CAPITOLO QUINTO
L'UOMO IN SITUAZIONE DI ALLEANZA:
IL PROBLEMA DELLA VOCAZIONE
La definizione stessa dell'uomo biblico ci induce a parlare del lavoro di
cooperazione dell'uomo con Dio, nel mezzo della comunità; questa cooperazione
costituisce, in stile biblico, la
vocazione.
I. DATI SCRITTURALI DI BASE
1. Vocazione di Israele.
Occorre iniziare, quando si parla di dati scritturali, a fare vedere che esiste
una
vocazione di Israele.
È in Es 19, 3-6 che viene precisato a Mosè quale sia la vocazione di Israele.
«Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi
avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di
aquile e vi ho fatto venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e
custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra
tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di
sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti».
Ecco il programma, la vocazione di Israele: essere il
popolo-testimone
di Dio;
il popolo dove attuerà con successo il suo sconvolgente disegno che è quello di
«entrare
in trattativa»
con l'umanità, di entrare in dialogo con essa: in breve, l’Alleanza. Il Vecchio
Testamento ed il Nuovo Testamento sono l’Alleanza.
“Tu sarai il popolo-testimone „. E quindi: sarai il
popolo-filtro.
Tu selezionerai nell'umanità tutto ciò che c'è stato di bene, nel lavoro del
pensiero e nelle istituzioni: selezione dei miti, delle prove religiose,
selezione anche della magia, della divinazione, selezione delle istituzioni
sacrificali. Sì, è un popolo che assimila, ma che ha, per assimilare, un
criterio vissuto: questo criterio è l’Alleanza.
Popolo-testimone, popolo-filtro,
popolo missionario,
così, un certo giorno, si finirà per pensare:
è questa la vocazione di Israele.
Israele, possiamo ancora definirlo con San Paolo: “Siamo infatti collaboratori
di Dio„ (1 Cor 3,9), coloro che sono invitati a prendere parte attivamente
all'amore di Dio, al suo disegno d'amore. Ecco ciò che è Israele. Ed è ciò che
rendono molto bene i profeti quando parlano del
matrimonio
di
Yahvé e di Israele. Questo matrimonio non è semplicemente una rappresentazione
appassionata per il cuore; non c'è soltanto un’ “aura„ emozionale attorno a
questa rappresentazione, ma indica abbastanza l'idea di un lavoro a due che deve
arrivare al Regno di Dio. Israele è il
costruttore del Regno di Dio,
ben inteso con Dio: è scelto a questo fine.
E noi vediamo questa vocazione che si incava, che si approfondisce, nel corso
della storia di Israele.
Segnaliamo, da questo punto di vista, questa grande “ripresa„, questa grande
meditazione sulla vocazione di Israele
che si trova in Isaia, capitoli dal 40 al 55 (in particolare per il vocabolario,
vedere Is 41,9; 42,6; 48,12,15; 50,2; 51,2). Una meditazione su dei fatti: il
fatto Abramo — il fatto Mosè — il fatto Davide — ed il fatto Geremia; ecco le
quattro basi.
Come noi, ad esempio, alla vigilia di una professione o di un'ordinazione,
osserviamo nel nostro passato i fatti successi (questi fatti che sono per noi
dei segni, le tracce di Dio nelle nostre vite, diventati chiari quando li si
vedono retrospettivamente), così è per Israele: questi eventi che si chiamano la
chiamata di Abramo, l'uscita dell'Egitto, il successo di Davide, la sofferenza
di Geremia, prendono della dimensione, del rilievo, una volta che Israele li
rivede nel suo passato. Non gli sembravano così chiari nel momento in cui li
viveva!
È dunque attraverso questi fatti del passato che Israele, durante l'esilio,
guidato dal suo profeta, il Secondo Isaia (interamente contenuto nei capitoli
dal 40 al 55), si lascia andare ad una meditazione sulla sua vocazione. Il
passato diventa chiamata di Dio nel presente, esigenza di Dio per il suo
popolo-testimone, filtro e missionario. Israele stesso entra maggiormente in
possesso della sua vocazione, vede più chiaramente, perché, per lo sviluppo di
una vocazione, occorre che ci siano eccitazioni esterne. E ce n’era una famosa
come l'esilio: Israele ridotto a zero con l'esilio, Israele che scopre il mondo
e che conseguentemente scopre l'occasione missionaria. E tutto ciò è il Signore
che lo dona, come un'occasione provvidenziale, un “kairos„.
E io dirò che la vocazione della Chiesa non è diversa: poiché la Chiesa è, come
dice San Paolo, “l’Israele di Dio„; le è affidata l’Alleanza, con tutto ciò che
questo significava, ma più ancora ad un grado di profondità mai raggiunto. La
Chiesa ha la responsabilità di questo dialogo che Dio vuole intrattenere con gli
uomini attraverso di lei: la Chiesa deve riuscire.
2. Vocazione dei
“grandi
uomini„
di Israele.
Questo è lo sfondo del quadro sul quale andremo a “fissare„ a “ricamare„ delle
vocazioni speciali, ben concrete: quelle dei “grandi uomini„ che emergono da
Israele (1).
Citeremo soltanto le vocazioni più note:
- Quelle di
Abramo
e di Mosè. Occorre metterle insieme
perché sono dei “santi di vetrata”.
Tutto l'essenziale si trova nelle loro vocazioni: una chiamata — l'unità di una
vita — un lavoro per il bene comune, per l’Alleanza: tutti gli elementi che
analizzeremo.
-
In seguito viene il
gruppo scelto dei grandi profeti:
Isaia, Geremia, Ezechiele. Si vede bene, con loro, ciò che è la vocazione: una
realtà che progredisce, che si espande. Una vocazione non è un libro che teniamo
in tasca, stampato una volta per tutte, non è un blocco costituito, è una vita
che sta avanzando; la direzione, la freccia di una vita, è
l'unità di una
vita davanti a Dio.
-
C'è infine il gruppo privilegiato delle vocazioni
all'epoca del Nuovo Testamento,
la vocazione di quelli che, a loro volta, hanno fatto riuscire il disegno di
Dio:
Maria, Pietro, Paolo …
Dopo queste più notevoli vocazioni, non bisogna ridurre al minimo le altre:
- Non c'è nulla di più chiaro della vocazione di
Amos:
vi si ritrova tutto l'essenziale (Cf. Am 7,15). Amos risponde al sacerdote
Amasias che lo espelle del santuario di
Betel: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo
piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il
Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele „.
-
C'è anche
Giona!
Se c'è un libro che ci fa comprendere ciò che è la chiamata di Dio, è proprio il
libro di Giona. È il tipo della vocazione missionaria. Giona è una figura, un
simbolo: quello dell'uomo che ha la vocazione e che deve rispondervi
volente o nolente.
Questi dati scritturali, che riprenderemo altrove, sono dei dati di base, dei
dati di partenza: la vocazione di Israele, da una parte, servire il disegno di
Dio; e, su questo sfondo del quadro, la vocazione di quelli che sono
personalmente chiamati in Israele a servire questo disegno di Dio. Da questi
dati, trarrò una “teologia della vocazione „.
II. UNA TEOLOGIA BIBLICA DELLA VOCAZIONE
Cos’è la vocazione, biblicamente parlando?
1. Una grazia ed un'iniziativa di Dio.
a) Essa è una
chiamata,
un'elezione…
Tutto ciò del resto è come “intarsiato„ nella parola “vocazione„. È un
dono
(un amore).
Diamo solo alcuni esempi:
-
Prendiamo Ger 1,5: “Prima di formarti nel ventre materno, ti ho conosciuto. „
“Conosciuto„:
questo termine corrisponde alla vocazione di Israele. Comparate con Am 3,2:
“Soltanto voi ho conosciuto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò
scontare tutte le vostre colpe „ (=
io vi ho amato d'amore, voi Israeliti; è per questo che, come - nel mondo
Israelita - un marito tiene d'occhio sua moglie, io vi tengo d'occhio per i
vostri peccati). Ma qui, in Geremia, il “conoscere„ di Yahvé è diventato molto
individuale, c'è come una penetrazione nella vita segreta di Geremia: iniziativa
di Dio, amore, bontà di Dio, attenzione di Dio, è tutto ciò che evoca la parola
“conoscere„.
Proseguiamo: “Prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato„. “Consacrato
(letteralmente dal francese: Santificato. Ndt)„: qui non è questione di grazia
santificante infusa a Geremia. E neppure è questione di peccato originale tolto
(del resto si ignorava tutto, in quel tempo, del peccato originale). No!
“Consacrato„ significa: messo a parte per un lavoro religioso. Quale lavoro? “Io
ti ho stabilito profeta delle nazioni „.
Noi vediamo, con l'esempio di Geremia, fino a dove arriva la chiamata della
grazia divina: questa elezione è mostrata qui con una profusione poco comune. È
realmente un'iniziativa di Dio, una grazia gratuita, una creazione da parte di
Dio, che sembra non tenere conto del valore umano. Per farci comprendere questa
scelta di Dio, San Paolo ci dirà, lui che è così teorico:
Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli…
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti;
quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti;
quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha
scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di
fronte a Dio (1
Cor 1,26-29).
“Dio
sceglie„!
- La chiamata di Giovanni, questo
adolescente
delicato, che gira attorno a Gesù, che non osa dirgli: “Chi sei? „, ma gli dice:
“Rabbi! dove dimori? „ Sono le ore quattro della sera: egli va, dimora vicino a
Gesù. È già tutta la sua psicologia che è impegnata nella sua chiamata; egli ha
cominciato là, vicino a Gesù, ciò che sarà il suo ideale di Apostolo:
“dimorare„.
- E poi c’è Cefa, Pietro, che ha bisogno d'attività. Il Signore si accorge di
ciò a prima vista. Fissa lo sguardo sul volto di Pietro e quindi: “Tu sei
Simone!... Sarai chiamato Cefa, - che significa Pietro„, colui sul quale si può
fondare. Ecco la chiamata dell'attivo.
-
C'è anche la chiamata dell'intellettuale,
Natanaele;
quello che fa dell’ironia, questa ironia che può essere l'alibi di una tenerezza
o l'alibi di un rimorso. E Gesù lo chiama a sua volta: vedrai ben altre cose! Tu
vedrai i segreti divini, vedrai il cielo collegato alla terra (= comprenderai
l’Alleanza, tu comprenderai l'Incarnazione, tu comprenderai il cristianesimo).
Come si inserisce bene, questa chiamata, in un dato temperamento!
c) Abbiamo detto: “questa chiamata„; occorrerebbe dire: “queste chiamate„.
Poiché la
chiamata è ripetuta.
Noi potremmo già leggere la storia di Israele come la storia di una chiamata
continuamente ripetuta, Dio che, da parte sua, non si stanca mai: “Ho steso le
mani tutto il giorno verso di te e tu non hai voluto! „
Ma leggiamo insieme, rapidamente, come una parabola, le chiamate ripetute fatte
a san Pietro: quella che abbiamo appena letto, la chiamata quasi segreta. E poi
la chiamata ufficiale sul molo di Cafarnao: “Ti farò pescatore di uomini„ (Mt
4,19). La chiamata più commovente, quando tutti hanno abbandonato Gesù, dopo il
fallimento galileo: “Ma voi, chi dite che io sia? – Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente! „ (Mt 16,15-16). La chiamata appesa ad uno sguardo, nella casa
del grande sacerdote (Lc 22,61). Infine, la chiamata al suo amore più profondo
delle debolezze della “carne„, per costituirlo “pastore dei suoi agnelli e delle
sue pecore„ (Gv 21,15-17).
2. La vocazione realizza l'unità di una vita.
a) Essa si esprime spesso, nei profeti ad esempio, nella loro “visione
inaugurale„, che contiene già in riassunto ciò che la vita del profeta
realizzerà in modo drammatico. È molto visibile per Isaia, capitolo 6. Egli sarà
il predicatore del Dio Santo, trascendente; il predicatore del “Resto„, del
“piccolo Resto„ qualificato; il predicatore anche dell'indurimento di Israele al
quale darà un'espressione “classica„ (Is 6,9-10). Tutto ciò è
pre-contenuto nella sua
“visione
inaugurale„ che ne è per così dire il riassunto. Noi non sappiamo né quando né
in quali circostanze questa “visione inaugurale„ è stata messa per iscritto;
probabilmente cinque o sei anni dopo l'evento, verso il 734. Ma tutta la sua
predicazione è già lì in germe.
Vedete come San Paolo ha parlato della sua chiamata nella sua lettera ai Galati
(1,15-16). È breve, ma è scritto con le note essenziali, circa diciassette anni
dopo l'evento: la vita di San Paolo è stata la conferma di questa chiamata.
“Quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua
grazia, si compiacque di rivelare in me
il Figlio suo perché lo annunciassi in
mezzo alle genti …„. Le due caratteristiche essenziali della predicazione
paolina sono là presenti “in germe„, e cioè: il ruolo missionario presso i
pagani, e la dottrina del Cristo interiore in Paolo e nei cristiani, del Cristo
non più soltanto messe, ma linfa vitale.
b) Una seconda caratteristica da osservare è che, dopo questa “visione
inaugurale„, la vita del chiamato, la vita della sua vocazione è una
scoperta nella fede.
Nella fede! La Vergine Maria, che “viveva di fede come noi„ (Teresa del Bambino
Gesù) e che non era una dea, ha verificato questa legge spirituale.
Ciò che c'è forse di più interessante, da questo punto di vista, in tutto il
Vecchio Testamento, è la vita di Geremia. Perché? perché è uno dei rari Semiti
con Neemia (ma Neemia ad un grado inferiore) che ci ha fatto entrare nella sua
vita interiore, che ce l'ha “raccontata„, con delle “confessioni„, delle
“confessioni„ che, oltre all’ampiezza ovviamente, somigliano alle “confessioni„
di sant’Agostino. Occupano quasi quattro capitoli dove ascoltiamo Geremia
monologare, o meglio dialogare con Dio, sempre nella fiducia, ma a volte con
accenti estremamente duri, gli accenti di “coloro che danno del tu a Dio„: “Mi
hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai
prevalso„ (Ger 20,7). Seduzione e lotta: è la vita di Geremia. Allora, un
giorno, eccolo completamente scoraggiato: è duro prendere parte all'amore di
Dio, essere il sostegno dell’Alleanza, essere un “collaboratore di Dio„, come
dirà San Paolo. Egli ha avuto tutti sulle spalle: i generali, i primi, che lo
trattano come un disfattista, i sacerdoti che lo trattano come un “non-pio„,
anche i profeti che deve contraddire, i dirigenti ed il re in particolare… Non
ha amici, non una donna per sostenerlo. Il suo lavoro profetico è di annunciare
la “visita„ di Yahvé. Egli è nel fallimento, non lo si ascolta, i ragazzi “fanno
chiasso per non farlo parlare„ nelle vie di Gerusalemme. Ah! ne non può più!
Me infelice, madre mia! Mi hai partorito
uomo di litigio e di contesa per tutto il paese!
… tutti mi maledicono…Tu lo sai, Signore,
ricòrdati di me e aiutami,
véndicati per me dei miei persecutori.
Nella tua clemenza non lasciarmi perire,
sappi che io sopporto insulti per te.
Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché il tuo nome è invocato su di me,
… Non mi sono seduto per divertirmi
nelle compagnie di gente scherzosa,
ma spinto dalla tua mano sedevo solitario,
poiché mi avevi riempito di sdegno.
Perché il mio dolore è senza fine
e la mia piaga incurabile non vuole guarire?
Tu sei diventato per me un torrente infido,
dalle acque incostanti.
(Ger 15,10-18)
Allora Yahvé gli rispose:
«Se ritornerai, io ti farò ritornare
e starai alla mia presenza;
se saprai distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile,
sarai come la mia bocca.
Essi devono tornare a te,
non tu a loro,
e di fronte a questo popolo io ti renderò
come un muro durissimo di bronzo;
combatteranno contro di te,
ma non potranno prevalere,
perché io sarò con te
per salvarti e per liberarti.
Oracolo del Signore. (Ger 15,19-20).
È del tutto sorprendente che questo testo riprenda le stesse parole della
“visione inaugurale„ (cf. Ger 1,8,18,19). Ci sono forse due cose da capire di
Dio? No! è sempre la stessa cosa che egli riprende e ripete. Si direbbe che
avendo una volta puntato su qualcuno, egli non si pente del modo in cui ha
puntato su di lui, egli ricomincia a puntare, e chiede al suo eletto di
“convertirsi„. Tale è la vocazione di Geremia: una vocazione dura, che è tessuta
di
sofferenze, che è
una scoperta dolorosa nella fede!
Prendiamo ancora l'esempio di
Maria.
Che cosa è la vita di Maria, se non un cammino, a partire dal Magnificat della
Visitazione. Il Magnificat dei suoi diciassette anni, il Magnificat che
sant’Agostino dichiara essere stato composto dalla nostra “suonatrice di
tamburello„
(tympanistria nostra),
così come la sua antenata Maria, sorella di Aronne, dopo l'impresa di Yahvé (Es
15). Il Magnificat che era il commento della sua “visione inaugurale„, questa
visione che la informava esattamente sul ruolo che il Signore le chiedeva di
tenere: essere la Madre del Messia e la madre del popolo del Messia, perché,
infatti, quando l'Angelo aveva parlato di questa maternità messianica, egli si
era riferito ai vecchi testi di Isaia (paragonare Lc 1,31-32 ed Is 7,14; 9,5-6).
In Is 7,14, è presa in considerazione la madre del re (Messia), la
gebira,
la “grande signora„, quella che ha uno statuto speciale, quella che introduce le
persone dal re suo figlio. La Vergine Maria ha visto ciò, velatamente ma
realmente, poiché il Magnificat è soprattutto il commento di questo secondo
aspetto comunitario della sua vocazione: il Magnificat non parla affatto
soltanto del Popolo di Dio, questo popolo di credenti composto dagli eredi di
Abramo, composto dai “poveri„, da quelli che sono aperti a Dio, senza questo
orgoglioso irrigidimento, frutto della ricchezza e dell'esercizio del potere.
Maria sapeva ciò, ma lo sapeva da ragazza di diciassette anni. Ha dovuto
scoprirlo in tutta la sua vita. Ed è precisamente in ciò che il vangelo di Luca
e quello di Giovanni sono concordi e complementari: si vede come poco a poco
Maria attribuisce più importanza a questo secondo aspetto della sua vocazione, e
come sempre più fino alla Croce (Gv 19,25 27) scopre ciò che significa essere la
madre del Popolo di Dio, la sua madre spirituale… Poiché la sofferenza svolge un
ruolo molto importante nella scoperta della vocazione (“imparò l’obbedienza da
ciò che patì „, è detto di Cristo, in Eb 5,8).
La vocazione è dunque l'unità
di una vita;
e noi diremo che, se è l'unità di una vita, è la felicità di una vita, poiché la
felicità appartiene a ciò che la vita attua con successo.
3.
La vocazione è sempre, nella Bibbia, funzione del bene comune.
a) Essa è donata
per la Comunità,
dunque inserita come una “funzione„ nel
processo dell’Alleanza,
è un impegno.
Come tale, la vocazione è un servizio, un compito.
Occorre esprimere questa verità più e meglio di quanto noi non la abbiamo già
fatto? C’è soltanto una cosa che conta, in Israele, è l’Alleanza, è il dialogo
con Dio, questo dialogo che, un giorno, è stato facilitato perché Dio stesso è
venuto a mettersi da una parte come dall’altra. Vogliamo cioè dire: il Cristo
Gesù, Dio-Uomo, è venuto, lui solo capace di intraprendere il dialogo e di farlo
riuscire. È per questo che la vocazione è al
servizio dell’Alleanza,
sempre. Dell’Alleanza più o meno riuscita, riuscita meravigliosamente con il
Signore Gesù, ma che si trova ancora “in questo curioso caso „, per parlare come
Péguy, da avere ancora bisogno dei nostri sforzi. Dio ha bisogno degli uomini.
Ed occorrerebbe commentare questa affermazione in modo molto concreto, come
sempre nella Bibbia, con la vita di Geremia, con la grande parabola di Giona, o
più semplicemente con la seconda lettera ai Corinzi dove si vedrebbe con
l'esempio di Paolo, ciò che significa “darsi una mossa„ quando si è stati morsi
dall'amore di Dio e si vuole prendere parte ai suoi compiti.
b)
Compiti specializzati, “vocazioni specializzate„.
Bene comune, ma compiti specializzati: è ciò che ci mostrerebbe lo studio del
Nuovo Testamento. In 1 Cor 12, ecco che san Paolo enumera queste vocazioni, con
il suo gusto della classificazione (per la nostra consolazione! perché anche
amiamo classificare e distinguere!): “C'è un solo Spirito„ certamente, ma vedete
quali compiti diversi, tutti al servizio del bene dell’intero Corpo mistico (Cf.
anche Rm 12).
Ma prima di Paolo, anche il Vecchio Testamento ci aveva mostrato “vocazioni
specializzate„: si lavora a volte in una piccolissima sfera, si è incaricati di
un lavoro ben preciso:
- ricordarsi di Giona, ad esempio, proprio lui incaricato di attaccare il
paganesimo nel suo centro, nel suo supposto centro, questa specie di Babele che
è Ninive;
- o al contrario, coloro che sono confinati in Israele, in un certo punto di
Israele: ad Amos è chiesto di lavorare nel solo regno del Nord.
III. CONCLUSIONE
E forse occorrerebbe terminare qui evocando la
vocazione di Gesù
(Lc 4,17-20).
Gesù “inviato„, Gesù con la sua vita senza difetto, con degli insuccessi, dei
silenzi, con questo fallimento totale, sembra, che è la Croce.
E se vogliamo studiare questa vocazione di Gesù, che osserviamo come la
vocazione-tipo, la vocazione che sbocca nel suo grado supremo di concentrazione,
se vogliamo avere un'idea di questa vocazione di Gesù, mettiamoci dunque in un
momento particolarmente importante, quello della sua decisiva conclusione (Gv
13,1).
È domani la Passione, è domani che sale verso suo Padre, è domani che è
“elevato„. In questo istante c'è una ricchezza di concentrazione inaudita: tutto
il passato del suo popolo rivive davanti a lui. Quale passato? - La Pasqua: “…
la sua ora di passare da questo mondo
al Padre …„ (Gv 13,1), “passare„?
Si è mai fatta altra cosa in Israele che passare? Passare dall’Egitto in Canaan,
passare da questa vita cananea alla vita Israelita, passare dall'esilio in Terre
Santa? Il passaggio, la Pasqua, è al centro del suo pensiero, questa Pasqua che
ha fatto con i suoi molto umanamente. L’Alleanza è
anche al centro del suo pensiero:
“È il mio sangue, il sangue della Nuova Alleanza! „ La vocazione di Gesù si
situa all'interno della vocazione di Israele, del suo unico compito: l’Alleanza!
O meglio: la vocazione di Gesù assume pienamente
la vocazione di Israele:
Israele era fatto per Gesù… E quando Gesù dice: “È l’Alleanza nel mio sangue, il
mio sangue sparso per voi„, quale immagine ha Gesù nel suo pensiero? L'immagine
del Kippour
(vedere lessico), l'immagine dell'Espiazione, l'immagine di questo ripristino
“in stato di Alleanza„, che avviene tutti gli anni in autunno.
E parte da là, da questo rinnovamento annuale, l'immagine di tutti i
sacrifici
che salgono verso la Croce.
Ecco la vocazione di Gesù: assumere, concludere la vocazione di Israele.
Che cosa ancora? Giovanni ci dice (13,1): “Avendo amato i suoi che erano nel
mondo…„ Forse che Dio stesso aveva fatto altra cosa nel Vecchio Testamento? Dio,
è un essere col cuore, con cuore materno
(rahamim).
Ed ecco che il Cristo partecipa a quest'amore di Dio, si definisce come Dio,
porta in lui quest'amore di Dio, meglio ancora, egli è l'amore di Dio incarnato.
Ecco la sua vocazione, in collegamento con il passato, in collegamento con la
vocazione di Israele.
In fin dei conti è forse ciò la vocazione: un avvicendamento da raccogliere, un
collegamento con tutto il lavoro già realizzato, ma anche un tratto nuovo e
forse l'ultima
nota da aggiungere.
NOTE
(1). Cf. A.
Gelin,
Hommes et femmes de la Bible,
coll. « Horizons de la catéchèse », Éd.
Ligel, Paris, 1965. Si troverà in questo importante volume lo sviluppo di ciò
che è qui accennato.
(Nota degli editori.)
BIBLIOGRAFIA
R.
Poelman,
Esquisse biblique du mystère de la vocation,
Cahiers de la Roseraie, Bruxelles, 1956, pp. 9-52.
Sr
Jeanne
d'Arc, O. P., « Le mystère de la vocation», dans
La Vie Spirituelle
(févr. 1956), pp. 167-186.
A.
Gelin,
« La vocation. Étude biblique », dans
l'Ami du Clergé,
1959, pp. 161-164.
W.
Vischer,
Ils ont salué Jésus-Christ.
Les patriarches,
coll. « Foi Vivante », Delachaux et Niestlé, Paris-Neuchâtel
(à paraître).
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23 marzo 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net