Sant'Aureliano d'Arles

Estratto e tradotto da " Encyclopédie théologique, Volume 40 - Dictionnaire Hagiographique"

a cura dell'Abate Pétin. Ed. Migne 1850

 

Sant'Aureliano, vescovo di Arles, fu elevato al seggio di questa città nel 546, e Childeberto I, re di Borgogna, che lo stimava molto, chiese per lui a papa Vigilio [1] il pallium [2] ed il titolo di vicario della Santa Sede. Il Papa, prima di concedere questi favori, desiderava ottenere l'approvazione dell'imperatore Giustiniano I. Questo riguardo era tanto più necessario, essendo la città di Roma soggetta ai Bizantini, Vigilio avrebbe temuto di apparire troppo devoto al sovrano francese e di fare ombra a Giustiniano. Belisario, generale bizantino che comandava in Italia, prese l'impegno di scrivere a Costantinopoli e, non appena l'imperatore ebbe dato il suo consenso, il papa dichiarò Aureliano suo vicario in quella parte della Gallia che obbediva a Childeberto; gli diede il potere di terminare, assistito da un certo numero di vescovi, le cause che avrebbero potuto sorgere tra i prelati soggetti alla sua giurisdizione. Gli scrisse così: "Ma se, ciò che non piaccia a Dio, sorgono dispute sulla fede, o se si presenta qualche altra causa importante, dopo aver verificato i fatti e redatta una vostra relazione, riservate il giudizio e la decisione alla Sede Apostolica; perché noi troviamo negli archivi della chiesa romana che così hanno fatto, nei confronti dei nostri predecessori, quelli dei vostri che sono stati onorati della qualità di vicari della Santa Sede".

Il Papa aggiunse che, per rendere più onorevole la dignità che gli conferiva, gli concedeva l'uso del pallium; lo esorta anche a mantenere la pace tra Childeberto e l'Imperatore, e finisce col raccomandarlo di ringraziare Belisario, che si era di buon grado incaricato di chiedere l'approvazione di Giustiniano. Questa lettera è datata 23 agosto 546. Nello stesso tempo il papa scrisse ai vescovi degli Stati di Childeberto, informandoli che aveva nominato Aureliano suo vicario; che essi dovevano recarsi ai concili che avrebbe convocato e ricevere da lui le Litterae formatae [3], nel caso avessero intrapreso dei lunghi viaggi. Aureliano scrisse poco dopo a Teodeberto, re di Metz, una lettera in cui gli rende grandi lodi, accompagnate da un consiglio salutare. Lo esorta a pensare incessantemente al giorno della vendetta del Signore, a questo giorno in cui non ci sarà distinzione di rango o di nascita, e dove le ricchezze non serviranno a nulla, tranne quelle che saranno state impiegate in buone opere. Aiutato dalle liberalità di Childeberto, Aureliano fondò, nel 548, un monastero ad Arles, dedicato agli Apostoli ed ai Martiri. Compose, per i monaci che vi stabilì, una regola piena di saggezza, derivata in gran parte da quella di San Cesario, uno dei suoi predecessori, e da quella di San Benedetto; la regola si conclude con la sottoscrizione: Io, Aureliano peccatore. Egli pose a capo di questo monastero San Fiorentino [4]. Più o meno nello stesso periodo, fondò un altro monastero di giovani donne, che mise sotto la protezione della Beata Vergine, e diede alle religiose una regola che è la stessa di quella dei suoi monaci, con alcune differenze, che consistono nel ridimensionamento di alcuni punti troppo austeri per le giovani, o non adatti al loro sesso. San Aureliano assistette nel 549 al quinto Concilio di Orléans dove si riunirono cinquanta vescovi, tra cui nove metropoliti: alcuni scrittori sostengono che egli vi presiedette, ma è più probabile che fosse San Sacerdote [5] di Lione.

Comunque sia riguardo a ciò, il vescovo di Arles, sempre zelante per il mantenimento della disciplina ecclesiastica, ebbe buona parte in ciò che fu stabilito nel concilio per riformare i costumi e preservare la purezza della fede nella Gallia. Il papa Vigilio, mentre era a Costantinopoli, condannò i "Tre Capitoli" [6] con questa riserva: Salvo l'autorità del Concilio di Calcedonia; ma questa decisione non accontentò nessuno: Rustico e Sebastiano, diaconi della chiesa romana, che Vigilio onorava della sua fiducia, divulgarono nelle province che il Papa aveva abbandonato il Concilio di Calcedonia; essi scrissero in questo senso ad Aureliano che, come vicario della Santa Sede, volle accertarsi della verità. Egli inviò a papa Vigilio un chierico della sua chiesa, chiamato Anastasio, con delle lettere che Vigilio ricevette a Costantinopoli il 14 luglio 549; ma poiché non era allora in grado di esprimere liberamente il suo pensiero, a causa della specie di prigionia in cui l'Imperatore lo teneva, non rispose che l'anno seguente; ed anche allora Giustiniano gli concesse di esprimersi solo in termini generici. Dopo aver segnalato ad Aureliano che gli era grato per la sua sollecitudine per la sana dottrina e per ciò che può interessare la fede, gli dice: "Siate certo che noi non abbiamo fatto nulla che possa essere contrario alle costituzioni dei nostri predecessori, né alla fede dei quattro concili (Quattro concili, ovvero di Nicea, di Costantinopoli, del primo di Efeso e di Calcedonia); che noi respingiamo tutti coloro che non aderiscono alla fede di questi concili … Possa la vostra fraternità, in quanto vicario della Santa Sede, avvertire tutti i vescovi che non devono lasciarsi sorprendere da presunti scritti diffusi, o dalle false voci che ce li addebitano. Il vostro inviato, Anastasio, vi darà un resoconto di ciò che siamo stati in grado di fare per difendere il deposito di fede tramandatoci dai santi concili e dai nostri predecessori. Quando l'imperatore ci avrà permesso di tornare in Italia, noi vi manderemo qualcuno per istruirvi in modo più dettagliato su quanto è successo".

In seguito egli esorta Aureliano a pregare con insistenza Childeberto affinché protegga la Chiesa nella triste necessità in cui essa si trovava. Anastasio, alla cui relazione il papa voleva che Aureliano prestasse fede, non meritava certo questa confidenza. Poiché egli non poteva ottenere il permesso di lasciare Costantinopoli, promise che se gli fosse stato permesso di tornare ad Arles, avrebbe indotto i vescovi della Gallia a condannare i tre capitoli; poi fu sommerso da doni e gli si fece giurare che avrebbe mantenuto la parola data. Al suo ritorno nella Gallia, fece tutto il possibile per rendere odioso il papa e per sedurre i vescovi. Aureliano non fu testimone dell'infedeltà del suo inviato, essendo morto il 16 giugno 551 a Lione, dove era andato per una ragione che il racconto della sua vita non ci fa conoscere: forse era per assolvere la commissione che il papa gli aveva affidato con re Childeberto. Fu sepolto nella chiesa di Saint-Nicezio (Nizier) di questa città e si scoprì la sua tomba nel 1308 [7].



Note estratte da varie fonti: "Vita dei Padri e dei Martiri" a cura di A. Butler, Ed. Battaggia 1824, Wikipedia, Enciclopedia Treccani e altre indicate in seguito.

[1] Vigilio (Roma ? – Siracusa 555), papa (537-555). Eletto papa per volere del generale bizantino Belisario e dell’imperatrice Teodora, succedette al deposto Silverio, che abdicò in suo favore. Per quanto Vigilio avesse tramato per assurgere a tale carica, il suo pontificato subì gravi umiliazioni da parte del potere temporale proprio nel momento in cui sembrava maggiormente affermarsi la dottrina dell’autorità pontificia.

[2] Pallio o pallium in latino - Stola di lana d'agnello, ornata di sei croci nere e di frange, che il Papa impone ai vescovi ed agli arcivescovi metropoliti quale simbolo di potestà nella propria provincia. Nella chiesa d'Occidente il Papa venne considerato l'unico metropolita fino al V secolo quando, in Gallia e nell'Italia settentrionale, i vescovi delle principali città cominciarono a fregiarsi di questo titolo. Il compito principale del metropolita era quello di presiedere l'elezione dei vescovi della sua provincia e di ordinarli.

[3] Le lettere formate, o litterae formatae in latino, erano lettere di comunione e di raccomandazione. I Cristiani prendevano in viaggio delle lettere dei loro vescovi per mostrare che erano nella comunione della Chiesa. I vescovi che erano costretti ad assentarsi dalla propria diocesi la ricevevano dai loro metropoliti.

[4] San Fiorentino d'Arles, nato intorno al 483 e primo abate del monastero dei Santi Apostoli e Martiri ad Arles, fondato nel 547 dal vescovo San Aureliano. Il suo epitaffio in versi, sul suo reliquiario nella chiesa di Sainte-Croix d'Arles, è uno dei più antichi esempi cristiani del suo genere. Questo epitaffio ci dice che Fiorentino morì il 12 aprile del 553, dopo aver governato il suo monastero per 5 anni e 6 mesi. Il suo successore sarà l'abate Redento.

[5] San Sacerdote di Lione, o Sacerdos, (487 - 552), fu un vescovo di Lione dal 549 al 552 e un consigliere del re Childeberto I. Era forse il figlio di San Rustico, vescovo a Lione alla fine del quinto secolo. Suo figlio Aureliano d'Arles fu arcivescovo di Arles dal 23 agosto 546 alla morte. Suo nipote Nicezio (Nizier) gli succedette come arcivescovo di Lione. Sacerdote ha presieduto il quinto Concilio di Orleans. Sacerdote è un santo cristiano celebrato il 12 settembre. (Fonte "Les Ancêtres de Charlemagne" di Christian Settipani, ed. P & G, Prosopographia et Genealogica 2015)

[6] Il cosiddetto scisma dei "Tre capitoli" fu originato dalla condanna di Giustiniano I nel 544 verso le proposizioni teologiche dei vescovi Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Cirro e di Iba di Edessa, favorevoli al nestorianesimo.

Tale condanna fu confermata nel V Concilio ecumenico di Costantinopoli (553), quando fu fatta sottoscrivere a forza a papa Vigilio. Molti vescovi occidentali, interpretando tale condanna come un attentato all’autorità del Concilio di Calcedonia (451), in cui erano state discusse ma non condannate quelle proposizioni, vi si opposero. I vescovi nordafricani scomunicarono papa Vigilio e, nell’Italia settentrionale, si originò uno scisma che fu riassorbito nel 6° sec., con l’eccezione della provincia di Aquileia, che si riunì alla Chiesa di Roma solo verso il 700.

Questi sono i cosiddetti "Tre Capitoli": 1) gli scritti di Teodoreto di Cirro (morto nel 457) contro san Cirillo di Alessandria (370-444) e contro il Concilio di Efeso. 2) Una lettera di Iba, vescovo di Edessa (morto nel 457), a difesa di Teodoro di Mopsuestia e destinata al persiano Mari (vescovo nestoriano di Seleucia-Ctesifonte e patriarca di Persia). 3) Gli scritti e la persona del teologo antiocheno Teodoro di Mopsuestia, maestro di Nestorio (morto intorno al 428).

[7] L'iscrizione sulla tomba di Aureliano dice: "Obiit XVI kal(endarum) Iuliarum undecies post Iustini Indictione XIIII", ovvero che morì il 16° giorno prima delle calende di luglio (cioè il 16 giugno), undici anni dopo il consolato di Giustino, durante la quattordicesima indizione. Giustino, parente dell'imperatore Giustiniano I, ma da non confondere con l'imperatore Giustino II, fu un generale bizantino eletto console nel 540. (Estratto da "Inscriptions antiques de Lyon" a cura di Alph De Boissiev, ed. Louis Perrin Lyon 1854)



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10 febbraio 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net