Regola di S. Benedetto

Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano: "Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino, perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli. Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli."

Capitolo LXIV - L'elezione dell'abate: "Non sia turbolento e ansioso, né esagerato e ostinato, né invidioso e sospettoso, perché così non avrebbe mai pace; negli stessi ordini sia previdente e riflessivo e, tanto se il suo comando riguarda il campo spirituale, quanto se si riferisce a un interesse temporale, proceda con discernimento e moderazione, tenendo presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe, che diceva: "Se affaticherò troppo i miei greggi, moriranno tutti in un giorno". Seguendo questo e altri esempi di quella discrezione che è la madre di tutte le virtù, disponga ogni cosa in modo da stimolare le generose aspirazioni dei forti, senza scoraggiare i deboli."


La discrezione

 

A cura di  Madre Ignazia Angelini O.S.B. – Badessa del monastero di Viboldone (MI)

 Estratto da: “Incontri sulla Regola” del 4 febbraio 2012 – www.versoilcenobio.it

 

1. L’elogio di Gregorio Magno

 San Gregorio Magno, considerato il più grande scrittore del suo tempo e il più grande papa dell’antichità, fu nello stesso secolo di Benedetto anche il più grande e autorevole estimatore dell’Autore della Regola. Nella sua famosa biografia del santo, Gregorio tesse un breve ma alto e significativo elogio della sua Regola 1. Egli pone questo elogio alla fine della sua opera, al posto che nelle biografie tradizionali era dedicato al ritratto del personaggio, dopo averne mostrato diffusamente soprattutto le azioni miracolose, e prima di narrarne la morte.

 Egli (Benedetto) scrisse una Regola per i monaci, insigne per la sua discrezione, limpida nel suo stile. Chi dunque volesse conoscere più a fondo il suo tenore di vita, può trovare nelle stesse prescrizioni della Regola lo specchio di un magistero incarnato nella sua persona: infatti il santo non poté nel modo più assoluto insegnare diversamente da come visse. 2

 Nella Regola dunque siamo invitati a cogliere la sapienza di quel concreto “abbas” che fu Benedetto, e in particolare siamo invitati ad apprezzare il dono speciale che egli ebbe della “discretio”.

 Va osservato che il medesimo vocabolo latino (corrispondente al greco diàkrisis) 3 può essere tradotto in italiano in due modi: con discrezione o con discernimento, contiene perciò tutta la ricchezza di significati che nel nostro linguaggio abbiamo reso con questa duplicità di traduzione. Discrezione è un termine che secondo il nostro uso può avere un significato più blando, talvolta solo generico, da poter essere semplicemente reso con moderazione, senso della misura o anche buon senso; mentre discernimento è un termine più “impegnativo”, quello privilegiato quando ci riferiamo ad esempio al dono dello Spirito di cui parla san Paolo, o tutte le volte che nei testi della tradizione monastica e cristiana in genere si parla della capacità di conoscere, distinguere, decifrare i segni della volontà di Dio nelle varie situazioni.

E’ diventato poi un termine classico della dottrina di Sant’Ignazio, e ai nostri i giorni, è considerato perfino un termine tecnico quando si parla delle vocazioni…

 Tornando all’elogio della discretio di Benedetto fatto dal grande Gregorio, trovo interessante una osservazione di De Voguè nel suo commento al II Libro dei Dialoghi, in quanto ci aiuta a riflettere come questo elogio, e perciò la stessa discretio benedettina, sia meno ovvia e scontata da interpretare di quanto non si pensi.

Egli fa notare che Gregorio Magno in un passo del Commento ai Libri dei Re 4 cita il capitolo di RB sulle regole per l’accoglienza dei fratelli in comunità 5, e dimostra di apprezzare enormemente la discretio di Benedetto precisamente nella severità con cui mette alla prova gli aspiranti alla vita monastica e prospetta loro omnia dura et aspera… Evidentemente qui è discernimento la traduzione più appropriata del vocabolo latino, che ci dimostra tra l’altro come affondi nell’antichità lo stesso uso moderno del termine riferito in modo particolare al tema delle ”vocazioni”.

 Da questo parallelo emerge come, con ogni probabilità, Gregorio lodando la discretio di San Benedetto nella sua biografia, ammiri in realtà più la severità del suo discernimento che non l’impronta e lo stile moderato e appunto “discreto” della sua Regola, come invece più comunemente noi intendiamo.

 Questa piccola digressione sul pensiero di S. Gregorio non è un motivo per mortificare in senso rigorista la nostra stima di san Benedetto e della sua regola, ma al contrario vuole essere un invito a intuire la ricchezza e complessità del tema, e perciò a non dare per scontata in nessun senso la nostra comprensione della sapienza tipicamente benedettina.

 

2. La discrezione = madre delle virtù

 In ogni caso mi sembra di importanza decisiva considerare e anzi partire da un testo di Benedetto stesso, che troviamo in un passaggio cruciale della sua regola, mentre parla all’abate:

 prendendo dunque questi e altri esempi di discrezione, madre delle virtù,(l’abate) tutto disponga con misura 6

 Mi sembra utile cercare di scavare il senso di un’espressione così impegnativa che Benedetto fa sua, proprio a proposito del nostro tema. Cosa intende san Benedetto quando dice che la discrezione è madre delle virtù?

Conoscendo un po’ le letture preferite di B, o le autorità a cui egli stesso si riferisce (vedi ad es. dove le esplicita chiaramente nel capitolo 73, l’ultimo della regola) e a cui rimanda i suoi lettori, non facciamo fatica a riconoscere in quella frase una citazione di un passo delle Conferenze di Cassiano. 7

Allora vorrei proporvi di dare uno sguardo a questo passo di Cassiano, leggendo la citazione nel suo contesto, con lo scopo di capire meglio il pensiero di Benedetto.

Si tratta della conferenza dell’abate Mosè sul tema della discrezione.

 Questo abba del deserto racconta ai suoi uditori una famosa conversazione avvenuta ai tempi di Antonio, tra vari anziani che si domandavano qual è la virtù che più di ogni altra conduce a Dio.

Gli anziani investigando a lungo diedero alla fine ciascuno la sua risposta: per alcuni la virtù principale era l’ascesi delle veglie e dei digiuni, per altri la radicalità della rinuncia al mondo, per altri la solitudine, per altri le opere di misericordia…

Alla fine parla Antonio che afferma: tutte queste virtù possono condurre l’uomo a Dio, ma possono essere per lui anche occasione di inganni e illusioni. La virtù più importante è invece quella che ci è indispensabile affinché tutte le altre possano raggiungere effettivamente il loro scopo, e questa virtù si chiama: discrezione. 8

Leggiamo negli apoftegmi di Antonio lo stesso convincimento:

 Alcuni hanno macerato il loro corpo nell’ascesi, ma non avendo discernimento, si sono allontanati da Dio.

(Antonio 8)

 Antonio continua raccontando vari esempi di persone bene intenzionate, dedite con zelo alle loro pratiche religiose, ma che sono state incapaci di perseverare nel loro intento e hanno miseramente fallito, a causa della loro mancanza di discrezione.

La discrezione invece è precisamente la virtù che può dare consistenza, solidità e durata alle altre, perché è quel dono che fa percepire in concreto ciò che piace a Dio, ciò che Dio vuole e chiede a me, qui e ora. E’ il dono che fa comprendere qual è il modo, la misura, il tempo e il luogo adeguati per una determinata cosa.  9

La Scrittura è piena di questa consapevolezza e di questa sapienza. Si trovano in essa anche molti esempi, e Antonio riferisce tra gli altri quello di Saul che pensava di essere gradito a Dio con i suoi

olocausti piuttosto che obbedendo a Samuele, e così peccò invece di avvicinarsi a Dio! Ricorda poi che San Paolo ne parla come di un dono dello Spirito: la discretio spiritum  10= il discernimento

degli spiriti. Nella stessa lettera ai Corinti dice tra l’altro: Tutto è lecito, sì, ma non tutto giova, …mangiare carne è bene, ma se in un caso specifico questo atto scandalizza un mio fratello, non è più bene…

 Dunque, conclude abba Mosè:

 Senza la grazia della discrezione non ci può essere alcuna virtù completa e duratura.

Il beato Antonio e gli altri monaci convennero all’unanimità che è la virtù della discrezione quella che conduce l’uomo, con passo fermo e impavido, fino a Dio. (…) la discrezione dunque può essere salutata madre, custode e guida di tutte le virtù.  1 1

 Questo è il passaggio che Benedetto cita nella regola.

Con il dono della discrezione, inteso in questo significato radicale e profondo, l’uomo agisce, parla compie delle scelte non in base a ciò che immediatamente si sente spinto a fare (o per istinto, o per passione, o per buon senso, o comunque per “buona fede”), ma in base ai desideri dello Spirito, in obbedienza alla volontà del Signore.

Solo la nostra disponibilità a crescere verso questo dono ci consente di camminare, maturare nella nostra vita di fede, perciò anche nella carità e nella speranza.

 Gli ascoltatori della conferenza, convinti insieme agli anziani attorno ad Antonio, che la discrezione sia sorgente e radice delle virtù, sono quindi portati a domandare: come si acquista?

La risposta di abba Mosè è semplice, in un certo senso: per mezzo della vera umiltà.

 La discrezione è un dono dello Spirito, perciò non lo si può conquistare con i propri sforzi, però lo si può e lo si deve invocare, ci si può disporre a riceverla, appunto principalmente attraverso l’umiltà.

 E’ interessante un apoftegma (uno tra i tanti) in cui un fratello domanda a un anziano: come trovare Dio? E subito gli sottopone le sue varie pratiche virtuose, e l’anziano approva tutto questo purchè… ci sia discrezione, e conclude con queste parole di ammonizione:

 …Il digiuno infesta la nostra bocca, noi sappiamo a memoria le Scritture e recitiamo il salmi con il cuore. Tuttavia quello che Dio cerca, non lo possediamo: voglio dire l’umiltà.  1 2

 Chi cerca Dio (cioè il monaco, secondo san Benedetto) non può non prestare attenzione a ciò che Dio cerca

Quella virtù indispensabile (madre di tutte le altre) che è la discrezione, a sua volta è generata dall’umiltà 1 3, affonda le radici sul terreno profondo dell’umiltà.

 Umiltà significa secondo i padri prima di tutto non fidarsi del proprio giudizio, essere consapevoli della facilità con cui noi inganniamo noi stessi, e nelle nostra valutazioni siamo sempre in qualche misura “ottenebrati” dalle nostre passioni, dal nostro egoismo, dalla parzialità del nostro punto di vista.

Umiltà è prendere le distanze da sé, dal proprio giudizio immediato, e interporre (tra sé e sé) sia la preghiera, 1 4 sia il consiglio del fratello più anziano.

Essa comporta, specialmente per coloro che sono principianti nella vita di fede (ma sappiamo che per Benedetto tutti siamo sempre in certo modo principianti), il cammino di quella vera conoscenza di sé che rende a un tempo vigili sulle proprie fragilità, sul proprio peccato, e grati a Dio per tutto il bene ch’Egli ha posto in noi.

Benedetto è un grande educatore in questo senso. 1 5

 Egli è certamente convinto che l’umiltà è la strada che apre al dono del discernimento: concepisce l’intera vita cristiana né più né meno che come una scala di umiltà. Il capitolo più lungo e impegnativo della sua regola è questo, come sappiamo. Un aspetto importante della scala è quello per cui invita i monaci a praticare l’apertura del cuore, l’esposizione dei pensieri a Dio mediante l’apertura all’abate o al padre spirituale, al fine di educare alla conoscenza vera di sé, a prendere le distanze dalla volontà propria che si oppone a Dio anche senza che se ne accorga.

 Cfr. RB VII, 19-21 (cita Prov 14,21) leggi

 Anche su questo punto Benedetto si trova vicino alla conferenza di abba Mosè: questi si dilunga molto sull’umiltà intesa come apertura del cuore e affidamento al giudizio dell’anziano. L’idea non è che il monaco (il cristiano) debba sempre restare un minorenne, ma al contrario suppone che egli sia consapevole della ambiguità del suo cuore, e cerchi la strada più sicura per sfuggire agli inganni di una coscienza sempre, almeno un po’, ego-centrata. E’ troppo facile ingannarsi, proprio mentre si vuole e si cerca il bene.

 Il discorso di Mosè continua:

 … sforziamoci di giungere alla virtù della discrezione attraverso la pratica dell’umiltà: solo la discrezione può tenerci lontano dagli eccessi opposti.(…) 1 6

In ogni eccesso c’è ugualmente grave danno, sia per chi obbliga il corpo a un digiuno troppo rigoroso, sia per chi concede al corpo un cibo troppo abbondante. La mente nostra, illanguidita per mancanza di nutrimento, prega stancamente: perché essendo gravata dalla pesantezza del corpo, si sente premere da involontaria sonnolenza. Ma anche un eccessivo nutrimento grava l’anima e le impedisce di levare a Dio preghiere pure e vivaci.  1 7

 Qui vediamo come il tema della giusta misura, del tenersi lontani dagli eccessi opposti, quindi della discrezione intesa come moderazione, senso della misura, si colloca dentro la prospettiva più profonda del suo significato, che affonda le radici nell’umiltà.

In un altro passo Cassiano dice infatti espressamente che questo senso della misura è il primo frutto della discrezione. 1 8

 Tale saggezza ha un riscontro molto ampio e significativo in RB, tutte le volte che raccomanda discrezione e misura, ma ne troviamo traccia perfino dove non se ne parla espressamente, come ad esempio nel capitolo della quaresima, 1 9 dove l’invito rivolto ai monaci a praticare astinenze di qualunque tipo, non senza aver consultato e aver ricevuto l’approvazione dell’anziano, è un invito a quella prudenza e moderazione, che non può fare a meno dell’umile affidamento del proprio giudizio all’altro.

 3. RB = maestra di discrezione

 In questa parte intendo solo suggerire rapidamente alcuni passi di RB che mostrano l’esercizio concreto della discrezione da parte del suo Autore, e che ci possono suggerire i modi per cercarla, praticarla e custodirla.

 * E’ caratteristica l’espressione rivolta ripetutamente all’abate perché faccia tutto con misura (omnia temperet)  20, e sarà oggetto di commento da parte della Abbadessa. Da parte mia richiamo solo l’attenzione sul vocabolo scelto: temperare, che indica la difficile arte di mescolare, tenere insieme cose diverse. E’ un’arte richiesta anche a chi lavora in cucina e prepara i vini, nonché ai musicisti nell’uso dei loro strumenti.

Si attua discrezione quando si mettono in equilibrio tra loro, si sanno tenere insieme esigenze diverse, ma ugualmente irrinunciabili.

 * nessuno nella casa di Dio sia turbato e triste (RB 31, 19)

E’ un’affermazione perentoria di B che fa intuire quanto questo aspetto sia importante per lui, un bene irrinunciabile e perciò ne viene una sorta di linea-guida, un criterio per l’agire discreto nella vita monastica.

E’ implicita la domanda: se accade che un fratello sia turbato o triste, perché accade? E’ possibile per lui che ci siano ragionevoli motivi per albergare in sè questi sentimenti  2 1, e la discrezione della regola deve tenerne conto.

E’ importante osservare qui il contesto della affermazione, cioè il versetto precedente dove si prescrive di compiere determinate azioni (distribuire cibo, chiedere cose…) in orari opportunamente stabiliti, affinché nessuno… Cioè: un certo ordine nella vita e nei movimenti in monastero è una esigenza e una garanzia di pace e armonia in comunità.  2 2

La discrezione di Benedetto prevede che ogni cosa abbia il suo tempo e il suo luogo, in monastero.

Tipico è l’esempio dell’oratorio: come ogni altro luogo del monastero sia quello che deve essere. 2 3

Benedetto sa infatti che è spesso la mancanza di rispetto di questo ordine a creare disagi, turbamento e tristezza in comunità.

D’altra parte B. sa che questi sentimenti sono imparentati con veri e propri vizi dell’anima. Il monaco è formato, dalla sapienza della regola, a essere contento anche nelle più dure contrarietà. 2 4

Ciò può non accadere… Allora Benedetto chiede un lavoro su entrambi i versanti: da un lato la saggezza di un governo ordinato, dall’altra la disponibilità del monaco a maturare nel cuore, nella sua vita di fede, e a combattere contro i peggiori nemici del suo progresso spirituale. 2 5

 * senza arroganza e senza indugio (RB 31,16)

Qui si parla al cellerario, del modo con cui deve esercitare il suo servizio ai fratelli. La discrezione ha cura del modo, della qualità delle cose, e in primo luogo, in una vita cenobitica, della qualità delle relazioni fraterne. Su questo tema le citazioni RB sarebbero moltissime. Si può compiere il proprio dovere, anche generosamente, ma in un modo che, forse inconsapevolmente, di fatto ferisce l’altro, ferisce la carità. Si tratta di piccole cose, che possono sembrare trascurabili (una parola in più o in meno, il tono della voce, un gesto, uno sguardo, ecc.), ma che in realtà non lo sono per chi ha… discernimento, senso della discrezione.

Benedetto, alla scuola del vangelo di Gesù, vuole viva la sensibilità, l’attenzione dei monaci a questo come delle relazioni. Questo viene raccomandato come un luogo tipico di esercizio

della discrezione.

 * per correggere i vizi o per custodire la carità (prol 47)

Due facce di una medesima medaglia, i criteri che rendono appropriato il rigore eventuale della regola.

 Conclusione

 Tutta la RB ci persuade in molti modi, diretti o indiretti, a cercare, invocare, praticare la discrezione come quel bene inestimabile, quella bussola invisibile e preziosissima che ci orienta, sia interiormente (pensieri e affetti) sia nelle azioni e nelle scelte quotidiane, in vista di ciò che effettivamente promuove la crescita della nostra vita dedicata alla ricerca di Dio, e perciò la crescita della carità nella comunità del Signore. E così non solo l’abate, ma anche tutti i monaci, avranno la gioia di veder crescere un buon gregge. (RB 2,32)

 Concludo con una citazione di Antonio, dalle sue lettere ai monaci:

 Considerate, figli miei amati, questo grande apostolo: una volta conosciuta la grandezza di tale tesoro, pregava per i credenti affinché giungessero a conoscere questa immensa ricchezza a lui già nota, ossia questa visione della verità  2 6che è il discernimento. Non vi è nulla di più importante nella fede cristiana. Pregava così a causa del suo grande amore per loro, perché sapeva che ottenendo ciò essi non avrebbero provato più fatica in nulla e non sarebbero più stati afflitti da alcun timore. La gioia di nostro Signore sarebbe stata loro di conforto notte e giorno; le sue opere sarebbero loro diventate dolci sempre e in ogni tempo. (…)

Amati nel Signore, voi che siete diventati per me come figli, ricercate notte e giorno, con lacrime abbondanti, questa chiaroveggenza e questo discernimento, per ricevere il bene eterno dal nostro Dio e affinché cresca la vostra virtù in ogni circostanza, e Dio vi conceda molte altre cose che non avete mai conosciuto. 2 7

  

 Note:

1 Gregorio Magno, Dialoghi II, 36

2 Id.

3 Cfr. i casi classici di 1 Cor 12,10 e Eb 5,14

4 Gregorio Magno, Commento al I Libro dei Re, IV, 70

5 RB 58,2.8-12

6 RB 64,19

7 Cassiano, Conferenze spirituali, II

8 Cfr l’apoftegma della serie alfabetica I,22 che descrive la vita del monaco e conclude: …Il suo cuore è senza orgoglio, il suo pensiero senza malevolenza, il suo ventre non è saturo: egli fa tutto con discrezione.

9 Il discernimento è la comprensione sicura della volontà divina in ogni circostanza, luogo e azione, comprensione che è insita solo nei puri di cuore, nel corpo e nella parola. (Giovanni Climaco, La Scala XXVI A, 1)

10 1 Cor 12,10

11 Cassiano, id (pag 104) ed paoline

12 Serie alfabetica, X, 91

13 L’abisso delle acque è madre della fonte, e l’umiltà è la fonte del discernimento. (Giovanni Climaco, Scala XXV,63)

14 Cfr. prol 4: prima di fare qualunque cosa raccomanda la preghiera!

15 Cfr. RB VII: il 1° gr di umiltà; prol.6.30; RB IV;42-43

16 Cssiano, Conf. II, XVI

17 Id, XXII

18 Conf. I, XXIII

19 RB 49

20 RB 41,5; 64,19

21 Cfr RB 41,5

22 Diceva abba Isaia: saggezza non è parlare, ma conoscere il tempo per parlare, quando è il momento di parlare: ed essa ascolta la parola con saggezza. Parla con saggezza, sii attento prima di parlare e lascia posto alla risposta… (dagli apoftegmi, Arm II,318). Cfr anche la sapienza di Qohelet

23 RB 52,1

24 RB 7,49

25 Cfr RB 54,4 e Ef 4,27 sulla tristezza = occasione offerta al Nemico

26 Il riferimento è ai brani di Ef 1,15-18; 3,14-18

27 Antonio il Grande, Lettera XI (ed Bellefontaine 1993; cfr ed Qiqaion 1999)

 


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3 ottobre 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net