Regola di S. Benedetto

 

XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in refettorio: All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine, ma nello stesso tempo con gravità, per non dare adito alla leggerezza.  In altre parole non si anteponga nulla all'Opera di Dio".

L - I monaci che lavorano lontano o sono in viaggio: I fratelli, che lavorano molto lontano e non possono essere presenti in coro nell'ora fissata per l'Opera di Dio, se l'impossibilità in cui si trovano è stata effettivamente accettata dall'abate, recitino pure l'Opera di Dio sul posto di lavoro, mettendosi in ginocchio per la reverenza dovuta a Dio.

LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli:
Quando si presenta un aspirante alla vita monastica, non bisogna accettarlo con troppa facilità, ma, come dice l'Apostolo: "Provate gli spiriti per vedere se vengono da Dio"..... In primo luogo bisogna accertarsi se il novizio cerca veramente Dio, se ama l'Opera di Dio, l'obbedienza e persino le inevitabili contrarietà della vita comune.

LXVII - I monaci mandati in viaggio:
I monaci, che sono mandati in viaggio, si raccomandino alle preghiere di tutti i confratelli e dell'abate;  e nell'orazione conclusiva dell'Opera di Dio si ricordino sempre tutti gli assenti.

 


 

L'OPERA DI DIO

 Estratto e liberamente tradotto da "La Règle de Saint Benoît – Commentaire historique et critique", Vol. V, a cura di Adalbert de Vogüé, Sources Chrétiennes N. 185, Les Éditions du Cerf, 1971

 [La IVa parte del libro tratta dell'Opera di Dio ed è suddivisa in 13 capitoli, per un totale di circa 260 pagine. Qui viene riportato solo il capitolo XIII, la conclusione.]

CONCLUSIONE


 

Il trattato benedettino dell'Opus Dei denota un vivo interesse per la regolamentazione e le singole voci che la costituiscono. Senza dubbio sarà stato difficile sviluppare e precisare ulteriormente la descrizione dell'Ufficio, tenuto conto di tutto ciò che era noto ed implicito ai destinatari della Regola. Quanto alla stima di Benedetto per questa preghiera comune, essa è sottolineata dal posto privilegiato che alla stessa viene riservato, subito dopo i trattati dottrinali ed all'inizio di tutta la parte legislativa della Regola.

Tuttavia, questi aspetti vanno di pari passo con una certa disinvoltura nel modo di determinare le Ore dell'Ufficio. Queste sono spesso spostate, a volte addirittura omesse, a seconda delle convenienze del lavoro e della lectio (Regola di Benedetto = RB 48). La disposizione delle occupazioni è problematica e scombina il sacro ambito dei tempi di preghiera. La stima e l'interesse per l'Ufficio sono quindi bilanciati dalla stessa preoccupazione per le altre attività del monaco. Inoltre, Benedetto sotto l'influenza di Cassiano e di Agostino qui e là presta una nuova attenzione alla pratica della preghiera spontanea al di fuori dell'Ufficio (RB 20 e 52).

L'Ordo officii [ovvero la normativa riguardante l'Ufficio Divino] della RB sembra avere due fonti principali: l'Ordo della Regula Magistri (RM) ed il classico Ufficio Romano. Se il primo ha lasciato tracce ben visibili sulla redazione benedettina, specialmente all'inizio ed alla fine, è soprattutto al secondo che si collega il lavoro di Benedetto per quanto riguarda le stesse istituzioni liturgiche. Mentre la RM è probabilmente collegata ad uno stato "preistorico" dell'Ufficio Romano, la RB dipende essenzialmente da uno stato più evoluto e meglio conosciuto dello stesso Ufficio. Questa legge generale soffre comunque di eccezioni: nonostante la loro appartenenza globale alle due forme successive dell'Ufficio Romano, gli ordines del Maestro e di Benedetto sono talvolta in anticipo od in ritardo rispetto a loro e quindi anche l'uno rispetto all'altro [1]. Questi fatti suggeriscono un periodo di transizione, in cui tutto rimane molto mutevole.

Accanto a queste due principali fonti, entrambe situate nella zona di influenza di Roma, Benedetto ha senza dubbio tratto da altre tradizioni, come dimostrano i punti di contatto della RB sia con l'Ufficio Bizantino, Milanese o Ispanico, sia soprattutto con l'Ufficio di Lérins-Arles e le Istituzioni di Cassiano. Questi spunti sicuri o probabili a delle tradizioni non romane, combinati con l'uso di diversi tipi di Ufficio che ebbero diritto di cittadinanza nella stessa Roma, permettono di parlare di un certo eclettismo. L'Ufficio benedettino, come la Regola benedettina nel suo insieme, accoglie in un quadro di grande fermezza una grande varietà di suggerimenti di varia origine.

Rispetto alle sue due fonti principali, l'opera di Benedetto rappresenta una netta semplificazione. Questo carattere appare non appena consideriamo la quantità di salmi utilizzati. Dall'Ufficio Romano al benedettino, questa quantità diminuisce della metà nelle Ore Minori [Terza, Sesta, Nona e Compieta], mentre la divisione dei lunghi salmi ai Vespri ed alle Vigilie, a cui si aggiunge la perdita di un'unità salmica ai Vespri, produce una significativa riduzione della salmodia antifonata [2] in queste ore. Rispetto alla RM, la riduzione è più difficile da stimare, ma senza dubbio alla fine risulta abbastanza consistente. Se gli Uffici Notturni d'estate della Regola del Maestro includono solo nove antifone, la grande Vigilia domenicale, i sei salmi quotidiani dei Vespri e la non divisione dei salmi lunghi devono produrre in tutte le stagioni un totale settimanale sensibilmente maggiore di quello di Benedetto.

Perché Benedetto accorcia così la salmodia? Quando si tratta delle Vigilie, si può intravedere una di queste mitigazioni di cui la RB offre più di un esempio: si tratta di dare ai monaci un tempo più lungo di sonno continuo. Nel caso delle Ore Minori sembra che la riduzione vada a profitto del lavoro. Le stesse cause che hanno fatto modificare l'orario esortano a ridurre il numero di salmi. Passando dalla città alla campagna e da un periodo di pace alle difficoltà economiche create dalle guerre, l'osservanza ha dovuto far fronte a bisogni materiali più urgenti. In materia di preghiera comune come in materia di digiuno, Benedetto è stato costretto a fare concessioni, ciò che non fa senza sentirsi un po' a disagio. Inoltre, le sue riduzioni sembrano prolungare un'evoluzione già iniziata nella stessa Roma. In diverse occasioni notiamo che i provvedimenti da lui presi sono nella linea di una serie di stadi successivi dell'Ufficio Romano. Lo stesso si può dire del modo in cui normalizza alcune eccezionali concessioni del Maestro. Anche qui, l'Ordo benedettino appare come il culmine di tendenze già avvertite dai suoi predecessori.

Un modo simile di attenuare la norma lo si ritrova nell'ambito delle adunanze per l'Ufficio e dei ritardi. Meno severo del Maestro per l'intera comunità, Benedetto si mostra più esigente di lui nei confronti degli individui. La sua osservanza vuole essere meno severa e meglio osservata.

Tuttavia, per apprezzare equamente l'importante riduzione dell'antifonia che acconsente la RB, è necessario prendere in considerazione alcune parti secondarie che essa ha introdotto nel suo cursus, come il versetto Deus in adiutorium meum intende [O Dio, vieni in mio aiuto]  delle Ore Minori, i salmi di attesa delle Vigilie ["Ufficio delle Letture" oggi] e dei Mattutini ["Lodi Mattutine" oggi], gli inni a tutti gli uffici - tre elementi che del resto non sembrano appartenere alla stesura primitiva della Regola. Così Benedetto ha meno salmi dell'Ufficio Romano e della RM, ma contiene più elementi accessori. Questi danno all'Ordo benedettino più ricchezza e varietà rispetto alle sue principali fonti.

A questa accresciuta diversità delle componenti dell'Ufficio si aggiunge una certa irregolarità nella struttura e nell'ordine delle diverse Ore. Avremmo potuto già notare ciò a proposito della distribuzione del salterio: quella di Benedetto è meno semplice e meno coerente di quella dell'Ufficio Romano. La presenza o l'assenza od il diverso posto degli elementi accessori accentua questo carattere di irregolarità, che si ritrova anche nelle variazioni della terminologia. Rispetto soprattutto all'Ordo meno sistematico del Maestro, quello di Benedetto sembra più mutevole e meno integrato, a dispetto della tendenza a generalizzare ed a livellare che si osserva nelle Vigilie [3].

L'aggiunta di elementi secondari ha un effetto notevole: quello di mettere ogni ufficio più in relazione con l'ora celebrata. Questa era appena marcata nella RM, se è vero che i salmi venivano presi di seguito (currente semper psalterio) da un'ora all'altra, senza l'assegnazione fissa di un salmo ad una tale ora, tranne che ai Mattutini e forse a Compieta. A nostra conoscenza, solo il versetto finale di Compieta ed il versetto di apertura dei Notturni si riferivano, almeno indirettamente, al tempo della celebrazione. Nella maggior parte dei casi, l'ufficio del Maestro sembra non avere alcuna allusione all'ora. Non c'è quasi più neanche nell'Ufficio Romano, anche se questo cursus individua un po' ogni ufficio attribuendogli determinati salmi. Quanto a Benedetto, egli non ha solo accentuato questa individualizzazione dei vari uffici moltiplicando i salmi variabili [4], ma ha anche aggiunto ovunque dei riferimenti espliciti ai tempi: alle Vigilie ed ai Mattutini, i salmi d'attesa alludono all'ora; a tutti gli uffici ha aggiunto degli inni. Di questi, gli "ambrosiani" dei Mattutini e dei Vespri sviluppano certamente dei temi temporali. Abbiamo tutte le ragioni per credere che sia lo stesso per le altre Ore, come nel caso delle regole arlesiane [Regole della zona d'Arles: Cesario, Aureliano, Ferréol, Tarnant] e nell'innologia dei nostri breviari.

Per quanto interessante possa essere, il significato di queste novità non è esplicitamente indicato da Benedetto. Abbiamo persino visto che i salmi di attesa e gli inni probabilmente non appartengono alla redazione primitiva della Regola ed al primo stato dell'Ufficio benedettino. Al contrario, tre principi sono chiaramente posti dal nostro autore ed è soprattutto su di loro che è importante fissare lo sguardo. Il primo che si afferma nell'Ordo è la recita uniforme di dodici salmi in ogni ufficio notturno, sia in inverno che in estate, sia nel giorno di domenica come nei giorni feriali. Questa legge, che il Maestro ignorava completamente ed l'Ufficio Romano non applicava alla domenica, sembra ispirarsi alla "Regola dell'Angelo" trasmessa da Cassiano [5].

Il secondo principio di Benedetto è il "settenario" diurno, vale a dire la celebrazione di sette uffici nel corso della giornata, oltre alle Vigilie notturne. Anche l'origine di questo "settenario" è da ricercare nelle Istituzioni, anche se l'interpretazione data da Benedetto non concorda in modo evidente con i dati piuttosto oscuri di Cassiano. Questa interpretazione del septies in die si oppone ad una pratica ammessa altrove e senza dubbio più antica, secondo la quale il cursus quotidiano include in tutto e per tutto sette Uffici, comprese le Vigilie, mentre manca l'Ora di Prima. Il Maestro comprende nello stesso modo il septies in die. Tuttavia, l'ufficio che egli elimina espressamente dal settenario non è quello delle Vigilie, ma la preghiera di ringraziamento prima e dopo il pasto [6], e l'Ora contestata che egli difende sembra essere Compieta piuttosto che Prima [7]. Il cursus dell'Ufficio Romano è identico a quello delle due regole. È per difendere questo cursus dei monasteri romani che Benedetto fa appello al testo della Scrittura invocato prima di lui da Cassiano e dal Maestro (Sal 118, 164: ["Sette volte al giorno io ti lodo"]).

Il terzo principio caro a Benedetto è la recita completa del salterio in una settimana. Anche qui l'intenzione polemica è evidente: se Benedetto insiste così tanto su questo punto, è perché alcuni hanno l'abitudine di non cominciare da capo il salterio ogni domenica. Ancora è in discussione una tradizione romana: il salterio settimanale appartiene non solo al classico Ufficio Romano, che Benedetto non ha paura di modificare, ma ad un sistema più primitivo, riguardante solo le Vigilie ed i Vespri, che sembra essere esistito a Roma così come a Bisanzio. Questa volta, tuttavia, Cassiano non offriva alcuna giustificazione per il discusso uso. È dunque alle Vite dei Padri d'Egitto, tradotte a Roma [dal diacono Pelagio verso la metà del VI secolo], che Benedetto ha fatto ricorso per difendere ed illustrare la pratica romana.

Ponendo questi tre principi essenziali, Benedetto si mostra fermamente legato ad una tradizione, che è quella del monachesimo romano. La massima sicut psallit ecclesia romana non si verifica solo nel suo ordinamento dei cantici dei Mattutini. Essa si applica anche più in generale ed in senso lato [8] a tutta la sua legislazione liturgica. Eclettico ed innovatore per alcuni aspetti, egli è tuttavia saldamente radicato in un ambiente sia geografico che storico. Come ogni aggiornamento degno di questo nome, il suo lavoro rimane profondamente fedele ad una determinata linea. Le innovazioni sue proprie sono per lui meno importanti di questa fedeltà. Benedetto è soprattutto un uomo di tradizione.  

 


N.B. Le aggiunte in parentesi quadra, sia nel testo che nelle note, sono a cura del traduttore.

[1] Ciò appare nella questione dell'Alleluia e in quella dell'antifonia nelle Ore minori.

[2] [Essa consiste nel canto corale dei Salmi, preceduti e seguiti da una composizione chiamata Antifona, solitamente ricavata dal salmo stesso oppure collegata al tempo liturgico]

[3] Dodici salmi in ogni tempo, anche di domenica, divisi in due parti uguali; dodici lezioni e responsori alle Vigilie della domenica.

[4] In questo modo l'ufficio di Prima non è solo diverso dagli altri, ma cambia anche i suoi salmi ogni giorno. Terza, Sesta e Nona li cambiano tre volte alla settimana. Così ogni Ufficio ha un determinato aspetto, non solo secondo l'ora, ma anche secondo il giorno.

[5] Cassiano, Ist. 2, 4-6 (Vigilie e Vespri quotidiani in Egitto e Tebaide). Secondo Ist. 3, 8, la grande Vigilia settimanale celebrata "in tutto l'Oriente" non sembra tener conto di questo canone. Applicandolo alla Vigilia principale della domenica, che è uguale a quella del sabato in Oriente, Benedetto la estende al di là di quanto Cassiano stesso avesse previsto e di ciò che era praticato a Roma.

[All'Ufficio notturno si debbono recitare dodici salmi, sia d'estate che d'inverno, sia di domenica che nei giorni feriali. Questa usanza si appoggiava ad una tradizione monastica antica che si credeva di origine soprannaturale: la famosa "regola dell'angelo", la cui diffusione è dovuta soprattutto a Palladio (Storia Lausiaca 32) trasmessa ai monaci occidentali da Cassiano (Ist. 2,5): secondo essa fu un angelo a rivelare ai monaci la volontà divina che si cantassero dodici salmi, ne' uno più ne` uno meno, all'ufficio divino della notte.]

[6] RM 38, 3: ["Ma questo ufficio relativo ai pasti è rendimento di grazie a parte, e non rientra nel numero delle sette lodi canoniche della giornata"]; 43, 1-2: [I sami dei pasti, tanto quello che si dice a tavola apparecchiata quanto quello a tavola tolta, poiché non rientrano nel ciclo delle sette ore canoniche, ma si offrono a Dio a parte, in forma di ringraziamento, perché il cibo sia benedetto o messo sotto la sua protezione, si dicono tutti in fila, senza antifona; la domenica però e nei giorni di festa con antifona o alleluia"].

[Testi della RM estratti da "Regola del Maestro" a cura di Marcellina Bozzi OSB, Paideia Editrice 1995]

[7] RM 42, 3-4: ["Infatti tutte le sette volte al giorno in cui il profeta dice che dobbiamo innalzare lodi a Dio, esse vengono cantate secondo lo stesso schema, a causa dello Spirito settiforme che non è diverso in nessuna parte"]. Queste osservazioni non riguardano la celebrazione di Compieta, ma il modo di celebrare questa Ora. Tuttavia, il Maestro si richiama al settenario per stabilire che essa deve essere celebrata allo stesso modo delle altre Ore.

[8] Il riferimento all'ecclesia è strettamente giustificato solo nel caso degli Uffici "ecclesiastici", cioè del Mattutino, dei Vespri e forse anche delle Vigilie. Per il resto dell'Ufficio, Benedetto non segue per l'esattezza la Chiesa romana, ma i monasteri romani.


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30 aprile 2018          a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net