APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

AGGREGAZIONE AL MONASTERO e FORMAZIONE (capitoli 58-61+62)

CAP. 58 - Procedura per l'ammissione dei fratelli

CAP. 59 - I figli dei ricchi o dei poveri che vengono offerti

CAP. 60 - I sacerdoti che volessero eventualmente entrare in monastero

CAP. 61 - Come debbano accogliersi i monaci pellegrini

CAP. 62 - I sacerdoti del monastero


 

Introduzione: L'AGGREGAZIONE AL MONASTERO (RB. 58-61+62)

Abbiamo visto nella sezione precedente la paura che i monaci antichi avevano dei rapporti con l'estrno, per il pericolo che si infiltrasse nel monastero una mentalita` mondana (vedi soprattutto RB.66,7 e 67,5). Per questo motivo i Padri del cenobitismo erano portati a provare duramente i postulanti, a saggiarne lo spirito e la consistenza dei propositi, a negare loro ripetutamente l'ingresso e, una volta ammessi, obbligarli a restare come in quarantena per un periodo piu` o meno lungo perche` riflettessero sulla serieta` della propria vocazione e si abituassero al nuovo genere di vita.

Cassiano descrive in questo modo l'ammissione dei postulanti nei monasteri d'Egitto: prima si facevano aspettare almeno dieci giorni alle porte del cenobio, provandone la pazienza con ogni sorta di ingiurie; poi si facevano entrare e venivano spogliati di tutto il denaro e dei loro abiti, sostituendovi quelli del monastero; pero` con tale "vestizione" non erano ancora incorporati alla comunita`, ma venivano affidati all'"anziano" che sovrintendeva alla foresteria, e per un anno intero aiutavano a servire gli ospiti, esercitandosi nell'umilta` e nella pazienza; infine passavano a far parte di una decania ed erano candidati ormai membri della comunita` cenobitica e ricevevano una formazione specifica (Inst.4,3-7). SB adotto` piu` o meno questo schema, ma con molte modifiche, o sue originali o attingendo ad altri autori, come la RM, che in questa sezione e` lunghissima e particolareggiata.

Trattiamo qui dell'ammissione piu` comune e ordinaria (RB.58), e poi alcuni casi speciali di ingresso in comunita`: l'oblazione dei fanciulli (RB.59),

l'ammissione dei sacerdoti e chierici (RB.60) e di monaci di altri monasteri (RB.61); per associazione di idee, si parla poi dei sacerdoti del monastero (RB.62).


CAPITOLO 58

Procedura per l'ammissione dei fratelli

De disciplina suscipiendorum fratrum

Preliminari al c.58

E` uno dei piu` importanti capitoli della Regola, perche` non parla solo della procedura per l'accettazione, ma del contenuto stesso della vita monastica, con le idee fondamentali secondo SB: il QUAERERE DEUM, la STABILITAS, la CONVERSATIO MORUM, la OBOEDIENTIA. A questo capitolo corrispondono RM.87-88 e 89-90, molto lunghi, con tutti i dialoghi tra postulante e abate e le esortazioni di quest'ultimo, soprattutto il c.90, in cui quasi tutti i 95 versetti (!) sono occupati da un'omelia dell'abate. SB ha modificato molte cose, ha abbreviato moltissimo, ha soppresso la distinzione tra i postulanti iam conversi <gia` conversi, cioe` coloro che vivevano nel mondo alla maniera dei monaci con una vita penitente, semplice e nel celibato) e i postulanti ancora laici.

1-4: L'ingresso

Non bisogna essere facili all'accettazione: la sincerita` e la solidita` di una vocazione devono essere provate, come suggerisce l'Apostolo (che in questo caso non e` S.Paolo, ma S.Giovanni, 1Giov.4,1; il testo si riferisce direttamente ai falsi profeti). Al v.1 per "vita monastica" c'e` il termine "conversatio" che e` termine tecnico: per il senso preciso, vedi piu` avanti (commento al v.17). Il nuovo venuto, dunque, comincia a trovare difficolta` davanti alla porta. SB pero` e` piu` discreto: i "pochi giorni" di cui parla Pacopmio (Reg,49) e che erano diventati "una settimana" secondo la Reg.IV.Patrum 2,25 e "dieci giorni" secondo Cassiano (Inst.4,3), diventano quattro o cinque giorni (v.3). Non e` verosimile che in tali giorni restasse sempre all'aperto e allo scoperto, forse veniva ricoverato presso la "cella" del portinaio. Dopo una prima fase davanti alla porta, un'altra breve fase nella foresteria (v.4).

5-16: Il noviziato

Comincia quindi un periodo di prova piu` definito e specifico, che si svolge in un locale apposito, cella novitiorum <noviziato> per un anno intero, sotto la guida di un "anziano" (che col tempo si chiamera` maestro dei novizi): tutte queste cose sono innovazioni proprie di SB. Nel locale a parte, i novizi passano tutto il tempo libero dall'Ufficio divino e dal lavoro: li` mangiano, dormono e "meditano": un termine tecnico, quest'ultimo, che comprende sia la lectio divina, sia l'imparare a memoria i testi (la "exercitatio"), l'apprendere, quindi tutto il lavoro di studio e di formazione (vedi commento a RB.48,23 e nell'Excursus sulla lectio divina).

6: ... un anziano capace di guadagnare le anime

L'espressione di questo v.6 e` di origine biblica (Mt.18,15; 1Cor.9,20) e richiama un passo analogo della "Vita Pachomii",25. Il metodo da seguirsi nel noviziato consta di due parti: da un lato il candidato stesso deve verificare (e il maestro deve osservare questo) se e` disposto a cercare Dio attraverso un cammino spirituale specifico; dall'altro il maestro gli deve porre davanti le difficolta` che tale cammino comporta.

7-8: Punti fondamentali di verifica

I vv.7-8 sono molto importanti: abbiamo alcune linee fondamentali della vita monastica.

- Si revera Deum quaerit <se veramente cerca Dio>: e` colta qui tutta l'essenza e il programma della vita monastica. Si viene al monastero non per uno scopo particolare o per una missione specifica di bene (predicazione, insegnamento, ecc...), ma solo per la ricerca di Dio: e` un atteggiamento generale di fondo, un'attitudine religiosa essenziale. Per i monaci, l'assidua ricerca di Dio, dopo che essi sono stati cercati da Lui (cf.Prol.14), diventa la loro ultima ragion d'essere. L'espressione ha moltissime sfumature nella letteratura biblica, ellenistica e patristica. Vedi, per citare alcune opere: G.Turbessi, Quaerere Deum. Il tema della ricerca di Dio nella S.Scrittura, Rivista Biblica (1962) 282-296; G.Turbessi, Cercare Dio, Ed.Studium, Roma 1980; E. De Sainte-Marie, Si revera Deum quaerit, Vita Monastica 10 (1956) 173-177.

- Se e` pronto all'Opus Dei, all'obbedienza, alle umiliazioni: tre esplicitazioni della sincera ricerca di Dio che il novizio deve verificare; il maestro, poi, dovra` non nascondere le difficolta` del cammino: omnia dura et aspera per quae itur ad Deum <tutte le difficolta` e le asprezze attraverso le quali si va a Dio> (v.8): anche questa frase e` rimasta proverbiale e programmatica nell'iter di formazione del monaco.

SB divide l'anno di noviziato in tre periodi disuguali: primi due mesi (v.9), i successivi sei mesi (v.12), gli ultimi quattro mesi (v.13). Alla fine di ciascun periodo si legge al novizio l'intera Regola, "perche` conosca bene che cosa affronta entrando" (v.12). Oggi si usa leggere la Regola durante tutto il noviziato, accompagnata dalla spiegazione particolareggiata del maestro; gli antichi, anzi, raccomandavano di impararla a memoria, e l'uso e` rimasto presso alcuni monasteri. Cosi` il novizio va maturando la sua esperienza "in ogni pazienza" (v.11), ascolta la triplice lettura della Regola (vv.9.12.13), delibera (v.14) di osservare tutte le prescrizioni della vita comune, della legge sotto la quale intende militare (v.10). Allora, al termine del noviziato, lo si ritiene degno di essere aggregato alla comunita` monastica (vv.14-16).

17-29: La professione monastica

Il suscipiendus <colui che deve essere ammesso> (v.17) fara` ufficialmente professione di vita monastica. Al tempo di SB e per molti secoli non esisteva che una unica professione. La Chiesa e` intervenuta, per vari motivi, ad obbligare un periodo di voti temporanei, della durata di almeno tre anni. Quanto e` ordinato e descritto qui da SB vale oggi pienamente solo della professione "solenne", che si usa chiamare anche consacrazione monastica.

17: Contenuto della professione

SB fa promettere al candidato tre cose, che impropriamente furono definiti "i tre voti monastici". In realta` SB non intende qui stabilire tre voti distinti, ma solo indicare l'oggetto della promessa del monaco. Nei pacomiani non si parla mai di voti, anche se c'era la pratica dei consigli evangelici; Basilio parla di consacrazione al Signore fatta per voto (Reg.14), ma non menziona "voti" espliciti. Certamente la disposizione di SB ha avuto il merito di polarizzare la pratica dei voti monastici (castita` e poverta` erano inclusi nel fatto stesso di farsi monaco, nella "conversatio") ed ha influito sulla organizzazione posteriore della vita religiosa. E passiamo al contenuto. Il novizio promette: "de stabilitate sua et conversatione morum suorum et oboedientia" <stabilita`, conversione dei costumi, obbedienza>.

Stabilitas

Che cosa e` veramente la "stabilita`"? Senza dubbio e` anzitutto la perseveranza (cf.v.9), cioe` stabilita`, costanza, fermezza, permanenza in uno stato determinato. La cosa e` piu` complicata (e controversa) quando si vuol determinare con precisione l'oggetto della perseveranza. Tenendo presente il contesto, risulta abbastanza chiaro che si tratta di perseverare nel monastero come monaco sotto la Regola che si accetta di professare, praticamente e` il "compromettersi totalmente nella vita monastica", perseverando fino alla morte, in una comunita`, in una permanenza abituale nei recinti del monastero, con l'accettazione della vita comune e l'osservanza regolare. Ricordiamo la finale del Prologo: "perseverando nel monastero fino alla morte, parteciperanno con la pazienza ai patimenti di Cristo" (Prol.50). Ricordiamo ancora il 4.to grado di umilta`: "conservare la pazienza... chi perseverera` sino alla fine..." (RB.7,36). Ricordiamo ancora la finale del c.4: "... stabilitas in congregatione" <la stabilita` nei recinti del monastero>, che e` l'"officina" dove si adoperano gli strumenti dell'arte spirituale (RB.4,78). Contro il disordine dei monaci girovaghi (RB.1,10-11), contro la "in-stabilitas" lamentata da Cassiano (Inst.7,9), SB vuole come una delle sue caratteristiche una stabilita` di luogo e di famiglia che aiuta a superare la instabilita` del cuore.

Il concetto di stabilita` ha oggi un significato piu` allargato, secondo le diverse Congregazioni monastiche, e ammette delle eccezioni anche dove si e` legati ad un singolo monastero. Rimane comunque il senso primordiale e fondamentale della perseveranza, con la pazienza, sull'esempio di Cristo: "In ultima analisi, promettere la stabilita` e` compromettersi nel partecipare alla pazienza, nella obbedienza, nella perseveranza di Cristo che furono totali, assolute, senza limiti..." (J.Leclerq). "E` l'incarnazione, la cristallizzazione di un'attitudine, e di un'attitudine puramente spirituale...; la vita religiosa e` un compromettersi per tutta la vita...; si entra in uno stato cristiforme...; si rimane in monastero perche` si rimane in Cristo" (H.U.Von Balthasar).

La conversatio morum

Prima si leggeva conversio monastica, cioe` il novizio prometteva di cambiar vita, lasciare i costumi del mondo per acquistare quelli di un vero monaco. I recenti studi critici fanno ritenere genuina la lezione conversatio, piuttosto che conversio. Il termine "conversatio" puo` derivare dall'intransitivo "conversari" e significa: modo, tenore di vita, condotta; oppure dal transitivo "conversare", da "convertere", nel senso di rivoltare, rigirare, e allora equivale a "conversio", sia in senso proprio che figurato. Come termine specifico monastico puo` quindi significare, oltre il semplice "modo di vivere", anche l'entrata, la dimora in monastero, l'appartenenza allo stato monastico, oppure, in senso piu` limitato, la vita ascetica nello stato monastico; infine, come equivalente di "conversio", significa la conversione, il mutamento di vita. Nella RB queste sfumature ci sono; nei passi in cui appare il termine, puo` valere in genere "vita monastica": Prol.49; RB.1.3; 1,12; 2,18; 21,1; 22,2; 58,1; 63,1; 63,7; 73,1-2. Pero` qui, in RB.58,17, l'aggiunta morum suorum <dei propri costumi> crea difficolta`.

Secondo Steidle, la "conversatio" designa qui ugualmente la vita monastica stessa (secondo un gran numero di testi antichi) e "morum suorum" non e` che un "genitivo di ridondanza", cioe` una forma letteraria in cui nome e genitivo non sono realta` diverse, ma due sinonimi che si rafforzano reciprocamente. Il novizio cosi` promette di osservare quella "conversatio" che aveva voluto abbracciare bussando la prima volta alla porta del monastero (v.1). D'altronde la Mohrman ha dimostrato egregiamente lo scambio avvenuto tra i due termini e l'uso di "conversatio" anche nel significato di "conversio". Tra "conversione dei costumi" come condotta virtuosa, oppure come stile di vita, applicati ambedue all'esistenza del monaco, non c'e` dunque grande differenza, ma vogliono in fondo significare la medesima cosa. Potremmo vedere nel termine due prospettive secondo le due etimologie: la prima indicherebbe l'aspetto statico (cioe` uno "stile" da monaci secondo la Regola); l'altra indicherebbe l'aspetto dinamico (la promessa di andare dal male verso il bene, e dal bene verso il meglio, l'impegno nel continuo superamento, nel rifiuto di fermarsi o di stagnarsi nella "corsa spirituale").

Ricapitolando, all'origine del termine c'e` l'idea del genere di vita, la vita in comune, la maniera di vivere ("conversari"); ma questa maniera di vivere suppone e implica un cambiamento della condotta ("conversare", da cui "convertere"), per cui il monaco e` cosciente sempre di dover tendere ad perfectionem conversationis. Cosi` "conversatio morum" non indica solamente il passaggio dal mondo alla vita monastica, ma la vita monastica stessa in ogni momento della sua tensione dinamica (e include e trascende i tre voti di poverta`, castita` e obbedienza). La vita monastica deve essere una corsa continua, un progresso nella "conversatio" e nella fede, come dice Prol.49; la "conversatio morum" assicura l'"allargamento del cuore" <il "dilatato corde"> di cui parla ancora Prol.49: per correre nella ineffabile dolcezza dell'amore di Cristo (cf.RB.7,68-70 con Prol.49), nel cammino del ritorno verso il Padre (Prol.2).

La Oboedientia

Dei tre voti essenziali ad ogni stato religioso e gia` inclusi nella precedente "conversatio", e` espressamente nominata l'obbedienza, perche` e` il dono piu` elevato, perche` indispensabile alla interna organizzazione del cenobio, perche` per SB e` la cosa piu` importante; praticamente ne ha parafrasato la materia nei vv.14-16. Il novizio allora, al termine di un anno di prova e di matura riflessione, promette solennemente di perseverare nel recinto del monastero e nella comunita`, a cui da allora in poi appartiene (stabilitas), in un costante progresso nelle virtu` monastiche (conversatio) e nella docilita` ai precetti della Regola e ai comandi dell'abate (oboedientia). Oggi la professione si emette "secondo la Regola di S.Benedetto e le Costituzioni della Congregazione ... " cui si appartiene, perche` le Dichiarazioni e le Costituzioni approvate dalla S.Sede integrano e interpretano la Regola secondo le particolari esigenze di tempo e di luogo e le tradizioni proprie di ciascuna Congregazione.

17-29: Rito della professione

Dopo la riflessione sopra il contenuto della professione monastica, esaminiamone brevemente il rito come descritto da SB. Il novizio fara` la sua professione davanti a tutti (v.17) e soprattutto davanti a Dio e ai suoi Santi (v.18). Deve redigere un documento giuridico, la "petitio" <oggi diciamo "la carta di professione"> scritta possibilmente di suo pugno, da lui firmata e che poi egli stesso portera` sull'altare (vv.19-20). Benche` la Regola non lo dica espressamente,, da questo e da altri indizi (soprattutto da RB.59,2 e 8 in cui si dice di unire la "petitio" alla "oblatio", cioe` il pane e il vino per l'Eucarestia), si deduce che la professione avveniva durante la Messa, al momento della presentazione dei doni: la tradizione benedettina e` unanime su questo punto. In tal modo la professione monastica acquista la sua dimensione teologica piena: nel contesto eucaristico viene espresso pienamente il dono di se stesso che il monaco fa a Cristo e in unione al sacrificio di Cristo.

Dopo la deposizione del documento sull'altare vicino alle offerte, il triplice canto del Suscipe (salmo 118,116) intonato dal novizio e ripetuto dalla comunita` intera (vv.21-22), e` molto significativo: Accoglimi, Signore, secondo la tua parola..., canta il monaco al momento supremo della sua consacrazione a Dio, in risposta alla chiamata che il Signore gli ha diretto (cf.Prol.14-20). Non c'e` monaco che non senta riempirsi l'anima di commozione e di dolcezza al ricordo del suo "Suscipe". La rubrica seguente (v.23) contiene ugualmente un significato profondo: il neo professo si prostra ai piedi dei fratelli chiedendo preghiere; quanto piu` arduo e` il cammino, tanto piu` c'e` bisogno della Grazia, e la preghiera fraterna costituisce il primo aiuto che riceve dalla comunita` di cui ormai fa parte. Nei vv.24-25 si parla della disappropriazione che deve essere fatta o distribuendo i beni ai poveri (prima della professione) o cedendoli al monastero con una donazione legale, dato che "da quel giorno non sara` piu` padrone nemmeno del proprio corpo" (v.25).

Poi si parla della "vestizione" in maniera alquanto sorprendente e diversa da come aspetteremmo noi oggi e anche da quanto appare in Cassiano e in RM. SB non parla di "abito monastico" (l'espressione non appare mai nella Regola), ma solo che "sia svestito dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero" (v.26): e` solo un segno e una conseguenza della totale disappropriazione; a lui non resta di proprio assolutamente nulla, neanche i vestiti con cui giunse al monastero; SB insomma non da` importanza all'abito monastico (vedi a questo proposito quanto detto nel commento a RB.55). Il capitolo si conclude alludendo al caso di abbandono e, incidentalmente, sappiamo che l'abate prende dall'altare la "petitio" e la fa conservare nel monastero per sempre, anche nel caso di infedelta` del monaco. Tale prescrizione ha un senso giuridico ed economico: siccome nella petitio era inserita la "donatio" dei beni, la carta non veniva restituita per evitare reclami da parte dell'uscito.


CAPITOLO 59

I figli dei ricchi o dei poveri che vengono offerti

De filiis nobilium aut pauperum qui offeruntur

Introduzione: grosso problema alla nostra mentalita` di oggi

Il capitolo risulta incomprensibile, se prescindiamo dal contesto storico in cui e` nato. Alla nostra mentalita` sembra assurdo, anzi inumano e crudele, che si possa decidere cosi` della sorte di una creatura umana prima che questa sia in grado di compiere responsabilmente un certo passo. Il c.59 della RB e` sembrato tanto duro che si e` cercato di attenuarlo dicendo che il fanciullo, una volta giunto all'eta` della discrezione, poteva ratificare la sua oblazione monastica, oppure ritornare nel mondo (che in certi casi conosceva appena). Ma questa tesi non e` sostenibile. Nella tradizione orientale sappiamo da S.Basilio (Reg.7) che nell'oblazione dei fanciulli erano sempre richiesti i testimoni e che inoltre essi non facevano promessa di verginita`; quindi la loro donazione non era definitiva. In occidente invece c'erano varie correnti: da quella che richiedeva il loro assenso (ad esempio in S.Leone Magno), fino a quella che riteneva perpetuo e irrevocabile il vincolo dell'oblazione fatta dai genitori. A meta` del sec.VI si nota una presa di posizione a favore dell'irrevocabilita`; nel IV Concilio di Lione (633) si stabili` il principio poi divenuto classico in occidente: "Monachum aut paterna devotio aut propria professio facit" <si diventa monaci o per la devozione del padrfe o per la propria professione>. Mentre l'oriente quindi resto` fedele in genere al principio di Basilio secondo cui la promessa di verginita` non puo` essere che un atto libero e personale, l'occidente ando` nella direzione opposta: "si e` sacrificata la libera scelta della verginita` a una nozione troppo materiale della consacrazione unita ai diritti dell'autorita` paterna" (DeVogue`).

RB sembra addirittura in anticipo sui tempi, nello stabilire con tanta chiarezza la prassi dell'oblazione dei fanciulli. E` inutile cercare attenuazioni: niente fa supporre che SB prevede una ratifica cosciente e libera della involontaria consacrazione fatta da piccoli; anzi, le precauzioni riguardo ai beni sono proprio per scoraggiare eventuali tentazioni di uscire dal monastero. Il paragone tra il c.58 e il c.59 fa vedere una reale corrispondenza tra la professione degli adulti e l'oblazione dei fanciulli, e che quindi l'oblazione fatta dai genitori obbligava in perpetuo l'oblato alla vita monastica. Cio` del resto e` confermato da altri passi della RB: i ragazzi appaiono sempre come veri monaci (e non come una categoria a parte) e vengono trattati come gli altri tenendo conto naturalmente della loro eta` debolezza (cf.RB.22,7; 30; 37; 45,3; 70,4-5; ecc.). L'unica ragione della incredibile durezza di questo capitolo e` la mentalita` dell'epoca, mentalita` che oggi non possiamo accettare. Per la validita` della professione, la Chiesa prescrive oggi almeno 18 anni di eta`, piena consapevolezza e liberta`, mancanza assoluta di ogni tipo di violenza, timore grave o inganno (CIC.656). Una volta non era cosi`, e SB si e` adattato alla mentalita` dell'epoca in ambiente occidentale. D'altra parte, per aiutarci a comprendere, e` noto che in alcuni popoli, ancor oggi, i matrimoni dei figli vengono arrangiati dai genitori fin da quando i figli stessi sono in tenera eta`! E oggi c'e` anche chi protesta, in nome della liberta` e dell'autodecisione, contro il battesimo dei bambini!

1-8: Oblazione dei fanciulli

SB distingue tra i figli dei nobili (vv.1-6), quelli dei meno ricchi (v.7) e quelli dei poveri (v.8). In tutti i casi, i genitori, offrendo i loro figli in tenera eta`, scrivevano la "petitio" e la avvolgevano nella tovaglia dell'altare insieme alla mano del piccolo (vv.1-2.8): "il fanciullo - e` stato detto con ragione - e` offerto passivamente con il pane e il vino. Non lo si tratta come persona, ma come oggetto" (DeVogue`).

Dove SB appare alla mentalita` odierna di una insensibilita` sconcertante per la liberta` umana, e` nelle prescrizioni relative alla disappropriazione del fanciullo, prescrizioni di carattere giuridico che occupano quasi tutto il testo del capitolo (vv.3-6). I padri dei piu` ricchi e dei meno ricchi potranno fare qualche donazione al monastero, ma si obbligheranno formalmente a non lasciare nulla ai figli, ne` per il presente ne` per l'avvenire. In questa assoluta e definitiva carenza di beni materiali, la RB vedeva una garanzia di perseveranza per l'oblato (v.6).

Evoluzione del termine "oblato"

Quindi per molti secoli quasi tutti i monasteri ebbero i "monaci oblati", cioe` offerti da piccoli e cresciuti nel cenobio; molti di essi divennero illustri per fama e santita`: S.Beda il Venerabile, S.Bonifacio apostolo della Germania, Santa Geltrude la Grande, ecc. Coloro invece che entravano da grandi nel monastero, si chiamavano conversi (non nel senso che il termine assunse poi, a partire dal sec .XI per distinguerli dai "chierici").

Fin dai piu` remoti secoli benedettini, accanto agli oblati, si trovavano nei monasteri i fanciulli che ricevevano la loro istruzione letteraria e la loro educazione morale. E` la gloriosa tradizione delle scuole monastiche che, insieme a quelle episcopali, tennero alto nel medioevo il culto del sapere e delle arti. OGGI, con il nome di "oblati", si intendono due categorie di persone: "oblati regolari" o "claustrali" (cioe` coloro che, senza essere monaci, vivono volontariamente in monastero per motivi spirituali) e "oblati secolari" (cioe` coloro che, sia sacerdoti che laici, uomini e donne, vivono nel mondo ispirando la propria vita cristiana alle norme e alla spiritualita` benedettina).


CAPITOLO 60

I sacerdoti che volessero eventualmente entrare in monastero

De sacerdotibus qui forte voluerint in monasterio habitare

1-9: Sacerdoti e chierici che domandano di diventare monaci

SB passa a un'altra classe di candidati: sacerdoti e chierici ("de ordine sacerdotali" del v.1 comprende vescovi, sacerdoti e diaconi; i "clerici" del v.8 sono invece i chierici di grado inferiore). L'espressione del titolo in monasterio habitare non significa starvi per qualche tempo, ma ha il senso di "incorporazione alla comunita` monastica, cioe` diventare monaci. Per capire bene questo capitolo, bisogna vederlo alla luce della storia e della tradizione benedettina. Nel piu` antico cenobitismo, mentre si prestava al sacerdozio ogni segno di rispetto, si nutriva anche una certa diffidenza, o almeno si usava molta cautela per l'ammissione di sacerdoti allo stato monastico, a causa dei problemi che la sua dignita` poteva creare col superiore e coi fratelli, specialmente per il fatto che tutti, abate compreso, erano in genere laici. Cosi` si spiega perche` i casi di tali passaggi fossero abbastanza rari, come potrebbe dedursi anche dalla parola forte <eventualmente> nel titolo.

La RM (c.83) ammette i sacerdoti solo come ospiti e pellegrini (non come monaci) e li obbliga a lavorare; dei chierici non parla affatto. SB e` piu` aperto: sa che la presenza di sacerdoti e chierici puo` causare problemi, ma li ammette come veri monaci, sia pure con cautela per evitare inconveniente. RB ordina quindi di non riceverli troppo presto (v.1), ma solo se insistono omnino <assolutamente> nella domanda (v.2), facendo loro capire subito che il carattere sacro non comporta alcuna mitigazione nell'osservanza della Regola (vv.2-3). L'espressione "Amice, ad quid venisti?" la rivolse Gesu` a Giuda nell'atto del tradimento (Mt.26,50). SB la cita senza il carattere di amarezza e di rimprovero che ha nel Vangelo, ma solo per ricordare al sacerdote che e` venuto di sua spontanea volonta` in monastero. Anche S.Arsenio nel deserto si domandava spesso: "Propter quid venisti?" <perche` seri venuto?>. E` noto l'uso efficace che di questa frase fece S.Bernardo per ammonire se stesso ripetendo: "Bernarde, ad quid venisti?". Cosi` i sacerdoti sono equiparati a tutti gli altri fratelli nel tenore di vita. Non e` detto pero` che bevono essere provati per un anno intero, come stabilito nel c.58; comunque dovevano fare una promessa formale (cioe` la professione) di osservare la Regola e di perseverare nel monastero, come si deduce dal confronto con il v.9: "anche questi...".

Per onorare il sacerdozio, l'abate potra` loro concedere alcuni privilegi. Al v.4 "missas tenere" e` discutibile se significhi "celebrare la messa", oppure "dire le orazioni finali" <"missas"> dell'Ufficio divino. Allora il senso generale del versetto sarebbe che il sacerdote occupa il secondo posto, subito dopo l'abate e, in assenza di questi, compie l'ufficio di benedire e di recitare le formule finali. Pero` questo non deve essere causa di presunzione, ma anzi "dia a tutti esempio di umilta`" (v.5) e quando si tratta di decisioni nella comunita` o di nomine, deve stare al posto che gli compete secondo la professione monastica (vv.6-7) come tutti gli altri (cf.RB.63). Lo stesso dicasi per i chierici di grado inferiore, solo che, invece del primo posto subito dopo l'abate, vengono messi in un luogo intermedio, cioe` si ha per loro un certo riguardo (vv.8-9).


CAPITOLO 61

Come debbono accogliersi i monaci pellegrini

De monachis peregrinis qualiter suscipiantur

Monaci pellegrini

Questo capitolo presenta un'ultima categoria di candidati: i monaci venuti da fuori. La parola "pellegrini", suscettibile di varie interpretazioni, qui significa soprattutto "monaci stranieri, forestieri" (non monaci sarabaiti e girovaghi tanto detestati da SB, cf.RB.1,6-11). RB.61 dice semplicemente: "monaco proveniente da paesi lontani" (v.1), non si specifica il motivo del viaggio, ne` la categoria a cui il monaco appartiene.

1-4: Il monaco pellegrino ricevuto come ospite

A differenza del sacerdote o chierico del capitolo precedente, il monaco pellegrino non intende entrare a far parte della comunita`, ma solo essere accolto in foresteria come ospite. Per SB non c'e` nessun problema: sia accolto "per tutto il tempo che vuole", purche` abbia due atteggiamenti fondamentali: si accontenti di quello che trova e non turbi la pace della famiglia monastica con pretese, critiche, pettegolezzi, ecc. (vv.1-3). Questo non esclude che egli possa fare delle giuste osservazioni "con motivi validi e con umile carita`" (v.4). Pieno di spirito di fede, SB suggerisce all'abate che forse il Signore ha inviato il monaco forestiero "proprio per tale motivo" (v.4): c'e` sempre da correggere e da migliorare e la volonta` del Signore si puo` manifestare attraverso un ospite, come attraverso le osservazioni dei fratelli piu` giovani (SB lo ha gia` detto in RB.3,3).

5-10: Aggregazione del monaco ospite alla comunita`

Se il monaco forestiero si trova bene nel monastero che lo ospita, potra` in seguito chiedere di essere ammesso nella comunita`: dato che si e` potuto conoscere la sua condotta, ci si regoli di conseguenza. SB e` preoccupato soprattutto del profitto spirituale dei suoi monaci; l'ospite puo` contagiare la comunita` con i suoi vizi, come puo` edificarla con la sua virtu`: nel primo caso gli si dica "con urbanita`" - non con insulti e violenza - di andar via; nel secondo caso non solo lo si accolga in comunita`, se lo chiede, ma anzi sia invitato a entrarvi perche` gli altri ne abbiano edificazione e perche` "in ogni luogo si serve un solo Signore e si milita sotto un unico Re" <in omni loco uni Domino servitur, uni Regi militatur>: la bella sentenza era forse comune nell'uso cristiano.

11-14: Due osservazioni

Il capitolo si chiude con due osservazioni. L'abate avra` l'autorita` di assegnare al nuovo fratello un posto piu` elevato, se lo ritiene degno (v.11); e lo stesso potra` fare per i sacerdoti e i chierici (v.12) di cui ha parlato al capitolo precedente. Si noti che non si tratta di una ripetizione, perche` prima aveva previsto la promozione per onorare il sacerdozio (RB.60,4.8), mentre qui vuole onorare la virtu` personale. La seconda osservazione e` ispirata al desiderio di conservare la pace tra i monasteri vicini; quindi per accogliere un monaco di un monastero noto sara` necessaria l'autorizzazione del suo abate e le "lettere commendatizie". Cosi` prescrivevano vari Concili e le regole monastiche del sec.V e VI.

Il c.61 ci appare cosi` una pagina di discrezione veramente soprannaturale: accoglie il monaco forestiero, ma accetta le eventuali osservazioni come provenienti dal Signore, si preoccupa dell'avanzamento spirituale della comunita` per cui, in caso di un ospite virtuoso, insiste per farlo rimanere, in modo da costituire uno sprone per gli altri: ma con prudenza e delicatezza, senza far torto a un monastero vicino. Ancora una volta SB ci appare non un legislatore minuzioso e legalista, ma un uomo spirituale e sollecito pastore di anime.


CAPITOLO 62

I sacerdoti del monastero

De sacerdotibus monasterii

Preliminari:

Per associazione, si parla qui dei sacerdoti del monastero, cioe` dei fratelli che nel monastero vengono elevati al sacerdozio (non gia` dei sacerdoti che chiedono di diventare monaci, come nel c.60): la loro posizione di privilegio si aggiunge a quella contemplata nei cc.60-61. RB.62 non ha un parallelo nella RM, la quale non prevede l'elevazione dei monaci al sacerdozio, anche se prevede la comunione giornaliera. Per la Messa si andava alla chiesa del villaggio, come del resto facevano gli antichi monaci ed eremiti (ma talvolta gli eremiti si ritenevano dispensati dalla partecipazione esterna al culto. Pensiamo a SB che, eremita, a Subiaco, ignorava che fosse il giorno di Pasqua: II.Dial.1). S.Pacomio ed altri preferivano chiamare nei loro cenobi qualche sacerdote per celebrare i sacri riti.

Monachesimo e sacerdozio

Tutto cio` manifesta la posizione generale, se non unanime, del monachesimo antico riguardo al sacerdozio. Gli anacoreti copti si mostravano restii all'ordinazione; i pacomiani la rifiutavano in assoluto; in Sitia i migliori monaci si opponevano a che i vescovi imponessero loro le mani. Sacerdozio e monachesimo sono realta` distinte: uno e` per il servizio ministeriale del popolo di Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, l'altro e` per lo sforzo di realizzare nella solitudine la perfezione dell'unione con Cristo. Desiderare il sacerdozio per i monaci antichi era segno di superbia; i monaci avevano paura del sacerdozio; sacerdozio e orgoglio vanagloria sono termini spesso associati nei loro scritti (per esempio Cassiano, Inst.11,14-18; Coll.4,20; 5,12). Avevano paura che a motivo del sacerdozio dovessero lasciare la loro vita isolata per il ministero: "il monaco deve fuggire allo stesso modo i vescovi e le donne", secondo il celebre detto di Cassiano (Inst.11,18).

L'ordinazione di alcuni monaci per il servizio della comunita` poteva dare origine a dispute, invidie, divisioni, problemi di autorita` e di precedenza. Era un rischio. In questo contesto si comprende il c.62 di SB. Oggi, evidentemente, la situazione e la mentalita` sono mutate, la teologia ha aperto una nuova visione. Oggi sarebbe a dir poco ridicolo accettare con la odierna mentalita` l'espressione di Cassiano cosi` come suona...; ma non e` che Cassiano avesse torto: se anche noi oggi avessimo, del "vescovo e della donna", l'immagine pratica ed esterna che queste categorie immediatamente evocavano, non c'e` dubbio che dovremmo avere la stessa reazione. La realta` spirituale (la teologia) e` la stessa, l'immagine e la situazione esterna e contingente sono mutate. Ma anche oggi, del resto, non mancano aspetti di conflitto esteriore tra "vescovi e gerarchia" e religiosi; non per nulla e` stato necessario il documento pontificio "Mutuae Relationes"...

1: Elevazione di un monaco al sacerdozio

SB con tutto il monachesimo di allora dimostra una certa sfiducia di dover avere dei sacerdoti in monastero (appare abbastanza chiaro da questo capitolo e dal c.60), ma preferisce correre questo rischio per il vantaggio di avere in casa un sacerdote per la liturgia monastica. Tanto l'iniziativa che la scelta della persona spettano all'abate, il quale dovra` vedere chi sia degno, cioe` un monaco sensato, maturo e di "santa conversazione". Sacerdotio fungi <"esercitare l'ufficio sacerdotale", in senso largo: sacerdote e diacono) e` frase biblica da Sir.45,19.

2-7: Posizione e obblighi dell'ordinato

"Honores mutant mores", dice un proverbio: "Gli onori cambiano i costumi". Una volta elevato alla dignita` sacerdotale, il monaco che ne era degno (v.1) puo` cessare di esserlo e lasciarsi prendere dallo spirito di alterigia e di superbia (v.2).

SB gli ricorda l'obbligo di sottomissione alla Regola e all'abate; anzi, gli ricorda che si deve sentire piu` obbligato degli altri alla disciplina regolare e sforzarsi di "avanzare sempre piu` nel Signore" <"magis ac magis in Deum proficiat", v.4>. La frase riecheggia S.Cipriano, Epist.13,16. Insomma, "noblesse oblige", la nobilta` impone dei doveri! Il monaco ordinato sacerdote o diacono conservera` il suo posto in comunita` (v.5), anche se potra` essere trattato con piu` riguardo ed avanzare grado (come gia` previsto per i sacerdoti secolari che si fanno monaci: RB.60,4.8 e per i monaci forestieri: RB.61,11-12).

8-11: Penalita` per il sacerdote indegno

La finale del capitolo e` nello stesso tempo molto triste ed energica. Se il sacerdote cessa per la sua cattiva condotta di essere monaco, non lo si riterra` piu` neanche sacerdote, ma ribelle (v.8). Certo, lo si riprendera` piu` volte, "saepe monitus, chiamando a testimoniare anche il vescovo che lo ha ordinato (questo corrisponderebbe all'ammonizione pubblica di RB.23,3). In seguito si puo` arrivare addirittura all'espulsione dal monastero (v.10), ma naturalmente solo in casi estremi (v.11).E` presumibile che le disposizioni dei vv.7-11 si applicassero anche ai monaci che erano gia` sacerdoti prima di entrare in monastero (RB.60); ma il pericolo dell'insubordinazione sara` stato piu` facile - e forse SB lo apprese dall'esperienza - in coloro che, prima semplici monaci, si vedevano poi elevati alla dignita` sacerdotale o diaconale e preferiti ad altri loro fratelli.

Conclusione del capitolo

Concludendo, la RB "non considera il sacerdozio dei monaci che in due casi: quando vengono alla vita monastica gia` rivestiti del sacerdozio e quando si fa sentire la necessita` della presenza di un sacerdote nella comunita`, per assicurare il servizio dell'altare. In altre parole, il sacerdozio non e` stato previsto se non nei casi di vera necessita`. Il monaco sacerdote, lungi dall'essere un ideale, e` concepito come una pericolosa, benche` inevitabile, anomalia, i cui inconvenienti si cerca di ridurre con severi avvertimenti" (DeVogue`). Sono parole un po` forti, ma storicamente vere. Sappiamo che nel corso dei secoli, il numero dei monaci sacerdoti e` aumentato, il che ha cambiato la prospettiva della Regola (e tutta la visuale di questo capitolo), che e` quella di una comunita` laicale. Negli ultimi tempi, in alcuni luoghi, si notano dei movimenti di ritorno (almeno come ipotesi) ad un monachesimo laicale.

Conclusione di tutta la sezione

Come conclusione di tutta la sezione "Aggregazione dei nuovi membri" (RB.cc.58-61+62), riassumiamo quanto segue da: Lentini, pp.568-569. Riepilogando, SB ha distinto nella comunita` queste categorie:

1). monaci venuti come postulanti da adulti (c.58);

2). monaci offerti da fanciulli (oblati) (c.59);

3). monaci venuti gia` sacerdoti o chierici (c.60);

4). monaci venuti da altri monasteri (c.61);

5). monaci elevati al sacerdozio (c.62).

Origine dei "Fratelli Conversi"

I fanciulli naturalmente avevano piu` tempo e possibilita` di essere curati e istruiti; difatti, quando aumentarono i monaci elevati agli ordini sacri, furono presi soprattutto dagli "oblati", appunto per la loro preparazione. Percio` il termine "conversus", che designava il monaco entrato da adulto, comincio` a significare anche monaco illetterato. Nel sec.XI, quando ci furono tante vocazioni di uomini semplici e illetterati, S.Giovanni Gualberto in Italia, e altri fuori d'Italia, li accolsero assegnando loro i lavori manuali e preghiere semplici; essi facevano la professione, erano quindi monaci, ma non passavano mai nella categoria dei monaci sacerdoti e facevano vita a parte: refettorio e dormitorio separati, non partecipavano ai capitoli, portavano la barba (percio` erano detti anche "barbuti") e un abito speciale. Cosi` ebbero origine i "fratelli conversi", nel senso che hanno avuto fino a pochi anni fa. Essi si svilupparono tra cluniacensi e cisterciensi e poi dappertutto, anche nelle comunita` femminili. Oggi si e` tornati alla costituzione delle comunita` con una unica categoria di monaci, sacerdoti e non, con uguali diritti e doveri, salvo quelli connessi col carattere sacerdotale (PC.15).


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net