Sant'Agostino
Il lavoro dei monaci
Anna Maria Rapetti
in “Storia del lavoro in Italia. Il
Medioevo. Dalla dipendenza personale al lavoro contrattato”, a cura di F.
Franceschi, Roma, Castelvecchi, 2017.
Il lavoro nella vita del monaco e nel chiostro
Per conoscere l’organizzazione della vita dei monaci nel Medioevo e, all’interno
di questa, il posto occupato dal lavoro, si deve leggere la Regola di Benedetto,
scritta nel VI secolo, che cominciò a diffondersi a partire dal VII per imporsi
infine in buona parte dell’Occidente cristiano nel IX. Nella Regola, il cuore
della vita monastica è costituito dall’ufficio divino, ma anche la lectio divina
e il lavoro manuale hanno il proprio spazio: uno spazio le cui dimensioni
cambiarono nel passare del tempo e si adattarono in modo flessibile alle diverse
condizioni. Per alcuni la storia dei monaci si può riassumere in gran parte
nella storia del mutevole rapporto tra questi tre elementi [Dubois, 1990, p.
61]. Ma già nei tre secoli abbondanti che precedettero la nascita di
Montecassino a opera di Benedetto, i monaci, attraverso una difficile e a volte
contrastata riflessione, elaborarono un nuovo sistema di valori in cui il lavoro
assunse un ruolo nuovo e importante, che rimase però sempre variabile. Si
dovette definire quale fosse il rapporto tra lavoro manuale e opus Dei,
affrontare infiniti problemi di legislazione ecclesiastica e canonica – per
esempio la questione dell’osservanza del riposo domenicale –, si cercò di
sciogliere il nodo dei lavori da considerarsi leciti e illeciti. Se all’inizio
sembra che i monaci si interrogassero soprattutto in riferimento a se stessi e
alle proprie esigenze, poi, a poco a poco, cominciarono a prendere in
considerazione anche il lavoro dei laici nel mondo rurale e soprattutto nella
nuova società urbana, e in questa prospettiva finirono per modificare quasi
interamente le proprie posizioni [Le Goff, 1983, p. 11].
L’elaborazione dell’atteggiamento del mondo monastico di fronte al lavoro
manuale si fondò anzitutto sulla controversa esegesi di alcuni passi evangelici
riferibili al comportamento del cristiano nei riguardi il lavoro dei monaci del
lavoro; in particolare l’esortazione di Gesù, «Guardate gli uccelli del cielo:
non seminano né mietono né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste
li nutre» (Mt 6,26 e 6,31-32), sembrava giustapporsi alla celebre affermazione
dell’apostolo Paolo: «Chi non vuole lavorare neppure mangi» (2 Ts 3,10). In
queste frasi si raccoglieva l’apparente contraddizione tra la necessità di
lavorare per mantenersi e l’invito a dedicarsi esclusivamente alla ricerca del
regno di Dio, attraverso la preghiera e l’ascesi; tale contraddizione si risolse
gradualmente, faticosamente e a prezzo di lunghe diatribe. Nella tarda antichità
il testo fondamentale su questo tema era quello di
Agostino,
De opere monachorum, nel quale il
vescovo di Ippona ribadiva il significato letterale della frase dell’Apostolo,
confutando quindi le posizioni di quanti la interpretavano in senso per così
dire “spirituale”. La sua esortazione era rivolta in particolare ad alcuni
monaci della diocesi di Cartagine che sostenevano che il lavoro evocato da Paolo
consistesse esclusivamente nella preghiera e nella lettura di testi sacri e
negavano perciò di dover svolgere qualsiasi forma di lavoro manuale, pretendendo
di vivere di oblazioni [Piccolomini, 1994, pp. 38-43]. Nella riflessione di
Agostino – una riflessione “militante” per così dire, elaborata in un clima
molto conflittuale di dispute tumultuose che avevano scosso profondamente la
Chiesa e i fedeli di Cartagine – il lavoro era invece indicato come un efficace
strumento per fuggire l’ozio e un onesto mezzo di sussistenza offerto ai monaci
sull’esempio di Paolo, che ricavava il proprio sostentamento materiale dal
lavoro manuale, rinunciando a quanto poteva essergli donato per il suo impegno
apostolico. Ma come si risolveva la questione del rapporto tra preghiera e
lavoro manuale suscitata da quei monaci che pregavano e non lavoravano o
viceversa? Nel pensiero di Agostino il primato doveva spettare senz’altro alla
preghiera, ma rimaneva fermo il principio dell’impegno nel lavoro manuale per
tutti i monaci [Piccolomini, 1994, p. 50].
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28 ottobre 2021 a cura
di Alberto "da Cormano"
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