CAPITOLO SESTO
IL PROBLEMA DELLA FEDE:
I TRE ATTEGGIAMENTI DEI SAGGI
L’esposizione di questo capitolo riguarda il problema
della fede, poiché l'uomo biblico si definisce tramite la
fede.
I.
L'UOMO BIBLICO SI DEFINISCE TRAMITE LA FEDE
La fede, è il
gesto verticale.
La Bibbia ci abitua a
questo “gesto verticale„, fino nelle situazioni d'emergenza in cui, così spesso,
noi vediamo i personaggi biblici.
1. I due
“aspetti„ della fede.
La fede si presenta sotto
due aspetti, nella Bibbia: l'aspetto sicurezza e l'aspetto slancio.
a) L'aspetto sicurezza.
Questo aspetto è tradotto dalla radice ebraica
émét.
La parola
veritas (verità), che ritorna così
spesso nella liturgia, traduce abbastanza male
“émét„.
“Émét „
significa solidità:
mi appoggio su Dio come su
una realtà solida, non su una tavola marcita. Io ho la fede, io mi chiamo un
fedele (êmoun): colui che
si appoggia su…
La
parola
Amen che appartiene alla stessa radice, significa:
è solido! e perciò, è
vero!
b) L'aspetto slancio.
Quest'ultimo è particolarmente sottolineato nel
salterio. Cento volte vi si trova la parola
batah che vuole dire avere fiducia, fidarsi di;
parola molto più
dinamica di “émét„ che evoca piuttosto il riposo, “batah„
corrisponde a “fiducia„ in latino (= fiducia). Prendiamo l'esempio del salmo 131
(130). Si tratta di un “povero„ che, arrivato alla fine delle sue esperienze,
non fa più il malvagio e si è affidato a Dio “come un bimbo in braccio a sua
madre„. Si percepisce questo slancio di qualcuno che non è
smaliziato:
un “bimbo„ sul seno di
sua madre non è
smaliziato. “Batah! „
La fede è ciò nella Bibbia:
questa sicurezza e questo slancio.
2. La fede si rivolge al Dio dell’Alleanza.
La
fede si rivolge non al Dio dei filosofi, ma al Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe, questo Dio che ha viscere, questo Dio che si implica nel divenire
umano, questo Dio che si interessa a noi, che corre dietro all'umanità, il Dio
delle prodezze, che “è sicuramente
tra di noi„!
Ed a questo proposito è
interessante certamente osservare questo antichissimo testo inserito nel
Deuteronomio (voi sapete che i libri biblici si portano dietro spesso del
materiale antico, ed abbiamo probabilmente qui uno dei più vecchi brani della
Bibbia). Si tratta della preghiera che l'Israelita pronuncia portando il suo
canestro di primizie, non al santuario di Gerusalemme, ma in questi santuari di
campagna in cui un levita riceve i suoi doni. È estremamente sorprendente vedere
come si presenta questo Credo (poiché questo è). Il Credo è un atto di fede
nelle gesta di Yahvé: Yahvé in procinto di agire, o che ha finito di agire, che
agisce nel passato. Occorre peraltro leggere tutto il pezzo, con il suo
inquadramento che noi non citeremo: vi si ritrova, undici volte sottolineata,
l'espressione “Yahvé tuo Dio„; non è un altro, non Baal, ma Yahvé tuo Dio che ti
dona i frutti del suolo, non uno qualunque! Si sente con ammirazione, attraverso
questo testo, l'azione levitica: sono loro, i leviti che hanno tessuto la rete
yahvista in Israele. Ma ascoltiamo l'antico Credo:
Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni e gli dirai: “Io dichiaro
oggi al Signore, tuo Dio, che sono entrato nella terra che il Signore ha giurato
ai nostri padri di dare a noi”.
Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare
del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo
Dio:
“Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero
con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani
ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora
gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra
voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il
Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso,
spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci
diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le
primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. (Dt 26,3-10).
Ecco il Credo Israelita!
Questo Credo si rivolge esattamente a questo Dio che ha realizzato l'epopea di
Israele, che ha compiuto la “redenzione„, cioè l'uscita dell'Egitto. Non
dimentichiamo questa caratteristica assolutamente essenziale: che l'Esodo è al
centro della pietà di Israele (vedere ancora Sal 81 e 95).
3. Il Dio al quale ci si rivolge può essere raggiunto
attraverso dei segni.
Attraverso dei segni, è il
Dio Salvatore che si interessa oggi a noi. Questi “segni della fede„ non
mancano. Ne siamo circondati fino al momento in cui il Salmo 74, composto
durante l'Esilio, dirà tristemente: “Non abbiamo più visto i nostri segni„ (Sal
74,9). Quali sono dunque i suoi
segni permanenti?
- È il
Tempio, nel quale si rivive ogni
anno l'epopea dell’Alleanza;
il Tempio che è come il centro della terra (Ez 38) dove Yahvé ha fatto abitare
il suo nome (Ger 7).
-
È la
Regalità teocratica che è stata
scelta dal profetismo, dunque da parte di Yahvé (Sal 2,6).
- È la
Storia che ci conduce a lui, che
è il suo “sacramento„.
- È la Torah, parola viva di Dio.
- Sono ancora le
stagioni nella loro stabilità,
poiché da quando Yahvé ha arrestato l'azione del suo “arco„ (l'arcobaleno), ed
ha depositato la sua macchina per le frecce (= lampi), gli uomini raggiungono
Dio (Gn 8,22;
At 14,17).
In misura maggiore è “il segno della
Creazione„ che permette questo dialogo (At 17,26; Rm 1,20).
Questi segni sono
permanenti. Ce ne sono altri, ovviamente, che ci svelano il Signore, dei segni
che, a volte, non sono enunciabili, che spesso sono chiari soltanto per colui
che li riceve, ciò che si chiama nel Vecchio Testamento un
ôt, un segno.
E questo segno la cui
varietà è infinita darà inizio ad un incontro, ad esempio: Samuele dà un segno a
Saul nel nome di Dio (1 Sam 9 e 10). Il segno, sarà per Elia una brezza leggera,
grazie alla quale un’anima attenta raggiunge Dio. Il segno, dice Giobbe, è il
grano che tu fai crescere. Il segno, sono le fasce di un bambino: gli Angeli le
diedero come tali ai pastori di Betlemme, per incontrare Dio.
Che
sia nel Vecchio o nel Nuovo Testamento, tutto è occasione di “gesto verticale„.
4. Gli
“eroi„ della fede.
a) Abramo.
Per
tutta la Bibbia, resterà il “Padre dei credenti„. Abramo è colui che, nelle
situazioni più inattese, le più rudi (le più assurde, dice Kierkegaard nel suo
libro
Timore e Tremore) ha sempre creduto in Dio.
“Abramo credette al Signore, che glielo
accreditò come giustizia„. È il famoso testo (Gn 15,6) tramite il quale san
Paolo ha collegato tutto il cristianesimo, nella sua vita profonda, ad Abramo.
Abramo la cui l'avventura
di credente è stata ben riassunta nella Lettera agli Ebrei, capitolo 11. Abramo
è pressoché tranquillo, vive laggiù in Oriente, l'Oriente civilizzato. Non è al
centro stesso della civilizzazione, ma è ai margini delle città, nell'immediato
sobborgo di Ur o di Haran. Ed ecco che il Signore gli dice: “Vattene dalla tua
terra! diventa nomade, va’ all'avventura! „ Abramo
credette.
E mentre conduceva questa vita avventurosa, nella
“terra delle dimore„, come riporta il
documento P, cioè la terra dove non si pone la
propria dimora, dove non ci si stabilisce, Yahvé gli promise un
erede, poiché deve diventare il padre di una grande nazione.
E questa promessa è
ancora donata alla sua fede: “Sono troppo vecchio per vivere l'avventura del
padre di famiglia e Sara è ancora più vecchia, ha novanta anni„. Ridono tutti e
due, soprattutto Sara. Questo riso di Abramo ha dato ben fastidio ai rabbini: è
uno riso di soddisfazione, non d'incredulità, dicevano. Abramo credette dunque
ed ebbe un figlio, l'erede.
Situazione difficile:
correre i rischi del padre di famiglia a quest'età! (Io prendo il testo così
come è, non razionalizzo). Ma ecco che quest'erede (situazione ancora più
pesante), deve essere sacrificato; Abramo è invitato a sacrificarlo (seguiamo la
Lettera agli Ebrei): è un’intimazione divina, un'ispirazione che gli viene, come
uno
stimolo religioso, in questo paese in cui si
sacrificano i primogeniti.
Ed egli si arrende, credendo contro ogni speranza; e suo figlio gli è
restituito.
Tale è la fede di Abramo:
si capisce, di conseguenza, come sia stata una fede “tipica„. Si rimane fedeli
nell’osservarla, nel mantenerla: Gn 15,6 non è stato scritto al tempo di Abramo,
ma al tempo della tradizione Yahvista, verso il
X° secolo prima di Gesù
Cristo.
b) Isaia. Noi abbiamo scelto Isaia, tenendoci sullo stesso terreno che per Abramo. Si tratta di una
fede che non è un affare personale (nel senso che, per l'eroe della fede,
sarebbe questione del suo proprio destino), si tratta del destino del popolo. La
loro fede si proietta là: Abramo è un “padre„, Isaia è un profeta, un
commentatore dell'evento, si dovrebbe anche dire uno “scatenatore„ dell'evento.
Isaia è il “profeta della fede„, poiché Abramo è il “padre dei credenti„. Lo
slogan di Isaia? Eccolo: “Se non credete, non resterete saldi„ (Is 7,9 b).
Senza credere, non c’è vita!
E la fede, per lui,
consiste nell’abbandonare tutti i sostegni che avrebbero reso la vita nazionale
comoda; ed a girarsi verso ciò che egli chiama: “le acque che scorrono piano (a
Sion)„ (Is 8,6), queste acque di Siloe, simbolo di Yahvé. La fede, significa
ancora girarsi verso questo Tempio, ben modesto dopo tutto, dove si trova una
“pietra„ piena di istruzioni per i credenti.
Perciò ascoltate la parola del Signore,
uomini arroganti,
signori di questo popolo che sta a Gerusalemme.
Voi dite: «Abbiamo concluso un’alleanza con la morte,
e con gli inferi abbiamo fatto lega.
Il flagello del distruttore, quando passerà,
non ci raggiungerà,
perché ci siamo fatti della menzogna un rifugio
e nella falsità ci siamo nascosti».
Pertanto così dice il Signore Dio:
«Ecco, io pongo una pietra in Sion,
una pietra scelta,
angolare, preziosa, saldamente fondata (Is 28,14-16).
Ma cosa c’è scritto su
questa pietra, o meglio, quale è il suo nome? “Chi crede non si turberà„ (Is
28,16). Sempre questo “slogan„ della fede da Isaia.
Avere la fede è cosa molto
buona! Ma vedremo Isaia in situazioni così critiche come Abramo? Si è trovato in
queste situazioni! E’ successo nei giorni più tristi della storia di Israele,
prima del grande assedio del 587; siamo nel 701: Giuda si era ridotto sempre
più, gli eserciti assiri assediavano Gerusalemme al punto che la caduta era
imminente. Gli emissari del re d’Assiria venivano fino ai piedi delle mura,
deridendo le persone che, dicevano, erano ridotte a mangiare i loro escrementi
ed a bere “l'acqua dei loro piedi„ (cioè la loro urina). È in questo momento che
la fede di Isaia si esalta. Ecco ciò che dice Yahvé riguardo al re di Assur:
Non entrerà in questa
città, proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio
servo
(Is 37,33-35).
È un grande momento quello
in cui, nella durezza della situazione, la
fede fa il suo gesto verticale.
5. La fede nell'uomo alle prese con il suo destino.
Abbiamo preso come modelli
di fede, Abramo ed Isaia, che erano degli eroi nazionali, padri del popolo.
Prendiamo ora la fede nell'uomo alle prese con il suo destino.
a) Giobbe e la sua fede.
Non
importa sapere se il libro di Giobbe è storico o non storico, di chiedersi se ci
sia stato, sui confini di Édom, una specie di Beduino arricchito, denominato
Giobbe! Il personaggio Giobbe, così come è descritto nel libro di Giobbe, è
soprattutto una
figura letteraria dei “poveri„;
è in questa luce che
prende tutto il suo significato.
Successivamente il Giobbe
del poeta biblico ha perso i suoi beni e la sua famiglia. Gli è lasciata
soltanto sua moglie: e, come spesso nella Bibbia, ella è là per stimolarlo
anziché alleviarlo. Gli è stata tolta la propria salute: ha contratto non so che
tipo di elefantiasi. Egli ha perso la sua reputazione… ha perso anche la sua
“teologia„, cioè quest'ultimo appoggio che ci permette di comprendere qualcosa
di ciò che ci succede. Ha perso la sua teologia, la teologia imperfetta
dell'epoca che collega in accoppiata: peccato-sofferenza, virtù-felicità. No!
Dice Giobbe, io non ci capisco nulla! Egli ha perso quest'ultimo appoggio:
eccolo allora assolutamente nell'assurdo, nella durezza di una situazione senza
uscita.
Cosa fa dunque? Egli
ritrova la fede, la fede pura, che è adesione a Dio, a Dio stesso, a
Dio intravisto senza i segni, senza le
consolazioni, senza le retribuzioni di Dio: “Ipsissimus Deus!„ Dio stesso, nulla
al di fuori di lui! Egli ha salvato la religione, ha salvato la fede. Il
capitolo 42 ce lo mostra, infine “sfinito„, silenzioso. “Ho davvero molto
chiacchierato, ho detto delle bestialità! Ed ora io taccio!„
Davvero ho esposto cose che
non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo …. Perciò mi
ricredo e mi pento sopra polvere e cenere
(Gb 42,1-6).
b) E questa fede di Giobbe, è la fede dei
“poveri di Yahvé„, esattamente la stessa. Leggete ad esempio il Salmo 88: voi
vedrete questa fede, questa fede del “tipo„ che non ne può più, che non ha più
una speranza, che “bestemmia„. Ma se non avesse più fede del tutto, costui
tacerebbe. No! occorre che egli gridi. Se grida, è per essere ascoltato. Il
“sangue di Abele„ si esprime, grida! Occorre leggere ancora i salmi 131,73…
tutta questa platea, tutta questo seguito infinito (1).
II. L'ITINERARIO DEI SAGGI DI ISRAELE
Noi attribuiamo molta importanza a questa seconda parte che ci farà
penetrare nel segreto della fede di Israele attraverso una specie di
contro-prova: esamineremo il comportamento abbastanza curioso di questi Saggi
di Israele che si sono convertiti sempre più perfettamente
alla fede dell’Alleanza.
Proviamo a ripercorrere questo curioso
itinerario in tre tappe.
1. Prima tappa: i Saggi prima dell'esilio.
I Saggi (hakamim) sono coloro che eccellono nel “consiglio„ (esa)
(Ger 18,18), cioè nell'impiego della loro ragione. Hanno fatto le loro scuole.
Per capirli occorre evocare il loro clima originario, quest'atmosfera di
“università„, che si trova attestata, fin dall'anno 3.000 tanto in Egitto che
nel Sumer; in quest'ultimo paese, esistevano delle “università„ laiche e delle
“università„ annesse ai templi.
a) Vi si apprendeva principalmente a “fare
carriera„. In Egitto, tutti i funzionari dello Stato passavano per queste
scuole. Si poteva allora diventare intendente, capo dei lavoratori, collettore
di imposte, messaggero, ambasciatore. Si imparavano molte lingue e le persone
uscite da queste scuole erano gli agenti designati dei rapporti internazionali.
b) Di fronte ai problemi umani, c'era una
morale umanistica che si approfondiva e che ci si trasmetteva. Poiché la morale
non è un monopolio biblico, il Decalogo stesso è in rapporto con una morale
internazionale, una morale umana. È ancora un’altra cosa il Decalogo: esso
è, certamente, la legge di una nazione che è in gestazione, che ha
bisogno di avere il suo ritmo,
le sue leggi sacre, ma
c'è nel Decalogo stesso, la consacrazione di una morale internazionale.
c) L'insegnamento infine era religioso. Si
parlava della “divinità„. A volte anche con aspetti monoteistici:
il dio, si diceva…
d) Ovviamente si sapeva scrivere: si
diventava scriba (sopher).
Ed anche, quando si avevano prese delle
lezioni in Canaan, si sapeva scrivere più rapidamente che altrove. Lo scriba
cananeo (dunque pre-Israelita) si chiamava “scriba agile„, scriba rapido. Ed era
così tanto un elogio che gli scribi egiziani avevano fatto passare questo
termine nella loro lingua, l’avevano trascritto tale e quale, senza tradurlo. Lo
“scriba agile„ era una merce d'esportazione. Al tempo dei Cananei, prima
dell'arrivo di Israele (si era ancor più civilizzati allora che al tempo di
Israele), una città si chiamava Kiriat-Sefer, “Città del libro„ (kiryat =
la città, Cf. Cartagine: la città nuova); o forse: “Città dello scriba„ (Gs
15,15).
È presso i Saggi che la sovranità nascente di Israele cercherà i suoi
funzionari. I Saggi furono i costruttori dello Stato Israelita. Si vede alla
corte di Davide una scriba d'origine babilonese. Occorre rinunciare a quest'idea
che al tempo di Davide ci fosse una qualunque forma di “razzismo„ in Israele;
c'era un miscuglio di popolazioni (la “razza ebraica„, è ancora un'invenzione di
Hitler). Dopo l'esilio, sì, ad un certo momento, ci fu un'esperienza di razzismo
a base religiosa, ma non al tempo di Davide. La sovranità Israelita si
costruisce apparentemente sul tipo amministrativo egiziano.
Gli “scribi„ sono “religiosi„ certamente, ma come è stato preavvertito
prima, essi non prenderanno la loro ispirazione profonda nella tradizione sacrale:
sono degli yahvisti “grossolani„, oserei
dire. Sì o no, costruiremo uno Stato? Se
si costruisce uno Stato occorre un esercito professionale: e Davide andrà a
cercare il nocciolo del suo esercito presso i Filistei. E poi, si costruiscano
fortezze, si formi una flotta, ci si prepari alla guerra, si leghino alleanze,
il re abbia molte donne per avere molti figli e sposarli nelle corti
vicine o lontane. Questa è politica! I Saggi sono dei politici,
degli astuti.
E la saggezza, al tempo di Davide e di Salomone, potrebbe tradursi spesso
con: abilità, abilità politica, o anche astuzia politica. Essere saggio,
significa essere uno scaltro, non implicitamente un uomo morale.
Di conseguenza la tensione non può mancare di prodursi: ci sarà battaglia
tra la tradizione sacrale
e la tradizione umanista
ed internazionale dei Saggi. Questa saggezza è un “corpo estraneo„ da
“digerire„. Chi sarà il “digerente”?
Vediamo dapprima come la si combatte. Ascoltiamo soprattutto Isaia e
poi Geremia.
- Isaia non può “soffrire„ i Saggi.
La parola “saggezza„ che si trova in ogni
concordanza, è particolarmente ricca di significati peggiorativi. Quando egli
parla dell'Egitto, la patria dei Saggi, dei burocrati, bisogna ascoltare Isaia
che li attacca con violenza:
Quanto sono stolti
i prìncipi di Tanis!
I più saggi
consiglieri del faraone formano un consiglio insensato.
Come osate dire al
faraone:
«Sono figlio di
saggi, figlio di re antichi»?
Dove sono, dunque,
i tuoi saggi?
Ti rivelino e
manifestino
quanto ha deciso il
Signore degli eserciti
a proposito
dell’Egitto.
…
Hanno fatto
traviare l’Egitto
i capi delle sue
tribù.
Il Signore ha
mandato in mezzo a loro
uno spirito di
smarrimento
(Is 19,11-14).
E’ una critica non soltanto dei saggi lontani, ma di quelli che ha sotto gli
occhi. Poiché c'è una lotta tra lui, Isaia, che vorrebbe essere l' “Eminenza
grigia„ del re e gli altri che sono là, alla corte, e che il re finisce sempre
per seguire. Il re Achaz fa un’ispezione dei suoi canali per vedere se ci sarà
acqua in caso di assedio. Inutile, dice Isaia : “Se non credete, non
sopravviverete„ (Is 1,9 b).
Guai a voi, figli ribelli
– oracolo del Signore –
che fate progetti senza di me,
vi legate con alleanze che io non ho ispirato,
così da aggiungere peccato a peccato.
Siete partiti per scendere in Egitto
senza consultarmi,
per mettervi sotto la protezione del faraone
e per ripararvi all’ombra dell’Egitto.
La protezione del faraone sarà la vostra vergogna
(Is 30,1-3).
- Geremia avrà gli stessi accenti.
“Chi vuole fare
il saggio? che ascolti me, Yahvé! „ (Vedere Ger 8,8-9 e 9,22-23.) Noi
vediamo dunque dove san Paolo ha preso questo tema di 1 Cor 1 che gli è caro:
“Dove è il saggio?„
- Il tema del cavallo.
Ma, attraverso una “parabola„ biblica, proviamo a vedere ciò che era in
gioco in questa lotta.
La prima volta che si incontrò il cavallo, fu dalle parti di Asor nel nord
della Palestina, al tempo in cui Giosuè combatteva per la conquista (Gs 11). Armato della fede, si guadagnò la vittoria. La guadagnarono così tanto
bene, che si catturarono carri e cavalli. Il cavallo era introdotto nel Vicino
Oriente fin dall'anno 2000. E gli Israeliti, in ritardo sulla civilizzazione,
nel XIII° secolo prima di Gesù Cristo non avevano che i loro piccoli asini
grigi. Cosa fare di questi cavalli? L'oracolo di Yahvé consultato dice loro:
“Tagliate i loro garretti„. Si tagliarono dunque i garretti dei cavalli.
Ma ci si civilizzò ben in fretta. Qualche tempo dopo, sotto Salma (Cf. 1 Cr
2,10-11: Ndt), si fecero grandi stalle per i cavalli, non ci si immaginava più
un re che uscisse senza l’apparato della propria cavalleria. Sulle frontiere, si
disposero delle stazioni (militari) di cambio dei cavalli, che si chiamavano:
“recinti per cavalli„. I re si affidavano ai cavalli!
Non sempre tuttavia! Un vecchio salmo, il Salmo 20, ci fa ascoltare la
preghiera del re che è sicuro di Yahvé, un buon re, il re secondo l’Alleanza:
Ora so che il Signore dà
vittoria al suo unto (“consacrato” nella Bibbia CEI. Ndt)
(2),
gli risponde dal suo cielo
santo
con la forza vittoriosa
della sua destra.
Chi fa affidamento sui
carri, chi sui cavalli:
noi invochiamo il nome del
Signore, nostro Dio.
Quelli si piegano e
cadono,
ma noi restiamo in piedi e
siamo saldi.
Da’ al re la vittoria,
Signore;
rispondici, quando
t’invochiamo.
(Sal 20,7-10).
Bene! è un momento di preghiera. Ma in pratica? Nella pratica, la abbiamo
visto, ci si affida ai cavalli.
Ed il cavallo è soltanto un simbolo dell'appoggio puramente umano.
Ma i profeti
sono là, custodi della tradizione sacrale (3), custodi della fede.
Ecco ciò che dice Osea, nella preghiera che mette in bocca ad Israele:
Assur non ci salverà,
non cavalcheremo più su cavalli,
né chiameremo più “dio nostro”
l’opera delle nostre mani,(Os 14,4).
L'idolatria, le alleanze, i cavalli, tutto ciò si mantiene. Il cavallo è un
simbolo! Il Salmo 33 che appartiene alla tradizione sacrale (posteriore tuttavia
alla grande epoca) esclama:
Un’illusione è il cavallo per la vittoria,
e neppure un grande esercito può dare salvezza.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, (Sal
33,17-18).
Ecco ancora una serie di consigli al re,
che ci riporta il Deuteronomio, un libro levitico che sfrutta la tradizione
sacrale: il re deve essere nelle mani dei leviti, il re deve fare tutti i giorni
la sua “orazione„ nella
Torah, il re non deve essere troppo avido di danaro, né avere troppe
donne (simbolo della potenza), né troppi cavalli…
Eccoci: il cavallo, tema simbolico! (Dt
17,14-20).
Ed Isaia, infine, dirà queste cose meglio ancora, nel suo splendido poema
del capitolo 2,12-16:
Poiché il Signore degli
eserciti ha un “giorno”
contro ogni superbo e
altero,
contro chiunque si
innalza, per abbatterlo,
contro tutti i cedri del
Libano alti ed elevati,
contro tutte le querce del
Basan,
contro tutti gli alti
monti,
contro tutti i colli
elevati,
contro ogni torre eccelsa,
contro ogni muro
fortificato,
contro tutte le navi di
Tarsis (4)
e contro tutto ciò che
affascina gli occhi (“tutte le imbarcazioni di lusso”. Secondo Bibbia CEI. Ndt)
(5).
Sarà piegato l’orgoglio
degli uomini,
sarà abbassata l’alterigia
umana.
Tali sono dunque i Saggi: degli yahvisti “grossolani„, possiamo dire.
2. Seconda tappa: L'esilio e la conversione dei Saggi.
Siamo all'esilio. Attorno al re (re che non è troppo trattato male del
resto, poiché si sono trovate, ai piedi della torre di Ishtar a Babilonia, le
tavolette dove apparivano le sue forniture in olio di sesamo per lui ed i suoi
figli), attorno al re c'erano dei funzionari, tutto il resto dello Stato in
rovina che era partito in cattività, coloro che si chiamano nel libro di
Geremia, i “principi„: principi reali, ma anche alti funzionari, sacerdoti,
tutto l’armamentario dello Stato.
In cattività dove tutto queste persone non avevano molto da fare, i
sacerdoti si misero a studiare le loro tradizioni, i profeti a studiare la
vocazione di Israele, ed i Saggi ascoltarono; essi si fecero i discepoli di
questi leviti e di questi profeti; infine si convertirono. E la loro conversione
è attestata da alcuni capitoli dei Proverbi (da 1 a 9). Questi capitoli sono
pieni di prestiti da libri della tradizione pura sacrale: in particolare dal
Deuteronomio, che fu terminato durante l'esilio — da Geremia che esercitò,
durante l'esilio, tutta la sua influenza postuma — e infine al secondo Isaia
(cap. dal 40 al 55).
I Saggi avevano portato nell’esilio tutti i loro tesori, tutta la loro saggezza: questa vecchia saggezza così
interessante con i suoi consigli circostanziati di buona educazione e di morale,
di politica e di “religione„… Dopo l'esilio, quando vollero fare un'introduzione
a tutta questa letteratura di saggezza che avevano salvato, essi fecero una
specie di grande passaggio, molto bello, di “stile„ profetico, voglio dire preso
in prestito dai profeti e dai leviti (i nostri capitoli 1 a 9 dei Proverbi). Si
tratta della conversione dei Saggi. Sopravvenuta durante l'esilio, questa conversione continuerà.
Come enunciarlo? I Saggi diventarono “yahvisti al cento per cento„. Si
interessarono non più semplicemente alla loro saggezza umanistica ed
internazionale, che era la loro specialità, ma alla storia di Israele, alle
speranze di Israele.
Il più interessante di tutti questi saggi è incontestabilmente Ben Sira
(200 circa A.C.): perché è un “incrocio„ di culture, perché è loquace ed ha
detto tutto, la saggezza internazionale, ma soprattutto l'altra, quella
dell’Alleanza. Ben Sira, ci offre una “Storia Santa„! (cap. 44 e ss.). La storia
in particolare dei sacerdoti, questi sacerdoti che sono così sublimi quando li
vede attraverso Simon, il grande sacerdote che lui ha conosciuto. Simon è il
“suo„ grande sacerdote, lo ha visto affacciarsi dal Tempio, dal santuario dietro
al velo (Sir 50,5: Ndt), il giorno dell'Espiazione, pronto a dare la benedizione
al popolo riunito.
Il Tempio è il suo centro d'interesse, con le cerimonie che vi si celebrano,
i sacerdoti che vi si incontrano. È proprio là vicino, peraltro, che ha la sua
casa d'istruzione. Fa una preghiera passando presso il santuario (Sir 51). È
capace di comporre salmi, secondo le regole. I Saggi compositori di salmi, i
Saggi “editori„ del salterio sicuramente: se si trova una cosa che è nella
tradizione sacrale, è proprio quella; Ben Sira inizia a sperare, si pone in
questa grande corrente della speranza messianica (Sir 36).
3. Terza tappa: il martirio dei Saggi.
La conversione dovette essere proprio completa, poiché, sotto la
persecuzione di Antioco IV Epifane, molti diventarono martiri. Fu la prima
persecuzione religiosa, la prima in cui gli Ebrei furono attaccati in quanto
servi di Yahvé, non in quanto Ebrei (non è un pogrom “razzista„: è una
persecuzione religiosa). Il re greco Antioco IV Epifane fece mettere nel Tempio
una statua certamente di Zeus; in ogni caso osò mettere sull'altare degli
olocausti un altare a Zeus. E poi, gli si fece colare sopra del sangue, lo si
macchiò, si rese impuro l'altare di Yahvé. Fu spaventoso, e questi fatti sono
all'origine della sommossa dei Maccabei.
Ma, cosa curiosa, questi eventi saranno descritti da un Saggio, quello che
ha scritto il libro di Daniele (prendendo come patrocinatore, come pseudonimo,
il nome di Daniele che era un nome antico, un nome dell'esilio). È dunque un
Saggio che ci descriverà con precisione questa sommossa religiosa di persone
dell’Alleanza. E questa sommossa, ci chiede Daniele, sapete chi la conduce? Voi
credete i Maccabei? No! Siamo noi, i Saggi! I Saggi sono qui diventati
“intellettuali impegnati„ al servizio dell’Alleanza. Saranno i primi martiri
dell’Alleanza.
E questo libro di Daniele è come il loro “manifesto„.
È al capitolo 11 di Daniele che un Saggio ci descrive, in stile profetico,
naturalmente, e parlando al futuro, gli eventi che vive attualmente. Siamo nel
165 A.C., non è ancora la vittoria: occorre ancora un anno perché sia raggiunta;
per il momento, si è in piena persecuzione con Antioco che non esita a fare
martiri. Ascoltiamo l'autore:
Con
lusinghe egli (Antioco) sedurrà coloro che avranno tradito l’Alleanza, ma quanti
riconoscono il proprio Dio si fortificheranno e agiranno. I più saggi tra il
popolo ammaestreranno molti, ma cadranno di spada, saranno dati alle fiamme,
condotti in schiavitù e depredati per molti giorni. Mentre così cadranno,
riceveranno
(6)
un piccolo aiuto: molti però si uniranno a loro, ma senza sincerità. Alcuni
saggi cadranno perché fra loro vi siano di quelli purificati, lavati, resi
candidi fino al tempo della fine, che dovrà venire al tempo
(Dn 11,32-35).
E se passiamo al capitolo 12,3, ci viene a dire che ci sarà una
resurrezione a favore dei martiri, ed i martiri erano i Saggi! Saggi,
martiri, risuscitati! È nel libro di Daniele che si arriva a questo sviluppo
splendido (organico del resto) dei motivi di fondo dell’Alleanza. Si risusciterà
per partecipare al Regno di Dio a Gerusalemme. “I
saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; i maestri di
giustizia, coloro che avranno indotto molti alla giustizia,
(7)
risplenderanno come le stelle per sempre„ (Dn 12,3).
E l'autore, portando a termine il suo libro, si
mette nei ranghi dei candidati-risuscitati: “Tu, (dice Dio) va’ pure alla tua
fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni„ (Dn 12,13).
Ecco dunque che abbiamo appena percorso questo itinerario dei Saggi. Ci avrà
certamente fatto ben comprendere, come controprova, ciò che era la fede del
Vecchio Testamento.
NOTE
(1).
Cf. A.
Gelin,
Les pauvres que
Dieu aime, coll. « Foi Vivante»,
n° 41, Éd. du Cerf, Paris, 1967.
(2). Al suo Unto = “colui che è stato asperso con
l'olio dell’unzione„, consacrato.
(3). Nel mio piccolo libro
L'âme d’Israël dans le Livre,
coll. « Je sais, je crois »,
Arthème Fayard, Paris, 1960, ho provato ad insistere su ciò: i profeti sono
dei “conservatori„, conservatori della tradizione sacrale di Israele.
(4). Le navi che vanno in Spagna (i
“transatlantici„ dell'epoca!).
(5). Io penso che occorra tradurre: contro tutte le
imbarcazioni di lusso (come infatti traduce Bibbia CEI. Ndt).
(6). Ciò riguarda i Maccabei: le persone che
maneggiano la spada credono di fare molto! ma no! non forniscono che un debole
aiuto. Siamo noi, essi vogliono dire, noi gli “intellettuali impegnati„, che
siamo i veri combattenti.
(7). Questo brano ci
richiama questo “maestro di giustizia„ che, forse nello stesso periodo, o dopo
alcuni anni, fonderà la setta di Qumran. (Nella traduzione
CEI la definizione “I maestri di giustizia”
è omessa.
Ndt)
BIBLIOGRAFIA
Lumière et Vie,
n° 22 : «
Qu’est-ce que
la foi ? »
H. Duesberg,
Les scribes inspirés,
Paris, 1939.
A.
Robert,
« Les attaches littéraires de Pr 1-9 », dans
Revue Biblique, 1934-1935.
P.
Bonnard,
La Sagesse en Personne annoncée et venue, Jésus-Christ,
coll. « Lectio divina », n° 44, Éd. du Cerf, Paris,
1966.
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22 aprile 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net