé la storia del suo popolo.

Il contrasto è netto: il bambino divino, appena presentato con reali doni, deve fuggire per salvarsi la vita. L'apparizione dell'"angelo del Signore" (una frase dell'AT per indicare Dio in forma visibile) è descritta dalla stessa formula stereotipata in 1,20 e 2,13-19. In ogni caso viene dato un comando, e poi un motivo per il comando. Qui il comando è di fuggire in Egitto, il tradizionale luogo di rifugio dell'AT (1Re 11,40, Ger 26,2l). Si noti che qui Dio non rivela il suo piano completo a Giuseppe, preferisce indicare solo il passo immediatamente necessario. La ragione della fuga ricorda Es 2,15: "Il faraone ... fece cercare Mosé per metterlo a morte". Mt usa quindi il suo tipico schema di comando-esecuzione: l'ottemperanza obbediente è descritta con le stesse parole del comando. Il riferimento anticipatorio alla morte di Erode nel v. 15 si collega al v. 19, dopo la narrazione del massacro degli innocenti. La citazione di compimento nel v. 15, attaccata immediatamente alla narrativa, è tratta da Os 11,1: "dall’Egitto ho chiamato mio figlio". Questa citazione è il punto di vista teologico della narrativa dell'infanzia, perché qui Gesù riceve la sua più esaltante definizione. Mentre certamente figlio di Davide, figlio di Abramo, figlio di Maria, figlio di Giuseppe, Gesù, il vero Israele, è soprattutto "mio figlio", cioè Figlio di Dio. Come Israele, Figlio di Dio, Gesù, il vero Figlio, subisce un esodo dall'Egitto, attraversa le acque del Giordano e viene tentato nel deserto (cfr. In particolare 4,1-11). Naturalmente, nell'adempiere a Os 11,1 Gesù trascende il significato originale del testo. Il testo non parla più di una collettività con una filiazione adottiva, ma di un individuo unico con una vera figliolanza divina. Il compimento escatologico che Gesù porta va oltre la lettera dell'AT (cfr. 5,17-48).

Per il momento, bambini innocenti muoiono in modo che Gesù possa essere salvato, ma solo affinché l'innocente Gesù possa poi morire per salvare il suo popolo dai suoi peccati. Benché il massacro sia in armonia con il personaggio di Erode, non ne abbiamo alcuna testimonianza da parte di Giuseppe Flavio, che era ostile a Erode. La storia stessa potrebbe essere leggendaria. Erode non ha possibilità; i suoi ordini sono esatti quanto a numero (tutti i bambini, cfr. Es 1,22), zona ed età (con limiti molto ampi, così che, umanamente parlando, non c'è scampo). Mt risparmia al lettore il resoconto reale del massacro terminando con una citazione di compimento di fronte agli eventi. In modo significativo egli non introduce la citazione del v. 17 con il solito "affinché…". Egli racconta il fatto del compimento, ma si guarda bene dal dire che questa è l'esatta intenzione di Dio. Il peccato è voluto direttamente dall'uomo, sebbene la saggezza di Dio possa comprendere anche il peccato dell'uomo e inserirlo nel piano divino per la salvezza. Stranamente, Mt evita la frase "affinché" in una sola altra citazione di compimento: il suicidio di Giuda (27,9). La citazione nel v. 18 è di Ger 31,15, in cui Rachele, la moglie di Giacobbe-Israele, è immaginata mentre sta piangendo a Rama, cinque miglia a nord di Gerusalemme. Rama era sia il luogo della sua morte (Efrata, vicino a Rama. Cfr. Gen 35,16), sia il luogo in cui, secoli dopo, gli Israeliti erano riuniti per la marcia nell'esilio babilonese (cfr. Ger 40,1). La successiva tradizione tramandò la tomba di Rachele sulla strada per Betlemme (cfr. Gen 35,19; 48,7), e questa tradizione potrebbe aver influenzato la scelta di Mt di questo testo dell'AT. Quando Gesù, il nuovo Israele, va in esilio, Rachele invoca i suoi figli, trucidati in età avanzata.

 

E. GESÙ L'UMILE NAZARENO,

 IL SANTO DI DIO.

Mt 2, 19-23.

19 Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22 Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

Ora la narrativa dell'infanzia si ferma con una risposta finale al "da dove": Nazaret. Così Mt collega il suo particolare repertorio alla comune tradizione Sinottica, in cui Nazaret è l'unica casa di Gesù. Il versetto 19 richiama il v. 15, ed in effetti i vv. 19-21 hanno la stessa struttura dei vv. 13-14. Giuseppe deve portare il bambino nella terra di Israele, ed una frase dell'AT evoca uno stato di prigionia od esilio dalla terra promessa. La ragione del ritorno ricorda Es 4,19, dove Dio dice a Mosè di tornare in Egitto, "perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!". Come sempre Giuseppe obbedisce perfettamente. Mt non può, tuttavia, terminare la sua storia qui. La sua tradizione presupponeva che Giuseppe e Maria provenissero da Betlemme; non c'era bisogno di spiegare come mai Gesù doveva nascere proprio lì (contrasto con il censimento di Luca). Ma tutti sapevano che Gesù crebbe a Nazaret e fu chiamato Nazareno. Perciò Mt deve trovare una ragione per un cambiamento finale nella sacra geografia. Mentre la paura di Archelao sarebbe una buona ragione per lasciare la Giudea, è strano che la sicurezza venisse cercata in Galilea, che era governata dall'altro figlio di Erode, Erode Antipa, che in seguito fece uccidere il Battista. Ma Mt deve portare la famiglia a Nazaret, nella quale Giuseppe si stabilisce per la prima volta (confronta 2,23 e 4,13). Lc prende la decisione opposta nella sua storia dell'infanzia: Maria e Giuseppe provenivano da Nazaret, ed una ragione speciale (il censimento dubbioso storicamente) deve essere trovata per la nascita di Gesù a Betlemme. Lc naturalmente non ha bisogno di alcun motivo per un ritorno a Nazaret. Ciò causa un'ulteriore differenza tra Mt e Lc. Poiché Betlemme era la città natale di Gesù secondo Mt, la Galilea è un luogo di esilio. È in esilio che Gesù eserciterà il suo ministero. Tornerà a casa in Giudea solo per morire.

Nazaret ha presentato a Mt un altro, più teologico problema. Se diversi nomi e luoghi nella narrativa dell'infanzia erano stati profetizzati, allora certamente l'evento chiave di insediamento a Nazaret, la città che dà a Gesù il suo "secondo nome", deve essere stato profetizzato. Eppure Nazaret non è mai menzionato nell'AT (né in Giuseppe Flavio o nei primi rabbini). Di conseguenza, Mt può parlare solo vagamente di "profeti" nel v. 23; egli sa che non esiste un singolo testo che menzioni Nazaret: questa è l'unica volta in cui il vago plurale "profeti" introduce una citazione di compimento. Quali testi Mt potrebbe includere in questa rubrica generale? (1) Il più probabile è un riferimento a Gdc 13,5-7, in cui viene annunciata la nascita di Sansone ed è designato come un Nazireo, cioè un asceta che viene messo a parte ("reso santo") per condurre un vita consacrata e per salvare Israele. In alcuni testi greci l'ebraico nāzîr è tradotto come Naziraion, che per Mt sarebbe abbastanza vicino a Nazōraios, Nazorean (non "Nazareno", come la Bibbia CEI ha alla fine della v.23). (2) Con riferimento alle umili e spregevoli origini di Gesù, Mt potrebbe anche pensare a Is 11,1, dove la prole davidica è chiamata un nēşer, un ramo o un germoglio dal ceppo di Iesse. (3) Mt potrebbe anche avere in mente i vari profeti che sta per citare durante il ministero pubblico, specialmente quelli che si riferiscono a Gesù come servo del Signore (8,17; 12,17-21).

Un'ultima parola sulla storicità. Dal momento che Mt e Lc sembrano essere indipendenti l'uno dall'altro nelle loro narrazioni dell'infanzia, possiamo essere abbastanza sicuri che Gesù è nato a Betlemme verso la fine del regno di re Erode, che sua madre era Maria e il suo padre putativo Giuseppe, e che è stato allevato a Nazaret. Inoltre, la discendenza Davidica e la concezione verginale di Gesù sono due affermazioni teologiche che chiaramente esistevano prima di Mt o Lc. Ma poiché i due evangelisti divergono nettamente su altre questioni, il resto della narrativa dell'infanzia di Mt può provenire dall'uso scribale delle tradizioni dell'AT per chiarire il pieno significato della nascita di Cristo.

 


[1] Le note che seguono sono del traduttore. Le citazioni bibliche sono estratte dalla Bibbia CEI ed. 2008, mentre nel testo originale viene citata la RSV - Revised Standard Version – versione in lingua inglese della Bibbia.

[2] La "gematria" è una scienza dell'ebraismo con la quale si può associare un numero ad ogni parola espressa con lettere dell'alfabeto ebraico. Questo numero è ottenuto sommando i valori numerici di ogni singola lettera. La gematria viene applicata per decrittare significati nascosti all'interno della Bibbia ebraica tramite il loro valore numerico.

[3] Con il termine di "citazioni di riflessione" o "citazioni di compimento" si indicano le citazioni delle Scritture che Matteo utilizza sia per far "riflettere" sulla vita di Gesù tramite le Scritture, sia per indicare che in Gesù c'è il "compimento" di ciò che le Scritture hanno detto. Le citazioni iniziano sempre con una specie di ritornello: "perché si compisse la Scrittura", "perché si compisse ciò che fu detto dai profeti".

[4] Meier utilizza qui il testo letterale greco che dice: "Giuseppe… non la conobbe finché ella generò un figlio ed egli lo chiamò Gesù": "καì [e] ούκ [non] έγίνωσκεν [ebbe rapporti coniugali] αύτήν [con lei] έως [finché] οΰ [non] έτεκεν [ella ebbe partorito] υίόν [un figlio]".

Nella Bibbia CEI, Mt 1,25: "Giuseppe… senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù".

[5] Il termine midrāsh designa l'indagine esegetica dei testi sacri, quale venne praticata dai dottori ebrei dell'epoca talmudica (ultimi secoli a. C., e primi cinque secoli d. C.) e dai loro continuatori. Si distingue il midrash haggādāh o midrāsh haggadico, di contenuto non giuridico ed il midrāsh halakico, di contenuto giuridico.

[6] Conosciuta semplicemente come franchincenso o incenso, la resina di Boswellia è stata citata in numerosi testi antichi, tra cui l'AT per le sue capacità mistiche e continua ad essere usata oggi in numerose pratiche negli ambiti più diversi.


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31 marzo 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net