APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

BENI MATERIALI e POVERTA` INDIVIDUALE (capitoli 32-34; 54-55; 57)

CAP. 32 - Gli arnesi e gli oggetti del monastero

CAP. 33 - Se i monaci debbano avere qualcosa di proprio

CAP. 34 - Se tutti debbano ricevere il necessario in misura uguale

CAP. 54 - Se il monaco possa ricevere lettere o altre cose

CAP. 55 - Vesti e calzature dei fratelli

CAP. 57 - Gli artigiani del monastero


 Preliminari: I beni materiali e La poverta` individuale

Questa sezione comprende i capitoli: 32-34; 54-55; 57. La vita monastica, pur essendo soprannaturale nelle sue motivazioni e nel suo fine, e` una vita incarnata. I monaci non sono angeli, hanno un corpo, hanno bisogno di cibo per nutrirsi, di vestiti per coprirsi, di strumenti per lavorare. Per cui nel monastero ci sono molte cose di cui non si puo` fare a meno.

Ma nei capitoli che trattiamo in questa sezione appare l'importanza che SB da` allo spogliamento individuale, alla disappropriazione. Per SB la poverta` individuale e` considerata anzitutto come dipendenza dall'abate: la rinunzia alla proprieta` proviene dalla rinunzia alla propria volonta`, idea collegata con quella, soprattutto di Agostino, della comunione fraterna dei beni, secondo il modello degli Atti degli Apostoli.

Fonti

Le fonti di RB per questi capitoli sono RM, Cassiano e S.Agostino. La tendenza di RB e` quella di abbreviare, oppure di riassumere in una formula generale molteplici norme e dettagli. Inoltre RB e` piu` dura rispetto ai testi precedenti, con frequenti riferimenti alle pene (ce ne sono in tutti questi capitoli, anzi RB.32.33.34 terminano sempre con la mensione delle pene).

Lo spogliamento individuale e` inculcato con grande forza e vasto e` il ruolo dell'abate in questa materia. Sotto l'influsso di Agostino, poi, SB ha uno spiccato senso della diversita` delle persone (gia` visto anche nella sezione penale e in molti altri punti della Regola) e una cura delle relazioni fraterne che mancano in RM.


CAPITOLO 32

Gli arnesi e gli oggetti del monastero

De ferramentis vel rebus monasterii

1-5: Gli oggetti del monastero

Vediamo aleggiare in questo breve capitolo la preoccupazione e la scrupolosita` per l'ordine e lo spirito di fede. Niente nel monastero e` "profano": l'ordine, la pulizia, la buona amministrazione devono regnare nel monastero, che e` "casa di Dio" (RB.31,19) e in cui tutte le cose debbono essere viste, nella fede, come cose sacre (RB.31,10). Percio` ogni strumento deve stare al suo posto e ci debbono essere degli addetti che se ne occupano. L'abate stesso e` il responsabile ultimo e tiene l'inventario di tutto. RM.17 prevede un solo custode al quale l'abate consegna gli oggetti; SB ha in mente una comunita` piu` grande.

Lo spirito di fede e di poverta` esigono che gli oggetti del monastero non siano lasciati sporchi e fuori posto (la RM ha una frase plastica quando dice che "gli attrezzi di ferro si arrugginiscono se non si rimettono a posto puliti", RM.17,9); per cui chi manca, dopo essere stato ammonito come al solito, sia punito secondo le sanzioni previste dalla Regola (letteralmente: "sia sottoposto alla disciplina regolare", v.5).


CAPITOLO 33

Se i monaci debbano avere qualcosa di proprio

Si quid debeant monachi proprium habere

1-4: Il vizio della proprieta`

E' uno dei capitoli piu` duri della Regola, una pagina energica, radicale, in cui SB porta a conseguenze estreme l'insegnamento di Cassiano: il monaco non deve possedere nulla di proprio, ed e` in totale dipendenza dalla volonta` dell'abate. Senza mezze misure SB esordisce all'inizio del capitolo con una frase secca: "Nel monastero bisogna soprattutto strappare fin dalle radici questo vizio" (v.1).

Gia` la tradizione monastica anteriore riconosceva concordemente la poverta` come elemento essenziale dello stato monastico; e la condanna della proprieta` privata e` uno dei temi piu` comuni nelle Regole monastiche e nei trattati di spiritualita`: cosi` Pcomio, Basilio, Agostino, Cassiano. Pero` le espressioni cosi` forti di SB hanno un parallelo solo in alcune frasi virulente di S.Girolamo.

Notiamo in questo capitolo: nessuno ardisca (v.2); nulla nel modo piu` assoluto; nulla insomma (v.3). La ragione di cio` e` detta nel v.4: poiche` il monaco si e` dato integralmente a Dio, ormai a lui non appartengono piu` ne` la sua volonta` ne` il suo corpo, tanto meno quindi i beni esterni e materiali. Nel testo originale latino c'e` un gioco di parole (forse un po` troppo sottile); letteralemente sarebbe: perche` i monaci non hanno sotto la loro volonta` ne` i propri corpi, ne` le proprie volonta` (cioe` i propri desideri).

5-6: Il vero senso della poverta` monastica

La poverta` monastica si esprime in termini di dipendenza dall'abate. Si notino le due espressioni del v.5: "tutto sperare" e ""dal padre del monastero" (= l'abate; pero` non e` fuori luogo ricordare in questo contesto che anche del cellerario viene detto: "sia come un padre per tutta la comunita`", RB.31,2). L'altro aspetto della poverta`: cio` che si ha, reputarlo come bene comune del monastero, non come proprio (v.6); e viene citato l'ideale della comunione dei beni della Chiesa di Gerusalemme (Atti 4,32: la citazione e` con qualche adattamento).

7-8: Penalita` per i trasgressori

Un capitolo cosi` deciso e radicale non poteva non terminare con le sanzioni contro chi "va dietro a questo pessivo vizio" (vv.7-8).

Oggi.....

Oggi si deve intendere che il monaco abbia molte cose a suo uso personale con il permesso implicito del superiore; cioe` anche se il superiore non ha dato direttamente un libro o un capo di vestiario o la macchina da scrivere, si suppone il suo benestare e la sua benedizione per un certo spazio in cui il monaco responsabilmente usa le sue cose.

Tuttavia, commentando questo capitolo della Regola, non e` male interrogarci, noi monaci del XX secolo, sullo spirito di distacco e di poverta`. Ricordiamoci che la vocazione di Antonio il Grande comincio` con la pratica letterale delle parole di Gesu`: "Va, vendi quello che hai..." (Mt.19m21); ricordiamoci che una delle note qualificanti del monachesimo era lo spogliamento totale, per vivere nella semplicita` e nel distacco piu` assoluto; pensiamo che ancora oggi per il monachesimo hindu e buddhista farsi monaci significa spogliarsi veramente di tutto, non avere assolutamente nulla. Le notre camere non sono rifornite un po` troppo? Non diventiamo forse troppo esigenti o alla ricerca di tante piccole cose, anche non strettamente necessarie? La nostra poverta` - di cui facciamo ora un voto esplicito - a che cosa veramente si riduce? Nonostante tutti i cambiamenti dei tempi, lo spirito del voto di poverta` rimane sempre lo stesso: il distacco reale e sincero da tutti i beni temporali ed esterni, anche minimi, per avere libero il cuore ed aderire esclusivamente a Dio.

Oggi, poi, siamo chiamati, molto piu` che una volta, a una testimonianza anche collettiva di poverta`. A questo, il mondo di oggi e` molto sensibile (fanno problema le grandi proprieta` e le vistose costruzioni dei seminari e degli istituti religiosi...). E` bene che non solo il singolo monaco nella semplicita` della sua stanza, nel vestito, negli oggetti di suo uso, ma anche tutta la comunita` dia conventualmente testimonianza dello spirito e della pratica della poverta`, tenendo conto del luogo in cui e` situato il monastero. Cosi` e` bene che superiori, singoli monaci, comunita` tengano in considerazione che due terzi dell'umanita` non hanno di che procurarsi il necessario sostentamento, anzi vivono in condizioni sub-umane; di fronte alla poverta`, non sono che inezie che dovrebbero diventare motivo - per dirla con SB, c.40,8 - "di benedire Dio e non mormorare", perche` ci danno modo, in forza del Corpo Mistico, di condividere piu` intimamente le sofferenze dei fratelli piu` poveri.


CAPITOLO 34

Se tutti debbano ricevere il necessario in uguale misura

Si omnes aequaliter debenat necessaria accipere

1-5: Si deve dare secondo il bisogno

Il capitolo inizia con la risposta alla domanda posta dal titolo (v.1); l'ideale della prima comunita` cristiana di Gerusalemme (Atti 4,35) diventa per SB un criterio. Il cammino monastico non e` anarchico ne` livellatore; i monaci non sono fatti in serie o con lo stampo. L'abate, che deve dare ai monaci il necessario (RB.33,5), deve considerare le varie personalita`; non che deve fare preferenze (v.2), ma tener conto delle debolezze (v.3). Ancora una volta SB e` dalla parte dei piu` deboli (cf. anche RB.37,2-3; 55,21; ecc.): piu` che esigere molto o il massimo da tutta la comunita`, nella legislazione si parte dalla necessita` dei meno dotati.

Nei versetti seguenti appare se lo spirito di poverta` e di distacco si pratica in nome dell'amore verso il Signore che non guarda i suoi interessi o se si pratica per un motivo esterno, meschino e invidioso; cioe`: chi necessita di meno, ringrazi Dio e non si lamenti credendosi non considerato o disprezzato e sentendosi invidioso per le delicatezze verso gli altri (v.3); chi necessita di piu`, non si insuperbisca credendo di essere il preferito o il piu` meritevole, ma si umili perche` le speciali attenzioni sono un segno della sua debolezza e della carita` del monastero nei suoi riguardi.

In tutto il brano e` evidente l'influsso di S.Agostino (Reg.9,54-55). La Regola di Agostino non si occupa solamente della distribuzione del necessario, ma soprattutto delle relazioni tra i fratelli che potevano provenire dalla casta dei ricchi (la minima parte) o dai ceti inferiori (la maggior parte). Tutto il capitolo

risente delle idee, del vocabolario, della fine psicologia del grande spirito di Agostino.

5: e cosi` tutte le membra saranno in pace.

Bellissima frase, di evidente parallelo con RB.31,19: "affinche` nessuno si turbi o si rattristi nella casa di Dio". E` il richiamo alla PAX benedettina.

6-7: Condanna della mormorazione

Nonostante le cosi` nobili e ragionevoli osservazioni, SB sa che i monaci rimangono uomini e, come tali, sono portati ad essere invidiosi. Per questo, a proposito della disuguale - pero` giusta! - distribuzione del necessario, cioe` delle cose in dotazione al singolo monaco, - cose quindi diverse e in misura diversa -, introduce una severa condanna del vizio della mormorazione. SB insistera` altrove (cf.RB.40,8-9) contro la mormorazione, "cancro delle comunita`". Si notino le forti espressioni con l'accumulo di termini: "ante omnia" <soprattutto>; "pro qualiscumque causa" <per qualsiasi ragione>; "in aliquo qualicumque verbo vel significatione" <in qualsiasi parola o altro gesto>. Le rivendicazioni, il malcontento, l'acidita` nel monastero sono veramente l'antitesi della PAX che invece deve regnare. La carita` insomma, e solo la carita`, rende possibile "l'utopia" di avere tutto in comune, secondo il meraviglioso - e purtroppo di breve durata - esempio della prima Chiesa di Gerusalemme.


CAPITOLO 54

Se il monaco possa ricevere lettere o altre cose

Si debeat monachus litteras vel aliquid suscipere

1-5: Non ricevere nulla senza permesso

Questo breve capitolo non e` che l'applicazione di quanto prescritto in RB.33,2: "Nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate". Si e` gia` detto quanto SB sia severo in materia di poverta`, per lo spogliamento e il distacco del monaco. La fonte e` soprattutto S.Agostino (ma anche Pacomio, Cassiano, Cesario); tuttavia, mentre Agostino parla della castita` (ricevere alcunche` da qualcuna, cioe` da una donna) e della clausura, RB si riferisce alla poverta` (e all'obbedienza: non disporre di nulla senza il permesso dell'abate).

Per il monaco destinatario si aggiunge la raccomandazione di non lamentarsi (cfr. RB.34,3) nel caso che l'abate dia il permesso di accettare il regalo e poi lo dia a un altro fratello che forse ne ha piu` bisogno, secondo lo spirito del c.34: e` un caso concreto di distribuzione delle cose in comune. Pertanto quel monaco a cui era inviato il regalo non deve rattristarsi, "per non dare occasione al diavolo" (cf. Ef.4,27; 1Tim.5,14), cioe` per non cedere alla tentazione del malcontento, dell'agitazione, della mormorazione.

2: eulogia

Il termine "eulogia" (letteralmente: "buona parola", "benedizione") ha tanti significati: designava anzitutto l'Eucarestia e il pane benedetto durante la messa che si inviavano vicendevolmente vescovi e presbiteri, in segno di comunione e di amicizia. S.Paolino da Nola ne mandava ai suoi amici, come S.Agostino. Anche quel briccone di Fiorenzo, quando incio` a SB il pane avvelenato, simulo` di mandare un'eulogia (II.Dial.8). Designava ancora il pane offerto dai fedeli che non veniva consacrato per l'Eucarestia e veniva distribuito al termine della liturgia. Il vocabolo servi` poi ad indicare ogni pio dono, come reliquie, medaglie, immagini e anche frutta e piccoli doni tra i piu` vari. In questo testo, dunque, significa piccoli regali, magari con incluso il carattere quasi sacro di regalo tra ecclesiastici e persone consacrate a Dio (SB pensa probabilmente ai regaletti fatti ai monaci dalle monache o pie donne, cf.II.Dial.19).


CAPITOLO 55

Vesti e calzature dei fratelli

De vestiario vel calciario fratrum

1-8: I vestiti dei monaci

Anche S.Agostino, subito dopo le norme sull'accettazione di lettere o regali, parla del vestiario dei monaci: un punto su cui e` piu` facile che si insinui il vizio della proprieta`. Questo capitolo della RB si ricollega a RM.81 e, nella seconda parte, a RM.82.

Che cosa deve avere dunque ciascun monaco per uso suo personale? Vestiti, calzature e pochi utensili: lo stretto necessario. RB.55 intende precisarlo, ma solo fino a un certo punto. Perche` SB ha troppa esperienza, prudenza e sensatezza per imporre un vestito uniforme, un "abito religioso" nel senso moderno della parola, valido e obbligatorio per tutti i luoghi e per tutte le persone. SB vuole che si tenga conto del clima (vv.1-3), e cio` fa capire che egli ha una prospettiva ampia (non pensa solo al monastero di Montecassino o di Terracina); esprime la sua opinione su cio` che basta in un clima temperato (vv.4-6); non gli interessano il colore e la qualita`, e vuole che i monaci non se ne curino (vv.7-8). Cio` che gli interessa e` la poverta`, o meglio la semplicita`: che ci si accontenti del necessario; difatti SB insiste sulla sobrieta` (sufficit <basta> dei vv.4 e 10) e sul ruolo dell'abate nel fornire il vestiario (v.8).

L'elenco del vestiario fornito dalla Regola e` abbastanza ridotto: una cocolla di lana per l'inverno e un'altra piu` leggera o consumata per l'estate, la tunica, lo scapolare "per il lavoro" <propter opera>, scarpe e calze (vv.4-6). Tutto sembrerebbe chiaro, e invece non lo e` affatto, perche` nessuno dei capi di vestiario menzionati corrisponde a quelli in uso oggi nei monasteri; anche se i nomi sono rimasti, il significato e` mutato. Vediamo in breve:

L'evoluzione dell'abito monastico

(Queste note sono desunte da G.M.Colombas: "L'abito monastico", in D.I.P. I,50-56).Gli storici disputano sul senso degli antichi testi relativi all'abito dei monaci. Alcuni dicono che esso era certamente riconoscibile e che, sin dai testi pacomiani, "prendere l'abito", o riceverlo dalle mani di un altro monaco equivaleva a impegnarsi nello stato monastico. Altri dicono che l'abito monastico non aveva nulla di specifico, in quanto cio` non era ammissibile per gli usi del tempo. La cosa e` discutibile e i testi sono interpretati nell'uno o nell'altro senso. Certo e` che l'abito monastico doveva mettere in risalto la poverta`, l'umilta`: ora il problema e` sapere se facevano questo prendendo un abito particolare, oppure scegliendo l'abito comune della gente piu` povera e piu` semplice.

In oriente

In oriente gli anacoreti usavano la massima liberta`. Forse il primo abito monastico distintivo fu la "melota": una specie di zimarra larga, fatta di pelli di capra o di altro animale, stretta al corpo da una cintura di cuoio; ricordava - e senza dubbio voleva pure imitare - il vestito di Elia (cf.2Re 1,8) e di Giovanni Battista (cf.Mt.3,4), i due precursori dei monaci cristiani. I monaci d'Egitto continuarono per molto tempo a usare la melota, pero`, in genere, solo come difesa dal freddo. Abitualmente invece indossavano una tunica con o senza maniche, una cintura di cuoio e un cappuccio <"Koukoullion"> che copriva il capo e il collo. Cosi` la maggior parte degli eremiti e cenobiti di S.Pacomio. S.Basilio non prescrive un abito tipico, ma un vestito povero, semplice, simbolo della rinunzia alla vanita` del mondo.

In occidente

In occidente l'abito monastico e` stato il piu` vario. S.Girolamo descrive - esagerando un po` - le bizzarrie e le stravaganze nel vestire dei vari monaci che giravano per Roma. S.Martino di Tours e i suoi monaci indossavano una tunica tessuta con pelle di cammello e un "pallium" o mantello nero. Il pallium era a quel tempo il contrassegno piu` comune del monaco in Gallia e nell'Africa romana. CASSIANO attribuisce grande importanza all'abito monastico, cui dedica tutto il primo libro delle Institutiones. In occidente comunque fini` per imporsi il cappuccio, tanto che i monaci furono conosciuti come gens cucullata <persone incappucciate>, e si conservava anche la melota: S.Benedetto eremita a Subiaco andava vestito di pelli (II.Dial.1) e da abate continuo` a portarla (II.Dial.7). La RM (90,82-86) usa le espressioni "vestiti santi", "abiti sacri", "abito di Cristo", abito del santo proposito", cioe` per il Maestro esiste un abito distintivo.

La RB

Al contrario, la RB non ha nulla di esplicito: probabilmente ne` la cuculla, ne` la tunica, ne` lo scapulare che i primi monaci di S.Benedetto indossavano , erano abiti specificamente monastici. La "tunica" di lana era l'indumento piu` importante, insostituibile; tutti i romani l'avevano; gia` fin dal secolo III d.C. si usava un cinturone di cuoio: "bracile"; in RB.22,5 si parla di corde o tunicelle: "cingulis aut funibus"). La "cuculla" consisteva originariamente in un semplice cappuccio che copriva la testa, il collo e parte delle spalle; piu` tardi si modifico`. La cocolla di SB era forse un mantello semicircolare chiuso (molto simile alle ampie casule); costituiva il vestito esteriore del monaco, come lo prova il fatto di averne due, una per l'inverno e ?una per l'estate. Probabilmente se la toglievano per lavorare, sostituendola con lo scapolare. Lo "scapulare" e` il pezzo piu` discusso: alcuni lo identificano con lo "analabos" di cui parla Evagrio Pontico, cioe` la cinta di lana che girava intorno al corpo per aggiustare e adattare il vestito alla persona; altri pensano a un modello piu` ridotto di cocolla, piu` adatto per il lavoro manuale, una cocolla particolarmente corta da coprire poco piu` che le spalle ("scapulare", appunto). Quest'ultima opinione e` la piu` probabile. Per i piedi si parla di pedules et caligae <calze e scarpe>, ma non si e` affatto d'accordo sul significato dei termini usati da SB. Secondo alcuni, i "pedules" sarebbero una specie di sandali legati al collo del piede con lacci (come le "ciocie" usate nella zona di Cassino I(che e` la "Ciociaria"); le "caligae" invece erano stivaletti da viaggio He da campagna. Sembra piu` probabile che "pedules" fossero un indumento di stoffa che avevano l'ufficio delle nostre calze, e "caligae" fossero le scarpe simili alle calzature militari, stivaletti che coprivano interamente il piede H Comunque, a parte queste considerazioni archeologiche di importanza relativa, certo e` che SB lascia una grande liberta` per quanto riguarda la qualita`, il colore, la foggia dei vestiti (v.7). Da questo e da altri indizi, pare che nessuno dei capi di vestiario citati Din questo capitolo appartenga esclusivamente ai monaci: l'abito dei primi benedettini non differiva essenzialmente da quello dei contadini, dei poveri e degli schiavi, cioe` delle classi inferiori della societa`. E` sintomatico che SB non parla mai dell'abito monastico, se non nel momento della professione (RB.58,26), il che e` tanto piu` strano in quanto Cassiano, il suo autore preferito, e la RM trattano di esso lungamente ed esaltano il valore religioso e il simbolismo dell'abito monastico come segno distintivo (cf. Inst.1: tutta la descrizione dell'abito e il suo simbolismo; RM.81; 90,82-85; 95,21; ecc...) M Per SB il distintivo del monaco e` la tonsura (RB.1,7; vedi commento). Se nella professione il monaco viene spogliato del suo abito De ne riceve un altro completo (e notiamo che li` non si dice "abito monastico" o "abito santo" o simili, ma semplicemente "vestiti" - anzi "rebus" <le robe> - del monastero, RB.58,26), cio` vuol significare direttamente che egli ha perduto il diritto di proprieta`. Insomma, SB non da` importanza a queste cose. Fare una storia dell'evoluzione dell'abito monastico lungo i secoli e` pressoche impossibile. Certamente nel sec.VI non era usato il colore nero, che era ritenuto un lusso (S.Cesario lo proibisce spressamente). Oggi quasi tutti i benedettini usano il nero; i Camaldolesi, gli Olivetani e i monaci di Montevergine usano il bianco; i cisterciensi e i Trappisti usano tonaca bianca e scapolare nero . L'abito nella Congregazione Silvestrina K Nella Congregazione Silvestrina, all'inizio l'abito era de gattinello, cioe` di un panno di lana di colore misto risutante dalla combinazione del grigio o cenerino con il lionato. Per questo nel Emedioevo i Silvestrini furono chiamati, come i Vallombrosani, monaci ="grisei" <grigi>. Col passare del tempo il lionato prese il w sopravvento sul grigio, fino a diventare tane`, come si puo` vedere da numerose pitture esistenti. Nel 1663, al tempo dell'unione con i Vallombrosani, fu adottato il colore nero. Le Costituzioni del 1690 stabiliscono l'abito di colore tane` o lionato che pieghi allo scuro. In seguito, non sappiamo precisamente quando, si adotto` il colore bleu fino al 1933. Attualmente, a partire da quella data, l'abito e` nero e la cocolla (abito corale) e` di colore turchino tendente al nero. In India e Sri Lanka, viene usato il bianco. In Australia, da qualche anno, usano, opzionale d'estate, anche il colore bianco.

9-14: Disciplina per rilevare e consegnare i vestiti

SB vuole evitare che i monaci accrescano il guardaroba. "Bastano due tuniche e due cocolle". Sappiamo che i monaci dormivano vestiti, per essere pronti a recarsi all'Ufficio notturno (RB.22), e quindi avevano la tunica e forse anche la "cuculla"... Notiamo il vigoroso sufficit <basta> all'inizio del v.10 e tutto il v.11: quel che e` in piu` e` superfluo e si deve eliminare (cosi` anche in Pacomio, Reg.81). Al v.13 si parla di femoralia <femorali>: corrispondono pressappoco alle odierne "mutande". Ordinariamente non erano usati, ma solo in viaggio, soprattutto per cavalcare. Nei monasteri il loro uso fu pero` assai vario: in alcuni luoghi li portavano abitualmente tutti (come a Cluny); in altri chi li voleva, in altri era addirittura proibito. Notiamo anche la delicatezza e la signorilita` di SB nel prescrivere vestiti migliori per chi viaggia (v.14).

15-19: Fornitura del letto e precauzioni contro il vizio della proprieta`

La stessa semplicita` che distingue l'abito del monaco, deve contrassegnare il suo letto: sufficiant <bastano>, (di nuovo, per la terza volta, appare questo verbo!), un pagliericcio, una coperta leggera, un cuscino (v.15). Il letto era allora l'unico mobilio personale del monaco, e pare che servisse da nascondiglio per le piccole cose che i monaci sottraevano all'uso comune. La RB, come tutti i documenti monastici antichi, invita l'abate a ispezionare con frequenza e a punire

severamente i colpevoli di un vizio cosi` odioso, cioe` la proprieta` (vv.16-17). Sono rimasti famosi alcuni fatti di monaci trovati in possesso di denaro dopo la morte e trattati molto rudemente per tale motivo (privati della sepoltura ecclesiastica!): cf.S.Girolamo in Epist.22,23 e il fatto di S.Gregorio Magno quando era abate al Celio. L'ispezione "opus peculiare" del v.16, si ispira a Cassiano (Inst.4,14), dove significa: guadagno procurato con lavori particolari. In RB, invece, ha il senso di "cose ritenute senza il permesso dell'abate".

20-22: L'abate deve provedere ai singoli

Pero`, per estirpare dalle radici il "vizio della proprieta`" (di nuovo appare l'espressione usata in RB.33,1), l'abate deve dare a tutti i fratelli il necessario. Osservazione molto pertinente: altrimenti se lo procurano di nascosto! e` stato sempre cosi`!. In tal modo invece, non hanno alcun pretesto per compiere atti di proprieta`. Le disposizioni precedenti ricordano l'energico c.33; solo che, invece di dirigersi ai monaci, qui la Regola parla all'abate: dia egli tutto il necessario, secondo la frase di Atti 4,35 gia` citata nel c.34: "veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno". E di nuovo la Regola parla a favore dei deboli che necessitano di piu`. A queste necessita` deve badare l'abate nel dare le cose, e "non alla cattiva volonta` degli invidiosi" (v.21); cioe` non deve omettere di soddisfare le necessita` dei monaci piu` deboli per dare retta a quelli che, mossi da invidia, non tollerano eccezioni o agevolazioni. Cosi` il trattato sulla proprieta` (spogliamento di se`) costituito dai cc.33-34 riceve nel c.55 un complemento indispensabile, che potrebbe intitolarsi "la responsabilita` dell'abate nel mantenimento della vita comune" (DeVogue`).


CAPITOLO 57

Gli artigiani del monastero

De artificibus monasterii

Trattiamo in questa sezione anche del c.57, a prima vista difficile da classificare. La poverta` individuale del monaco, lo spogliamento di se` acquista qui un aspetto piu` spirituale che materiale: il monaco deve essere distaccato dalla proprieta` privata anche nei suoi pensieri.

1-3: Gli artigiani del monastero

La base di sussistenza del monastero, secondo la RB e` la terra lavorata da operai a pagamento o dai monaci stessi (cf.RB.48). Tra i fratelli potrebbero trovarsi alcuni che o gia` nel mondo o in monastero si sono resi abili in un'arte. SB non specifica nulla; pare gli interessi poco; cio` che a lui interessa e` il bene spirituale, quindi evitare il rischio della mancanza di umilta`: cose che sono al di sopra di ogni considerazione di guadagno per il monastero. Percio` potranno questi monaci esercitare la loro arte, ma solo con il consenso dell'abate (v.1) e senza ritenersi indispensabili, vantandosi di portare un utile al monastero.

Forse SB si ispira a S.Agostino, il quale parla di monaci che hanno portato delle sostanze al monastero e che potrebbero insuperbirsi di cio`. Potrebbe ispirarsi anche a Cassiano (Inst.4,14) che parla del lavoro dei monaci egiziani. Per SB, se gli artigiani non sono capaci di disinteresse e di distacco, deve proibirsi loro di esercitare la loro arte (v.3).

4-9: Vendita dei prodotti del lavoro

Per la vendita dei prodotti del monastero sono due i vizi da evitare: la frode e l'avarizia. La frode potevano commetterla o gli artigiani stessi o altri monaci o altri intermediari. L'avarizia, sotto il pretesto di maggiori introiti per il monastero, sarebbe una cosa grave sia per i monaci singoli che per il buon nome del monastero stesso. Per evitare cio`, si vendera` aliquantulum <un pochino> di meno di quanto vendono i secolari. S.Girolamo (Epist.22,34) parla con ironia dei monaci sarabaiti, i quali, "come se fosse santo il loro lavoro, e non la vita, vendevano a prezzi maggiori"!

9: Ut in omnibus glorificetur Deus ...

... <affinche` in tutto sia glorificato Dio>. Anche nel trattare interessi cosi` secondari e temporali, il fine e l'ispirazione devono essere di carattere soprannaturale. La bella sentenza, presa da S.Pietro (1Petr.4,11), ricordata quasi incidentalmente in un passo secondario della Regola e a proposito di un argomento cosi` poco spirituale, esprime bene lo spirito di fede del S.Patriarca, ed e` divenuta un programma e un motto dei nostri monasteri, dove si trova spesso anche abbreviata in sigla: U. I. O. G. D.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net