CAPITOLO QUARTO
L'UOMO IN SITUAZIONE DI ALLEANZA:
LA TENSIONE
“INDIVIDUO-COMUNITÀ„
L'uomo biblico è dunque definito dalle sue relazioni. Inizialmente studieremo i
suoi legami comunitari ed il modo in cui questa immersione nel gruppo si
concilia con l'autonomia e la responsabilità personali.
I. IL FATTO DI QUESTA TENSIONE
PRINCIPI DI SPIEGAZIONE
1.
Una specie di dissonanza.
Studiando l'uomo della Bibbia, è impossibile non essere sensibili ad una specie
di dissonanza:
a) la valorizzazione della persona.
Da un lato si è colpiti dalla
densità personale dell'uomo. Egli è
“colui che Yahvé ha conosciuto„ (Es 33,17; Ger 1,5) Cf. anche il Salmo 139:
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri, ecc.
“Conoscere„ non consiste qui in un'operazione alla superficie dello spirito, ma
un'operazione che impegna e che suppone un'intimità. Dio ci insegue, ci
previene, ci ama d'amore. Egli ha l'iniziativa in questa intima conoscenza: “Ora
invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti” (Gal 4,9).
L'uomo biblico è quello che sente su di sé questo amore di Dio
«inseguitore”.
Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
(Sal 8,5).
E san Paolo ci dirà: “Nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha
consegnato se stesso per me„ (Ga 2,20).
Un esempio di questa valorizzazione dell'uomo come individuo può essere trovato
in questi
nomi che si
chiamano “nomi teofori„, cioè nomi nei quali Dio si trova nominato. Questi nomi
prendono radici da questo sentimento di pietà individuale, che vede in ogni uomo
non soltanto un oggetto dell'attività di Dio, ma uno
io
di fronte ad uno
tu.
Una personalità cosciente trova la sua espressione in
questi nomi vecchi. “I nomi di persone, dice M. Noth che li ha studiati, daranno
sempre torto ad una concezione che, per i tempi antichi, preconizza una
relazione esclusiva della divinità al gruppo (1). „ Alcuni esempi di questi
nomi:
Yo-iada
(in italiano: Ioiadà. Ndt):
Dio conosce (come si dice da noi: Teo-doro che
significa dono di Dio), Cf. 2 Sam 8,18.
Pada-Yah (in italiano
Pedaià. Cf. 1 Cr 3,18):
Yahvé riacquista.
Eliseo:
(Cf. 1 Re 19,16) Dio aiuta.
Molti di questi nomi erano inventati, senza che si trovino in un utilizzo
precedente o periferico.
b) L'importanza del gruppo.
Allo stesso tempo, questo uomo ci appare
immerso in un gruppo.
Si direbbe che Dio presta più attenzione a questo
gruppo che all'individuo come soggetto religioso: si direbbe che Dio “pensa per
gruppi„. È il tema dell’Alleanza.
Si diceva l’Alleanza, in ebraico
berit, che
deriva da una parola assira “birtu„ che significa “legame„. La parola “berit„
(alleanza) è stata tradotta in greco con “synthékè„, cioè trattato, che
corrisponde al latino “fœdus„; ma anche, e più spesso, con “diathékè„ cioè
“testamento„ (in latino “testamentum„) che corrisponde all’italiano
“disposizione„ — quest'ultima traduzione ha prevalso, era più vera, essa
insisteva sull'iniziativa di Dio.
Questa Alleanza, lo abbiamo visto, è espressa attraverso la metafora del
matrimonio Yahvé-Israele. È con Israele come gruppo che Dio ha concluso
l’Alleanza.
2.
Spiegazione di questa dissonanza.
a) La spiegazione della scuola
liberale: lo schema cronologico.
Si chiama “scuola liberale„ in esegesi, quella che si
è sviluppata tra il 1850 e il 1925 e che ebbe per capi Wellhausen ed
A. Duhm
(2). Hanno
in particolare molto insistito sulla critica letteraria, sulla data dei
documenti, sulla ricostituzione del nesso storico secondo i principi della
teoria evoluzionista.
Nel 1926, la pubblicazione del
Commento dei Salmi di
Gunkel segna una svolta nella critica che diventa
“comparativa„, più “reale„, più diffidente della critica puramente letteraria,
ed anche si caratterizza da un senso religioso più profondo. Attualmente (Nel
1968. Ndt), tanto dal lato protestante che cattolico, siamo in una migliore
posizione rispetto a cinquanta anni fa.
Per la scuola liberale, l'individualismo religioso non esisteva nell’antico
Israele. Soltanto a partire da Geremia e da Ezechiele sarebbe formulato il
principio della relazione di ciascuno con il suo Dio. Non è l'individuo
israelita che costituisce il soggetto religioso, dice un volgarizzatore di
questa spiegazione liberale, ma il popolo di Israele tutto intero. È soltanto
con le sventure della nazione che si è posta la questione, ignorata dei profeti,
di sapere come il destino dell'individuo si rapporta alle sue azioni da un lato,
e dall'altro al destino del popolo intero.
Questo tipo di spiegazione non tiene. Abbiamo detto che la sola esistenza dei
nomi teofori si oppone a tale schema cronologico. Basta prendere l'inizio del
primo libro di Samuele: vi è evocata l'atmosfera del tempio di Silo, e vi si
vede questa donna sterile (che sarà la madre di Samuele) che si avvicina per
pregare. Questa preghiera è la più commovente di tutte. Qui si coglie
l'individuo nella sua pietà:
Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo
dirottamente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai
considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non
dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo
offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul
suo capo».
Mentre ella prolungava la preghiera davanti al Signore, Eli stava osservando la
sua bocca. Anna pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra, ma la
voce non si udiva; perciò Eli la ritenne ubriaca. 14Le disse Eli: «Fino a quando
rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!». Anna rispose: «No, mio signore; io
sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma
sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Non considerare la tua
schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio
dolore e della mia angoscia». Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio
d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». (1
S 1,10-17).
Lo schema cronologico — lo si vede con questo fatto ben precedente all'Esilio —
è dunque uno schema troppo rigido.
b) Occorre adottare una spiegazione “dialettica„. Lo spirito
ebraico è così fatto che ama presentare successivamente i diversi aspetti di una
realtà complessa. Qui, ovviamente, il pensiero non è speculazione e teoria, ma
trascrizione dell'esperienza: è una sintesi vissuta. Ci sono anticipazioni
successive che danno un'impressione di incertezze. Esse mantengono una specie di
“tensione„ all'interno della riflessione. Alla fine si arriva ad un equilibrio.
Nella Bibbia, per prendere un altro esempio, esiste un'idea
universalista ed
un'idea particolarista; non si sono succedute secondo uno schema cronologico
semplice. L’universalismo, attraverso tutta la Bibbia, si compone con il
particolarismo. Inoltre dovremo spiegare la tensione “individuo-comunità„.
II.
LA STORIA DELLA SALVEZZA IN BREVE
TRE FASI NEL VECCHIO TESTAMENTO
1.
L’antico Israele.
Durante questa prima fase, ci si appoggia
sull’idea solidarista: non
ci si perde da soli, non ci si salva da soli.
Due ragioni sembrano poter spiegare questa importanza attribuita all'idea
solidarista:
a) La
personalità corporativa.
Ci sono, negli Ebrei, sopravvivenze di un
antico
solidarismo.
Avevano vissuto il
collettivismo nomade
dove l'individuo sta al gruppo come il membro sta al
corpo vivo. Non si vive per sé stessi né con sé stessi: è il gruppo che è la
vera unità. Nel deserto, l'atto colpevole di un individuo impegna il suo gruppo
ed anche la sua discendenza. Ad esempio, tutto il gruppo è interessato nella
vendetta.
La psicologia e la sociologia degli Ebrei sono da comprendere alla luce degli
studi recenti sulla
“personalità corporativa„.
Si osserva nella Bibbia che personaggi come Adamo, Abramo, Giacobbe sono
presentati come se vivessero già l'esperienza dei loro discendenti; la loro vita
è come un riassunto di quella dei loro discendenti. Ad esempio, tutto quello che
abbiamo visto di Adamo — nei nostri tre primi capitoli — riguarda anche tutti
gli uomini.
Inoltre, occorre notare il gusto dei Semiti per un'antropologia più
“esistenziale„ della nostra, nella quale
l'uomo si definisce maggiormente tramite il suo riferimento familiare e le sue
coordinate comunitarie. (Vedere, ad esempio, come 1 Sam 9,1-2 ci presenta Saulo:
le sue caratteristiche fisiche ed anche i suoi legami comunitari [antenati,
tribù …]).
b) L’Alleanza.
Ma le spiegazioni che abbiamo dato non sono le più
importanti. Se nella Bibbia l'uomo appare così immerso in un gruppo, è perché il
disegno di Yahvé si presenta come un disegno
collettivo: ciò
che si chiama Alleanza.
È il libro del Deuteronomio che ha fatto la teoria perfetta dell’Alleanza; esso
tendeva a restituire il clima originario. Il Deuteronomio è un libro derivato da
riformatori leviti (VIII° secolo: un'epoca in cui Israele si sta disfacendo).
Questi leviti — che rappresentano la tradizione sacrale — vogliono rifare un
Israele: una vasta fraternità che conoscerà i suoi momenti forti in occasione
delle feste. Quel giorno non ci saranno poveri: l'orfano, la vedova, lo
straniero, ecc. parteciperanno al pasto sacro, ci si amerà.
La guerra di cui ci si esalta è l'occasione per mostrarci, non un esercito
professionale, ma tutto uno popolo in armi in nome di Yahvé. Nel Deuteronomio la
mancanza di uno solo è pregiudizievole all'insieme. Si apostrofa il popolo
rivolgendosi a lui come ad un
TU
(Cf. Dt 28,18).
Nel Deuteronomio l'individuo è visto dietro al gruppo; è il gruppo che è primo.
Ogni anno le assemblee cultuali regolari vengono a ricreare l'ambiente del
Sinai, attualizzare la risposta di Israele alla chiamata del suo Dio (Cf: Sal 81
e 95, molto vicini come pensiero al Deuteronomio).
I profeti
ripeteranno ciò, ma per denunciare il peccato. Il
punto di vista dei profeti è più pessimista, fanno dei processi verbali di
fallimento: i peccati delle generazioni antiche, i peccati del deserto pesano
sul presente. È il quadro storico del peccato che dipingono questi profeti,
soprattutto a partire da Isaia (Cf. i capitoli 8 e 16 di
Ezechiele).
Il peccato diventa un indurimento del popolo (Is 6,9 ss.). Il peccato guasta
fino alle radici stesse del popolo (Ger 13). Il peccato che è mostrato in questa
enorme sinfonia del sangue in Es 20: il sangue degli omicidi, delle ingiustizie
… Tutto ciò accentua il lato solidarista, comunitario.
2.
A partire dall'esilio.
Quale è il significato dell'esilio (586-538 A.C.)? È un grande momento di
“solitudine„; grande “momento favorevole„
(kairos)
dove Yahvé tira fuori il suo popolo dalle sue sicurezze per parlargli al cuore.
L'esilio raccoglie gli elementi più attivi di Israele: i sacerdoti, i profeti,
le classi medie (i fabbri, i carpentieri), gli scribi, i funzionari … Queste
migliaia di persone potranno infine riflettere sulla vocazione di Israele alla
chiamata dei loro profeti — in particolare di Geremia (Geremia postumo), di
Ezechiele, del secondo Isaia (Is 40-55) — essi proveranno a costituire il
“Resto„.
L'espressione “Resto„ dice piuttosto qualità che numero — nulla impedisce che
questo Resto cresca e diventi maggioritario, ma l'espressione è “qualitativa„. È
l’Israele qualitativo che inizierà a formarsi in esilio.
Lo schema che avevamo poco fa (l'individuo visto dietro al gruppo) sta per
essere invertito: si rifarà Israele, un Israele qualitativo, a partire da
individui “volontari„
(nedibim).
Ed il lavoro dei profeti sarà precisamente di suscitare dei volontari. Andiamo
ora dall'individuo alla Comunità — ed una Comunità che si chiama sempre
“Israele„ (questa vecchia parola che designa il popolo nella sua situazione
religiosa e che significa “che Dio si mostri forte! „).
Ezechiele 18 ci mostra che ogni individuo deve essere morale ed accusa la sua
propria responsabilità. “Vi giudicherò ciascuno secondo le vostre vie, casa di
Israele„ (18, 30)… “Ciascuno„… “Casa di Israele„: noi vediamo nella
giustapposizione di questi termini apparentemente contrari, un tentativo per
esprimere il personalismo ormai sottolineato ed il collettivismo mantenuto.
È lo stesso insegnamento che si trovava nel grande annuncio di Ger 31,31-34 —
che è forse il grande annuncio dell’Antico Testamento, ciò che c'è di più
straordinario come promessa. È la promessa di una Nuova Alleanza, Alleanza che
sarà realizzate sempre con Israele, ma un Israele ricostituito a partire da
persone “qualificate„.
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e
con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che
ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla
terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore.
Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele
dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la
scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio
popolo.
L'operazione la più individualista - Dio ha a che fare con il cuore di ciascuno
— consisterà dunque nella ricostituzione dell’Alleanza, con la formula stessa
dell'antica Alleanza: “Sarò il loro Dio e loro saranno il mio popolo. „
Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché
tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –,
poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato».
Poiché ci sarà una partenza “da capo„, un'operazione della grazia, una “ricarica
di spirito„. E ciò sfocerà nella costituzione di un nuovo Israele.
È di conseguenza estremamente interessante osservare ciò che hanno fatto i
discepoli di questi profeti del nuovo Israele che erano Geremia, Ezechiele ed il
Secondo Isaia. Questi discepoli, noi li intendiamo nel salterio: hanno
esattamente lo stesso intento. Osserviamo, ad esempio, il Salmo 149: “Yahvé si
compiace nel suo popolo„ (v. 4), “Suo popolo„: è il popolo qualitativo, i
“poveri„
(anawim)
dalla
fede aperta, i “giusti„, “i pii„
(hassidim).
È curioso constatare che i salmi più individualisti, quelli dove più si sente
esprimersi la vita interiore di un’anima, sono anche i salmi dove si fa
allusione al popolo di Israele: Cf. il Sal 130 (il nostro “De Profundis„), il
131 (il più bel Salmo della Bibbia), dei salmi in cui i
salmisti, come
conclusione della
loro pietà più personale, parlano di Israele. Mai la
mistica dell’Alleanza (comunitaria) è stata così vivace come in quest'epoca di
più grande pietà personale. È di quest'epoca che noi serbiamo il documento più
penetrato di questo spirito dell’Alleanza: il capitolo 16 del Levitico dove è
descritta la festa di Kippour (il grande giorno delle Espiazioni) che ha
ricevuto dopo l'esilio la sua ultima definizione — si tratta di rimettersi ogni
anno “in stato di Alleanza„, come ci si rimette oggi “in stato di grazia„ per la
Pasqua.
3.
Il giudaismo.
a) l'azione dei Sapienti.
La tappa del giudaismo è caratterizzata dalla
presenza e dall'azione dei Sapienti. Sono persone che hanno ripreso l’incarico
precedentemente assunto dai profeti: sono le guide del popolo. Ma i Sapienti
portano dentro di sé un'eredità: il sistema della “giustizia distributiva„. I
Sapienti avevano una formazione d'ispirazione internazionale, umanista; non
pensavano immediatamente “Alleanza„, ma piuttosto secondo un sistema religioso
di giustizia distributiva: io osservo la legge ed io devo essere ricompensato,
non la osservo e devo essere punito. Questa religione dei Sapienti non invoca la
storia della salvezza propria di Israele, era comune a tutti in tutto l’antico
Oriente.
Questo punto di vista incontra la vena sacrale della religione dell’Alleanza a
base storica. I Sapienti hanno sensibilizzato ad un certo individualismo le
persone dell’Alleanza, nello stesso tempo in cui si convertivano essi stessi
alla religione dell’Alleanza (3).
È dunque una nuova pietra apportata all’edificio che avevano iniziato a
costruire profeti come Geremia, Ezechiele … Ed il libro di Daniele (165 A.C.),
“manifesto„ dei Sapienti, sottolinea la permanenza della tensione
comunità-individuo: qui Israele è “il popolo dei santi dell’Altissimo„
raggruppato attorno ai suoi martiri.
b) Lo schema escatologico delle
apocalissi giudaiche.
Questa tensione, questa prova di sintesi, questo
compromesso, si coglie fino nello schema dell'escatologia, espresso nelle
apocalissi giudaiche
(circa 50 anni dopo Cristo). Si vedevano come due tempi:
La fine del mondo realizzerà inizialmente il programma dell’Alleanza: Israele
arriverà infine alla sua espansione, riuscirà a vivere quaggiù il Regno di Dio;
Israele sarà raccolto attorno ad una Gerusalemme straordinaria apparsa in
occasione della venuta del Messia e della sua vittoria sulle nazioni pagane.
Israele regna. Per quanto tempo? Quarant’anni? Quattrocento anni? Dopo di ciò il
Messia morirà. Israele ha finito il suo lavoro, è sbocciato in Regno di Dio.
In seguito si aprirà la fase che interessa tutta l'umanità, tutta quest'umanità
alla quale il Messia era completamente estraneo. Allora ha luogo la resurrezione
generale, il giudizio su ogni opera fatta da ogni individuo all'interno di sé
stesso: i giusti vanno in Paradiso e gli empi alla Gehenna.
III.
IL NUOVO TESTAMENTO
Il Nuovo Testamento non disconosce nessuno di questi orientamenti. Non rinnega,
quindi, la tensione stessa tra individuo e comunità. Li spinge tutti e due alla
loro perfezione. È ciò che sarebbe facile vedere studiando i tre teologi
neo-testamentari: san Paolo, san Giovanni e l'autore della Lettera agli Ebrei.
Tutti e tre si riferiscono allo stesso testo di Isaia 53, che è forse il luogo
dove la tensione individuo-comunità è meglio messa in rilievo. In questo testo
ci è mostrato un individuo che prende su di sé i peccati del mondo intero; egli
viene fuori da Israele, rappresenta forse Israele in un certo senso. È solidale
e solitario. Ciò che ci viene così mostrato, è la vittoria dell'individualismo
e, allo stesso tempo la vittoria del solidarismo.
Ma è su questo testo che Gesù ha scommesso; è il testo nel quale ha letto la sua
missione. E questo testo è stato ripreso dai nostri tre grandi “teologi„.
La Lettera agli Ebrei
applica al Cristo-sacerdote i testi della teologia
dell'espiazione ed in particolare lo schema di Kippour (Lv 16) al quale si
riferiva già Is 53.
San Paolo
scrive a proposito del Cristo-Gesù redentore:
È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo
della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la
remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio
(Rm 3,25).
È ancora una volta la festa dell'Espiazione che viene evocata, nella quale il
Cristo è il propiziatorio sanguinante grazie al quale si costruisce la nuova
Alleanza.
In san Giovanni,
il Cristo è l'Agnello che porta il peccato del mondo.
Abbiamo ancora là un rinvio a Isaia 53: Cf. Gv 1,29.
È interessante notare che questi tre autori fanno così riferimento a questo
rituale della festa di Kippour che metteva più in rilievo l'aspetto comunitario;
e che allo stesso tempo, il Nuovo Testamento intero si presenta come un commento
della frase di san Paolo: “Egli mi ha amato e si è consegnato per me„ che
testimonia il massimo dell'aspetto individuale. La tensione individuo-comunità
continua: esprime la nostra vita cristiana.
NOTE
(1).
Martin Noth, Die israelitischen
Personnennamen im Rahmen der gemeinsemitischen Namengebung, Stuttgart, 1928
(2).
Cf. P. Grelot, La Bible,
Parole de Dieu, Desclée et Cle, Paris, 1965, pp. 205 ss.
(3). Cf. capitolo VI, pp. 127 ss.
BIBLIOGRAFIA
À. Causse, Du
groupe ethnique à la communauté religieuse, Alcan,
Paris, 1937.
J. de Fraine, « Individu et
société dans la religion de l’Ancien Testament», dans Biblica (1952).
J. de Fraine,
Adam et son lignage, Louvain, 1958.
A. Gelin, « Aspects
communautaire et personnel du salut et du péché selon l'Écriture », dans le
recueil La vie commune, Éd. du Cerf, Paris, 1956.
A. Gelin, Les pauvres que
Dieu aime, coll. « Foi Vivante », n° 41, Éd. du Cerf, Paris, 1967.
M. Noth, Histoire d’Israël,
Payot, Paris, 1954, pp. 37-150.
G. von Rad, Théologie de
l’Ancien Testament, Éd.
Labor et Fides, Genève, 1963, tome I.
L. Ligier,
Péché d’Adam, péché du monde,
Éd.
Aubier, Paris, tome I, 1960 ; tome II, 1961.
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4 dicembre 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net