REGOLA DI S. BENEDETTO
di
D. Lorenzo Sena, OSB Silv.
Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980
2.2) COMMENTO AL TESTO
RELAZIONI FRATERNE (capitoli 63; 69-72)
CAP. 63 - L'ordine della comunita`
CAP. 69 - In monastero nessuno ardisca difendere un altro
CAP. 70 - Nessuno osi arbitrariamente percuotere un altro
SEZIONE sulle RELAZIONI FRATERNE: RB. 63; 69-72
Preliminari
Quest'ultima sezione della Regola che esaminiamo non rivela in SB il desiderio di imprimere un orientamento particolare alla vita della sua comunita`. Parliamo dei cc.69-72 aggiunti in secondo tempo da SB (dal c.67 in poi) e che sono originali suoi (non hanno alcun parallelo nella RM); nella stessa sezione parliamo del c.63, che tratta dell'ordine di precedenza nel monastero, ma la seconda parte presenta analogie nel tono e nel linguaggio con il c.72 (anche del c.63 non abbiamo un vero parallelo nella RM).
Le "relazioni orizzontali" - diciamo cosi`, anche se l'espressione e` troppo moderna - acquistano in RB.63 e 69-72 un'importanza di primi piano: si nota un'atmosfera piu` umana, la cura di rispettare le diverse personalita` dei fratelli, una squisita carita`, che modifica in un certo senso e arricchisce sostanzialmente la concezione della vita spirituale quale appare nella prima sezione (cc.1-7) del codice benedettino.
In RB.63,10-17 e RB.69-72 si insiste dunque di continuo sulla carita`, sotto il doppio aspetto di amore di Dio e amore del prossimo. Questi testi riecheggiano soprattutto la dottrina di Basilio e di Agostino, indiscutibili maestri della carita` fraterna fra i cenobiti. Ma dobbiamo citare anche Cassiano; egli che nelle Institutiones parla del monastero come di una scuola in cui contano soprattutto - se non esclusivamente - le "relazioni verticali", cioe` tra maestro e discepolo, tra monaco e abate, nella Coll.16 sulla "amicizia spirituale" da` alla carita` fraterna tanta importanza e giustifica le virtu` cenobitiche non solo in rapporto al profitto spirituale del monaco, ma anche in rapporto alla pace e all'amore tra i fratelli. "Passare dalle Institutiones alla Coll.16 di Cassiano e` un tragitto analogo a quello che va dal primo agli ultimi capitoli della RB" (DeVogue`).
Dobbiamo pero` dire che, oltre l'influsso di Basilio, Agostino e Cassiano, cio` che piu` appare e` la maturita` spirituale di SB, la sua esperienza e la sua riflessione che gli hanno fatto comprendere la necessita` di dare molto piu` rilievo, nella sua concezione della vita spirituale, alle relazioni interpersonali dei fratelli, alla carita` fraterna nelle sue molteplici manifestazioni.
L'ordine della comunita`
De ordine congregationis
1-9: L'ordine della comunita`
Abbiamo avuto modo di notare spesso la preoccupazione di SB per l'ordine e la precisione, che sono una salvaguardia per la pace e la tranquillita` della vita monastica. Uno spinoso problema che ha tormentato e tormenta gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, trascinandoli spesso in contese, a volte assurde e ridicole, e` quello della precedenza, del rango, del posto occupato rispetto agli altri (ricordiamo l'episodio dei figli di Zebedeo: Mc.10,34-35).
SB da` tre criteri: quello normale e` l'anzianita` monastica, cioe` la data d'ingresso in monastero (vv.1.7-8); un'eccezione puo` essere data da particolari meriti di un monaco (come nei casi riscontrati in RB.60,4; 61,11-12; 62,6); oppure la volonta` dell'abate, il quale e` autorizzato a promuovere e a degradare, ma solo per ragioni superiori e per motivi validi (vv.2-3); SB gli ricorda di fuggire il dispotismo e di pensare al giudizio di Dio, secondo lo stile e le espressioni gia` riscontrate in RB.2,64 e RB.65. Comunque, l'eta` fisica e l'estrazione sociale dell'individuo non conteranno nulla (vv.5-8.18). Pertanto anche i fanciulli oblati staranno al posto che corrisponde alla data della loro consacrazione a Dio, anche se sotto la tutela di monaci adulti (v.9 e l'argomento sara` ripreso nei vv.18-19).
10-17: Deferenza e amore tra i fratelli
Fissato l'ordine materiale dei posti, SB passa a un teme di grande originalita` (come si e` detto sopra, nell'introduzione alla sezione): le manifestazioni di reciproco rispetto e cortesia. Comincia con un principio generale (v.10), gia` annunciato negli strumenti delle buone opere (n.70 e 71): "Venerare i piu` anziani, amare i piu` giovani" (RB.4,70-71). Le norme seguenti (vv.11-17) sono applicazioni del principio generale sull'onore e l'amore. Tali forme di deferenza non sono soltanto manifestazioni di educazione, sensibilita`, delicatezza e buon gusto naturali, ma sono ispirate soprattutto dalla S.Scrittura (Rom.12,10): "Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore" (v.17). Notiamo che il termine "nonno" e` di origine egiziana e si divulgo` in oriente; in seguito fu latinizzato e piu` tardi nel linguaggio ecclesiastico si applico`, con un senso familiare e affettuoso, alle persone che senza appartenere alla gerarchia, erano considerate degne di particolare venerazione: monaci, asceti, vergini consacrate a Dio, vedove e anziani; ancor oggi in francese "nonne", in inglese "nun", in tedesco "nonne" significa monaca. Anche i titoli per l'abate "dominus et abbas" <signore e abate> non sono nuovi, ma gia` attestati nella tradizione monastica: "dominus" esprimerebbe l'onore dovuto all'abate come vicario di Cristo; "abbas" esprimerebbe l'amore.
18-19: Posizione dei fanciulli
Gli ultimi versetti riguardano la prima parte del c.63, non la seconda. E` una specie di appendice sulla posizione dei fanciulli (v.9). I piccoli oblati in qualita` di persone consacrate a Dio come gli altri monaci professi, mantenevano il loro posto negli atti ufficiali della comunita` (coro e refettorio, v.18). Essendo pero` nel periodo della formazione, debbono essere curati con la vigilanza e mantenuti sotto disciplina "fino alla maggiore eta`" (v.19), che era considerata verso i 15 anni (cf.RB.70,4).
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NOTA:
Il c.64 e` stato trattato subito dopo il c.2.
Il c.65 e` stato trattato subito dopo il c.31.
I cc.66-67 sono stati trattati nella sezione "Relazioni con l'esterno".
Il c.68 e` stato trattato subito dopo il c.5.
In monastero nessuno ardisca difendere un altro
Ut in monasterio non praesumat alter alterum defendere.
Preliminari
Questo e il capitolo seguente sono un tutt'uno: parlano di due atteggiamenti opposti che possono gravemente disturbare le relazioni fraterne ed offendere la carita`. Ci sono infatti nei monasteri dei temperamenti istintivi portati per natura ad assumersi il ruolo di "avvocato difensore" e di giustiziere; seguendo la propria indole, costoro si arrogano delle funzioni che non sono di loro competenza e possono turbare l'armonia della comunita` con interventi senza discrezione. Il c.69 condanna percio` con fermezza qualsiasi intervento di un monaco in difesa di un altro; il c.70 stabilisce in modo deciso che la riprensione (grave e pubblica) e il castigo compete solo all'abate e a pochi altri autorizzati da lui. Dal punto di vista delle relazioni fraterne, potremmo dire che il c.69 mette in guardia i monaci da comportamenti fuori luogo dettati da simpatia, il c.70 da eccessi a cui puo` condurre l'antipatia e anche lo zelo immoderato. Su SB ci saranno stati, si`, degli influssi letterari della tradizione pacomiana, ma e` stato detto - giustamente - che sono dettati soprattutto dall'esperienza. Il tono di particolare severita`, l'asprezza delle espressioni, il citare il caso particolare della consanguineita` in RB.69,2, fanno capire che SB ha in mente fatti concreti che gli erano capitati e che lo spinsero ad aggiungere questi due capitoli. Solo poche parole di commento.
1-4: Non difendere un altro
Notiamo tre volte (titolo, v.1, v.3) il verbo praesumere <ardire, osare> che c'e` spesso nella Regola per indicare l'usurpazione di un potere altrui (in questo caso il compito dei superiori). Il v.3: "Possono nascere gravissime occasioni di scandali". Notiamo la gravita` delle parole "gravissime" e "scandali". Dall'appoggio di un "avvocato" fuori posto, il monaco si sente incoraggiato a respingere un'obbedienza, a resistere contro l'abate e altri confratelli, ed ecco simpatie, antipatie, pettegolezzi, gelosie, discordie... Il v.4: "Sia punito molto severamente". Anche S.Pacomio in questi casi prescrive una riprensione severissima (Reg.176) e S.Basilio e` molto rigido, perche` il fratello difeso indebitamente si confermava nella colpa.
Nessuno osi arbitrariamente percuotere un altro
Ut non praesumat passim aliquis caedere
1-3: Non punire arbitrariamente i fratelli
Il capitolo comincia col ribadire l'assoluta inammissibilita` di un potere indebito, di atti arbitrari, di arroganza (c'e` nel testo la famosa parola praesumptio). SB, in RB.23,4-5, ha parlato espressamente delle due pene: scomunica e battiture; qui ribadisce che puo` infliggerle solo che ne ha l'autorita`. Certo, a noi appare un po` strano che un semplice monaco potesse cosi` semplicemente scomunicare un altro!
4-5: Disciplina dei fanciulli
SB torna ad occuparsi dei fanciulli. Nel monastero c'era una perfetta comunione di vita tra vecchi, adulti, adolescenti e fanciulli, i quali pregavano, mangiavano lavoravano, dormivano tutti insieme. Certamente la natura stessa porta a delle differenze di cui si tiene conto, com'e` logico; anche la Regola fa oggetto di particolare attenzione vecchi e fanciulli (RB.37; cf. anche 22,7; 30; 45,3) e ha ordinato che i fanciulli siano sotto la vigilanza e la disciplina (RB.63,18-19) e che questa sia un'incombenza di tutti i monaci adulti (RB.63,9). In questo capitolo SB specifica ancora questa disposizione (vv.4-5): per i fanciulli fino ai 15 anni, tutti i monaci si devono sentire educatori; si stabilisce cosi` un'altra dimensione nelle relazioni fraterne: i monaci adulti siano educatori dei loro fratelli piu` piccoli. E si noti che SB raccomanda in cio` "mensura et ratio" <equilibrio e moderazione>, qualita` raccomandate all'abate nel suo esercizio di correzione (cf.RB.64).
6-7: Pene per i trasgressori
Chi usa senza discrezione, senza misura, la correzione nei confronti dei fanciulli, o chi si arroga il diritto nei confronti di altri monaci adulti, sia punito; e la motivazione SB la prende dall'assioma chiamato la "regola d'oro", che in Mt.7,12 e in Lc.6,31 e` in forma positiva (come in Tobia 4,15): "Non fare agli altri..."; la troviamo per la terza volta nella RB (qui, 4,9 e 16,4): cioe` castigare i fratelli senza autorizzazione e i fanciulli senza discrezione sono mancanze contro la carita` fraterna.
Che i fratelli si obbediscano a vicenda
Ut obeodientes sibi sint invicem
1-5: Obbedienza reciproca tra i fratelli
Quante volte e in quanti modi SB ha parlato gia` dell'obbedienza! Soprattutto nel Prologo, nei cc.5, 7 e 68 ne ha trattato e vi ha insistito in mille maniere: veramente in essa egli assomma praticamente tutta l'ascesi monastica. Sembrerebbe che non ci sia nulla da aggiungere. Ed invece ecco qui un altro capitolo, con un taglio in parte diverso. E` stato notato che i monaci lungo la Regola appaiono come semplici discepoli sotto la direzione e il magistero dell'abate e dei suoi collaboratori. Dal c.63 in poi possiamo notare un'atmosfera diversa: tutti sono responsabili dell'educazione dei fanciulli oblati (RB.63,9; 70,4); nel c.71 si parla poi di obbedienza reciproca. Praticamente si nota un'evoluzione della figura del monaco nella mente di SB: i monaci non sono semplici scolari, ma persone adulte, mature e che debbono essere considerate come tali.
Ancora un'altra osservazione: si apre un altro aspetto dell'obbedienza. All'abate, vicario di Cristo, si obbedisce perche` manifesta la volonta` di Dio, quindi il monaco e` sicuro cosi` di realizzare cio` che Dio gli chiede; nel c.71 l'obbedienza reciproca che si inculca prescinde dal contenuto oggettivo: e` un bene comune, il cammino per andare a Dio. La frase e` diventata una delle sentenze piu` sintetiche e luminose della Regola: scientes per hanc oboedientiae viam se ituros ad Deum <persuasi che per questa via dell'obbedienza andranno a Dio, v.2>. Anche S.Basilio (Reg.13; 64) e Cassiano parlano di obbedienza reciproca. Anzi Cassiano dedica la Coll.16 all'obbedienza reciproca senza distinzione di gradi.
Questa obbedienza ha pertanto un valore in se stessa, in quanto implica l'imitazione di Cristo (cf. tutta la dottrine sull'obbedienza nella RB, soprattutto nel c.7 sull'umilta`); ma al tempo stesso e` una manifestazione di carita`, di amore fraterno, un vincolo nuovo tra i monaci, i quali debbono obbedirsi con ogni carita` e sollecitudine (v.4), cercare non quello che e` il proprio tornaconto, ma quello degli altri. Tale genere di obbedienza potrebbe causare confusione nella comunita` e SB, sempre preoccupato della pace e dell'ordine del cenobio stabilisce una certa gerarchia in questa obbedienza reciproca (vv.3-5): obbedienza ai comandi dell'abate e dei suoi collaboratori, quindi obbedienza dei fratelli l'un l'altro, tenendo conto dell'ingresso in monastero (questo e` il senso di "anziano"; vedremo poi che nel capitolo seguente si pralera` di gara nell'obbedirsi a vicenda, senza piu` distinzione tra anziani e giovani (cf.RB.72,6).
In senso generale, come riflessione per noi oggi su questo capitolo della Regola, sara` bene richiamarci tutti a cio` che si direbbe oggi rispetto reciproco della personalita` di ciascuno, aiuto vicendevole, disponibilita` l'uno verso l'altro: e` una legge ineludibile del cenobitismo benedettino, un modo di vivere sempre e comunque l'oboedientae bonum <il bene dell'obbedienza>!
6-9: Contegno dinanzi alle riprensioni
SB passa a parlare dell'atteggiamento di fronte alla riprensione. Per conservare la pace e l'armonia nella comunita`, il S.Patriarca da` ai piu` anziani il 'diritto-dovere" di correggere gli altri fratelli verbalmente (la scomunica e le altre pene sono riservate all'abate, cf.RB.70,2) e vuole nei monaci tanta umilta` e docilita` che sappiano accettare e chiedere scusa (vv.6-8); anzi appare fin troppo severo per chi fosse cosi` pieno di orgoglio da rifiutare un atto di sottomissione e di umilta` (v.9). E` senza dubbio un rimedio drastico per mantenere la pace e l'armonia in comunita` di uomini rudi e violenti, quali erano gli immediati destinatari della Regola.
Cio` che deve essere valido per noi oggi e` questo senso dell'importanza della comunione fraterna che appare in SB: malintesi, rivalita`, dispute, certe "guerre fredde", quel vivere quasi da estranei in comunita`..., sono cose che possono succedere nei monasteri: chiarisi l'un l'atro i motivi di certe tensioni, chiedersi scusa per ristabilire la serenita`, sono valori perenni che vanno conservati a costo di qualunque sacrificio.
Lo zelo buono che i monaci debbono avere
De zelo bono quod debent monachi habere
Il TESTAMENTO SPIRITUALE di S.Benedetto
Con ragione il c.72 e` stato considerato sempre come una delle pagine piu` preziose della Regola. E` certamente il capitolo piu` soave del codice monastico, sintesi del suo contenuto, compendio della perfezione monastica. Chiudendo la Regola il S.Patriarca non sa meglio sintetizzare il suo insegnamento se non nella parola con cui Gesu` compendia e corona la sua dottrina: la CARITA`.
RB.72 e` stato chiamato il "testamento spirituale" di S.Benedetto. Si presenta in effetti con le caratteristiche di un capitolo conclusivo: esortazione, sentenze spirituali, frase finale in forma di augurio e di preghiera; vermanete appare chiaro che ci troviamo di fronte alle "ultime parole" <ultima verba> del Santo Padre. D'altronde e` abbastanza evidente che il c.73 era stato composto prima e si trovava subito dopo il c.66, e fu posto dopo il c.72 nella redazione definitiva della Regola, a guisa di epilogo, quale e` in realta` (cf. commento al c.73).
Quindi le ultime frasi che uscirono dalla penna di SB possiamo ritenerle queste sullo "zelo buono". E` stato scritto: "La cosa piu` importante di questo capitolo e` il fatto di offrire la prospettiva in cui si deve leggere la Regola. Appare come SB, dopo essere vissuto per lungo tempo con i suoi monaci in una vita di preghiera e di osservanze monastiche, sia giunto a questa convinzione: la dimensione della carita`, lo zelo buono; che ne e` il segno e il risultato, e` la cosa piu` importante per il monaco" (J.E.Bamberger).
Il testamento spirituale di SB costituisce la canonizzazione - per cosi` dire - delle relazioni interpersonali: i fratelli che vivono in uno stesso monastero e formano una sola famiglia spirituale, debbono stimare sopra ogni altra cosa e coltivare con zelo queste relazioni interpersonali. Questa pagina cosi` densa e soave, non puo` essere frutto solo di teoria, di letture, di fonti che possono avere influito; si tratta soprattutto dell'esperienza personale di SB, uomo di Dio e padre spirituale: veramente egli parla "ex abundantia cordis" <dalla sovrabbondanza del cuore>. Tuttavia possiamo notare in generale l'influsso di Agostino e reminiscenze soprattutto di S.Paolo, nonche` della meravigliosa Collazione 16 di Cassiano sulla "amicizia spirituale".
Schema del capitolo
Come altri legislatori, SB stende il suo testamento spirituale in forma concisa, con massime brevi e precise. Definisce prima lo "zelo buono" (vv.1-2); esorta ad esercitarlo (v.3); enumera otto massime in cui esso deve manifestarsi (vv.4-11); conclude con un augurio e una preghiera (v.12).
1-2: Lo zelo buono
La parola "ZELO" viene dal greco, da una radice che significa "essere caldo", in ebollizione; quindi si tratta di una "passione", e comprende ira, invidia, gelosia, ecc. In latino "zelum" significa gelosia, sentimenti di rivalita`, che opera da agente disgregatore della comunita`, S.Paolo lo include tra le opere delle tenebre (Gal.5,20-21; cf.Giac.3,14 "zelum amarum"). Anche SB usa il termine nel senso di invidia, gelosia: RB.4,66; 65,22. Tutto questo e` uno zelo cattivo, amaro (v.1). Ma la Scrittura conosce un altro genere di gelosia, qualle che si applica a Dio, quando dice che "Yahwe` si chiama Geloso; egli e` un Dio Geloso" (Esodo 34,14), che non tollera rivali nell'onore e nell'amore a Lui dovuti. Da questa gelosia divina deriva lo zelo che animava gli uomini di Dio; "lo zelo della tua casa mi divora" (salmo 68,10) venne in mente agli apostoli quando videro Gesu` scacciare i venditori dal tempio (Giov.2,17); nello stesso senso S.Paolo scriveva ai Corinzi: "Io sono geloso di voi, della gelosia di Dio, avendovi promesso a un unico sposo per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Cor.11,2). E` questo lo "zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna" (v.2).
In questo senso la parola ha il signofocato di ardore, fervore, come in RB.64,6; anche a proposito del pertinaio si parla di fervor caritatis <fervore di carita`, RB.66,4). Il doppio zelo richiama la dottrina delle due vie, come spesso nell'AT e nel discorso della montagna, Mt.7,13-14. E` interessante notare che questo zelo buono che conduce a Dio e alla vita eterna si esplicita, come vedremo subito, nelle manifestazioni della carita` fraterna; cioe`: quella purificazione dei vizi e raggiungimento della vita eterna che SB aveva prima attribuito a tutto il cammino dell'umilta` (RB.7,67-70), qui e` attribuito all'amore fraterno, quindi l'unione dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo.
Ha scritto DeVogue`: "(...) l'ascetismo monastico (...) si arricchisce qui di una nuova dimensione. L'itinerario del monaco, dal timor di Dio fino alla carita` perfetta, attraverso l'obbedienza, la pazienza, l'apertura della propria coscienza, l'umilta`, il silenzio, la compunzione - per non citare che le prime tappe -, nelle quali il discepolo camminava sempre solo dietro le orme del suo maestro, si allarga e completa con un nuovo tracciato, finora poco indicato. All'ascetismo individuale praticato sotto la direzione di un superiore, si aggiunge un elemento nuovo: le relazioni fraterne".
3-11: Le massime dello zelo buono
SB raccomanda dunque che "a questo zelo buono debbono darsi i monaci", cioe` agire ferventissimo amore <con ardore di carita`, con intenso amore, v.3>. E passa ad enunciare alcune manifestazioni. Le otto massime, concise, sono enunziate quasi tutte col medesimo schema: all'inizio il termine principale, alla fine il verbo in forma esortativa. Le prime cinque massime si riferiscono all'amore fraterno, con varie modalita`; le ultime tre all'amore a Dio, all'abate, a Cristo. Sono una specie di apoftegmi meravigliosamente espressivi.
1.ma massima (v.4)
E` il testo di S.Paolo (Rom.12,10) gia` citato in RB.63,17; pero` qui non si allude affatto all'ordine di precedenza, si onora il fratello senza guardare se e` superiore o un inferiore: il fervore di carita` non fa caso a queste distinzioni.
2.da massima (v.5)
Norma quanto mai necessaria per una vera convivenza nella carita`. Chi e` cosi` perfetto da non avere qualcosa da far sopportare al vicino? In ogni comunita` la massima e` di costante applicazione. (L'espressione ricorda Cassiano, Coll.19,9).
3.za massima (v.6)
Su questo tema dell'obbedienza reciproca SB ha parlato nel c.71 (cf. commento). Ma qui non si allude all'ordine di precedenza; e c'e` anche l'avverbio "certatim" <a gara>, cioe` si deve proprio sentire il gusto, il compiacimento di obbedirsi a vicenda.
4.ta massima (v.7)
E` di chiaro sapore paolino: cf.1Cor.10,24.33; 13,5; Filip.2,4. Si tratta della sollecitudine dettata dalla vera carita`, e nel monastero ci sono tante occasioni di sacrificare i propri interessi, riposo, piccole comodita`, ritagli di tempo, ecc. Tale pratica costante richiede una continua abnegazione e puo` significare spesso un vero eroismo, nascosto, ma genuino.
5.ta massima (v.8)
Anche questa e` ispirata a S.Paolo: cf.Rom.12,10; 1Tess.4,9; cf. anche Ebr.13,1 e 1Piet.1,22. L'avverbio "caste" <con amore puro, castamente>, significa l'amore soprannaturale, gratuito, disinteressato, non cioe` l'affetto sensibile e naturale. I monaci devono sapersi voler bene di quell'amore che scaturisce dall'amore di Cristo. Come commento ai vv.7-8, si legga tutto il brano di S.Paolo ai Filippesi 2,1-5 (prima dell'inno cristologico sulla "kenosis" di Gesu`).
6.ta massima (v.9)
Da questo versetto di lascia un po` la dimensione orizzontale per elevarsi, da questa piattaforma dell'amore fraterno, verso l'alto, all'amore di Dio, dell'abate, di Cristo. "Temeranno Dio con amore": comunemente amore e timore si interpretano come due termini antitetici. Gli antichi la pensavano diversamente (nella Scrittura il "timore di Dio" e` una realta` molto complessa che significa tutto il fenomeno religioso, tutta l'esperienza di Dio, fino all'amore). S.Cipriano ha "amore e timore" nella stessa frase (preghiera del Signore, 15); nel Sacramentario Leoniano (XXX,1104) abbiamo la medesima espressione di SB: amore te timeant <ti temano con amore>; secondo Cassiano, il timore amoroso di Dio, "timore di amore", e` il grado piu` alto e sublime a cui possono arrivare i perfetti (Coll.11,15).
7.ma massima (v.10)
E` un precetto formale, anche se non del tutto nuovo; SB ha parlato dell'amore per l'abate per amore di Cristo (RB.63,13); all'abate raccomanda di farsi piu` amare che temere (RB.64,15); l'abate deve amare tutti i fratelli (RB.2,17). Ora chiaramente si dice che i fratelli devono amare l'abate con sincerita`. Nella RM questa idea manca del tutto, lo schema e` molto piu` verticale: per il loro maestro i discepoli non possono nutrire se non fede e obbedienza. La RB pone l'amore reciproco tra monaci e abate, nella stessa corrente di carita` verso Dio: "misura del cenobitismo e` la relazione mutua che unisce i fratelli all'abate in Cristo" (DeVogue`).
8.va massima (v.11)
Il nome di Cristo non era ancora apparso nel testamento spirituale di SB; e` stato lasciato alla fine come coronamento. L'espressione e` presa da S.Cipriano: "Non antepongano assolutamente nulla a Cristo, perche` Egli non antepose nulla a noi" (La Preghiera del Signore, 15); anche S.Agostino ha: "Nihil praeponant Christo" (Espos. sul salmo 29,9). SB ha gia` posto una simile massima tra gli strumenti delle buone opere: "Niente anteporre all'amore di Cristo" (RB.4,91). Qui la rafforza con un energico "omnino" <assolutamente>. Il monaco ha posto l'amore di Cristo al di sopra di ogni altro amore; "Christo omnino nihil praeponant" e` l'anima e l'anelito di tutta la Regola come di tutta la vita di S.Benedetto.
12: Orazione conclusiva
La frase che esprime un desiderio, un augurio, un voto, una speranza, non solo chiude il capitolo, ma, nella mente del legislatore, tutta l'appendice (cc.67-72) e quindi tutta la Regola. SB ha parlato di tante cose, ha dato tante disposizioni, consigli, esortazioni: certo, tutto si deve cercare di fare, e il monaco puo` attraversare tanti momenti di scoraggiamento, puo` sperimentare la difficolta` del cammino. E allora il S.Padre termina con una orazione breve, intensa, significativa, in prospettiva escatologica. Si tratta di arrivare alla "vita eterna", alla patria celeste tante volte intravista e sospirata nel corso della Regola (cf.Prol.17,41; RB.4,46; 5,3.10; 7,11; 72,2): a Cristo e solo a Cristo il monaco affida la capacita` di poter trionfare definitivamente nella sua "ricerca di Dio" (Rb.58,7); ed Egli solo ci potra` condurre alla vita eterna, "pariter" <tutti insieme>. E notiamo questo "tutti insieme": non si tratta di un'impresa solitaria, di un cammino desertico, ma insieme: i cenobiti camminano alla pari, formando una carovana con Cristo in testa che guida e ci conduce alla vita eterna.
Conclusione
Tale e` il testamento spirituale di SB; un capitolo in cui scompaiono - diciamo cosi` - le precedenze, la disciplina regolare, le difficolta` del cammino ascetico; un capitolo ridondante tutto di amore, amore a Dio, a Cristo, all'abate, in particolare dell'amore reciproco tra i fratelli: una nuova dimensione che completa, arricchisce, e in un certo senso modifica l'ascetismo monastico descritto nei primi capitoli della Regola. SB ha scoperto (nella linea di Agostino) tutto il valore umano e cristiano della comunita`; e` giunto alla ferma convinzione che i monaci cenobiti non vivono insieme in monastero solo per essere discepoli di uno stesso maestro, l'abate, ma che la stessa vita di comunita`, la comunione di spirito costituisce un fine in se`, nello stesso tempo che e` il mezzo proprio di questo genere di monaci, per correre verso la vita eterna. Percio` al termine della Regola SB da` tanta importanza alle relazioni interpersonali, alla comunione dei fratelli tra loro, con l'abate e con Cristo in Dio. Ecco allora lo zelo buono, la "gelosia" buona: "una emulazione per amore nelle diverse manifestazioni dell'amore' (DeVogue`).
Concludiamo con una citazione del grande maestro della vita comune, il "Dottore della carita`", S.Agostino. Parlando delle comunita` di Roma e di Milano, egli scrive: "Vi si osserva principalmente la carita`. Alla carita` si ispira e si adatta il loro cibo, la loro conversazione, il loro vestito, il loro ambiente. Tutto e` indirizzato e coordinato verso la carita`. Sanno che Cristo e gli Apostoli la raccomandarono tanto che, se essa manca, nulla conta, e, se essa e` presente, tutto acquista la sua pienezza". (De Moribus Ecclesiae Catholicae 33,73). Non ci sono parole piu` belle per esprimere l'ideale comunitario di S.Benedetto.
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Il c.73 e` stato trattato subito dopo il Prologo.
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net