SAN FRUTTUOSO VESCOVO DI BRAGA
REGOLA MONASTICA COMUNE
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IN NOME
DELLA SANTA TRINITA’
INIZIANO
I CAPITOLI DELLA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO VESCOVO
1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria iniziativa, a meno
che non sia stata consultata la congregazione generale e che il vescovo
l’abbia confermato in conformità con i canoni e la Regola.
2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei loro poderi
senza il permesso di un vescovo che vive secondo la regola o senza un
consiglio dei santi Padri.
3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.
4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.
5. In che misura i monaci debbano essere soggetti a loro abate.
6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano vivere senza
pericolo in monastero.
7. In che modo ci si debba prendere cura dei malati nel monastero.
8. In che modo gli anziani debbano essere regolamentati nel monastero.
9. In che modo debbano vivere i monaci incaricati del bestiame del
monastero.
10. Cosa debbano osservare gli abati.
11. Cosa debbano osservare i prepositi.
12. Cosa debbano osservare i decani.
13. In quali giorni i fratelli si riuniscano nel capitolo.
14. In che modo gli abati debbano prendersi cura degli scomunicati.
15. In che modo debbano essere custoditi i monasteri di uomini e donne.
16. Quali fratelli debbano abitare con le sorelle nello stesso
monastero.
17. Quale debba essere la consuetudine del saluto nei monasteri di
uomini e donne.
18. Siano ricevuti nel monastero solo coloro che si sono completamente
spogliati di tutti i loro averi.
19. Cosa debbano osservare in monastero coloro che hanno commesso gravi
crimini nel mondo.
20. Cosa si debba fare con i monaci che per vizi propri si dileguano dal
proprio monastero.
Finiscono i capitoli
INIZIA LA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO
Capitolo 1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria
iniziativa, a meno che non sia stata consultata la congregazione
generale e che il vescovo l’abbia confermato in conformità con i canoni
e la Regola.
Alcuni sono abituati, per paura della Gehenna, a fondare
monasteri all'interno delle loro case e ad unirsi insieme, ai sensi di
un giuramento, con le mogli, i figli, gli schiavi ed i vicini, e, come
abbiamo detto, a consacrare per sé stessi chiese nei propri possedimenti
col nome di martiri ed a chiamarli falsamente monasteri. Noi questi non
li riteniamo monasteri, ma perdizione delle anime e sovvertimento della
Chiesa. Da qui sono sorti scisma ed eresia e grandi controversie tra i
monasteri. Eresia è così chiamata perché ognuno sceglie quello che
preferisce fare; ciò che sceglie lo considera sacro e lo difende con
parole menzognere. Quando si incontrano tali persone, si devono
considerare ipocriti ed eretici, piuttosto che monaci. Noi speriamo,
ardentemente imploriamo la vostra rettitudine ed ordiniamo di non
conversare con costoro e di non imitarli. Perché vivono secondo le
proprie regole, non vogliono essere soggetti a nessuno degli anziani e
non donano nessuno dei propri beni ai poveri, ma anzi, come se fosero
poveri, si affrettano ad impadronirsi delle sostanze altrui in modo che,
con le loro mogli e figli, possano trarne profitto maggiore di quando
erano nel mondo. Così facendo, non mostrano alcuna preoccupazione per la
perdizione delle loro anime, in modo da raccogliere i vantaggi non delle
loro anime, ma dei loro corpi ed ancora di più rispetto agli uomini del
mondo. Essi si affliggono per i loro famigliari come lupi e, di giorno
in giorno, non piangono i propri peccati passati. Scandalosamente
ansimano sempre con passione per il guadagno e non si preoccupano per la
punizione futura, essendo troppo profondamente preoccupati per come
nutrire mogli e figli. Con gravi litigi e disaccordi si separano da quei
vicini a cui erano stati precedentemente legati da giuramenti e tentano,
non con semplicità, ma con biasimo, di portarsi via l’un l’altro quelle
proprietà che in precedenza avevano messo in comune e gestito in una
fittizia carità. Se rilevano una qualche debolezza in alcuni di essi,
cercano l'aiuto dei parenti che hanno lasciato nel mondo, con spade e
bastoni e minacce e, proprio all'inizio della loro vita religiosa,
trovano il modo di poterla infrangere. Dal momento che sono volgari e
ignoranti, vogliono che l’abate che li governa sia come loro, in modo
che, qualunque strada prendano, possano fare con la sua benedizione
tutto ciò che vogliono, possano dire quello che vogliono, possano
giudicare gli altri in modo impulsivo e possano lacerare i servi di
Cristo come con denti di cani; tutto questo lo fanno per stare in unione
con i secolari e con le idee di questo mondo, insieme col mondo amano
gli amanti del mondo e, immondi come sono, periscono con il mondo.
Costoro spesso invitano gli altri a vivere nella stessa maniera,
causando scandalo alle loro menti deboli. Di tali persone il Signore
dice nel Vangelo: "Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in
veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li
riconoscerete, perchè un albero cattivo non può produrre frutti buoni”
(Mt 7,15-16:18). Dai loro frutti, che significa le loro opere; dalle
loro foglie, le loro parole. Così che, per poterli conoscere dalle loro
opere, potete valutare le loro parole perché, quando hanno il volto
illuminato dalla torcia della cupidigia, non possono essere paragonati
con i poveri di Cristo. I poveri in Cristo hanno questa consuetudine, di
non desiderare di avere niente in questo mondo, per poter perfettamente
amare Dio ed il prossimo. Ed al fine di sfuggire ai lupi di cui sopra,
hanno ascoltato la parola del Signore che dice: "
ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate
borsa, né sacca ' (Lc 10,3-4)' Di conseguenza, il servo di Cristo, che
vuole essere un vero discepolo, spogliato di tutto sale sulla croce
nudo, affinché egli possa essere morto al mondo, ma vivo in Cristo
crocifisso. E, dopo aver deposto il peso del suo corpo ed aver visto i
nemici uccisi, allora saprà di aver conquistato il mondo e di aver
raggiunto un trionfo alla pari con quello dei santi martiri.
Capitolo 2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei
loro poderi senza il permesso di un vescovo che vive secondo la regola o
senza un consiglio dei santi Padri.
Alcuni presbiteri sono soliti simulare la santità, non per la
vita eterna, ma per servire la Chiesa per amore di beni terreni; e con
il pretesto di santità, di perseguire i profitti delle ricchezza. E
cercano di costruire i cosiddetti monasteri, non perché sono stati
suscitati dall'amore di Cristo, ma dalle lusinghe del popolo volgare,
nella paura di perdere le loro decime o di perdere altro guadagni.
Questo lo fanno non alla maniera degli apostoli, ma secondo quella di
Anania e Safira. Di costore il beato Girolamo dice: "Non hanno
distribuito i propri beni ai poveri, né hanno vissuto una vita laboriosa
nel monastero; non hanno deplorato il loro modo di vivere al fine di
correggerlo grazie ad una costante meditazione. Non hanno pianto, non
hanno trattato i loro corpi con la cenere e con il cilicio; non hanno
predicato la penitenza ai peccatori per poter dire con Giovanni
Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt 3,2);
essi non hanno imitato Cristo che ha detto: “Non sono venuto per farmi
servire, ma per servire” (Mt 20,28, e: “Non sono venuto per fare la mia
volontà, ma quella del Padre” (Gv 6,38).
E quando questi uomini passano da un seggio ad uno più elevato -
voglio dire, a causa del loro orgoglio - vogliono essere a capo dei
fratelli, invece di agire per il loro interesse; e mentre conservano con
apprensione i loro averi, desiderano ciò che altri hanno, proprio perché
non condividono; ed inoltre predicano ciò che loro stessi non praticano
e praticano uno stile di vita comune con i principi mondani, con i
principi della terra e con il popolo; quali discepoli dell'Anticristo,
abbaiano contro la Chiesa, costruiscono arieti e con tali macchine la
attaccare; ma, quando vengono in mezzo a noi con la testa abbassata e
con passo leggero, simulano santità. Questi sono ipocriti, che sono una
cosa, ma ne sembrano un’altra, in modo che gli sciocchi che li vedono li
imitano. Essi sono ladri e briganti, secondo le parole del Signore, che
entrano non dalla porta, che è Cristo ma, dopo aver spaccato la parete
della Chiesa, entrano in fretta attraverso il muro (Gv 10,1-8); e se uno
qualsiasi dei fedeli desidera vivere rettamente, gli porranno degli
ostacoli contro tali come meglio possono, invece di aiutare. Di costoro
il Signore dice: "Guai a voi, scribi e farisei, ciechi ipocriti, che
chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate
voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare" (Mt
23,13). Costoro, così come sono soddisfatti dei loro guadagni, lo sono
anche delle nostre perdite; creano con ogni sforzo cose false, che non
hanno mai udito, contro di noi e le diffondono, e assericono come
giustificazione, annunciandole pubblicamente pubblicamente come se ci
avessero sorpresi in flagranza, cose che noi sappiamo bene di non aver
fatto; e quelli che hanno lasciato il monastero per i loro peccati, sono
ricevuti da loro con un'ovazione, sono protetto e difesi; e poiché la
maggior parte dei nostri detrattori sono disertori di monasteri, li
onorano altamente e – ciò che mi vergogno di dire – sono colmati di
onori. Quando li vedrete, mostrate loro l'odio piuttosto che la
vicinanza, perché di costoro dice il Profeta: "
Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! ... Li odio con odio
implacabile, li considero miei nemici" (Sal 139 (138), 21-22).
Capitolo 3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.
Prima di tutto occorre prevedere un abate fortificato dalle
pratiche di una vita santa, non un novizio di conversione; ma che, per
un lungo periodo di tempo, è stato messo alla prova lavorando duramente
in monastero sotto un abate e in mezzo a molti fratelli e che non abbia
eredità nel mondo; ma che sia un vero e proprio Levita in tutto Israele
senza una quota nella terra di promessa (Gs 14,3), in modo che egli
possa liberamente dire con il profeta: "Il Signore è mia parte di
eredità" (Sal 15,5); a tal punto che egli bandisce completamente dal suo
cuore ogni motivo di litigio; e, se è possibile, non contenda con gli
uomini in tribunale in nessuna circostanza; ma, se qualcuno lo incita e
gli porta via la tunica per farlo competere, subito, secondo la parola
del Signore, gli lasci anche il mantello (Mt 5,40). Se poi si
presentasse un nemico del monastero e cercasse di portar via qualcosa da
esso anche con l’uso della violenza, l'abate deve incaricare del fatto
un laico, che sia un cristaiano dei più fedeli, lodato per la sua buona
vita e non screditato da una cattiva fama; costui deve giudicare e
informarsi senza peccato sui beni del monastero e, se ci fosse bisogno
di giuramento, egli agisca senza giuramento e senza vendetta; ed egli
proceda in modo tale da vedere non solo l'interesse del monastero, ma al
fine di rendere il persecutore umile e incline a chiedere perdono. Ma se
il denunciante persevererà nella sua ostinazione e amerà più i guadagni
materiali della propria anima, allora il patrocinatore della causa deve
abbandonare immediatamente il caso. Un abate non deve mai provocare liti
e, non covando più nessun rancore, deve vivere una vita semplice nel suo
monastero con i suoi monaci e non si permetta per nessun motivo di avere
contenziosi con gli uomini del mondo.
Capitolo 4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.
I monaci che chiedono di entrare in monastero col pretesto della
professione religiosa devono, in primo luogo, vivere al di fuori della
porta per tre giorni e tre notti e devono essere continuamente
rimproverato dai monaci incaricati ogni settimana. Dopo questo tempo
venga loro chiesto se sono liberi o schiavi. Se sono schiavi, non
possono essere ricevuti a meno che non portino con sé la prova che la
libertà è stata concessa dai loro padroni; per il resto, che siano
liberi o schiavi, ricchi o poveri, sposati o celibi, sciocchi o saggi,
rozzi o addestrati, giovani o vecchi, chiunque essi siano, devono essere
attentamente interrogati sul fatto che la loro rinuncia sia retta o
meno; se proprio hanno fatto tutto ciò che hanno sentito dalle parole di
verità nel Vangelo, che dice: "
Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può
essere mio discepolo" (Lc 14,33). E il caso del giovane ricco che si
vantava di aver adempiuto a tutti i comandi della legge, al quale il
Signore ha detto: "
Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi,
dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!" (Mt
19,21). Ancora una volta il Signore gli dice: "Chi vuole essere
perfetto? Chi come gli apostoli abbandonerà suo padre e sua madre, le
sue reti e la barca " (Mt 19,39). Colui che ha detto" tutto " comandò di
non riservarsi niente per uso proprio ed ha dato tutti suoi beni, non ad
una persona in particolare, ma ai poveri in Cristo; e non li diede al
padre, né alla madre, né al fratello, né al suo vicino, né al congiunto,
né al figlio adottivo, né alla moglie, né ai figli, né alla Chiesa, né
ai principi della terra, né ai servi, ad eccezione di confermarli in
libertà. A condizione che, come abbiamo prima detto, gli sia stato
chiesta (la conferma) ed allora sia ammesso al rango più basso. Ma se
lascerà ad uno di questi, di cui abbiamo parlato prima, secondo gli usi
della pietà, per falsa rinuncia, anche solo una moneta, comandiamo che
sia buttato fuori subito, poiché lo vediamo non nel numero degli
apostoli, ma piuttosto un seguace di Anania e Safira. Sappiate che
costui non può giungere fino alla misura di un monaco in monastero, né
discendere alla povertà di Cristo, né acquisire l'umiltà, né essere
obbediente, né rimanere per sempre in monastero; ma, quando gli si
presentasse qualche occasione di essere rimproverato o corretto
dall'abate del suo monastero per qualsiasi causa, egli si innalza subito
con orgoglio e, gonfiato con la debolezza di spirito, fuggirà e lasciarà
il monastero.
Capitolo 5. In che misura i monaci debbano essere soggetti a loro abate.
I monaci devono obbedire ai precetti dei loro superiori come Cristo fu
obbediente al Padre fino alla morte; se faranno altrimenti, sappiano che
hanno perso la via stavano cercando. Nessuno va a Cristo se non per
mezzo di Cristo. Di conseguenza i monaci devono adottare modi di vivere
tali per cui non possano in alcun modo deviare dal retto cammino. Prima
di tutto devono imparare a vincere le proprie volontà e non fare nulla
secondo il proprio arbitrio, nemmeno la più piccola cosa; a non dire
nulla, a meno che non vengano interpellati, a cacciare con il digiuno e
la preghiera i pensieri che nascono di giorno in giorno, ed a non
nascondere alcuna cosa al proprio abate. E qualunque cosa facciano la
devono fare senza mormorare, per timore che con le loro lamentele, non
sia mai, periscano a causa di quella sentenza per la quale perirono
coloro che mormoravano nel deserto (Nm 16,41-49). Quelli nel deserto
perirono mangiando la manna, mentre questi mormoratori muoiono nel
monastero recitando le Scritture. Quelli sono morti pur mangiando la
manna, mentre questi, pur leggendo ed ascoltando le Scritture, muoiono
ogni giorno di fame spirituale. Quelli, mormorando non entrarono nella
terra promessa, mentre questi, mormorando, non entrano la terra promessa
del Paradiso. Che terribile sventura uscire dall'Egitto, aver
attraversato il mare, aver suonato il timpano con Mosè e Mariam, dopo
che il Faraone è stato sommerso (Es 15,1-20), aver mangiato la manna e
tuttavia non essere entrati nella terra promessa; quanto maggiore la
sfortuna di uscire dall'Egitto di questo mondo, di passare ogni giorno
attraverso il mare del battesimo con l'amarezza della penitenza, di
battere sul timpano, cioè crocifiggere la carne con Cristo, di mangiare
la manna che è grazia celeste e tuttavia non entrare nel territorio del
regno dei cieli. Occorre temere, dunque, fratelli carissimi, e pensare e
meditare in anticipo quale via devono seguire coloro che desiderano
andare a Cristo per mezzo di Cristo, essi devono ascoltare serenamente
ciò che devono osservare. Siano obbedienti all'abate fino alla morte, a
tal punto da non fare assolutamente la propria volontà, ma quella del
Padre. Nulla è così caro a Dio, quanto lo spezzare la propria volontà.
Perciò Pietro dice: "Ecco, noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”
Non ha solo detto: "Noi abbiamo
lasciato tutto: che cosa dunque ne avremo?", ma ha anche aggiunto: "Noi ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). Molti rinunciano tutto, ma non
seguono il Signore. Perché? Perché seguono la propria volontà, non
quella del Padre. Chi, dunque, vuole trovare la via stretta ed angusta,
e continuare su di essa senza inciampare e percorrendola non perderla, e
non perdendola giungere a Cristo, impari in primo luogo a superare la
propria volontà ed a non soddisfare per nulla i desideri del proprio
corpo ed a perseverare fino alla fine della vita in obbedienza al Padre.
Tale è la via stretta ed angusta che conduce alla vita.
Capitolo 6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano
vivere senza pericolo in monastero.
Quando qualcuno giungesse con moglie o figli piccoli, minori di
sette anni, piacque alla santa regola comune che sia i genitori che i
figli si consegnino all’autorità dell'abate, il quale spieghi loro, con
ogni sollecitudine, quali regole devono ragionevolmente rispettare.
Prima di tutto, essi non possono disporre del proprio corpo, né si
preoccupino del cibo o dei vestiti: neppure presumano di mantenere in
loro possesso le ricchezze o i possedimenti che hanno lasciato; vivranno
invece soggetti al monastero come ospiti e pellegrini; i genitori non
siano preoccupati per i loro figli, né i figli per i genitori. Essi non
possono conversare insieme, se non con il consenso del priore. Per
quanto riguarda i bambini più piccoli, tuttavia, che ancora si
intrattengono coi giochi, per un senso di compassione si conceda che
vadano dal loro padre o dalla madre, quando lo desiderano, per timore
che i genitori cadono nel vizio della mormorazione per causa loro;
poiché spesso c’è molta mormorazione in monastero per questo motivo.
Lasciate che i bambini siano allevati da entrambi i genitori fino a
quando conosceranno un po’ la Regola; e siano istruiti continuamente in
modo che sia i bambini che le bambine siano incoraggiati verso il
monastero dove andranno a vivere. E ora, se Dio ci concede opportunità,
presentiamo una maniera semplice su come gli stessi bambini siano
nutriti nel monastero. Sia scelto un cellerario che sia provato in bontà
e pazienza, eletto dall'assemblea comune, esonerato da tutti i compiti
di servizio del monastero e dalla cucina, in modo che possa sempre
occuparsi della dispensa riservata ai bambini, agli anziani, ai malati
ed agli ospiti. E se la congregazione è sufficientemente grande, un
monaco più giovane può essere dato a lui per aiutarlo nel suo servizio,
in modo che i bambini possano essere riuniti sotto la sua direzione e
possano ricevere il loro cibo in orari opportuni. Dalla santa Pasqua
fino al 24 settembre, possono mangiare quattro volte al giorno. Dal 24
settembre al 1° dicembre, per tre volte e dal 1° dicembre a santa
Pasqua, lo stabilisca lostesso cellerario. Ma i bambini devono essere
istruiti affinché non mettano nulla in bocca, senza una benedizione ed
il permesso; e questi stessi bambini dispongano di un decano, che li
conosca meglio e che osservi la Regola nei loro confronti; e da lui
devono essere sempre ammoniti a non fare o dire qualcosa che non sia in
conformità con la regola, né siano sorpresi a mentire, rubare, od a
giurare il falso. Se saranno sorpresi in una di queste mancanze, devono
essere subito corretti dal loro stesso decano con una verga. Lo stesso
cellerario deve lavare loro i piedi e gli abiti, ed insegni loro con
tutta la dovuta attenzione come avanzare nella santità, affinché (lui
stesso) possa ricevere la piena ricompensa dal Signore ed ascolti le
parole della Verità che dice: "Lasciateli, non impedite che i bambini
vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli"
(Mt 19,14).
Capitolo 7. In che modo ci si debba
prendere cura dei malati nel monastero.
Coloro che sono malati di una qualsiasi
malattia risiedano in una camera singola e siano affidati alla cura di
uno che vi sia adatto; ed essi siano assistiti in modo che non
desiderino l'affetto dei loro parenti, né le lusinghe dei beni
materiali, ma siano il cellerario ed il preposito a fornire tutto il
necessario. I malati, tuttavia, siano ammoniti con tanta sollecitudine
affinché dalle loro bocche non esca la benché minima e lieve parola di
mormorazionene, ma invece nella loro malattia offrano sempre grazie a
Dio, di continuo, con spirito sereno, abbandonata ogni occasione di
mormorazione e con sincera compunzione di cuore; ed il fratello che li
serve non osi offenderli in alcun modo. Ma se qualche sospetto di
mormorazione dovesse uscire dalle loro bocche, come ho già detto, devono
essere rimproverati dall'abate ed avvertiti di non commettere nessuna
delle cose di cui sopra, in modo tale che colui al quale questo servizio
è affidato non debba accusarli.
Capitolo 8. In che modo gli anziani
debbano essere regolamentati nel monastero.
Alcuni anziani novizi vengono
regolarmente al monastero e sappiamo che molti di loro promettono
l’osservanza del patto costretti dal bisogno della loro debolezza e non
per professare la vita religiosa. Quando si trovano alcuni così, devono
essere rimproverati molto aspramente e, tra gli altri mezzi di
correzione, non parlino se non interrogati. Costoro, infatti, hanno
l’abitudine di non abbandonare mai i loro costumi precedenti e divagare
in vane chiacchiere, come erano abituati in precedenza. Quando vengono
eventualmente corretti da qualche fratello spirituale, hanno
immediatamente scoppi di rabbia e, per lungo tempo sono tormentati dal
morbo della tristezza e non cessano mai del tutto di covare rancore e
malanimo. E poiché cadono in tali difetti così spesso ed in modo così
prolungato, qualora la tristezza li lascia, essi perdono, come
d’abitudine, la loro moderazione nelle chiacchiere e nel ridere. Di
conseguenza, essi devono essere ammessi nel monastero con tale
precauzione, che non divaghino giorno e notte nel raccontare
sciocchezze, ma si dedichino a singhiozzi e lacrime, nella cenere e nel
cilicio, e con il cuore palpitante facciano penitenza per i loro peccati
passati e, pentendosi, non ne commettano più. E se, quando peccarono,
ebbero nel loro cuore perverso una cattiva intenzione, ora esprimano
ancora più con gemiti una piena devozione. Dal momento che per settanta
e più anni hanno profusamente peccato, è giusto che essi siano corretti
da una severa penitenza, proprio come un medico incide più profondamente
in una ferita quando più vede la carne putrida. Questi tali sono da
correggere con una vera penitenza in modo tale che, se non volessero
accettarla,
siano puniti immediatamente con la scomunica. Se sono stati ammoniti
quattordici volte e non si sono emendati da questo vizio, essi devono
essere condotti all’assemblea degli anziani e là devono essere di nuovo
esaminati. Se non permetteranno di farsi correggere, devono essere
mandati via. D'altra parte, noi possiamo trattarli con compassione come
si fa coi bambini e possiamo onorarli come genitori, se si comportano in
modo tranquillo, semplice, umile, obbediente, se si dedicano alla
preghiera deplorando i propri peccati tanto quanto quelli degli altri e
se, sentendosi ogni giorno in pericolo di vita, mantengono sempre Cristo
sulle labbra; se non stanno inattivi avendone la forza e se si fanno
guidare dai superiori, piuttosto che dalla loro volontà; se rinunciano
completamente agli affetti familiari, dando tutto quello che hanno ai
poveri di Cristo, piuttosto che ai loro parenti, non tenendo nulla per
sé; se conservano con tutto la spitrito e con tutta la forza l’amore di
Dio e del prossimo e meditano, giorno e notte, sulla legge del Signore.
Essi possono essere esentati dal lavoro al mulino, dai turni di cucina
e, stando tranquilli, siano esentati dal lavoro nei campi e da lavori
pesanti; si assegnino loro solo alcuni dei compiti più leggeri, per
timore che la loro stanca età si interrompa prima del tempo. Il cibo di
cui si nutrono sia appositamente cucinato morbido e tenero da parte
degli addetti settimanali e si offra loro, a causa della loro debolezza,
una moderata quantità di carne e vino. Tutti si riuniscano a mangiare in
un unico tavolo e tutti si ristorino con lo stesso cibo e con la stessa
bevanda. Siano offerti loro indumenti e scarpe in modo tale che siano
protetti dalla rigidità del freddo anche senza l'uso del fuoco.
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22 giugno
2017 a cura
di Alberto "da Cormano"
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