SAN FRUTTUOSO VESCOVO DI BRAGA

REGOLA MONASTICA COMUNE

 (Libera traduzione dal testo latino)

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IN NOME DELLA SANTA TRINITA’

INIZIANO I CAPITOLI DELLA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO VESCOVO

 

1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria iniziativa, a meno che non sia stata consultata la congregazione generale e che il vescovo l’abbia confermato in conformità con i canoni e la Regola.

2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei loro poderi senza il permesso di un vescovo che vive secondo la regola o senza un consiglio dei santi Padri.

3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.

4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.

5. In che misura i monaci debbano essere soggetti a loro abate.

6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano vivere senza pericolo in monastero.

7. In che modo ci si debba prendere cura dei malati nel monastero.

8. In che modo gli anziani debbano essere regolamentati nel monastero.

9. In che modo debbano vivere i monaci incaricati del bestiame del monastero.

10. Cosa debbano osservare gli abati.

11. Cosa debbano osservare i prepositi.

12. Cosa debbano osservare i decani.

13. In quali giorni i fratelli si riuniscano nel capitolo.

14. In che modo gli abati debbano prendersi cura degli scomunicati.

15. In che modo debbano essere custoditi i monasteri di uomini e donne.

16. Quali fratelli debbano abitare con le sorelle nello stesso monastero.

17. Quale debba essere la consuetudine del saluto nei monasteri di uomini e donne.

18. Siano ricevuti nel monastero solo coloro che si sono completamente spogliati di tutti i loro averi.

19. Cosa debbano osservare in monastero coloro che hanno commesso gravi crimini nel mondo.

20. Cosa si debba fare con i monaci che per vizi propri si dileguano dal proprio monastero.

 Finiscono i capitoli

 

INIZIA LA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO

 

Capitolo 1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria iniziativa, a meno che non sia stata consultata la congregazione generale e che il vescovo l’abbia confermato in conformità con i canoni e la Regola.

 Alcuni sono abituati, per paura della Gehenna, a fondare monasteri all'interno delle loro case e ad unirsi insieme, ai sensi di un giuramento, con le mogli, i figli, gli schiavi ed i vicini, e, come abbiamo detto, a consacrare per sé stessi chiese nei propri possedimenti col nome di martiri ed a chiamarli falsamente monasteri. Noi questi non li riteniamo monasteri, ma perdizione delle anime e sovvertimento della Chiesa. Da qui sono sorti scisma ed eresia e grandi controversie tra i monasteri. Eresia è così chiamata perché ognuno sceglie quello che preferisce fare; ciò che sceglie lo considera sacro e lo difende con parole menzognere. Quando si incontrano tali persone, si devono considerare ipocriti ed eretici, piuttosto che monaci. Noi speriamo, ardentemente imploriamo la vostra rettitudine ed ordiniamo di non conversare con costoro e di non imitarli. Perché vivono secondo le proprie regole, non vogliono essere soggetti a nessuno degli anziani e non donano nessuno dei propri beni ai poveri, ma anzi, come se fosero poveri, si affrettano ad impadronirsi delle sostanze altrui in modo che, con le loro mogli e figli, possano trarne profitto maggiore di quando erano nel mondo. Così facendo, non mostrano alcuna preoccupazione per la perdizione delle loro anime, in modo da raccogliere i vantaggi non delle loro anime, ma dei loro corpi ed ancora di più rispetto agli uomini del mondo. Essi si affliggono per i loro famigliari come lupi e, di giorno in giorno, non piangono i propri peccati passati. Scandalosamente ansimano sempre con passione per il guadagno e non si preoccupano per la punizione futura, essendo troppo profondamente preoccupati per come nutrire mogli e figli. Con gravi litigi e disaccordi si separano da quei vicini a cui erano stati precedentemente legati da giuramenti e tentano, non con semplicità, ma con biasimo, di portarsi via l’un l’altro quelle proprietà che in precedenza avevano messo in comune e gestito in una fittizia carità. Se rilevano una qualche debolezza in alcuni di essi, cercano l'aiuto dei parenti che hanno lasciato nel mondo, con spade e bastoni e minacce e, proprio all'inizio della loro vita religiosa, trovano il modo di poterla infrangere. Dal momento che sono volgari e ignoranti, vogliono che l’abate che li governa sia come loro, in modo che, qualunque strada prendano, possano fare con la sua benedizione tutto ciò che vogliono, possano dire quello che vogliono, possano giudicare gli altri in modo impulsivo e possano lacerare i servi di Cristo come con denti di cani; tutto questo lo fanno per stare in unione con i secolari e con le idee di questo mondo, insieme col mondo amano gli amanti del mondo e, immondi come sono, periscono con il mondo. Costoro spesso invitano gli altri a vivere nella stessa maniera, causando scandalo alle loro menti deboli. Di tali persone il Signore dice nel Vangelo: "Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete, perchè un albero cattivo non può produrre frutti buoni” (Mt 7,15-16:18). Dai loro frutti, che significa le loro opere; dalle loro foglie, le loro parole. Così che, per poterli conoscere dalle loro opere, potete valutare le loro parole perché, quando hanno il volto illuminato dalla torcia della cupidigia, non possono essere paragonati con i poveri di Cristo. I poveri in Cristo hanno questa consuetudine, di non desiderare di avere niente in questo mondo, per poter perfettamente amare Dio ed il prossimo. Ed al fine di sfuggire ai lupi di cui sopra, hanno ascoltato la parola del Signore che dice: " ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca ' (Lc 10,3-4)' Di conseguenza, il servo di Cristo, che vuole essere un vero discepolo, spogliato di tutto sale sulla croce nudo, affinché egli possa essere morto al mondo, ma vivo in Cristo crocifisso. E, dopo aver deposto il peso del suo corpo ed aver visto i nemici uccisi, allora saprà di aver conquistato il mondo e di aver raggiunto un trionfo alla pari con quello dei santi martiri.

 

Capitolo 2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei loro poderi senza il permesso di un vescovo che vive secondo la regola o senza un consiglio dei santi Padri.

 Alcuni presbiteri sono soliti simulare la santità, non per la vita eterna, ma per servire la Chiesa per amore di beni terreni; e con il pretesto di santità, di perseguire i profitti delle ricchezza. E cercano di costruire i cosiddetti monasteri, non perché sono stati suscitati dall'amore di Cristo, ma dalle lusinghe del popolo volgare, nella paura di perdere le loro decime o di perdere altro guadagni. Questo lo fanno non alla maniera degli apostoli, ma secondo quella di Anania e Safira. Di costore il beato Girolamo dice: "Non hanno distribuito i propri beni ai poveri, né hanno vissuto una vita laboriosa nel monastero; non hanno deplorato il loro modo di vivere al fine di correggerlo grazie ad una costante meditazione. Non hanno pianto, non hanno trattato i loro corpi con la cenere e con il cilicio; non hanno predicato la penitenza ai peccatori per poter dire con Giovanni Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt 3,2); essi non hanno imitato Cristo che ha detto: “Non sono venuto per farmi servire, ma per servire” (Mt 20,28, e: “Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella del Padre” (Gv 6,38).   E quando questi uomini passano da un seggio ad uno più elevato - voglio dire, a causa del loro orgoglio - vogliono essere a capo dei fratelli, invece di agire per il loro interesse; e mentre conservano con apprensione i loro averi, desiderano ciò che altri hanno, proprio perché non condividono; ed inoltre predicano ciò che loro stessi non praticano e praticano uno stile di vita comune con i principi mondani, con i principi della terra e con il popolo; quali discepoli dell'Anticristo, abbaiano contro la Chiesa, costruiscono arieti e con tali macchine la attaccare; ma, quando vengono in mezzo a noi con la testa abbassata e con passo leggero, simulano santità. Questi sono ipocriti, che sono una cosa, ma ne sembrano un’altra, in modo che gli sciocchi che li vedono li imitano. Essi sono ladri e briganti, secondo le parole del Signore, che entrano non dalla porta, che è Cristo ma, dopo aver spaccato la parete della Chiesa, entrano in fretta attraverso il muro (Gv 10,1-8); e se uno qualsiasi dei fedeli desidera vivere rettamente, gli porranno degli ostacoli contro tali come meglio possono, invece di aiutare. Di costoro il Signore dice: "Guai a voi, scribi e farisei, ciechi ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare" (Mt 23,13). Costoro, così come sono soddisfatti dei loro guadagni, lo sono anche delle nostre perdite; creano con ogni sforzo cose false, che non hanno mai udito, contro di noi e le diffondono, e assericono come giustificazione, annunciandole pubblicamente pubblicamente come se ci avessero sorpresi in flagranza, cose che noi sappiamo bene di non aver fatto; e quelli che hanno lasciato il monastero per i loro peccati, sono ricevuti da loro con un'ovazione, sono protetto e difesi; e poiché la maggior parte dei nostri detrattori sono disertori di monasteri, li onorano altamente e – ciò che mi vergogno di dire – sono colmati di onori. Quando li vedrete, mostrate loro l'odio piuttosto che la vicinanza, perché di costoro dice il Profeta: " Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! ... Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici" (Sal 139 (138), 21-22).

 

Capitolo 3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.

 Prima di tutto occorre prevedere un abate fortificato dalle pratiche di una vita santa, non un novizio di conversione; ma che, per un lungo periodo di tempo, è stato messo alla prova lavorando duramente in monastero sotto un abate e in mezzo a molti fratelli e che non abbia eredità nel mondo; ma che sia un vero e proprio Levita in tutto Israele senza una quota nella terra di promessa (Gs 14,3), in modo che egli possa liberamente dire con il profeta: "Il Signore è mia parte di eredità" (Sal 15,5); a tal punto che egli bandisce completamente dal suo cuore ogni motivo di litigio; e, se è possibile, non contenda con gli uomini in tribunale in nessuna circostanza; ma, se qualcuno lo incita e gli porta via la tunica per farlo competere, subito, secondo la parola del Signore, gli lasci anche il mantello (Mt 5,40). Se poi si presentasse un nemico del monastero e cercasse di portar via qualcosa da esso anche con l’uso della violenza, l'abate deve incaricare del fatto un laico, che sia un cristaiano dei più fedeli, lodato per la sua buona vita e non screditato da una cattiva fama; costui deve giudicare e informarsi senza peccato sui beni del monastero e, se ci fosse bisogno di giuramento, egli agisca senza giuramento e senza vendetta; ed egli proceda in modo tale da vedere non solo l'interesse del monastero, ma al fine di rendere il persecutore umile e incline a chiedere perdono. Ma se il denunciante persevererà nella sua ostinazione e amerà più i guadagni materiali della propria anima, allora il patrocinatore della causa deve abbandonare immediatamente il caso. Un abate non deve mai provocare liti e, non covando più nessun rancore, deve vivere una vita semplice nel suo monastero con i suoi monaci e non si permetta per nessun motivo di avere contenziosi con gli uomini del mondo.

 

Capitolo 4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.

 I monaci che chiedono di entrare in monastero col pretesto della professione religiosa devono, in primo luogo, vivere al di fuori della porta per tre giorni e tre notti e devono essere continuamente rimproverato dai monaci incaricati ogni settimana. Dopo questo tempo venga loro chiesto se ​​sono liberi o schiavi. Se sono schiavi, non possono essere ricevuti a meno che non portino con sé la prova che la libertà è stata concessa dai loro padroni; per il resto, che siano liberi o schiavi, ricchi o poveri, sposati o celibi, sciocchi o saggi, rozzi o addestrati, giovani o vecchi, chiunque essi siano, devono essere attentamente interrogati sul fatto che la loro rinuncia sia retta o meno; se proprio hanno fatto tutto ciò che hanno sentito dalle parole di verità nel Vangelo, che dice: " Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo" (Lc 14,33). E il caso del giovane ricco che si vantava di aver adempiuto a tutti i comandi della legge, al quale il Signore ha detto: " Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!" (Mt 19,21). Ancora una volta il Signore gli dice: "Chi vuole essere perfetto? Chi come gli apostoli abbandonerà suo padre e sua madre, le sue reti e la barca " (Mt 19,39). Colui che ha detto" tutto " comandò di non riservarsi niente per uso proprio ed ha dato tutti suoi beni, non ad una persona in particolare, ma ai poveri in Cristo; e non li diede al padre, né alla madre, né al fratello, né al suo vicino, né al congiunto, né al figlio adottivo, né alla moglie, né ai figli, né alla Chiesa, né ai principi della terra, né ai servi, ad eccezione di confermarli in libertà. A condizione che, come abbiamo prima detto, gli sia stato chiesta (la conferma) ed allora sia ammesso al rango più basso. Ma se lascerà ad uno di questi, di cui abbiamo parlato prima, secondo gli usi della pietà, per falsa rinuncia, anche solo una moneta, comandiamo che sia buttato fuori subito, poiché lo vediamo non nel numero degli apostoli, ma piuttosto un seguace di Anania e Safira. Sappiate che costui non può giungere fino alla misura di un monaco in monastero, né discendere alla povertà di Cristo, né acquisire l'umiltà, né essere obbediente, né rimanere per sempre in monastero; ma, quando gli si presentasse qualche occasione di essere rimproverato o corretto dall'abate del suo monastero per qualsiasi causa, egli si innalza subito con orgoglio e, gonfiato con la debolezza di spirito, fuggirà e lasciarà il monastero.

 

Capitolo 5. In che misura i monaci debbano essere soggetti a loro abate.

 

I monaci devono obbedire ai precetti dei loro superiori come Cristo fu obbediente al Padre fino alla morte; se faranno altrimenti, sappiano che hanno perso la via stavano cercando. Nessuno va a Cristo se non per mezzo di Cristo. Di conseguenza i monaci devono adottare modi di vivere tali per cui non possano in alcun modo deviare dal retto cammino. Prima di tutto devono imparare a vincere le proprie volontà e non fare nulla secondo il proprio arbitrio, nemmeno la più piccola cosa; a non dire nulla, a meno che non vengano interpellati, a cacciare con il digiuno e la preghiera i pensieri che nascono di giorno in giorno, ed a non nascondere alcuna cosa al proprio abate. E qualunque cosa facciano la devono fare senza mormorare, per timore che con le loro lamentele, non sia mai, periscano a causa di quella sentenza per la quale perirono coloro che mormoravano nel deserto (Nm 16,41-49). Quelli nel deserto perirono mangiando la manna, mentre questi mormoratori muoiono nel monastero recitando le Scritture. Quelli sono morti pur mangiando la manna, mentre questi, pur leggendo ed ascoltando le Scritture, muoiono ogni giorno di fame spirituale. Quelli, mormorando non entrarono nella terra promessa, mentre questi, mormorando, non entrano la terra promessa del Paradiso. Che terribile sventura uscire dall'Egitto, aver attraversato il mare, aver suonato il timpano con Mosè e Mariam, dopo che il Faraone è stato sommerso (Es 15,1-20), aver mangiato la manna e tuttavia non essere entrati nella terra promessa; quanto maggiore la sfortuna di uscire dall'Egitto di questo mondo, di passare ogni giorno attraverso il mare del battesimo con l'amarezza della penitenza, di battere sul timpano, cioè crocifiggere la carne con Cristo, di mangiare la manna che è grazia celeste e tuttavia non entrare nel territorio del regno dei cieli. Occorre temere, dunque, fratelli carissimi, e pensare e meditare in anticipo quale via devono seguire coloro che desiderano andare a Cristo per mezzo di Cristo, essi devono ascoltare serenamente ciò che devono osservare. Siano obbedienti all'abate fino alla morte, a tal punto da non fare assolutamente la propria volontà, ma quella del Padre. Nulla è così caro a Dio, quanto lo spezzare la propria volontà. Perciò Pietro dice: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” Non ha solo detto: "Noi abbiamo lasciato tutto: che cosa dunque ne avremo?", ma ha anche aggiunto: "Noi ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). Molti rinunciano tutto, ma non seguono il Signore. Perché? Perché seguono la propria volontà, non quella del Padre. Chi, dunque, vuole trovare la via stretta ed angusta, e continuare su di essa senza inciampare e percorrendola non perderla, e non perdendola giungere a Cristo, impari in primo luogo a superare la propria volontà ed a non soddisfare per nulla i desideri del proprio corpo ed a perseverare fino alla fine della vita in obbedienza al Padre. Tale è la via stretta ed angusta che conduce alla vita.

 

Capitolo 6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano vivere senza pericolo in monastero.

 Quando qualcuno giungesse con moglie o figli piccoli, minori di sette anni, piacque alla santa regola comune che sia i genitori che i figli si consegnino all’autorità dell'abate, il quale spieghi loro, con ogni sollecitudine, quali regole devono ragionevolmente rispettare. Prima di tutto, essi non possono disporre del proprio corpo, né si preoccupino del cibo o dei vestiti: neppure presumano di mantenere in loro possesso le ricchezze o i possedimenti che hanno lasciato; vivranno invece soggetti al monastero come ospiti e pellegrini; i genitori non siano preoccupati per i loro figli, né i figli per i genitori. Essi non possono conversare insieme, se non con il consenso del priore. Per quanto riguarda i bambini più piccoli, tuttavia, che ancora si intrattengono coi giochi, per un senso di compassione si conceda che vadano dal loro padre o dalla madre, quando lo desiderano, per timore che i genitori cadono nel vizio della mormorazione per causa loro; poiché spesso c’è molta mormorazione in monastero per questo motivo. Lasciate che i bambini siano allevati da entrambi i genitori fino a quando conosceranno un po’ la Regola; e siano istruiti continuamente in modo che sia i bambini che le bambine siano incoraggiati verso il monastero dove andranno a vivere. E ora, se Dio ci concede opportunità, presentiamo una maniera semplice su come gli stessi bambini siano nutriti nel monastero. Sia scelto un cellerario che sia provato in bontà e pazienza, eletto dall'assemblea comune, esonerato da tutti i compiti di servizio del monastero e dalla cucina, in modo che possa sempre occuparsi della dispensa riservata ai bambini, agli anziani, ai malati ed agli ospiti. E se la congregazione è sufficientemente grande, un monaco più giovane può essere dato a lui per aiutarlo nel suo servizio, in modo che i bambini possano essere riuniti sotto la sua direzione e possano ricevere il loro cibo in orari opportuni. Dalla santa Pasqua fino al 24 settembre, possono mangiare quattro volte al giorno. Dal 24 settembre al 1° dicembre, per tre volte e dal 1° dicembre a santa Pasqua, lo stabilisca lostesso cellerario. Ma i bambini devono essere istruiti affinché non mettano nulla in bocca, senza una benedizione ed il permesso; e questi stessi bambini dispongano di un decano, che li conosca meglio e che osservi la Regola nei loro confronti; e da lui devono essere sempre ammoniti a non fare o dire qualcosa che non sia in conformità con la regola, né siano sorpresi a mentire, rubare, od a giurare il falso. Se saranno sorpresi in una di queste mancanze, devono essere subito corretti dal loro stesso decano con una verga. Lo stesso cellerario deve lavare loro i piedi e gli abiti, ed insegni loro con tutta la dovuta attenzione come avanzare nella santità, affinché (lui stesso) possa ricevere la piena ricompensa dal Signore ed ascolti le parole della Verità che dice: "Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli" (Mt 19,14).

Capitolo 7. In che modo ci si debba prendere cura dei malati nel monastero.

Coloro che sono malati di una qualsiasi malattia risiedano in una camera singola e siano affidati alla cura di uno che vi sia adatto; ed essi siano assistiti in modo che non desiderino l'affetto dei loro parenti, né le lusinghe dei beni materiali, ma siano il cellerario ed il preposito a fornire tutto il necessario. I malati, tuttavia, siano ammoniti con tanta sollecitudine affinché dalle loro bocche non esca la benché minima e lieve parola di mormorazionene, ma invece nella loro malattia offrano sempre grazie a Dio, di continuo, con spirito sereno, abbandonata ogni occasione di mormorazione e con sincera compunzione di cuore; ed il fratello che li serve non osi offenderli in alcun modo. Ma se qualche sospetto di mormorazione dovesse uscire dalle loro bocche, come ho già detto, devono essere rimproverati dall'abate ed avvertiti di non commettere nessuna delle cose di cui sopra, in modo tale che colui al quale questo servizio è affidato non debba accusarli.

Capitolo 8. In che modo gli anziani debbano essere regolamentati nel monastero.

Alcuni anziani novizi vengono regolarmente al monastero e sappiamo che molti di loro promettono l’osservanza del patto costretti dal bisogno della loro debolezza e non per professare la vita religiosa. Quando si trovano alcuni così, devono essere rimproverati molto aspramente e, tra gli altri mezzi di correzione, non parlino se non interrogati. Costoro, infatti, hanno l’abitudine di non abbandonare mai i loro costumi precedenti e divagare in vane chiacchiere, come erano abituati in precedenza. Quando vengono eventualmente corretti da qualche fratello spirituale, hanno immediatamente scoppi di rabbia e, per lungo tempo sono tormentati dal morbo della tristezza e non cessano mai del tutto di covare rancore e malanimo. E poiché cadono in tali difetti così spesso ed in modo così prolungato, qualora la tristezza li lascia, essi perdono, come d’abitudine, la loro moderazione nelle chiacchiere e nel ridere. Di conseguenza, essi devono essere ammessi nel monastero con tale precauzione, che non divaghino giorno e notte nel raccontare sciocchezze, ma si dedichino a singhiozzi e lacrime, nella cenere e nel cilicio, e con il cuore palpitante facciano penitenza per i loro peccati passati e, pentendosi, non ne commettano più. E se, quando peccarono, ebbero nel loro cuore perverso una cattiva intenzione, ora esprimano ancora più con gemiti una piena devozione. Dal momento che per settanta e più anni hanno profusamente peccato, è giusto che essi siano corretti da una severa penitenza, proprio come un medico incide più profondamente in una ferita quando più vede la carne putrida. Questi tali sono da correggere con una vera penitenza in modo tale che, se non volessero accettarla, siano puniti immediatamente con la scomunica. Se sono stati ammoniti quattordici volte e non si sono emendati da questo vizio, essi devono essere condotti all’assemblea degli anziani e là devono essere di nuovo esaminati. Se non permetteranno di farsi correggere, devono essere mandati via. D'altra parte, noi possiamo trattarli con compassione come si fa coi bambini e possiamo onorarli come genitori, se si comportano in modo tranquillo, semplice, umile, obbediente, se si dedicano alla preghiera deplorando i propri peccati tanto quanto quelli degli altri e se, sentendosi ogni giorno in pericolo di vita, mantengono sempre Cristo sulle labbra; se non stanno inattivi avendone la forza e se si fanno guidare dai superiori, piuttosto che dalla loro volontà; se rinunciano completamente agli affetti familiari, dando tutto quello che hanno ai poveri di Cristo, piuttosto che ai loro parenti, non tenendo nulla per sé; se conservano con tutto la spitrito e con tutta la forza l’amore di Dio e del prossimo e meditano, giorno e notte, sulla legge del Signore. Essi possono essere esentati dal lavoro al mulino, dai turni di cucina e, stando tranquilli, siano esentati dal lavoro nei campi e da lavori pesanti; si assegnino loro solo alcuni dei compiti più leggeri, per timore che la loro stanca età si interrompa prima del tempo. Il cibo di cui si nutrono sia appositamente cucinato morbido e tenero da parte degli addetti settimanali e si offra loro, a causa della loro debolezza, una moderata quantità di carne e vino. Tutti si riuniscano a mangiare in un unico tavolo e tutti si ristorino con lo stesso cibo e con la stessa bevanda. Siano offerti loro indumenti e scarpe in modo tale che siano protetti dalla rigidità del freddo anche senza l'uso del fuoco.


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22 giugno 2017                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net