REGULA BENEDICTI
I. LA REGOLA
A. De Vogüé
Tratto da “Dizionario
degli Istituti di Perfezione”, Vol. II, Edizioni Paoline, 1974
Benché sia solo un terzo di quella del Maestro, la Regula Benedicti
(RB) è una delle più lunghe che l’antichità ci abbia lasciate in
eredità. Relativamente metodica e completa, spicca anche sotto questo
aspetto sull’insieme delle regole antiche, che sono generalmente
abbastanza frammentarie e disordinate. Queste qualità, unite ad altre
che ricorderemo, fanno di essa un documento d’una importanza eccezionale
e spiegano in parte il suo successo senza pari, che deve molto,
d’altronde, all’influenza di Roma, alla biografia prestigiosa di
Benedetto e alla espressa raccomandazione della sua Regula da
parte di s. Gregorio (Dial. 11,36).
La
prima parte della RB è di carattere prevalentemente spirituale:
presentazione di essa, del monastero, dell’abate e del consiglio
(Prologo - c. III), catalogo delle buone opere (c. IV), trattati sulle
tre virtù principali d’obbedienza, taciturnità e umiltà (c. V-VII). La
seconda parte è piuttosto istituzionale e disciplinare: codici liturgico
(c. VIII-XX) e penitenziale, quest’ultimo introdotto da un direttorio
dei decani (c. XXI-XXX), regolamento per la vita economica, i pasti e il
sonno (c. XXXI-XLII), codice della soddisfazione (c. XLIII-XLVI),
divisione del tempo fra preghiera, lettura e lavoro, comprese in
quest’ultimo le uscite (c. XLV1I-LII), accoglienza degli ospiti e dei
doni, i quali introducono la questione della rinuncia alla proprietà e
del vestiario (c. LIII-LVII), rinnovamento della comunità sia con
l’aggregazione di nuovi membri (LVIII-LXIII), sia con l’insediamento
d’un nuovo abate e del suo priore (c. LXIVLXV), porta, clausura e uscite
(c. LXVI-LXVII), infine un’appendice riguardante soprattutto le
relazioni fraterne, chiusa da un epilogo (c. LXVIII-LXXIII).
Così appariva la RB presa isolatamente. Tuttavia, da una trentina
d’anni, è divenuto impossibile studiarla senza riferirsi costantemente
alla Regula Magistri (= RM). I due testi sono
infatti strettamente imparentati. La parte spirituale della RB
(c. I-VII) si trova quasi interamente, parola per parola, nei primi 10
capitoli del Maestro. Per la parte istituzionale la corrispondenza non è
così rigorosa, ma i due autori seguono abitualmente un cammino parallelo
fino al capitolo sui portinai (RB, c. LXVI = RM, c. XCV),
che serve di conclusione al Maestro. Il capitolo di Benedetto sulle
uscite (RB, c. LXVII) ha ancora un corrispondente nel Maestro, ma
in un altro posto (RM, c. LXVII). Solo le ultime pagine della
RB (c. LXVIII-LXXIII) sono interamente proprie.
Fino a un’epoca recente la RM fu sempre considerata come un
documento posteriore, che amplifica la RB. Ma, al seguito di dom
A. Genestout (La Règle du Maître et la Règle de s. Benoît, in
RAM 21 [1940] 51-112), parecchi ricercatori contemporanei hanno
proposto di invertire la relazione: la RB sarebbe un sunto della
RM. Questa seconda tesi sembra oggi assai solidamente fondata,
eccezion fatta per alcune aggiunte che la RM poté ricevere dopo
che Benedetto se ne era servito. A parte queste, la RM data senza
dubbio dagli anni 500-30, mentre la RB fu composta nel
corso dei tre decenni seguenti (530-60). L’una e l’altra videro
la luce in Italia, non lontano da Roma. Se s’ignora chi fosse il
Maestro, non vi è alcuna ragione di dubitare che Benedetto, l’abate di
Montecassino di cui s. Gregorio ha narrato la vita, sia l’autore della
regola che porta il suo nome.
Considerata come la fonte immediata della RB, la RM
fornisce un contributo incomparabile alla sua comprensione. La
prossimità dei due testi rende possibile un paragone minuzioso, che fa
apparire contemporaneamente tutto quello che Benedetto deve al Maestro e
tutto quello che ha aggiunto, modificato o omesso. Quel che Benedetto
deve al Maestro, è anzitutto l’ampiezza e la struttura potente della sua
descrizione della vita cenobitica. Se la RB è molto più breve
della RM e se ha perduto una parte delle articolazioni di
quest’ultima, essa resta tuttavia un monumento di vaste proporzioni e
d’architettura vigorosa, che non lascia da parte nessuno degli aspetti
principali del cenobitismo e li dispone secondo un ordine abbastanza
chiaro.
La
struttura che Benedetto così desume dallo scritto del Maestro è
essenzialmente verticale. Le due regole iniziano con un direttorio
dell’abate, maestro spirituale e capo della comunità, concepita come una
« scuola », in cui i discepoli apprendono a servir Dio sotto la
direzione di questo maestro, rappresentante di Cristo, egli stesso
assistito da quei ripetitori e sorveglianti che sono i « prevosti »
(RM) o i « decani » (RB). L’educazione del discepolo consiste
principalmente, secondo uno schema suggerito da Cassiano, nell’esercizio
dell’obbedienza, del silenzio e dell’umiltà: virtù che fanno passare dal
timore dei principianti alla carità dei perfetti. In questa prospettiva
educativa, l’accento è posto soprattutto sulla salvezza degli individui
e i meriti da acquistare per la vita eterna.
Pur appropriandosi questo schema, Benedetto lo modifica, fin dai primi
capitoli, con alcuni tocchi significativi. Con una serie d’aggiunte e di
tagli, mette in rilievo il compito dell’amore in tutti gli stadi della
vita monastica. Al di sotto del fine escatologico, Benedetto presenta
con più insistenza del Maestro l’ideale d’un perfezionamento spirituale
quaggiù.
Ma
è soprattutto nella parte istituzionale, e singolarmente nella sua
appendice finale, che Benedetto sfuma e arricchisce il quadro del
Maestro. Mentre questo mantiene la sua opera nella prospettiva molto
semplice della « scuola », Benedetto indica in più, sotto l’influenza di
Agostino, un’altra dimensione della vita comune: la comunione fraterna
nell’amore. Il rapporto verticale dei discepoli sottoposti a un maestro
che parla in nome di Dio, pur continuando a occupare il posto centrale,
è completato dalle mutue relazioni dei discepoli, considerati come
persone che debbono amarsi fra di loro, sopportarsi, aiutarsi. A sua
volta il rapporto maestro-discepolo prende un aspetto nuovo: l’abate non
deve solo comandare in nome di Dio ed essere obbedito, ma amare ed
essere amato. Questo interesse dimostrato da Benedetto per le relazioni
fraterne fa sì che il monastero non sia più una semplice scuola che
prepara degli individui alla vita eterna, ma una vera comunità.
Un’altra innovazione considerevole della RB è l’accento posto sul
momento soggettivo della vita monastica. Mentre il Maestro si
preoccupava soprattutto di regolamentare minuziosamente il comportamento
esteriore, Benedetto s’interessa meno a quel che bisogna fare, e più al
modo di farlo. Spesso abbastanza vaga e imprecisa, la sua regola è
disseminata, in compenso, di notazioni originali sul come fare ogni
azione e funzione. Queste aggiunte, per quanto brevi, mostrano bene che
la povertà della RB in dettagli concreti non è solo il risultato
meccanico dell’abbreviamento. Essa proviene inoltre, e forse in primo
luogo, dal disegno di portare il discorso su un piano più spirituale, in
cui le precisazioni regolamentari importano meno delle disposizioni
interiori con cui ciascuno deve agire.
Questo contrasto fra le due opere ha una conseguenza importante nel
campo propriamente legislativo: il ritiro del legislatore di fronte
all’autorità vivente del superiore. Entrando in tutti i dettagli e
cercando di prevedere egli stesso tutti i casi possibili, il Maestro
lascia poco alla decisione dell’abate in carica. Benedetto, al
contrario, evitando di regolamentare ogni cosa in anticipo, accorda
all’abate un’autonomia molto più larga. Questa responsabilità
accresciuta dell’abate va di pari passo con un certo ampliamento
d’orizzonte. Benedetto sembra pensare a comunità più diverse e più
lontane le une dalle altre, a differenza dei piccoli monasteri omogenei
e abbastanza vicini del Maestro. Mirando innanzi tutto alla diversità
delle comunità esistenti al suo tempo e di cui aveva la responsabilità,
questa imprecisione volontaria di Benedetto e l’ampiezza di decisione
che accorda ai superiori locali serviranno potentemente alla diffusione
della regola nelle generazioni successive. La RM, troppo
dettagliata e costringente, non uscirà dall’ambiente stretto per cui è
stata concepita; la RB potrà superare i limiti spazio-temporali
delle origini ed essere utilizzata in nuove situazioni.
In
parecchi campi l’abbreviamento di Benedetto è particolarmente sensibile.
Anzitutto gli sviluppi casuistici di cui il Maestro si compiaceva sono
soppressi o ridotti a una regola generale, valida per tutti gli
individui e in tutti i casi. Molte cerimonie che il Maestro descrive
lungamente subiscono la medesima sorte. Se Benedetto s’interessa
vivamente all’ufficio divino e lo regola con la più grande cura, riduce
però molto il cerimoniale e il rituale. Così pure i grandi brani
descrittivi del Maestro, come la satira dei girovaghi o la descrizione
delle gioie del paradiso, scompaiono nella RB. Infine Benedetto
sembra aver poca simpatia per le teorie, che sono uno degli elementi piú
notevoli della RM. Non c’è niente in lui che corrisponda alla
parabola della sorgente, per mezzo della quale il Maestro entrava in
argomento e ricollegava la conversione monastica all’impegno
battesimale. Non ha nulla che ricordi le considerazioni di RM (c.
I e XI), in cui l’autorità dell’abate e dei suoi collaboratori era
assimilata a quella del vescovo e dei suoi sacerdoti.
Per quanto riguarda l’osservanza, Benedetto s’allontana da certe norme
antiche, fedelmente conservate dal Maestro. La preghiera dell’ufficio è
piuttosto breve, se paragonata sia alla RM sia all’ufficio
romano. Parecchi uffici non sono più celebrati all’ora esatta, ma
anticipati o ritardati secondo la convenienza dell’impiego del tempo. Il
digiuno è seriamente mitigato in estate. Queste mitigazioni non sono
però accordate gaiamente: clausole restrittive, specialmente in materia
di cibo e bevanda, cercano di compensarle. Sembra che Benedetto si
faccia scrupolo delle mitigazioni e che voglia comunicarlo anche agli
altri.
All’origine di questa evoluzione si trova senza dubbio un fatto
economico. Da parecchi indizi si scorge che la situazione materiale dei
monasteri è meno agiata al tempo di Benedetto che a quello del Maestro.
Il legislatore è anche obbligato ad ammettere, anzi a incoraggiare, la
partecipazione dei monaci al lavoro dei campi, cosa che il Maestro
proibiva. Questa congiuntura difficile, che risulta probabilmente dalla
guerra fra Bizantini e Goti (535-53), pesò sull’insieme dell’osservanza
e specialmente sul regime dei digiuni, che dovette essere mitigato.
Benedetto è dunque cosciente d’un certo cedimento della vita monastica
nel suo tempo. Pur accettandolo come un dato di fatto, ha nostalgia
della primitiva purezza, sentimento che la lettura delle Vitae
Patrum, recentemente tradotte a Roma dal diacono Pelagio, sembra
aver acuito. Le sublimità dei Padri celebrate in questi apoftegmi sono
da lui invocate per far « arrossire di vergogna » i suoi monaci. Questo
sentimento della decadenza delle istituzioni contemporanee differenzia
nettamente Benedetto dal Maestro, che si considera come il continuatore
fedele degli antichi. Da questa differenza ne deriva un’altra: mentre la
RM si presenta come un tutto compiuto e chiuso in se stesso, la
RB non pretende d’essere che una « piccola regola per
principianti » che deve condurre all’insegnamento superiore dei Padri.
Il
giudizio severo che Benedetto esprime sui « monaci del nostro tempo » va
di pari passo con una preoccupazione vivissima d’aiutare i deboli, gli
scoraggiati, i tentati. La tristezza e la mormorazione sono miserie che
egli si sforza d’eliminare con tutti i mezzi. Il suo codice penale
prescrive una serie di provvedimenti sconosciuti al Maestro, con cui
spera di riportare sul retto cammino impenitenti e recidivi. Così pure
il codice della soddisfazione moltiplica i lassi di tempo per assicurare
l’emendamento del penitente. Brani mirabili, come i c. XXVII e LXVIII,
sono consacrati ai fratelli in difficoltà, sia esortando l’abate a
occuparsene sia cercando d’aiutarli direttamente a superare la prova.
Sempre su questa linea si può notare in Benedetto un senso delle persone
e delle differenze individuali che mancava al Maestro. Seguendo
Agostino, egli prescrive ai superiori di distribuire il necessario « a
ciascuno secondo i suoi bisogni » (c. XXXIV e LV); e « non senza
scrupolo » né senza riserve determina una misura alimentare comune,
sapendo che Dio non accorda a tutti gli stessi doni (c. XL).
Questo carattere profondamente umano e misericordioso della RB
non deve far dimenticare altri aspetti più ingrati. Rispetto alla RM,
l’apparato repressivo è rinforzato. Le minacce di sanzioni, spesso
poste alla fine del capitolo, sono enunciate con rudezza. Certi
capitoli, come quello della rinuncia alla proprietà (RB, c.
XXXIII), sono carichi di rara violenza. La stessa concisione di
Benedetto dà spesso alle sue proibizioni, sfornite d’ogni motivazione,
un aspetto brutale. Vi è dunque, nella RB, un singolare miscuglio
di tenerezza e di rigore, di mansuetudine e di durezza. Questo contrasto
appare in modo particolare quando si paragona il secondo direttorio
dell’abate (c. LXIV), che è tutto delicatezza e discrezione, con
certe aggiunte molto aspre del primo direttorio (c. II).
Le
rudezze che abbiamo segnalate derivano senza dubbio in buona parte dalle
spiacevoli esperienze personali di questo abate, Benedetto, che stava
invecchiando. Fra le altre bisogna rilevare particolarmente quelle che
riguardano il governo dell’abbazia. Mentre la RM suppone che
l’abate goda d’una autorità incontestata e non sospetta minimamente che
possa sbagliare, la RB riflette una situazione meno serena. Da
una parte suppone delle resistenze nei sudditi, che si sforza di
vincere; dall’altra prevede esplicitamente le mancanze dei superiori e
si preoccupa di porvi riparo. D’altronde l’abate non è più designato dal
predecessore, come voleva il Maestro, ma è eletto dalla comunità,
secondo la norma corrente della Chiesa antica.
Meritano d’esser segnalati alcuni altri dettagli concreti. La RB
sembra esser stata scritta per comunità più numerose dei piccolissimi
monasteri del Maestro. Anche gli ospiti sono più numerosi, il che
obbliga a separarli maggiormente dai monaci, per salvaguardarne i
digiuni e il silenzio. L’accoglienza degli ospiti, del resto, è meno
diffidente e più calorosa che nel Maestro, e Benedetto raccomanda, con
una insistenza commovente, d’« onorare tutti gli uomini » a causa di
Cristo, principalmente i più poveri. I conversi o religiosi che
vivevano nel mondo e che avevano un ruolo importante nelle relazioni e
nel reclutamento del monastero al tempo del Maestro, sembrano esser
scomparsi. In compenso la comunità conta ormai sacerdoti e chierici, e
l’abate può far ordinare l’uno o l’altro dei suoi monaci in caso di
bisogno. La comunità benedettina, cessa, quindi, d’essere puramente
laica come quella del Maestro, e la Messa può essere celebrata
regolarmente nell’oratorio del monastero, senza che i monaci siano
obbligati a uscire per ascoltarla, come supponeva la RM. Il
sistema delle decanie (gruppi di 10 monaci all’interno della comunità),
su cui era fondata la pedagogia del Maestro, sembra essere in declino,
mentre Benedetto ristabilisce l’ordine d’anzianità tradizionale che il
Maestro aveva soppresso. Su molti punti, del resto, la RB
cancella in tal modo le originalità della RM e ritorna alle
antiche usanze.
In
definitiva, il gran merito della RB è senza dubbio quello di
fornire un’immagine abbastanza fedele e completa della tradizione
cenobitica. Nella grande famiglia delle regole latine anteriori a
Benedetto d’Aniane occupa un posto medio, a uguale distanza dai grandi
antenati (Pacomio, Basilio, Agostino) e dagli ultimi epigoni (Donato,
Valdeberto, Fruttuoso). Prese in prestito qualche cosa da ciascuno dei
grandi lignaggi, cominciando da quelli di Cassiano e di Agostino.
Abbastanza completa al riguardo, lo è pure se si considerano i diversi
elementi della vita cenobitica, di cui Benedetto, al seguito del
Maestro, seppe passare in rassegna e ordinare quelli più importanti.
Questa sintesi trovò posto in un volume relativamente ristretto, vero
manuale in cui abbondano le sentenze concise e ben coniate, che non
sfuggono tanto facilmente dalla memoria.
Si
spiega perciò l’influenza preponderante che la RB non tardò a
esercitare sul cenobitismo latino. Il ruolo che ebbe attraverso i secoli
è un titolo supplementare che la raccomanda ancora all’attenzione di
tutti coloro che s’interessano, da vicino o da lontano, alla vita
monastica. Si cercherebbe invano un documento che rappresenti meglio le
istituzioni e lo spirito del cenobitismo tradizionale.
J. D. BROEKAERT, Bibliographie de la Règle de Saint Benoît. Editions
latines et traductions imprimées de 1489 à 1929.
Description diplomatique. 1239 numéros,
Roma 1980 (StudAns 77-8).
A. DE VOGÜÉ, La communauté et l’abbé dans la Règle de saint Benoît,
Parigi 1961; ID.-J. NEUFVILLE, La Règle de saint Benoît,
6 vol., ivi 1971-2 (SC 181-6); A. DE VOGÜÉ, La Règle de saint
Benoît, vol.
VII, ivi 1977 (fuori serie); R. HANSLIK, ed., Benedicti Regula,
Vienna 1972 (CSEL 75); B. STEIDLE, Die Benediktusregel
lateinisch-deutsch, Beuron 19783; G. COLOMBÀS-I. ARANGUREN,
La Regla de San Benito, Madrid 1979 (BAC 406); A. Lentini, San
Benedetto. La Regola, Montecassino 19802; T. FRY, ed., RB
1980. The Rule of St. Benedict in Latin and English, Collegeville
1981; A. DE VOGÜÉ, Saint Benoît, sa vie et règle.
Etudes choisies,
Bellefontaine 1981 (Vie monastique 12); ID., Strutture et
gouvernement de la communauté monastique chez saint Benoît et autour de
lui, in Atti del 7° Congresso internazionale di studi sull’alto
medioevo, Spoleto 1982, p. 563-598.
In
occasione dell’« anno centenario » di s. Benedetto, si è tentato
di precisare i suoi rapporti con s. Basilio (J. T. LIENHARD, St.
Basil’s « Asceticon Parvum » and the « R. B. », in StudMon 22
[1980] 231-42; J. GRIBOMONT, « Sed et regula sancti Patris nostri
Basilii », in Benedictina 27 [1980] 27-40; M. GIRARDI, «
Adelphotès » basiliana e « scola» benedettina. Due scelte monastiche
complementari?, in Nicolaus 9 [1981] 3-62), Pacomio (P.
Tamburrino, La « R. B. » e gli scritti pacomiani, in S.
Benedetto e l’Oriente cristiano, Novalesa 1981, p. 37-72) e le fonti
orientali nel loro insieme (P. Tamburrino, L’incidenza delle correnti
spirituali dell’Oriente sulla « R. B. » in Benedictina 28
[1981] 97-150; J. GRIBOMONT, S. Basilio nella grande tradizione,
ivi, p. 11-36 = Les commentaires d’Adalbert de Vogüé et la grande
tradition monastique, in Commentaria in S. Regulam, I, ed. J.
Gribomont, Roma 1982 [StudAns 84], p. 109-43).
Quest’ultimo studio mira a ridurre l’influsso di Cassiano su Benedetto e
ad ampliare quello di Basilio. Esso poggia però su un errore di
interpretazione: il titolo di sanctum Patrem nostrum dato da
Benedetto a Basilio (RB LXXIII, 5) è puramente formale, sia al
singolare (cf Agostino, Ep. 88, 10: un vescovo qualsiasi) sia al
plurale (cf RB XVIII, 25) e non indica alcun rapporto
particolare di filiazione spirituale. Quanto alla Regola presa nel suo
insieme, l’influsso preponderante su di essa è, sotto ogni aspetto,
quello di Cassiano, al quale Benedetto deve, per tramite del Maestro o
direttamente, non solo due passaggi-chiave (c. I e VII), ma ancora
l’idea dei trattati sull’obbedienza e sul silenzio (c. V-VI), le grandi
linee dell’ufficio corale e buon numero di principi, istituzioni
fondamentali e riti. Più lontana, la sua parentela con Basilio non deve
essere né maggiorata (Gribomont) né oscurata in una eccessiva
opposizione tra « fraternità » basiliana e « scuola » benedettina
(Girardi).
In
attesa di uno studio più completo, cf A. DE VOGÜÉ, Entre Basile et
Benoît: 1’« Admonitio ad filium spiritualem » du Pseudo-Basile, in
Regulae Benedicti Studia 10-1 (1981-2); ID., Psalmodie et
prière. Remarques sur l’office de saint Benoît, in CollCist
44 (1982) 274-92.
|
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
18 novembre 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net