APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

SEZIONE ASCETICA (capitoli 4-7 e 68): introduzione

CAP. 4 - Quali sono gli strumenti delle buone opere

CAP. 5 - L'obbedienza

CAP. 68 - Se a un fratello vengono comandate cose impossibili

CAP. 6 - L'amore al silenzio

CAP. 7 - L'umilta`


Introduzione ai CAPITOLI 4-7: Sezione ascetica

La Regola non e` un trattato di teologia ascetico-mistica e quindi in essa non si possono cercare grandi disquisizioni sulle virtu`, sui vizi, sulla preghiera e la contemplazione. S.Benedetto per queste cose rimanda a:

1. Sacra Scrittura

2. Padri della Chiesa

3. Scrittori monastici (RB.73,2-6)

Pero` un "corpus ascetico" propriamente detto, considerato dalla tradizione come base e fondamento della spiritualita` benedettina, lo forma un gruppo di quattro capitoli dedicati interamente a esporre una serie di linee ascetiche e una dottrina sopra alcune virtu` considerate come fondamentali per la vita del monaco:

a) Cap. 4: Gli strumenti delle buone opere;

b) Cap. 5: L'obbedienza;

c) Cap. 6: L'amore al silenzio;

d) Cap. 7: L'umilta`.

Il capitolo 4 e` un lungo elenco di massime morali molto brevi; a un esame anche superficiale appare che buona parte, sia dei termini che del contenuto dottrinale, si ritrova nei capitoli 5-6-7, con i quali forma una unita` letteraria, li prepara e in un certo senso ne anticipa la dottrina.

Si e` parlato giustamente di "trilogia benedettina", cioe`: Obbedienza, Taciturnita`, Umilta`. Ma sarebbe errato considerare queste tre virtu` basilari dell'ascetismo monastico su uno stesso piano. "L'umilta` - ha scritto DeVogue` - e` la madre dell'obbedienza e della taciturnita`; obbedienza e taciturnita` sono due modalita` di uno stesso comportamento di sottomissione; nei due casi il superiore e` considerato sotto due aspetti differenti: l'obbedienza rende omaggio ai suoi ordini, la taciturnita` ai suoi insegnamenti. Legando insieme obbedienza e taciturnita` in forza dell'ascolto che il loro momento comune, ritroviamo l'idea della loro filiazione dell'umilta` (idea che e` propria di Cassiano): significa dare prova di umilta` mortificare la propria volonta` e sottomettersi all'anziano, trattenere la lingua e moderare la voce."

E difatti nel capitolo 7 della RB, nella scala dell'umilta`, l'obbedienza e` il tema piu` rilevante dei quattro primi gradini, mentre la taciturnita`, gia` presente nel quarto gradino, e` materia propria dei gradini 9, 10 e 11. Possiamo dunque dire che l'obbedienza e` l'umilta` nell'agire, la taciturnita` e` l'umilta` nel parlare: l'una e` pronta ad agire, l'altra lenta a parlare.

Abbiamo dunque la trilogia propriamente monastica: Obbedienza - Taciturnita` - Umilta` (capitoli 5-6-7). dopo il capitolo 4 sulle buone opere, che ha un carattere piu` universale.

 


CAPITOLO 4

Quali sono gli strumenti delle buone opere.

Quae sunt instrumenta bonorum operum.

 

Preliminari

Il capitolo ha una fisionomia particolare: e` tutta una serie di precetti brevi, quasi sempre formulati secondo il medesimo schema, che i monaci potevano imparare a memoria (procedimento usato anche per i catecumeni quando si preparavano al battesimo, fino ai nostri catechismi di qualche anno fa). Questo genere di insegnamento sotto forma di proverbi fu molto amato dai cristiani e dai monaci antichi. Si ricordino: i "Monita" dell'abate Porcario, le "Sentenze' di Evagrio Pontico, talche` alcuni credono che SB abbia preso un elenco che andava in giro per i monasteri e lo abbia tramandato nella Regola.

Dipendenza dalla RM

La fonte piu` immediata e` dunque la RM (il DeVogue` ha individuato una fonte comune per RM e RB: la Passio Juliani, un documento del VI secolo o forse anche del IV-V). La RM tratta della "ars sancta" <arte santa> nei capitoli 3-6 che fanno da collegamento tra il capitolo 2 sull'abate e i capitoli 7-10 sulle grandi virtu` monastiche dell'obbedienza, della taciturnita` e dell'umilta`.

Il capitolo 3 viene presentato come un vademecum personale dell'abate nell'istruire i suoi discepoli, e contiene un elenco di strumenti tratti dalla morale cristiana senza alcun elemento prettamente monastico. RM.4 contiene una lista di virtu`, RM.5 una lista di vizi, RM.6 descrive l'officina e il modo di impiegare gli strumenti. La RB consacra un solo capitolo - RB.4 - alla "arte spirituale" al posto dei quattro della RM, praticamente riproduce il capitolo 3 e 6 della RM.

Il titolo del capitolo 4 di RB

SB non parla di "ars sancta", ma di Instrumenta bonorum operum <Strumenti delle buone opere>, dando a "instrumenta" il significato comune di arnese, strumento di lavoro, naturalmente con valore metaforico per l'arte spirituale che esercita i monaci nella perfezione. Questi "arnesi" non sono altro che delle sentenze che indicano le buone opere da compiere per raggiungere la perfezione della vita cristiana o, se si vuole, sono le stesse opere buone imposte o consigliate. Alla fine del capitolo (v.75) sono chiamati con piu` precisione instrumenta artis spiritalis <utensili per l'arte spirituale>, arte che deve intendersi nel giusto senso di un metodico e specializzato complesso di lavoro e di esercizi per conquistare la carita` perfetta (come e` detto nella scala dell'umilta` RB.7,67), cui seguira` la ricompensa escatologica, qui espressamente richiamata (vv.76-77).

Differenze tra RB e RM

Le differenze tra RB e RM, a prima vista non sono molte. Tuttavia S.Benedetto mostra una certa tendenza ad abbreviare (gli strumenti sono 77 in RM, 74 in RB; i versetti totali del capitolo sono 95 in RM, 78 in RB). Le aggiunte di SB sono poche e per questo molto significative; alcune rappresentano una sottolineatura di preoccupazioni tipiche di SB, cosi` per il 40mo contro la calunnia e il 69mo sull'importanza dell'umilta`; cosi` alcuni aggiunti sull'obbedienza. SB ha poi la tendenza a radicalizzare certi precetti e a rendere piu` "monastici" certi precetti che in RM hanno un carattere piu` "laico". Inoltre SB si mostra sensibile al tema dei rapporti reciproci (vv.70-73) sottolineando la "dilectio" e l'"amor" come atteggiamenti da tenere sia reciprocamente sia nei confronti di Dio. Molto importante e` notare che in RM tutto il capitolo e` compreso in una inclusione principale:

v. 1: "Primo: credere, confessare e temere Dio;

v.83: "... che e` preparato ai santi e a coloro che temono Dio".

RB sostituisce cosi`:

v. 1: "Primo: amare Dio..."

v.77: "... che Dio ha preparato a coloro che lo amano.

Ne risulta quindi che la "ars" in SB non trova piu` la sua sintesi e il suo significato fondamentale nel timore verso Dio, ma nell'amore. Questo era il

pensiero di SB, sopratutto se si tiene presente l'altra importante modifica introdotta al termine del trattato sull'umilta`: la carita` perfetta come fine dell'ascesi monastica.

 

Struttura del capitolo

Il capitolo consta di tre parti, molto asimmetriche:

- contiene anzitutto un catalogo di 74 "strumenti delle buone opere" che, senza alcun preambolo, inizia con il primo precetto della carita` e termina con quello di non disperare mai della misericordia di Dio (vv.1-74);

- segue, a mo' di conseguenza, la presentazione della "paga" (ricompensa) che ricevera' chi avra` adoperato tali strumenti incessantemente, "giorno e notte" (vv.75-77);

- e infine, con una sola frase, si indica in quale "officina" si debbano adoperare questi "arnesi" (v.78).

Fonti

Moltissimi dei precetti appartengono alla vita morale comune di tutti i cristiani, perche` la perfezione cercata attraverso i consigli evangelici suppone quella comune dei precetti. La maggior parte delle sentenze sono prese dalla S.Scrittura; altre dagli scritti dei Padri della Chiesa; altre dagli Autori monastici; altri ancora dalla Passio Juliani (citata sopra) e qualcuna da autori profani.

Valore diverso

Il valore di queste massime e` il piu` vario, andando da cose essenziali (amore di Dio e amore del prossimo), ad altri aspetti piu` secondari della vita spirituale (es. non essere dormiglione). Tra le piu` alte e le inferiori, c'e` tutta una gamma di valori intermedi.

E` difficile stabilire un ordine logico: in realta` non esiste alcun ordine. E` possibile raggrupparle in vari gruppi secondo uno stesso argomento o una stessa ispirazione biblica. Vediamo le suddivisioni, che sono comunque approssimative.

 

PRIMA PARTE: vv.1-74. Gli strumenti.

1-9: il decalogo

Iniziano la lista i due grandi comandamenti: amare Dio e amare il prossimo (vv.1-2). Seguono gli altri precetti del decalogo con una importante variante (v.8): invece di "onorare il padre e la madre", per i monaci che hanno lasciato i parenti abbiamo: "onorare tutti gli uomini, ispirata a 1Piet.2,17 che e` un precetto di ospitalita` richiamato da SB nel capitolo sull'accoglienza degli ospiti (RB.53,2). Questa prima sezione si chiude con la regola d'oro ("non fare ad altri..." del v.9) la cui formulazione, in forma positiva, e` nel Vangelo (Mt.7,12; Lc.6,31), mentre in forma negativa e` in Tobia 4,16.

10-19: Rinunzia a se stesso e opere di misericordia

Con il 10mo strumento siamo in pieno Vangelo: la rinunzia a tutto per seguire Gesu` (Mt.16,24; Lc.9,23); forse il richiamo di tale sentenza dopo il decalogo e` dovuto al passo di Mt.19,16ss: "va`, vendi ... e seguimi". Poi, dopo l'esplicitazione della mortificazione corporale (vv.11-13), si passa alle opere di misericordia, collegamento molto naturale per gli antichi, dato che il digiuno era sempre legato all'elemosina: "ama il prossimo" implica necessariamente "ristorare i poveri".

20-21: Odiare il mondo, amare Cristo

Questi due versetti (con richiamo al v.10) riassumono tutto il lavoro di ascesi proposto al monaco: la vita monastica come sequela di Cristo; quindi estraniarsi in un certo senso dalle altre cose per mettere Cristo al primo posto. Nel v.20 possiamo vedere un'allusione a Giac.1,27 o forse anche a Rom.12,2. Che cosa sono questi acta saeculi <costumi del mondo>? Forse i gesti contrari ai comandamenti divini ("mondo" in Giovanni e` tutto un complesso di uomini, cose, mentalita` che si oppone a Dio) o, forse, tutto cio` che non e` secondo l'umilta` e l'obbedienza monastica: l'amore per gli onori, il mettersi in mostra, il parlare troppo, ecc.

Il v.21 e` molto importante, in quanto ripreso in RB.72,11 (tipico di SB) e a proposito dell'ufficio divino in RB.43,3 (pure proprio di SB. Cf anche RB.5,2): e` il giudizio di valore che il monaco e` tenuto a dare, in base al quale conformare la propria esistenza concreta: nulla vale di piu` dell'amore di Cristo e del suo servizio, percio` nulla puo` essergli anteposto.

22-23: Mansuetudine e sincerita`

Abbiamo una serie di massime riguardanti la convivenza fraterna per il mantenimento delle buone relazioni e sopratutto perche` il monaco conservi la puritas cordis, la pace, mortificando il proprio appetito irascibile; sono tradizionali nella dottrina spirituale monastica. I vv.22-23 significano: "non mettere in esecuzione quanto si desidera fare al momento dell'ira". S.Girolamo avvertiva: "Adirarsi e` dell'uomo, non dare sfogo all'ira e` del cristiano" (Epistola 79,9) e anche: "Adirarsi e` dell'uomo, porre fine all'iracondia e` del cristiano" (Epistola 130,1).

34-40: Vizi da evitare

Abbiamo una serie di sette sentenze negative ispirate - eccetto il v.37 "non essere sonnolento" - agli ammonimenti di S.Paolo in 1Tim.3,3ss, e Tito 1,7ss (cf.Rom.12,11).

41-43: Retto giudizio di se'

Questi strumenti esprimono sopratutto la capacita` di giudizio su di se' e sul valore delle proprie opere. Il monaco deve essere tanto intelligente da saper attribuire a Dio il merito delle proprie opere buone, con chiarezza e semplicita`: e` una anticipazione del giudizio escatologico di cui nei versetti seguenti. La fonte e` S.Agostino (Discorso 96,2).

44-47: Novissimi

Il programma ascetico si realizza ell'esercizio del timor di Dio. Il giudizio divino (v.44), l'inferno (v.45), la vita eterna (v.46), la morte (v.47) sono realta`, verita` eterne che bisognava aver costantemente di fronte agli occhi. Per cui il monaco deve esercitare continuamente la vigilanza su se stesso.

48-54: Custodia di se'

La presenza di Dio che ci guarda "in ogni luogo" (v.49) fara` si` che "in ogni momento" custodiamo la nostra vita (v.48), che spezziamo contro la roccia che e` Cristo i cattivi pensieri e li manifestiamo al padre spirituale (v.50). In tal modo la vita del monaco acquista una serieta` e una gravita` per cui non solo si evitano "le parole cattive e scorrette" (v.51), ma si cerca di "non parlare molto" (v.52), di non dire buffonerie (v.53), di ridere smodatamente (v.54). Troveremo tutto questo sopratutto nel 1^ gradino dell'umilta` (RB.7).

50: i cattivi pensieri...: questo versetto, che richiama l'espressione di Prol.28, riassume magistralmente tutta l'essenza del metodo del combattimento interiore o "guerra invisibile" dei Padri del Deserto. Il "padre spirituale" non e` qui necessariamente l'abate; nel monastero ci possono essere altri anziani spirituali adatti e disposti ad aiutare i fratelli (cf.RB.46,5).

55-58: spirito di preghiera e di compunzione

Contro la dissipazione, per la custodia di se`, giova sommamente l'amore alla preghiera (v.56) - si intende qui quella privata (Lc.18,1; 1Tess.5,17: "pregate senza interruzione") - le letture sante (v.55), il costante ricordo dei propri peccati con lacrime e gemiti (v.57) con l'impegno di emendarsi (v.58) (cf. Cassiano, Collazioni 9,36; 20,6-7).

La compunzione del cuore, il sentimento della propria indegnita` di peccatore e` inculcato da SB come disposizione abituale del monaco: e` il 12mo grado di umilta` del capitolo 7.

59-64: Sottomissione della carne e dello spirito

Dopo una citazione di Gal.5,16 che richiama la lotta della carne contro lo spirito ("desideri della carne" sono tutte le tendenze disordinate, v.59), si torna ad insistere sulla necessita` di "odiare la propria volonta`" (v.60) per obbedire in tutto ai precetti dell'abate, uomo virtuoso senza dubbio, ma sempre uomo e soggetto lui pure alla legge del peccato, per cui potrebbe essere che la sua vita non corrisponda alla sua dottrina; in tal caso bisogna obbedire lo stesso, ricordando la parola del Signore a proposito degli scribi e dei farisei (v.61).

Pero` la coerenza tra il dire e il fare non vale solo per l'abate, ma per tutti: ecco allora il curioso aforisma del v.62 ("non voler essere ritenuto santo prima di esserlo, ma prima esserlo perche`...", tratto dalla Passio Juliani 46) per avvertire che non diventiamo noi ipocriti come i farisei. La coerenza richiama ancora la necessita` dei fatti, delle opere nell'adempimento dei comandamenti di Dio (v.63). Chiude la serie quel sobrio e modesto Amare la castita` (v.64), unico luogo dove SB fa esplicita menzione di tale virtu`; ma questa allusione discreta e` tutto un poema in quell'amare la castita`.

65-73: Amore fraterno

Si torna ad insistere sull'amore fraterno con cinque precetti negativi (vv.65-69) e quattro positivi (vv.70-73). Tra questi ricordiamo il 70 e il 71, raccomandazioni piene di umanita` che ritroveremo di nuovo in RB.63,10 sui rapporti tra le varie generazioni che convivono in monastero. Il v.73 dipende chiaramente da Efes.4,26: "non tramonti il sole sopra la vostra ira".

74: Fiducia nella misericordia del Signore

Il lungo catalogo termina con un atto di fede illimitata nella bonta` divina: solo nella consapevolezza e speranza della misericordia di Dio e` possibile intraprendere il "lavoro" delle buone opere; se il monaco esprimente le difficolta` e forse l'impossibilita` di questo lavoro deve essere pero` certo dell'aiuto di Dio. E` notevole il fatto che mentre RM ha "e non disperare di Dio", Benedetto preferisce "e della misericordia di Dio non disperare mai", sottolineando cosi` che l'aiuto viene dall'amore di Dio.

 

II.PARTE: vv.75-77:

75-77: la "paga" per l'uso degli strumenti

Dopo aver, senza alcun preambolo, enumerati tutti gli strumenti, SB conclude offrendoli come utensili di un'arte: devono essere maneggiati, usati, adoperati assiduamente, "notte e giorno": si noti con qual vigore si indica la continuita` del lavoro ascetico; e` un lavoro che non ammette riposo ne` ferie, solo la morte temporale vi pone fine. E allora il monaco, da bravo operaio (Prol.14; RB.7,70), riconsegna gli strumenti e riceve il dovuto salario per il lavoro eseguito. E qual'e` la paga? In realta` non la conosciamo esattamente, ne` possiamo conoscerla. La RM, secondo il suo stile eccessivo e un po' barocco, indugia a questo punto su un'ampollosa descrizione delle delizie del paradiso (terra risplendente, acque abbondanti, rive ricoperte di fiori e frutti, suoni e canti, ecc...), ispirandosi alla apocrifa "Visio Pauli" (RM.3,84-94). Con sobrieta`, SB si limita a citare il testo paolino di 1Cor.2,9: la ricompensa e` al di sopra di quanto possiamo concepire ed immaginare.

 

III.PARTE: v.78

78: la "officina" per l'uso degli strumenti

Al termine del capitolo SB ci dice qual'e` l'"officina" in cui lavorare. La definizione dell'officina contiene due elementi: il recinto del monastero e la stabilita` nella famiglia monastica.

Claustra monasterii non significa qui "chiostri" nel senso architettonico, ma "recinto", "clausura" del monastero, cioe` tutto lo spazio della proprieta` del monastero, indica quindi l'ambito materiale dove si esercita l'arte spirituale. Invece "l'ambito, il clima umano e religioso, e` dato dall'altra espressione "stabilitas in congregatione" <stabilita` nella famiglia monastica>, cioe` l'appartenenza ad una comunita`, la permanenza e la perseveranza in essa. Si sa quanto SB tenga alla "stabilita`" (contro sarabaiti e girovaghi, cf. capitolo 1).

Questa caratteristica del monastero nella concezione di SB fu colta con precisione da Dante che nella Divina Commedia fa dire al santo Patriarca (Paradiso 22,50-51):

""qui son li frati miei che dentro ai chiostri

fermar li piedi e tennero il cor saldo.""

Nella nostra Congregatione, tuttavia (come per altre, sorte nel medioevo), il concetto di stabilita` e` piu` ampio, anche se si cerca di conservare stabili le singole comunita`.

CONCLUSIONE: visione della vita monastica

Ecco la visione della vita monastica come appare dal "catechismo" in forma di massime che e` il capitolo 4 della RB: il monaco e` l'operaio di Dio (Prol.14; RB.7,49.70) che, nell'officina del monastero, in compagnia e in comunione con gli altri operai che formano la sua famiglia religiosa, fatica notte e giorno in un lavoro interamente spirituale - <l'arte spirituale> del v.75 - maneggiando strumenti spirituali che sono le virtu`, sperando e fidando della grazia e della misericordia del suo Signore che, nel giorno benedetto in cui riconsegnera` gli attrezzi, possa ricevere la ricompensa delle sue fatiche: "Cio` che occhio non ha mai visto, ne` orecchio mai udito, ne` mai entrato in cuore di uomo: questo, Dio ha preparato per coloro che lo amano" (1Cor.2,9).


CAPITOLO 5

L'obbedienza.

De oboedientia.

 

Preliminari

In tutte le lingue il concetto di obbedienza deriva da "audire" e significa sempre la "disposizione ad ascoltare l'altro e a fare la sua volonta`": ascoltare e obbedire derivano dalla stessa radice etimologica. In latino abbiamo ob-audire <ascoltare> e ob-oedire <obbedire>: vocaboli vicinissimi che nella letteratura cristiana sono in relazione con la radice ebraica "shema`", il cui significato e` primariamente "ascoltare" e in secondo luogo "obbedire".

La tradizione biblica: nel VT...

La religione ebraica si riassume essenzialmente in questo concetto di obbedienza: ascoltare Dio e compiere i suoi desideri. Era la religione dell'obbedienza alla rivelazione di Dio; il culto di Dio consisteva essenzialmente nell'obbedienza (cf. ad esempio !Sam.15-22) e l'essenza del peccato nella disobbedienza alla volonta` di Dio manifestata nei comandamenti, nella Legge e nei Profeti.

...e nel NT

Nel NT appare con grande evidenza il valore essenziale dell'obbedienza. La vita di Gesu`, come la presentano i Sinottici e come la interpretano S.Giovanni e S.Paolo, non e` altro che la storia di un'obbedienza totale alla volonta` del Padre attraverso il cammino della passione, della croce, della morte ignominiosa: Gesu` accetta tutto pienamente per pura obbedienza al Padre. L'intera esistenza di Gesu` si riduce ad una totale conformita` alla volonta` del Padre: "Mio cibo e` fare la volonta` di colui che mi ha mandato" (Giov.4,34); Gesu` non e` venuto per fare la sua volonta`, ma quella del Padre (Giov.6,38); Egli non parla per iniziativa propria, ma il Padre parla in lui (Giov.3,44); per questo chi vede lui vede il Padre (Giov.14,9-10).

Per il cristiano non basta in effetti accogliere il messaggio di Gesu`, bisogna conformarsi alla volonta` del Padre, come Gesu` la manifesta "non chiunque mi dice: Signore, Signore..., ma chi fa la volonta`..." (Mt.7,21): il vero discepolo di Gesu` compie la volonta` del Padre. Il valore cristiano dell'obbedienza e` posto in rilievo sopratutto da S.Paolo: tutta l'opera salvifica di Gesu` si riassume, secondo Filippesi 2, nella sua morte come atto di obbedienza al Padre, in contrapposizione alla disobbedienza di Adamo. L'obbedienza di Gesu` e`, per S.Paolo, il fondamento della salvezza (Rom.1,19); la fede e` l'obbedienza alla predicazione del messaggio di salvezza (Rom.10,16; 2Cor.7,15; 2Tess.1,8); il cristiano e` l'uomo che obbedisce al Vangelo di Nostro Signore Gesu` Cristo (2Tess.1,18).

La tradizione dei Padri e degli scrittori monastici

L'obbedienza occupa quindi, senza dubbio, una posizione-chiave nella storia divina della salvezza. I Padri della Chiesa non cessarono di segnalarlo con grande insistenza. Ma questa idea incontro` un'eco straordinaria soprattutto tra i monaci a cominciare dalle prime generazioni. In effetti i Padri del Deserto, ammaestrati dalla loro esperienza, erano giunti a due conclusioni: primo, che senza il rinnegamento di se` non si giunge a una vera adesione alla volonta` di Dio; secondo, che il rinnegamento consiste essenzialmente nella rinuncia alla propria volonta`, "muro di bronzo - a dire dell'abate Poimene - che separa l'uomo da Dio" (Apophtegmata, Poimene 54). I testi monastici trattano di continuo questo tema sotto tutti gli aspetti:

- obbedire a Dio;
- obbedire alla Scrittura;
- obbedire ai Padri del monachesimo;

- obbedire ai fratelli e, in particolare,
- obbedire al proprio anziano spirituale, se si vive come anacoreta, o
- obbedire al superiore e alla regola, se si vive come cenobita.

In tal modo si ando` elaborando a poco a poco una teoria e in pratica il concetto dell'obbedienza religiosa. Si suole distinguere un'obbedienza ascetica o educativa (piu` specifica degli eremiti) e un'obbedienza funzionale o sociale al servizio della comunita` (propria dei cenobiti). In realta` i due aspetti sono complementari: l'obbedienza ascetica e` necessaria per realizzare l'obbedienza funzionale nella maniera piu` perfetta possibile; l'obbedienza sociale, poi, ha sempre un aspetto ascetico ed educativo. In ogni caso, i legislatori monastici del cenobitismo (Pacomio, Basilio, ecc.) non si mostrano meno esigenti, riguardo all'obbedienza, dei Padri spirituali degli eremiti. S.Basilio richiede un'obbedienza universale e senza condizioni.

L'obbedienza nella RB

Quanto detto sopra e` il fondo biblico e monastico in cui situare il concetto di obbedienza nella RB. SB ne parla nell'ambito della dottrina ascetica, la dottrina dell'obbedienza viene cioe` riportata alla scala dell'umilta` nel contesto dell'itinerario ascetico proposto ai monaci. Nel capitolo 5 si tratta in senso proprio dell’obbedienza al superiore; ci sono poi altri due capitoli che trattano specificamente dell'obbedienza: RB.68 (L'obbedienza nelle cose impossibili) e RB.71 (L'obbedienza reciproca). Ma dell'obbedienza se ne parla con frequenza, dal principio del prologo all'epilogo; ricordiamo che per SB l'obbedienza e` il cammino attraverso cui si ritorna a Dio (Prol.2). Incontestabilmente nella RB l'obbedienza costituisce l'asse dell'itinerario monastico.

STRUTTURA del capitolo 5

Il capitolo 5 della RB riassume molto il lungo capitolo 7 della RM, ma non lascia alcuna delle tre parti costitutive:

- obbedienza pronta e sue motivazioni: RB.5,1-10 (RM.7,1-21);

- descrizione dell'obbedienza e motivazione biblica principale (la "via stretta" con l'esempio di Cristo): RB.5,10-13 (RM.22-66);

- qualita`, sopratutto interiori, dell'obbedienza: RB.5,14-19 (RM.7,67-74).

1-6: Obbedienza pronta e sue motivazioni

Il v.1 sembrerebbe in contraddizione con il capitolo 7. Ma qui non si parla di gradino nel senso di una serie come nel capitolo 7, "primo" qui significa "il principale" o piu` perfetto, o ancora - come spiega DeVogue` - "primo nel tempo", "fondamentale" dal punto di vista della pedagogia monastica. Quindi la frase "primus humilitatis gradus" del v.1 si puo` tradurre: "Il principio dell'umilta`", "la manifestazione piu` evidente dell'umilta`" e simili. Questa nozione del primato (nel senso spiegato) dell'obbedienza nella formazione cenobitica e` unanime nella tradizione monastica.

obbedienza senza indugio <sine mora>

E' il carattere piu` evidente della vera obbedienza e SB vi insiste per tutta la prima parte del capitolo.

2: motivo fondamentale: l'amore di Cristo

L'amore di Cristo balza evidentemente come il motivo fondamentale e il piu` nobile per obbedire. L'idea non e` nuova: il monaco impugna le gloriose armi dell'obbedienza per militare sotto Gesu` Cristo vero Re (Prol.3). Si ricordino anche gli strumenti 10 e 21 del capitolo 4. Evidente anche il richiamo nella struttura grammaticale al "Niente anteporre all'amore di Cristo" di RB.4,21 e al "Nulla assolutamente antepongano a Cristo" di RB.72,11.

2-3: altri motivi...

Possono pero` esserci altri motivi meno elevati anche se validi e la RB li enumera: il servizio santo a cui si sono consacrati, il timore dell'inferno, il desiderio della vita eterna; ma in tutti e tre questi motivi e` sempre supposto e incluso il primo, quello dell'amore integrale a Cristo, da cui il monaco non puo` prescindere.

4-9: prontezza, rapidita`, simultaneita`...

SB descrive, accumulando molte espressioni, l'atteggiamento fedele del monaco e la prima caratteristica dell'obbedienza: prontezza come dinanzi a un comando di Dio, rapidita', quasi simultaneita` tra l'ordine del superiore e l'esecuzione del discepolo. "Lasciando incompiuto...". Cassiano avverte che al segnale dell'orazione e del lavoro si interrompeva anche una lettera dell'alfabeto gia` iniziata (Inst.4,12).

10-13: descrizione dell'obbedienza cenobitica

Bello il v.10: quibus ad vitam aeternam gradiendi amor incumbit: tanta perfezione d'obbedienza e` un bisogno e una gioia dell'anima perche' incombe, incalza (questo e` il senso del verbo latino) l'amore per la vita eterna di cui si diceva negli strumenti delle buone opere "desiderarla con tutto l'ardore spirituale" (RB.4,46).

Segue una descrizione breve ma abbastanza completa e precisa dell'obbedienza cenobitica. La Regola viene paragonata alla "strada stretta" (v.11) di cui si parla nel discorso della montagna (Mt.7,14); poi si definisce l'obbedienza prima al negativo, poi al positivo. Negativamente e` rinunciare alla volonta` propria: "non vivono secondo il proprio capriccio personale" e "non obbediscono ai desideri e gusti propri" (v,12). Le espressioni richiamano due strumenti delle buone opere: RB.4,59 e 60. Positivamente l'obbedienza e`:

- camminare secondo il giudizio e la volonta` di un altro;

- passare la vita in monastero;

- desiderare di essere sottomessi a un abate;

- si imita in tal modo il Signore che disse di se stesso: "Non sono venuto a fare la mia volonta`, ma la volonta` di colui che mi ha mandato (Giov.6,38).

Il primo elemento corrisponde al 61mo strumento delle buone opere e, insieme al secondo (stabilita` in monastero, RB4,78), caratterizza i cenobiti che "vivono in monastero militando sotto una Regola e un abate" (RB.1,2).

Il terzo elemento vuole indicare il carattere libero e volontario dell'obbedienza su cui si insistera` in seguito; la Regola dice altrove che l'obbedienza e` un bene (RB.71,1) e pertanto desiderabile (ma qui SB dice che "desiderano essere sottomessi"!). Tutto cio` proviene dal quarto elemento messo sopra, che riassume, concludendola, questa parte del capitolo: l'imitazione di Cristo.

14-19: altre disposizioni dell'obbedienza

La Regola insiste sulle qualita` che deve avere l'obbedienza cenobitica per essere veramente gradita a Dio e "dolce agli uomini". Quest'ultima espressione e` un tocco sapiente e amorevole di umanita` e finezza psicologica del santo Patriarca. Anche per il superiore dare un ordine non e` sempre facile: riesce percio` di conforto per lui incontrare un'obbedienza sollecita e sorridente. Dunque si obbedisca senza esitazione o ritardo - si raccomanda ancora la celerita` - o svogliatezza oppure con mormorazioni o proteste (v.14), ma volentieri e serenamente, perche` "Dio ama chi dona con gioia' (v.16).

Di buon animo: parole importanti che devono penetrare nell'animo del monaco. "Dio guarda nel profondo del cuore" (v.18); obbedire esteriormente non basta, se l'atto non e` accompagnato dalla buona volonta` profonda e sincera di chi obbedisce: l'obbedienza si deve interiorizzare.

17-19: la mormorazione

Tra tutti i difetti che annullano il valore dell'obbedienza, il peggiore e` il vizio della mormorazione. SB ne ha un'avversione particolare, sia essa esteriore o solo interiore, e dice che i mormoratori incorreranno nella pena prevista (v.19). Certo, questa nota finale, redatta sullo stile del codice penale, suona un po' strana in questo capitolo di pura spiritualita`; perche` e` chiaro che qui non si parla del giudizio di Dio, ma della disciplina regolare contro la mormorazione. Senza dubbio la clausola stona. Ma SB era un "uomo pratico secondo Gesu` Cristo".


CONCLUSIONE

Possiamo individuare nel capitolo due motivazioni principali per l'obbedienza monastica:

- motivazione ascetica (rinunzia a se stesso, alla propria volonta`, ai propri gusti);

- motivazione sopratutto teologica (obbedire per amore di Cristo).

Dai testi biblici del capitolo 5 appare la figura di Cristo:

* come colui al quale si obbedisce (Lc.10.16 citato nel v.6 e nel v.15)

* e come colui che si imita nell'obbedire (Giov.6,38 citato nel v.13).

In altre parole: Cristo e` rappresentato

- una volta nell'abate che ordina

- e una volta nel monaco che obbedisce.

Ecco i due aspetti che risultano dai due testi evangelici:

* obbedire come Cristo e

* obbedire come a Cristo.

Ambedue gli aspetti dell'obbedienza - comandare e obbedire - hanno il fondamento ultimo in Gesu` Cristo.

L'abate non potrebbe esigere un'obbedienza assoluta senza essere autorizzato da Gesu' (di cui fa le veci in monastero, RB.2,2); e d'altra parte l'obbedienza e` cristologica in quanto ispirata dall'amore a Cristo (RB.5,13)

""Cristo, di conseguenza, appare sia come Maestro che come discepolo, poiche` di fatto egli e` nel medesimo tempo, inseparabilmente, il Verbo che legifera e il Servo che si umilia. Cosi` in questa relazione monastica fondamentale, Cristo e` rappresentato nella sua esistenza drammatica e nelle sue dimensioni totali: la sua sovranita` divina e la sua umiliazione fino all'estremo..., una cosa non esiste senza l'altra. E la gloria e la genuinita` sublime del monachesimo e della sua teologia viva sta proprio in questa rappresentazione drammatica, o meglio sacramentale, della Persona e della vita di Cristo.""

(H.U. Von Balthasar)


CAPITOLO 68

Se a un fratello vengono comandate cose impossibili.

Si fratri impossibilia iniungantur.

 

Preliminari

Questo capitolo, uno dei piu` belli di tutta la Regola, fa parte della serie degli ultimi capitoli (67-73) propri di SB, i quali - secondo Delatte - possono considerarsi il testamento spirituale del santo Patriarca e sono interamente immersi nella luce di Dio e impregnati della sua dolcezza; e - secondo De Vogue`, di altra generazione e di altra scuola - il capitolo 68 uno dei passi piu` caratteristici e piu` preziosi della RB; dopo tanti commenti conviene fermarsi ad ammirare la sua dottrina tanto ferma e insieme tanto armoniosa, tanto soprannaturale e insieme tanto umana.

SB torna ad occuparsi dell'obbedienza sino alla fine della sua Regola. Non si tratta di una ritrattazione o rettifica di certe cose, come potrebbe dirsi in qualche modo del capitolo 64 rispetto al capitolo 2 per quanto riguarda l'abate (cf.sopra, relativo commento); si tratta invece di una appendice, di una precisazione molto interessante.

Diversita` dal capitolo 5

Ci troviamo di fronte a una caso estremo di obbedienza: come deve reagire in situazioni difficilissime il monaco desideroso di obbedire? A risolvere la questione ci si presenta un autore con un linguaggio e una mentalita` certamente diversi da; capitolo 5; o non e` la stessa persona o e` talmente maturata in eta`, esperienza, saggezza da non sembrare la stessa. Si puo` dire, giustamente, che nel capitolo 5 l'obbedienza e` messa a fuoco dal punto di vista dell'abate, mentre nel capitolo 68 dal punto di vista del discepolo. Tuttavia cio` non e` sufficiente ad eliminare la distanza tra i due capitoli: nel primo una dottrina austera, esigente, teorica; nel secondo un insegnamento altrettanto soprannaturale e in fondo anche piu` esigente, pero` nello stesso tempo pieno di umanita`, di comprensione, di finezza psicologica. E` veramente una perla tra le piu` fini della RB, un capitolo meraviglioso non solo sotto l'aspetto dottrinale, ma anche letterario.

Fonti

Non si trovano paralleli del capitolo 68 in quanto tale; niente del sapere e della mentalita` del capitolo nella RM secondo la quale l'obiezione del fratello ad accettare ed eseguire immediatamente un ordine, merita subito la scomunica e la pena (RM.57,14-16). Si possono tuttavia considerare i seguenti testi: la Regola di S.Basilio 69; Pseudo-Basilio: Ammonizione al figlio spirituale 6; S.Cesario di Arles: Discorso 233,7; e sopratutto Cassiano: Istituzioni 4,10. Quest'ultimo, a proposito di monaci obbediente, aggiunge che essi "non solo ricevono con fede e devozione comandi umanamente impossibili, ma si sforzano anche di adempierli senza alcuna esitazione del cuore, non misurando l'impossibilita` per riverenza e sottomissione al loro seniore". Probabilmente questo passo, con il richiamo alle cose impossibili, avra` ispirato SB; ma in esso manca completamente il processo psicologico-pedagogico, meravigliosamente descritto nel capitolo 68 della RB.

 

STRUTTURA di RB.68

Il capitolo non presenta difficolta` d'interpretazione; basta leggerlo e seguirlo parola per parola. E` come un piccolo dramma, piccolo per durata ma grande per intensita` e profondita`, in tre atti:

I. - il monaco riceve un ordine estremamente difficile e lo accetta con perfetta docilita` e sottomissione (v.1);

II. - se, soppesato il tutto, vede che sembra superare le sue forze, il monaco e` autorizzato a presentare le ragioni della sua impossibilita` (vv.2-3);

III. - se il superiore non cambia parere, il monaco sappia che gli conviene obbedire e obbedisca (vv.4-5)

 

1: Il caso difficile

Nonostante la prudenza e la discrezione raccomandata da SB all'abate (specie nel capitolo 64), nonostante la retta intenzione del superiore di dare ordini ragionevoli, puo` anche avvenire che il comando appaia insopportabile.

gravia aut impossibilia: significa qualcosa di difficile o addirittura di impossibile.

difficile: significa "troppo pesante per le proprie forze".

impossibile: non nel senso in cui allude Cassiano nel testo citato sopra (Ist.4,10), cioe` di cose che il superiore stesso conosce impossibili e comanda solo per provare il monaco e distruggere ogni attaccamento alla propria volonta`, ma nel senso che paiono impossibili a chi li riceve. Si puo` notare inoltre che spesso una cosa sembra impossibile solo finche` non la si fa. SB vuole che all'inizio, anche in casi cosi` ardui per la debolezza umana, si riceva l'ordine con perfetta docilita` e sottomissione.

2-3: dialogo filiale con il superiore

Il monaco soppesa l'ordine ricevuto e conclude che veramente e` superiore alle sue forze. Ed ecco allora il tocco paterno di SB e la larghezza del suo spirito: non si irrigidisce subito sulla esecuzione del comando, ma permette che il monaco suggerat <faccia presente> la sua difficolta`; la voce del monaco puo` illuminare anche il superiore e indurlo a modificare o a ritirare il comando. Pero` SB insiste: "con sottomissione e a tempo opportuno" - due qualita` positive - "senza arroganza, puntiglio od opposizione - tre note negative -. E` l'atteggiamento proprio dell'umilta`; anche il verbo "suggerat" indica il parlare sommesso e umile di chi accenna appena, fa presente con calma.

4-5: Obbedienza eroica per amore

Ma anche dopo l'esposizione delle difficolta`, il superiore puo` avere ancora le sue valide ragioni per persistere nell'ordine dato. E' il momento in cui viene messo alla prova tutto il fondo soprannaturale che ispira l'obbedienza, e` il momento della fede di Abramo, dell'obbedienza eroica.

"Sappia..." Con questo verbo SB introduce un'ammonizione di grave importanza. Ricordi bene il monaco che, nonostante tutto, gli conviene abbracciare la via dell'obbedienza: la mente si ribella, il cuore sanguina, ma Dio puo` chiedere questa testimonianza d'amore.

5: Bello il v.5, anche letterariamente, pare quasi ritmato a tre cadenze:

et ex caritate - confidens de adiutorio Dei - oboediat.

"e per amore" - "confidando nell'aiuto di Dio" - "obbedisca".

per amore: l'amore rende possibile e meritorio tutto. SB ha gia` detto nel capitolo 5 che l'obbedienza e` propria di quelli che non hanno nulla piu` caro di Cristo, e che sono incalzati dall'amore per la vita eterna.

confidando nell'aiuto di Dio: allo scoraggiamento viene in soccorso la fiducia che Dio e` vicino per sorreggere e aiutare.

obbedisca: bellissimo questo "obbedisca", alla fine: sembra un grido di vittoria.

 

CONCLUSIONE

Senza togliere nulla alla dottrina dell'obbedienza, SB in questo capitolo l'ha umanizzata e posta al livello del cuore del discepolo. Un momento nuovo - il suggerat <faccia presente> - si e` introdotto nello schema dell'obbedienza e conferisce a questa un valore piu` alto, quello dell'atto compiuto in piena luce in cui il superiore e il suddito agiscono ormai ambedue in piena conoscenza di causa. La considerazione della persona del monaco e della impossibilita` soggettiva da lui sperimentata approfondisce e arricchisce il tema dell'obbedienza, da` luogo a un approfondimento psicologico, a uno sforzo educativo che prende come punto di partenza la ripugnanza interiore e la trasforma in profitto spirituale per il monaco (De Vogue`).

E` facile osservare quanto la prospettiva di SB sia conforme agli insegnamenti del Vaticano II. Non si nomia Cristo in tutto il capitolo. Pero` sappiamo che l'obbedienza perfetta che insegna la RB non vuole essere una prodezza ascetica; tutta la sua forza proviene dall'esempio di Cristo.

H.U. Von Balthasar fa notare la presenza, invisibile ma certa, di Gesu` Cristo in questo luogo. "Solo l'esempio di Cristo - ha scritto - giustifica il mirabile capitolo 68 di SB. Dato che il Padre chiese al Figlio cose impossibili - che prendesse su di se` tutto cio` che presso Dio e` impossibile, esecrabile, cioe` il peccato - il Figlio muore sulla croce. Pero` prima il Figlio espose al Padre le ragioni della sua impossibilita` ad obbedire: 'Padre mio, se e` possibile, passi da me questo calice. Pero` non come voglio io, ma come vuoi tu' (Mt,26,39). Se il monaco, secondo la Regola, presenta al superiore umilmente, senza atteggiamento di contraddizione, i motivi della sua ripugnanza all'ordine ricevuto, non fa altro che seguire l'esempio di Cristo nel Getsemani; e se, nonostante l'abate mantiene il suo ordine, il monaco obbediente seguira` Cristo fino alla croce".

(H.U. Von Balthasar)


CAPITOLO 6

L'amore al silenzio.

De taciturnitate.

Preliminari

Non c'e` nella Bibbia una vera e propria dottrina sul silenzio, ne` si puo` parlare del silenzio come virtu` o valore raccomandato; la Scrittura e` piena di testi che si riferiscono a entrambe le cose: "C'e` un tempo per tacere e un tempo per parlare (Qoelet 3,7b). La lingua e` un dono di Dio, attraverso cui gli uomini comunicano fra di loro ed esprimono a Dio i sentimenti del loro cuore. A volte e` importante tenerla a freno, mentre a volte sarebbe vigliaccheria e mancanza di fedelta` tacere. Nei libri sapienziali, sopratutto i Proverbi, si insiste sul retto uso della lingua.

Antico Testamento

Nell'AT l'atteggiamento del silenzio e` espressione di vari stati d'animo: lutto o dolore, atteggiamento di attesa e di ascolto, sconfitta o confusione, attesa dell'intervento di Dio. Spesso le azioni salvifiche di Dio sono accompagnate dal silenzio: si veda il famoso brano di Sap.18,14-15: "Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a meta` del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo...", oggetto di riflessione da parte dei Padri e di tante generazioni di monaci che videro in essa l'annuncio dell'Incarnazione e della Nascita di Cristo (vedi anche nella liturgia: introito della II domenica dopo Natale); o ancora l'altro celebre passo della teofania sull'Oreb di fronte ad Elia in 1Re 19,11-13.

Piu` recentemente si tende ad associare il silenzio con il deserto, che pero` nella Bibbia significa sopratutto luogo desolato e selvaggio. Certo la solitudine e` caratteristica del deserto, cosi` Israele puo` ripensare alla durezza e alla fatica dell'Esodo (Deut.8,15) e specialmente alla continua assistenza di Dio (Deut.29,4-5).L'esperienza del deserto diventa oggetto di nostalgia da parte di Dio e viene riproposta dai profeti come mezzo per guarire l'infedelta` di Israele (Osea 2,16; Ezech.20,35). Tuttavia non si tratta tanto di silenzio, quanto piuttosto di esperienza di solitudine, di separazione dal mondo abitato che rende piu` vicini a Dio.

Nuovo Testamento

Nel NT ugualmente l'accento e` posto piu` sulla lode di Dio, sull'annuncio del Regno, sui doni delle lingue e della profezia in S.Paolo. Il silenzio e` invece l'atmosfera nella quale si custodisce e si rivela il mistero (Rom.16,25) o che accompagna l'operarsi del giudizio divino (Apoc.8,1).

Questa nota biblica potrebbe sembrare lontana dall'insegnamento della RB, tutto incentrato sul silenzio come forma di umilta` e di mortificazione; pero`, anche la dottrina della taciturnitas non puo` essere rettamente compresa al di fuori di questo concetto biblico e cristiano. Per il cristiano il silenzio e` sempre anche contemplazione e lode di Dio che si manifesta.

La tradizione monastica

Abbiamo detto sopra che i libri sapienziali non cessano di inculcare il buon uso della lingua. Il saggio, a differenza dello stolto, sa meditare e pesare le sue parole. Discepoli e coltivatori di tale saggezza, i monaci cristiani fin dalla piu` remota antichita` praticarono e insegnarono la moderazione nell'uso della parola. Tutta la tradizione (Apoftegmi, storie monastiche, regole cenobitiche, trattati spirituali, ecc...) lo testimonia; ma nessuno parla di silenzio assoluto, perche` tacere sempre non e` umano, pero` e` necessario moderarsi, perche` la lingua facilmente passa il limite e arriva a mormorazioni, calunnie, detrazioni, conversazioni peccaminose: parlare molto, cioe`, equivale ad esporsi di piu` al peccato. Si tratta quindi di un silenzio ascetico.

Il silenzio poi ha grande importanza per la vita del monaco, in quanto e` in funzione della quiete in Dio <la "hesychia">, la tranquillita`; l'accento veniva posto sopratutto sulla ritiratezza, sul rimanere in cella, "tacendo e sedendo" dice S.Girolamo. Anche per Cassiano, che pure dedica al silenzio tre dei suoi indizi di umilta`, esso e` in funzione della preghiera, aiuta il monaco a raggiungere la "preghiera di fuoco" ed e` il segno della raggiunta unita` della persona in Dio. Cosi` si proibiva ai monaci di parlare fuori delle celle e di ritrovarsi a parlare in refettorio; molti monasteri erano famosi per il silenzio che vi regnava, ma sembra piu` un titolo di gloria che una parte della dottrina di ascesi.

La "taciturnitas"

La nozione di equilibrio fra tacere e parlare, con evidente inclinazione a favore del silenzio, la lingua latina dei monaci la espresse con il termine taciturnitas (che non corrisponde al nostro italiano "taciturnita`", la quale puo` comportare anche quell'aria di musoneria che diviene cosi` pesante e fastidiosa nei contatti col prossimo). Silere e silentium significano astenersi totalmente dal parlare; taciturnitas significa l'abitudine a far caso al silenzio, il volontario e virtuoso amore al silenzio, frutto di umilta` e di raccoglimento, che concede la facolta` di esprimersi con moderazione, soltanto se necessario, discretamente. Percio` si potrebbe tradurre anche "amore al silenzio" con tutto il significato spiegato sopra (cioe` anche modo di parlare).

Il silenzio nella RM

Con la RM il silenzio assume un'importanza enorme: se ne parla in due lunghi capitoli (RM 8 e 9), se ne fa menzione nelle buone opere (RM.3,57-60) e vi sono dedicati tre gradini della scala dell'umilta` (RM.10,75-81). Ecco la struttura dei capitoli 8 e 9:

RM.8,1-25: espone la teoria del corpo come prigione dell'anima gli occhi sono le finestre e la bocca la porta; mediante lo sguardo e la parola l'anima guarda fuori e ha occasione di peccato.

RM8,26-30: enumera i tre settori da sorvegliare accuratamente: il pensiero (la "cogitatio"), la parola e lo sguardo.

RM.8,31-37: l'ultima parte del capitolo (quella utilizzata da RB.6) parla del silenzio con il commento al salmo 38. In seguito distingue due specie di taciturnita`: quella che si guarda dai peccati della lingua e quella che si astiene dalle parole buone per umilta`.

RM.9,1-26: esposizione della regola del "benedicite", che consiste in questo: quando l'abate e` presente, non gli si puo` rivolgere la parola senza aver ottenuto il permesso; la richiesta si fa con l'inchino e pronunziando la parola "benedicite". Se l'abate non risponde, bisogna ripetere la domanda; se continua a non rispondere, e` inutile insistere: non si puo` parlare.

RM.9.27-51: regolamentazione della parola: contiene una motivazione dottrinale (vv.27-40) e una casistica (vv.41-51) che distingue: se i discepoli sono perfetti o no (ai perfetti non sara` permesso di parlare per niente senza essere interrogati, diversamente dagli imperfetti); se c'e` o no l'abate; se si tratta di discorsi sacri o profani.

Quali sono le motivazioni per il silenzio nella RM? Ne potremmo indicare tre: (a) il silenzio e` da raccomandare per evitare il peccato, e` la motivazione piu` comune e ripetuta; (b) il silenzio e` in vista dell'umilta`; (c) il silenzio aiuta a mantenere la memoria occupata in Dio e a fuggire la dimenticanza.

Il silenzio nella RB

SB tratta della taciturnita` molto piu` brevemente, in un solo capitolo di soli 8 vv., contro i complessivi 88 della RM, e riproduce solo alcune parti di RM.8 e 9:

- RB.6,1-3 = RM.8,31-33

- RB.6,4-5 = RM.8,35b-36

- RB.6,6 = RM.8,37

- RB.6,7 = RM.9,1-50

- RB.6,8 = RM.9,51.

La citazione del salmo 38,2-3, che in RM si deve dire in segreto quando si e` tentati da collera, per RB diventa un esempio di taciturnita` da seguire. Il v.7 non riprende la casistica della RM sulla domanda da fare all'abate ma, secondo il capitolo 3 sul consiglio dei fratelli, combatte l'indipendenza di giudizio del discepolo. Quindi RB e` piu` preoccupata di evitare divergenze insanabili tra l'abate e il discepolo, che di proibire a questi di porre liberamente domande.

Nel capitolo 6 SB si mostra a volte piu` severo di RM ("esclusione delle battiture"), a volte piu` accondiscendente (c'e` piu` liberta` di rivolgersi all'abate). Inoltre, mentre RM scende a una casistica spicciola, RB rimane sui principi, dandoci un capitolo piu` omogeneo, coerente, anche se molto breve.

Abbiamo nella RB 4 volte la parola taciturnitas e 4 volte la parola silentium. "Silentium" indica un aspetto disciplinare, funzionale (silenzio a tavola, RB.38,5; silenzio notturno, RB.42,1; silenzio durante la siesta, RB48,5; silenzio nell'oratorio, RB.52,2) e significa silenzio in senso stretto, cioe` astensione totale dal parlare. "Taciturnitas" (RB.6 titolo; 6,2-3; 7,56; 42,9) denota, come detto sopra, moderazione, sobrieta`, discrezione nell'uso della parola e, come si usa tradurre, amore al silenzio. Alla "taciturnitas", non al "silentium" SB dedica un capitolo della sua sezione ascetica.

 

STRUTTURA del capitolo 6

Comincia all'improvviso con una citazione dal salterio brevemente commentata, rafforzata da altre due citazioni dei Proverbi (vv.1-5); passa all'uso della parola nei rapporti con i superiori (vv.6-7), condanna solennemente le parole sconvenienti (v.8). Vediamo il testo:

1-5: Uso della parola in genere

SB parte da una citazione scritturistica che serve di base e di principio al suo insegnamento: mettiamo in pratica cio` che dice il salmista. Nel salmo 38 citato, il salmista oppresso dai dolori si propone di tacere assolutamente per non dare all'empio occasione di bestemmiare (quindi notiamo che il contesto del salmo e` diverso da come viene applicato in RB e in RM). Il v.3 del salmo nella nuova traduzione suona cosi`: "sono rimasto quieto, in silenzio, tacevo privo di bene"; invece nella Volgata era: "silui a bonis" che RB (e RM prima) ha inteso: "mi sono astenuto anche dal dire cose buone", da cui l'argomentazione derivante.

L'atteggiamento del salmista viene indicato come generale disposizione d'animo del monaco. "Anche dai buoni discorsi ci si deve "a volte" <interdum> astenere per amore al silenzio", tanto piu` dalle parole cattive! E nel v.3 SB insiste: "E` tanta l'importanza del silenzio - cioe`: tale e` la gravita` e la serieta` di questa dimensione nella vita monastica - che ecc..."

Come si deve interpretare la frase: perfectis discipulis <ai discepoli perfetti>? Si deve intendere che a questi soltanto si deve dare raramente licenza di parlare, lasciando piu` liberta` ai meno perfetti? Si, se si considera il parallelo con la RM la quale distingue tra la categoria dei "perfetti" e quella dei "tiepidi, imperfetti e meno solleciti" (RM.9,48); secondo altri, invece, qui si intende semplicemente i monaci in quanto tali e in quanto devono sforzarsi di essere, dovendo essi per il loro stesso stato mirare alla perfezione.

4-5: frenare la lingua per evitare il peccato

Alla citazione del salmo 38 SB aggiunge altri due testi scritturistici del genere sapienziale, brevi e incisivi: Prov.10,19 e Prov.18,21. In tutti e tre i testi biblici citati, la ragione addotta per frenare la lingua e` quella di evitare il peccato, questo e` nella generale tradizione ascetica del monachesimo primitivo.

6-7: Uso della parola nelle relazioni con i superiori

I monaci, da perfetti discepoli, devono parlare assai poco, giacche` parlare e` funzione del maestro, mentre al discepolo tocca ascoltare. Si torna al concetto dell'abate come "dottore"; si tace per ascoltare la voce del maestro che e` l'abate e, attraverso l'abate, il Maestro per antonomasia: Cristo. E` interessante notare l'importanza dei vv.6-7 per la relazione del silenzio con l'obbedienza (capitolo 5) e con l'umilta` (capitolo 7). Il discepolo ascolta per mettere in pratica cio` che gli si comanda e in tal modo torna a Dio attraverso il cammino dell'obbedienza (Prol.1-2).

Il monaco poi tace per umilta` (v.1: "mi sono umiliato") e parla con umilta` (v.7); tanto il parlare (il modo di parlare) che il tacere sono in rapporto con l'umilta`. Si veda l'evidente parallelismo nella struttura della frase tra:

- RB.6,6 e RB.3,6 =

= atteggiamento in capitolo di famiglia.

- RB.6,7 e RB.3-4 =

Si tratta di rispondere all'abate quando domanda un parere o si tratti di chiedergli qualcosa, i fratelli debbono mantenersi sempre entro i limiti dell'umilta`, docilita` e riverenza.

8: parole sconvenienti

Infine, con accento severo ed energico, SB condanna i discorsi non convenienti alla dignita` di monaco, non solo le trivialita` - il che pare ovvio - ma anche le parole giocose e non necessarie. Questo ultimo versetto contribuisce a dare un aspetto ancora piu` rigoroso e molto forte al capitolo che senza dubbio e` in una linea rigida e severa. Ma...

 

CONCLUSIONE

... per fortuna, altri passi della RB che si riferiscono alla "taciturnitas" (=amore al silenzio e uso corretto, monastico, della parola) mitigano e umanizzano l'aspetto serio e un po` duro del capitolo 6. A giudicare dal v.6, il silenzio regna come norma generale nel monastero e per parlare ci vuole un permesso speciale che si accorda solo raramente. Ma da altri testi si deduce che la proibizione di parlare non era cosi` assoluta: i monaci non erano soggetti ad una legge che li obbligava a convivere senza comunicare tra loro. Il silenzio assoluto si osservava in certi luoghi e in certe ore: durante i pasti (RB.38,5); in dormitorio, tanto durante il riposo notturno (RB.42,1) quanto durante la siesta (RB.48,5). In altri luoghi era molto meno rigoroso (o veniva trasgredito spesso); in RB.26,1-2 si proibisce di parlare con lo scomunicato; in RB.67,5-6 si ordina di non parlare di cio` che si e` visto fuori del monastero. I monaci quindi parlavano e ridevano pure! Tra le mortificazioni suggerite in quaresima (RB.49,7) si dice di togliere qualcosa alla loquacita` e... alle buffonerie (=scurrilitate", lo stesso vocabolo che nel capitolo 6 e` condannato assolutamente, "aeterna clausura in omnibus locis damnamus"! (v.8)

Nel capitolo 6, dato che si tratta della sezione spirituale, a SB interessa enunciare il principio e presentare il valore del silenzio, facendone vedere l'aspetto austero, essenzialmente ascetico. La dimensione mistica della taciturnita` i monaci la scopriranno a poco a poco, avanzando nel cammino dell'unione con Dio, man mano che si familiarizzano con la S.Scrittura e gli altri testi della tradizione patristica e monastica che SB prescrive (RB73,2-6). Cassiano, per esempio, dice che e` impossibile arrivare all'"orazione pura" se lo spirito e` disturbato dal ricordo di conversazioni recenti (Coll.9,13), che l'"orazione di fuoco" consiste in un gemito inenarrabile che trascende la parola (Coll.9,25), che l'anima giunta alla vetta della contemplazione penetra in una meditazione e concentrazione cosi` assoluta che non si puo` esprimere (Coll.9,27). Pero` SB si mantiene nei limiti della "vita pratica", che non va oltre l'estirpazione dei vizi e l'acquisto delle virtu`; la sua "taciturnitas" e` puramente ascetica. Il capitolo 6 e` un commento e ampliamento di 4 strumenti delle buone opere:

- 51^: custodire la propria lingua da parole cattive o disoneste;

- 52^: non amare il parlare molto;

- 53^: non dire parole inutili o eccitanti al riso;

- 54^: non amare di ridere molto o in maniera smodata (RB.51-54).

Si noti anche la finalita` educativa e di carita` della RB. A proposito dell'uso della parola abbiamo tre volte questa espressione: rationabiliter cum humilitate <ragionevolmente con umilta`> in:

- RB.31,7 a proposito del cellerario;

- RB.61,4 a proposito dell'ospite;

- RB.65,4 a proposito del priore.

E nel capitolo 7,60 sostituisce "dire poche parole e sante" di RM con: "dire parole poche e ragionevoli (sensate)". A SB interessa di meno che le conversazioni siano edificanti (come nella RM), quanto piuttosto che abbiano senso, che avvengano nella ragionevolezza e nella calma. Cosi` in RB.31,7.13-14: come deve rispondere il cellerario a chi gli chiede qualcosa fuori luogo o quando non puo` concedere qualcosa. Cosi` RB.66,2-4 a proposito del portinaio: che risponda subito, rivolga parole di benvenuto, con tutta la mansuetudine e umilta`, con fervore di carita`. La pedagogia di SB tende sopratutto a promuovere il buon uso della parola nelle relazioni concrete; siamo indirizzati dunque sul terreno delle relazioni fraterne, un argomento di cui RM non si occupa mai, ma che per SB e` di capitale importanza.

Percio` la tradizione monastica ha assegnato pure un tempo per la ricreazione comune: parteciparvi e portarvi il proprio contributo di pensiero, di amore e di gioia e` un atto di obbedienza e di carita`.


APPENDICE

La riscoperta del silenzio oggi.

Lo stile e le motivazioni di RB.6 ( e a maggior ragione di RM.8-9) sembrano lontani dalla sensibilita` di oggi. E di fatto quanto di quel silenzio viene ancora praticato oggi?

Eppure negli ultimi tempi e` stato riscoperto, e proprio dai "laici", il valore del silenzio. Cio` e` dovuto alle condizioni attuali della vita moderna: si sente il bisogno di pace (la "quies" latina, la "hesychia" greca dei Padri) per poter ascoltare veramente la Parola di Dio come unica, capace di significato, capace di suscitare vita nuova.

E' anche una reazione alla teologia dotta, legata troppo a sistemi filosofici e separata dalla vita liturgica e spirituale> Forse proprio perche` i cristiani hanno saputo mostrare troppo poco questa unita` di parola e di silenzio, del vuoto dell'uomo e della pienezza di Dio che e` scoppiata la corsa verso le religioni asiatiche. Con tutto il rispetto per esse, e riconoscendo che c'e` stata negli ultimi anni una riscoperta reciproca senz'altro positiva, pero` e` indubbio che e` stata una reazione contro la Chiesa e il cristianesimo dimentichi della loro tradizione spirituale.

E allora, qual'e` la nostra risposta di monaci? La Regola e il suo discorso sul silenzio possono aiutarci? La dottrina della RB sul silenzio, abbiamo visto, non ha connotazioni mistiche, ma fa parte delle pratiche ascetiche insieme all'obbedienza, all'umilta`, alle buone opere, ecc. Quindi c'e` da riprendere tutto il discorso sulla mortificazione, perche` un discorso sul silenzio solo mistico rischia di essere poco realistico e... poco monastico.

(Riassunto da: M.B.BOGGERO: Appunti sulla Regola di S.Benedetto, o.c., capitoli 4-7, pp.70-75)

""Il silenzio e` prima di tutto privazione della propria parola, distacco dalla propria volonta` e dal proprio modo di percepire le cose, deserto fatto in se stessi, perche` la parola di Dio possa risuonare. Questo aspetto di contraddizione, di vuoto, di aridita` (ecco il deserto biblico) e` il primo e sempre ripetuto passo verso l'incontro con Dio, come ci mostrano tutte le teologie monastiche. Troppo spesso il tema del silenzio viene sentito come una nostalgia dell'ineffabile, senza prendere coscienza che e` questa esperienza quotidiana di negazione di se` che ci viene proposta continuamente dalla vita in monastero.

Ed e` il silenzio fatto da Dio, dalla sua azione in noi, come si manifesta nella vita quotidiana concreta, nella liturgia, nella Parola, nei rapporti fraterni. C'e` il rischio di considerare il silenzio del monaco un po' come tecnica (affine alle tecniche di meditazione e di preghiera orientali (yoga, zen, buddhismo) e non come il lavoro operato in noi dalla grazia di Dio, dall'azione dello Spirito in noi. Solo cosi` il silenzio puo` diventare lode e adorazione, azione di grazie, espressione della risposta fedele dell'uomo all'eterna fedelta` di Dio."" (Ibidem pp.70-75)


CAPITOLO 7

L'umilta`.

De humilitate.

Preliminari

Questo lungo capitolo assomma tutta la dottrina ascetica di S.Benedetto, e` il midollo della sua spiritualita`. Nell'affrontarlo dobbiamo anzitutto evitare di pensare al concetto ristretto che la parola UMILTA` ci richiama spontaneamente, per che` in questo trattato intitolato "L'umilta`" troviamo i temi piu` svariati, come il timor di Dio, la pazienza, il silenzio, l'obbedienza, la gravita`, l'imitazione di Cristo, ecc.

Concetto molto ampio di "umilta`"

La RB, con la parola "umilta`", designa tutta una realta` spirituale che e` molto lontana da quello che si intende comunemente nei trattati di morale e nei trattati di teologia in occidente: questi ne hanno un concetto molto ristretto, distante dalla tradizione biblica e patristica. Nella Scolastica, con la classificazione delle virtu`, l'umilta` viene collocata tra le suddivisioni della modestia, la quale a sua volta fa parte della virtu` cardinale della temperanza (cf.S.Tommaso, Somma Teologica, II-II, q.161) e veniva definita per esempio: "una virtu` dell'appetito irascibile che frena il desiderio della propria grandezza, facendoci conoscere la nostra pochezza davanti a Dio". E notiamo che S.Tommaso non ritiene giustificabile la scala dei 12 gradini di umilta` di S.Benedetto, proprio perche` ci sono incluse cose che riguardano altre virtu`! (cf.ibidem, art.6). In S.Tommaso e nella Scolastica c'era l'intento di una sistematizzazione di tutta la teologia e quindi della classificazione di tutte le virtu.

Completamente diversa e` la mentalita` di SB (che fra l'altro non intendeva fare alcuna classificazione sistematica!): in lui la famosa scala abbraccia la traiettoria completa della vita umana, comprende tutto il cammino ascetico, comporta elementi interni ed esterni, informa tutta la vita dello spirito; il concetto di umilta` e` di una ampiezza e di una profondita` indescrivibile.

Il termine UMILTA`

Il vocabolo humilitas, traduzione dal greco tapeinos <basso, piccolo, povero, meschino, insignificante> deriva - come la parola "homo' e "humanus" - da "humus" <terra>, e significa "appartenente alla terra", "formato dalla polvere della terra", "inclinato alla terra". Nel latino classico "humilitas", riferito alle persone, e` sinonimo di ignobilita`, afflizione, infermita`, poca importanza, e si usa sia per indicare l'oscurita` delle origini o della condizione sociale, sia per i pochi mezzi economici, sia per la pochezza del carattere, ecc.; indica cioe` uno stato servile, basso, volgare, miserabile, disprezzabile. Nella letteratura greca e romana le parole "tapeinos" e "humilis" designavano in generale uno spirito vile, sentimenti servili che portavano al timore e all'adulazione; erano il contrario di magnanimita`, nobilta`, sentimento della propria capacita`. Per i filosofi pagani, l'umilta` non e` stata mai un ideale (da qui pero` non e` esatto dire che essi coltivavano l'orgoglio, che essi anzi condannavano come vizio; raccomandavano una certa forma di modestia che chiamavamo "sophrosyne" <riconoscimento dei propri limiti>.

L'umilta` diventa una parola con significato positivo, come un ideale morale e religioso, solo nel linguaggio degli autori cristiani, alla luce di tutta la tradizione biblica.

L'umilta` nella S.Scrittura:

a) A.T.

L'umilta` occupa un posto centrale nella teologia biblica. Gesu` in persona proclama l'ideale dell'umilta` nel discorso della montagna, pero` la dottrina che predicava non era interamente nuova, ma era preparata da una lunga tradizione dell'AT.

Prima di diventare un ideale morale, l'umilta` e la poverta` (si trovano sempre unite) indicavano una realta` sociale. Nell'ebraico abbiamo vari termini, sopratutto <ani`> e <anawim> (nel greco 'tapeinos') e si intendono tutti coloro che si trovano in uno stato di miseria, di abbattimento: poveri, deboli, piccoli, indifesi (notiamo l'espressione: "il povero, l'orfano e la vedova" che appare continuamente nella Bibbia). Tutti costoro godono del favore di Dio (cf.Giuditta 9,11) per la loro stessa necessita` e percio` aprono il cuore all'esperienza di Dio che li soccorre (cf.Giobbe 5,11; salmo 9,14; 17,28;106,12, ecc.). Dio esalta il misero e il povero e abbassa i superbi (cf.1Sam.2,7-8; salmo 145,7-9, ecc.). I testi sono moltissimi. Le leggi promulgate da Yahwe proteggono i poveri e gli umili; Dio si fa difensore ("rende giustizia") di queste categorie; i profeti insistono su questo, i salmi esaltano questo. E si noti che nei testi biblici non si fa allusione molto alle virtu` e ai meriti dei "poveri": puo` darsi che siano giusti e pii, ma non e` questo l'aspetto sotto cui vengono considerati; si tratta di gente infelice a favore dei quali Dio si compiace di far risplendere la sua misericordia.

Nei testi dell'esilio e del post-esilio va acquistando man mano importanza l'aspetto piu` interno e spirituale dell'umilta`: si esalta come ideale religioso l'umile, il povero, il quale pone tutta la sua speranza non nei beni terreni ma solo in Dio (cf.Is.57,15; 66,2). Quindi l'umilta` e` legata intimamente con la poverta`; gli umili per eccellenza sono gli <anawim>, i "poveri di Yahwe; non si tratta solo e sempre di indigenza materiale, ma di una disposizione interiore, tanto che il greco ha reso spesso il termine con la parola <praus> = mite, sottomesso, umile, mansueto.

b) nel NT.

Nel NT i "poveri di Yahwe" sono i semplici, gli umili che accettano la salvezza, il Messia: i pastori, i popolani, i pescatori, Anna, Simeone e al vertice MARIA, una figlia del popolo campagnolo della Palestina, cosi` disprezzato, su cui Dio fissa il suo sguardo: "ha guardato l'umilta` (=la pochezza) della sua serva" (Lc.1,48 e si noti nei vv.51-53 del Magnificat il linguaggio dei "poveri di Yahwe" dell'AT, sopratutto il parallelo con il cantico di Anna, madre di Samuele: 1Sam.2,1-10).

In tale linea e` stata la vita e l'opera di Gesu`, Figlio di Dio e di Maria di Nazareth. Gesu` si presenta come il Messia dei poveri, degli umili, degli "anawim" (cf.Lc.4,18-19 che cita Isaia 61,1-2) e proclama beati questi tali (Mt.5,3-6; Lc.6,20-21). Solo coloro che si sentono piccoli come i bambini entreranno nel Regno (Mc.10,25; Mt.18,31; Lc.18,16-17); non bisogna occupare i primi posti (Lc.14,10); bisogna riconoscersi "servi inutili" (Lc.17,7-10). Gesu` ripete la sentenza dell'AT che Dio esalta gli umili e abbassa i superbi: "Chi si esalta sara` umiliato e chi si umilia sara` esaltato" (Mt.23,12; 18,4; Lc.14,11; 18,14).

GESU` sopratutto insegna cio` in modo mirabile con il suo esempio; egli stesso si mette tra gli "anawim" e si offre come modello: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt.11,29). L'umilta` di Cristo ha due aspetti:

umilta` radicale davanti a Dio e

umilta` fraterna rispetto agli uomini che si manifesta concretamente nello spirito di servizio: "Il Figlio dell'Uomo non e` venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita..." (Mt.20,26). Gesu` si identifica con i poveri, con i piu` miseri: "Cio` che avete fatto al piu` piccolo..." (Mt.25,40) e, invece di cercare la sua gloria, (Giov.8,50), si umilia fino a lavare i piedi ai suoi apostoli (Giov.13,2-17), il che era un compito caratteristico degli schiavi.

La KENOSIS di Cristo

Cristo, al dire di S.Agostino (Discorso 62,1), "fu maestro di umilta` con la parola e con l'esempio". E cosi` e` stato inteso dai discepoli e dalla Chiesa primitiva. S.Paolo parla della "kenosis" <abbassamento> volontaria di Cristo nel famoso inno cristologico di Filippesi 2,5-8, testo di una profondita` e di una trascendenza incalcolabile. Dovendo esortare i Filippesi alla concordia e all'amore reciproco, S.Paolo invita a considerare non solo l'esempio di Cristo, ma ad imitarne la disposizione di animo radicale dall'incarnazione al calvario: "abbiate in voi gli stessi sentimenti...", quindi imitate la sua estrema "kenosis". Cosi` umilta` e imitazione di Cristo diventano sinonimi. Essere umili, nel senso proprio, cristiano della parola, consiste nel seguire Cristo umile, identificarsi con Cristo umile, fino al punto che siamo capaci di imitarlo nel sua abbassamento e nella sua umiliazione fino alla morte di croce, per compiere la volonta` del Padre (I aspetto: umilta` davanti a Dio) e prestare agli uomini il supremo servizio di dare la vita per loro (II aspetto: umilta` fraterna).

L'umilta` presso i Padri

Con i testi dell'epoca patristica si potrebbe formare una bellissima e densa antologia sull'umilta`, tanto essa appare con frequenza sia presso i Padri Greci che presso quelli Latini. Per Atanasio e` un'attitudine interiore; per Basilio il servizio del prossimo; per Giovanni Crisostomo madre e guida; per Girolamo guardiana di tutte le virtu`. E tutti la vedono in relazione all'esempio di Cristo. Origene parla con insistenza ed entusiasmo di Cristo quale "maestro di umilta`"; cosi` Clemente Alessandrino, Basilio, Gregorio di Nissa, Ambrogio e sopratutto S.Agostino con testi numerosi ed espressioni commoventi: "Fu crocifisso per te per insegnarti l'umilta` (Discorsi su Giovanni 2,4); "Gli sembro` poco essersi fatto uomo, ma volle anche essere condannato dagli uomini; poco, essere condannato, volle anche essere disonorato; poco, essere disonorato, volle anche essere ucciso; poco, essere ucciso, volle anche essere crocifisso..., poiche` non si trattava di una morte qualunque..., scelse la piu` terribile e dolorosa forma di morte..., si umilio` talmente che accetto` la morte in croce" (ibid. 36,4)

L'umilta` nel monachesimo primitivo

S.Agostino si considerava monaco e in realta` lo fu; anche per questo ha saputo comprendere cosi` bene l'umilta` di Cristo. Difatti per il monachesimo fin dalle origini l'umilta` occupa un posto particolare. In tutta la tradizione monastica essa appare come valore fondamentale:

- "meta di tutta l'ascesi",

- "la piu` eminente delle virtu` per il monaco",

- "l'umilta` porta a Dio",

- "medicina di tutte le ferite",

sono gli elogi che troviamo in tutta la letteratura del monachesimo primitivo. E troviamo anche una infinita` di manifestazioni: vestire poveramente, lavare i piedi agli ospiti, rifiutare il sacerdozio, obbedire senza limitazioni al padre spirituale o al superiore del monastero... Cosi` per la tradizione monastica la parola "umilta`" acquista un significato straordinariamente ampio che include la bassa stima di se stesso, le umiliazioni, l'obbedienza, l'imitazione di Cristo e altri concetti di maggiore e minore importanza.

L'umilta' in Cassiano

Tutto questo appare chiaramente dalle opere di Cassiano, da cui dipendono RM e RB. E` significativo che egli non dedica nessuna delle sue "Collazioni" all'umilta` in particolare, proprio perche` - come si e` detto - per gli antichi monaci essa non e` una virtu` particolare, ma piuttosto un atteggiamento, uno spirito che pervade tutte le virtu`. Nel 12^ libro delle "Istituzioni" dimostra che l'umilta` e` la disposizione fondamentale di tutta la perfezione cristiana e, nello stesso tempo, il suo coronamento. Secondo Cassiano l'umilta` non solo abbraccia tutto il processo di purificazione dell'anima, dall'estirpazione dei vizi all'acquisto delle virtu`, ma anche continua fino alla carita` perfetta e ai diversi gradi della contemplazione; la sua importanza e` tale che occupa il posto centrale nella concezione del monachesimo, in modo che umilta` potrebbe usarsi per designare la vita monastica (Coll.9,3; 24,9). L'umilta` insomma consiste in una disposizione spirituale profonda e sincera che accompagna e da` autenticita` a tutte le opere, a tutti gli sforzi e a tutte le virtu` del monaco.

I testi sono numerosi. Ricordiamo solo l'itinerario diventato poi classico (la famosa scala di RM e RB), che parte dal timore del Signore e dei suoi castighi e conduce, attraverso i gradi intermedi della purificazione dei vizi e del distacco dal mondo, alla carita` perfetta. Si trova in: Istit.4,32-43: esortazione dell'abate Pinufio ai novizi; in particolare nei capitoli 38-39 si parla di dieci "indizi" o "segni" dell'umilta`, che hanno dato poi lo spunto ai "gradini" dell'umilta` di RM e RB.

L'umilta` nella RM

La RM tratta dell'umilta` nel capitolo 10 (123 versetti) e dipende chiaramente da Cassiano. RM introduce l'idea della scala, i cui lati sono l'anima e il corpo, cioe` l'uomo nel suo insieme. L'immagine significa che ogni gradino si inserisce contemporaneamente in questi due montanti. Ai dieci indizi di Cassiano, la RM aggiunge il 1^ e il 12^ gradino, i quali si richiamano e presentano una struttura bipartita con una faccia interna e una esterna.


Il capitolo 7 di RB

La struttura generale del trattato sull'umilta` di S.Benedetto (RB.7) dipende con ogni evidenza dal capitolo parallelo RM.10, sopratutto nella suddivisione e nell'ordine dei gradini; nella definizione di "gradino dell'umilta`" che non si trovava in Cassiano e nell'illustrazione scritturistica.

Tuttavia vi sono importanti differenze: SB abbrevia molto (70 vv. contro i 123 di RM.10); varia l'introduzione ai singoli gradini; usa il termine "monachus", mai il termine "discipulus" come in RM dove ogni capitolo ha la forma di una risposta del maestro alla domanda del discepolo. Sopratutto e` importante la modifica nella conclusione: SB sopprime la lunga conclusione della RM con la descrizione della patria celeste, come del resto abbrevia anche nel preambolo alcuni accenni al cielo; cioe` per SB l'umilta` conduce semplicemente alla carita' perfetta; cosi` la sua conclusione e` piu` semplice e piu` armonica e fa vedere un cammino preciso nella vita monastica che dalle strettoie dell'osservanza conduce alla perfezione della carita`, al cuore dilatato e alle vette della virtu`. Difatti bisogna confrontare la finale del capitolo 7 (RB.7,67-70) con Prol.49-50 e con RB.73,8-9, cioe` con l'inizio e la fine della Regola (testi propri di SB).

STRUTTURA del capitolo 7 della RB

Il capitolo 7 di S.Benedetto ha questa struttura:

- necessita` dell'umilta` (vv.1-4);

- la scala di Giacobbe (vv.5-9);

- i 12 gradini dell'umilta` (vv.10-66);

- epilogo (vv.67-70).

Rapporto tra Cassiano e RM-RB

Riguardo alla scala dell'umilta`, esaminiamo in questo specchietto la corrispondenza tra gli "indizi" di Cassiano e i "gradini" di RM e RB:

CASSIANO RM - RB | CASSIANO RM - RB

(indizi) (gradini) | (indizi) (gradini)

|

1 2 | 6 8

2 5 | 7 6

3 cf.3 | 8 7

4 cf.3 | 9 9 e 11

5 4 | 10 10

Il primo gradino di RM-RB, il piu` lungo, non si ritrova in Cassiano, cosi` anche per il 12^; inoltre gli indizi 3^ e 4^ di Cassiano sono uniti in un solo gradino, mentre il 9^ di Cassiano viene diviso in due differenti (9 e 11) da RM e RB; anche la sequenza e` differente. Esaminiamo ora il testo di RB.7

1-4: Necessita` dell'umilta`

SB pone come pietra fondamentale del suo trattato sull'umilta` una massima del Signore e la pone con particolare enfasi e solennita`: "Fratelli, la divina Scrittura ci grida..." <clamat, e` la prima parola del capitolo!>.

Il termine "esaltazione - ascoltare" compare ben 8 volte nei primi 10 vv. e poi nei gradini 7^ e 10^. Dal testo del Vangelo SB deduce che atto di superbia e` "ogni esaltazione": di pensiero, di parole, di azioni, e introduce la citazione del salmo 130,1-2. Nel v.4, citando il v.2 del salmo, SB riporta la versione della Volgata, che ha un senso diverso; nella nuova traduzione il v.2 del salmo suona cosi`: "Io sono tranquillo e sereno, come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato e` l'anima mia": il salmista cioe` ha dominato i movimenti di superbia e ha reso la sua anima simile a un bambino che, gia` divezzato, sta fiducioso, tranquillo, in braccio a sua madre. Invece, seguendo la versione antica, SB legge: "Se non nutro..., tu mi tratti come un bambino divezzato dal seno di sua madre". Qui la posizione del bambino e` diversa, e` quella di un rigettato che soffre; quindi SB, dopo il proposito del salmista di evitare lo spirito di superbia, vuole rivelare la punizione a cui si esporrebbe l'orgoglioso: sarebbe discacciato da Dio come il bimbo dal seno materno.

5-9: La SCALA di Giacobbe

SB giunge a una conclusione: i nostri atti di abbassamento nell'umilta` sono veri atti di ascensione verso la perfezione. Tale ascensione conduce all'idea della scala. Cassiano, abbiamo visto, a proposito dell'umilta`, parla di "indizi", di "segni", da cui il padre spirituale puo` conoscere l'umilta` del discepolo; pero` in altri luoghi, trattando del cammino verso la perfezione, parla di "gradi" (Istit.4,39); cosi` anche di "gradini discendenti della superbia" (Inst.4,29-30), di "gradini della giustizia" (Coll.12,7) ecc. Comunque, l'allegoria della scala e` antichissima e costituisce un tema spirituale frequente nella letteratura monastica e patristica per indicare l'ascensione dell'anima verso Dio e il progresso nella vita spirituale. Basti ricordare che S.Giovanni Climaco, contemporaneo di SB, deve il suo nome appunto a un trattato sulla "Scala (in greco <climax>) del Paradiso", dove la vita spirituale e` paragonata ad una salita per 30 gradini. SB aggiunge un'applicazione allegorica della celebre scala di Giacobbe (Gen.28,12) a cui spesso si richiamavamo gli antichi scrittori, come S.Basilio, Cassiodoro, e specialmente S.Girolamo: "... il patriarca Giacobbe vede nel sonno una scala..., per la quale con diversi gradini di virtu` si sale in alto" (Epistola 98,3).

7: gli angeli che salgono e scendono: senso accomodatizio

E` singolare il senso accomodato che SB da` agli angeli. Gli angeli che salgono e scendono, comunemente sono visti come intermediari tra Dio e gli uomini: alcuni scendono a portare i doni di Dio, altri salgono a portare le preghiere e le azioni degli uomini. Per SB significano umilta` e superbia; e si noti con che forza si ferma su questa insolita interpretazione: "senza dubbio... significa solo questo..."!

8-9: la scala simbolizza la nostra vita terrena:

ed e` Dio che la erige (si noti bene l'iniziativa di Dio, come nel v.9 e` Dio che chiama a salire la scala). I lati (SB pensa a una scala a pioli - quindi le due fiancate, gli stazzi - sono il corpo e l'anima, cioe` i due principi costitutii della natura umana, perche` l'umilta` deve essere interiore ed esteriore; difatti ha citato prima (v.3) il salmo 130,1: "il mio cuore non si inorgoglisce e il mio sguardo non si leva in superbia: il cuore = l'interno, lo sguardo = l'esterno.

10-16: I DODICI GRADINI DELL'UMILTA`

SB (e RM prima) enumera i 12 gradini di umilta`. Dodici e` un numero sacro e simbolico. La RB presenta semplicemente un itinerario che va dal timore all'amore perfetto, attraverso varie manifestazioni dell'umilta`. Notiamo che SB, riproducendo gli "indizi" di Cassiano, li rielabora e li arricchisce sempre alla luce della Scrittura: e` la Parola di Dio che si dirige al monaco ed e` il Signore, per messo dello Spirito Santo, che trasformera` man mano il "suo operaio" (v.70). Abbiamo cosi` nella scala un significato profondamente religioso:

- e` la chiamata di Dio che ci invita a salirla (v.9),

- si comincia con una relazione diretta con Dio (riverenza e sottomissione

a Dio, 1^ gradino),

- si termina con una relazione diretta a Dio (carita` perfetta),

- e tutto questo lo opera Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo (v.70)

Possiamo quindi presentare questo aspetto della scala dell'umilta`: dal timor di Dio all'amore perfetto attraverso:

- il medesimo timor di Dio (1^ gradino)

- l'obbedienza (2^, 3^, 4^ gradino)

- l'abbassamento totale di se` (5^, 6^, 7^ gradino)

- annullamento tra gli altri (8^ gradino)

- taciturnita` (9^, 10^, 11^ gradino)

- tutto il comportamento esterno (12^ gradino).

I sette primi gradini hanno per oggetto la condotta interna del monaco umile; gli ultimi cinque la sua condotta esterna.

10-30: 1^ GRADINO: timor di Dio

Il primo gradino invita alla vigilanza su di se` e sulle proprie azioni a causa della presenza di Dio che domina la vita dell'uomo, secondo una mentalita` tipicamente biblica. Dopo un enunziato generale e la descrizione del timor di Dio per evitare i peccati col pensiero, con la volonta` propria, con i desideri (vv.10-12), fornisce le prove scritturistiche per le singole parti: pensieri (vv.13-18), volonta` (vv.19-22), desideri (vv.23-25); e conclude con una esortazione riassuntiva (vv.26-30).

10-12: enunziato generale

Il gradino ha un carattere fortemente escatologico, sia per la presenza di temi come il giudizio, la morte, l'inferno, sia per il vocabolario. La dottrina del timor Domini <timore del Signore> e` frequente nella Scrittura. Cassiano l'ha posto fuori della serie, quale base dei suoi "indizi", dato che esso e` il "principio della nostra salute e sua custodia", citando la celebre definizione biblica: "principio della salvezza e` il timore del Signore" (Prov.9,10; salmo 110,10). Anche SB ritiene la riverenza a Dio come radice di tutta l'umilta`. Nella RB e` Dio che chiama, cerca, scruta l'uomo, aspetta che si converta (Prol.14,34-37); la custodia di se` e` la consapevolezza dell'azione di Dio.

Si noti il parallelismo tra Prol.40 e RB.7,10-11 con il verbo "fuggire" e il ricordo dell'inferno e della vita eterna. La custodia di se` si sintetizza nella famosa frase del v.10 "oblivionem omnino fugiat" <fugga completamente la dimenticanza>, cioe` quella condizione di leggerezza e di dissipazione che ci fa vivere dimentichi della grande realta` che Dio e` presente. Quindi timor di Dio significa (e si puo` tradurre) senso della presenza di Dio, con la riverenza suscitata dalla contemplazione delle sue infinite perfezioni, dinanzi a cui l'uomo, che e` nulla e peccato, necessariamente adora e si umilia; e` fondato ancora sul motivo della pena e della ricompensa, ma dara` luogo alla fine della scala (vv.67-70) al timore fifliale, cioe` alla carita` perfetta.

13-18: applicazione ai peccati di pensiero

La presenza di Dio sui pensieri buoni e cattivi e` confermata dalla S.Scrittura (vv.13-17), percio` stiamo in guardia da quelli cattivi (v.18). SB riporta cinque citazioni bibliche. Notiamo sulla quarta (v.17) del salmo 75,11 che il senso originale e` diverso. La nuova traduzione dice: "l'uomo colpito dal tuo furore ti da gloria". SB cita la Volgata e prende la parola "confitebitur non nel senso attivo di "lodare", ma nel senso passivo di "essere confessato, svelato". Notiamo ancora nel v.13, e in seguito nel v.28, la menzione degli angeli come messaggeri di Dio (e all'inizio del capitolo, nel v.6, gli angeli sulla scala di Giacobbe): e` uno dei temi escatologici cari e comuni nella tradizione e nella letteratura monastica.

19-22: applicazione all volonta` propria

Qui manca il ricordo della presenza di Dio perche` SB concepisce la volonta` propria sempre come cattiva (di qui il suo pallino dell'obbedienza!); tutto il brano si limita quindi a richiamare il divieto di seguire la propria volonta`. Abbiamo anche qui quattro citazioni bibliche (una implicita). Per indicare il Padre Nostro, nel testo latino c'e` solo la parola "oratione", cioe` la preghiera per eccellenza, quella insegnata da Gesu`.

23-25: applicazione ai desideri cattivi

Dio e` presente a tutti i nostri desideri, quindi dobbiamo astenerci da quelli cattivi. Si noti nel v.22 la frase: "la morte sta in agguato proprio all'inizio del piacere peccaminoso", presa letteralmente dagli "Atti di S.Sebastiano" falsamente attribuiti a S.Ambrogio, ma certo molto antichi; si vede che SB e i monaci li leggevano spesso insieme agli altri Atti dei Martiri.

26-30: ricapitolazione del 1^ gradino. Esortazione conclusiva

Abbiamo in questi vv. un riepilogo generale sulla presenza di Dio e la messa in guardia da ogni peccato. Si tratta della memoria di Dio, termine tecnico della teologia spirituale antica: la "mneme Theou`" <memoria Dei>; la fonte principale di questo primo gradino e` S,Basilio il quale ne tratta nelle sue Regole in molte questioni in risposta a domande di monaci. L'atteggiamento di "memoria" e di custodia deve essere costante, come e` espresso dagli avverbi: semper (vv.10, 11, 13, 23, 27); omni hora (vv.12,13,29); omni loco (v.13). E` poi una "memoria" in senso totale: memoria del giudizio di Dio, del premio e del castigo futuri; memoria dell'amore di Dio, della sua opera di salvezza, della sua chiamata. Tutto cio` e` indispensabile per compiere l'opera di purificazione e giungere alla "purezza del cuore".

Dunque il 1^ gradino evoca questa "memoria Dei", o ricordo del Dio santo, giudice dei nostri atti, per indurci a rinunciare alla nostra volonta`, alle nostre "vie", per seguire le "vie" di Dio che ci precede, ci conosce e ci giudica. Quindi: 1^ gradino di umilta` = timor di Dio, senso della presenza di Dio, nel significato spiegato sopra.

31-33: 2^ GRADINO: obbedienza alla volonta` di Dio

34: 3^ GRADINO: obbedienza al superiore

35-43: 4^ GRADINO: obbedienza fino all'eroismo

Facciamo prima qualche osservazione riguardo alle citazioni. Nel v.33 (2^ gradino) SB riporta una sentenza citandola inesattamente come dalla Scrittura; la spiegazione deve trovarsi nel fatto che egli cita a memoria e la frase, che gli sara` stata familiare, per svista la ritiene biblica, simile per esempio a qualcuna dei Proverbi.

Nel v.37 (4^ gradino), nella citazione del salmo 26,14 e` piu` probabile che SB intenda "sustine" nel senso di "sopporta"; questo appare dal contesto: c'e` immediatamente prima e immediatamente dopo lo stesso vocabolo "sustinere" nel senso di sopportare. Il significato sarebbe: sostenere (=sopportare) con fede e pazienza l'ora di Dio il quale, per vie talvolta durissime alla natura umana, ci guida alla santita`. Nel v.40 (4^ gradino), nella citazione del salmo 65,10-11, il salmista allude alle gravi sciagure cui soggiacque il popolo per permissione di Dio che lo voleva purificare; SB applica il testo alle sofferenze che Dio puo` permettere che il monaco incontri nell'obbedienza. Cosi`, continuando nel v.41 la citazione del salmo 65,12, SB continua nel senso accomodatizio: il salmista allude all'uso dei vincitori di calpestare i vinti; SB dice che i monaci devono sottomettersi volentieri ai superiori, perche` Dio stesso li ha posti sopra di noi!

In questi gradini dell'umilta` che riguardano l'obbedienza, appare Gesu` Cristo. Non stiamo soltanto davanti a Dio tre volte santo, terribile, giudice. Al momento di fare il passo definitivo, di rinunciare alla propria volonta` e abbracciare l'obbedienza sino alle ultime conseguenze, Cristo e` unito a noi.

Tra i primi quattro gradini esiste un perfetto crescendo: anzitutto il monaco si fa permeare dal timor di Dio e dalla necessita` di rinunciare alla volonta` e ai desideri propri (1^ gradino); poi rinunzia a soddisfare i suoi desideri per realizzare il piano di Dio (2^ gradino); quindi decide di sottomettersi agli ordini di un superiore, il che e` gia` piu` difficile (3^ gradino); infine accetta ogni forma di obbedienza, per quanto dura e penosa possa essere (4^ gradino). Ebbene, e` Cristo che lo trascina in questo abbassamento che e` il contrario dell'orgoglio di Adamo che voleva innalzarsi fino a Dio.

L'imitazione di Cristo ha un'importanza fondamentale nella RB. Si e` notato che il verbo "imitare" (Gesu` Cristo) si riferisce quasi sempre alla sua obbedienza. L'imitazione dell'obbedienza di Cristo ha la sua espressione piu` perfetta in questi gradini di umilta`:

- il 2^ e` l'obbedienza "ad imitazione" di Cristo che disse: "Non sono venuto... (v.32, cit.Giov.6,38);

- il 3^ consiste nell'obbedire fino alla morte "ad imitazione" di Cristo di cui l'Apostolo dice: "Si e` fatto obbediente..." (v.34, cit.Fil.2,8)

- il 4^ gradino, anche se non menziona espressamente l'esempio e l'imitazione di Cristo, equivale realmente alla morte in croce. Che cosa e` infatti il 4^ gradino dell'umilta` se non la piena realizzazione della frase di Prol.50: "Partecipiamo con la pazienza ai patimenti di Cristo"? Ecco che il monaco il quale incontra nell'obbedienza grandi contrarieta`, o addirittura ingiurie, le accetta in silenzio.

Nel v.35 e` l'unica volta che SB usa il termine "conscientia" ad indicare quel silenzio interiore di pazienza e pone in rilievo l'interiorita` dell'obbedienza. Il monaco pienamente umile abbraccia la pazienza nell'intimo del suo cuore in unione a Cristo silenzioso durante la passione; e` realmente il martirio dell'obbedienza, e` il martirio spirituale che succede al martirio di sangue, di cui parlano i Padri del monachesimo: il monaco diventa il nuovo martire (i monaci furono sempre considerati come i successori dei martiri cristiani), l'imitatore di Cristo per eccellenza. Siamo veramente al fondo dell'umilta`, alla partecipazione alla "kenosis" di Cristo fino alla morte di croce.

44-48: 5^ GRADINO: apertura di coscienza

Col 4^ gradino abbiamo gia` toccato il fondo dell'umilta`. I tre gradini seguenti tuttavia conducono il monaco all'umile riconoscimento della sua indigenza spirituale:

5^ - la confessione delle sue colpe;

6^ - la confessione della radicale fragilita` della sua natura umana;

7^ - la confessione sincera e profonda, cioe` la convinzione interiore, che e` l'ultimo e che e` bene essere umiliato e sottomesso.

Cosi` abbiamo la sequenza dei primi sette gradini che riguardano l'aspetto interiore dell'umilta`:

* umilta` - timor di Dio (1^)

* umilta` - obbedienza (2^,3^.4^)

* umilta` - umiliazione (5^,6^,7^).

E' dunque umiliazione, e non piccola, rivelare sinceramente all'abate i peccati segreti o anche i pensieri cattivi che vengono in mente. Si tratta di un gradino impegnativo: il cuore del monaco viene svelato, portato alla luce, egli accetta di essere rivelato a se stesso. La manifestazione dei pensieri fa parte del nucleo piu` antico della spiritualita` monastica; i "pensieri" (=pensieri, impulsi, passioni, <loghismoi> in greco) formavano la preoccupazione maggiore dei primi monaci, sopratutto per chi era eremita (cf.RB.1,5) e nel saperli svelare e combattere consisteva la saggezza del deserto; pero` solo i Padri che possedevano il carisma del discernimento potevano giudicare rettamente circa questi "pensieri". Cassiano ha trasmesso tutta questa spiritualita` all'occidente: questo gradino corrisponde al 2^ "indizio" di Cassiano (vedi piu` sopra la tabella).

Notiamo che cio` avveniva quando il superiore non era del tutto istituzionalizzato, era ancora il "padre spirituale". La successiva evoluzione ha dato all'abate altre connotazioni meno carismatiche. Si e` cosi` operata una divisione tra l'abate e il cosiddetto "padre spirituale". Come dobbiamo interpretare questo gradino? Come riferito all'abate (in SB e` cosi`, sopratutto qui; cf.pero` anche RB.4,50; 46,5), oppure a un'altra figura? E` un punto da discutere. Resta comunque la necessita` per il monaco di una capacita` di autoriconoscimento, di fronte all'abate e ai fratelli, della propria miseria.

Delle tre citazioni bibliche che commentano il 5^ gradino, notiamo che nella seconda del salmo 105,1 SB ha preso la parola "confitemini" nel senso di "confessatevi", "rivelatevi", mentre nel salmo significa "lodate".

49-50: 6^ GRADINO: essere contento delle cose piu` vili e di essere umiliato

Il 6^ gradino riproduce il 7^ "indizio" di Cassiano e consiste in cio`: il monaco non solo si contenta delle cose piu` vili e spregevoli, ma si considera un operaio cattivo e indegno (allusione, anche se non c'e` la citazione esplicita, a Lc.17,10). Notiamo che la citazione del salmo 72,22-23 non e` molto appropriata: la` il salmista si accusa di essere stato stolto nel giudicare la felicita` degli empi; SB applica il passo al suo contesto, nel senso di una sincera confessione dinanzi a Dio e di una volontaria accettazione dello stato di abiezione; bello in questo senso (anche se applicato) il v.23: "ma io sono sempre con te"!

51-54: 7^ GRADINO: coscienza della propria miseria, di essere l'ultimo di tutti

Il 7^ gradino corrisponde all'8^ "indizio" di Cassiano ed e` collegato strutturalmente al precedente: e` il culmine della umiliazione, dell'abbassamento di se stesso; il monaco si riconosce piu` indegno e spregevole di tutti. Il progresso, rispetto al gradino precedente, e` sopratutto nel fatto che e` piu` facile il riconoscimento della propria pochezza nei confronti di Dio, molto meno nei confronti degli altri. Nelle Vitae Patrum (3,206) si legge: "Crediti inferiore a tutti gli uomini""; nella Regola di Macario (3): "Ciascuno si disprezzi come inferiore a tutti"; in S.Basilio (Regola 62): "L'umilta` sta nel riputare tutti gli uomini superiori a noi". Del resto, il consiglio risale a S.Paolo: "Ciascuno di voi consideri, in tutta umilta`, gli altri superiori a se stesso" (Fil.2,3 e poi prosegue con il famoso inno sulla "kenosis" di Cristo).

Delle tre citazioni bibliche notiamo che nella seconda del salmo 87,16 il salmista (secondo la Volgata) rileva che dopo essere stato esaltato, e` stato umiliato e oppresso. SB cita il testo nel senso che Dio umilia e confonde come castigo dell'orgoglio; la nuova traduzione dice: "sono sfinito, oppresso dai tuoi terrori". La citazione del salmo 118,71 e` precisa ed e` molto importante per lo sfondo teologico di questi gradini: l'umilta` e` vista come il risultato di un cammino di fede; dentro la propria umiliazione si riconosce la presenza di Dio, l'azione educativa di Dio che ci purifica: "Bene per me se sono stato umiliato... Commovente poi la citazione del salmo 21,7: "Io sono un verme..."; cosi` il monaco si appropria della parola di Cristo sofferente e diventa simile a lui.

(Conviene avvertire che poche anime arrivano a questa cima e ci vivono abitualmente: e` certamente un dono di Dio" (Marmion).

55: 8^ GRADINO: evitare la singolarita`

Finora l'umilta` si e` mantenuta sopratutto all'interno: la Regola ha cercato di radicare l'umilta` nel cuore del monaco. Ora si passa alle manifestazioni esteriori. Questo 8^ gradino e` contro ogni tendenza alla singolarita`, alla distinzione in cui si annida lo spirito di orgoglio, la vanita`. Corrisponde al 6^ "indizio" di Cassiano con una aggiunta molto importante. Cassiano dice communis regula <la regola comune> e non si riferisce a nessun codice monastico, ma alla dottrina comune, alla disciplina tradizionale vigente nei cenobi dell'Egitto; SB aggiunge communis monasterii regula <la regola comune del monastero> e allude alla Regola scritta (questa Regola) vigente nel monastero. I "maggiori" (o anziani) sono certamente i superiori, ma anche gli altri anziani piu` edificanti, forti della loro esperienza.

56-58: 9^ GRADINO: spirito di silenzio

59: 10^ GRADINO: moderazione nel ridere

60-61: 11^ GRADINO: gravita` nel parlare

Questi tre gradini si ricollegano alla dottrina del silenzio, gia` vista nel capitolo 6 e in un gruppo di strumenti delle buone opere (RB.4,51-54); sono cioe` alcuni aspetti della "taciturnitas". Il nono invita a frenare la lingua, il decimo a non ridere facilmente, l'undicesimo come deve parlare un vero monaco.

La citazione di Prov.10,19 nel 9^ gradino gia` l'abbiamo incontrata in RB.6,4. Nell'altra citazione del salmo 139,12 il senso e` che l'uomo di cattiva lingua, il calunniatore, non prosperera` sulla terra (nuova traduzione: "il maldicente non duri sulla terra"). SB applica il versetto nel senso che l'uomo di molte parole, il chiacchierone, cammina sbandato e dissipato sulla terra, senza pensieri seri che lo guidino.

Il 9^ e l'11^ gradino in Cassiano sono uniti in un unico "indizio", il nono; sopratutto si raccomanda una norma molto comune tra i monaci antichi: non parlare senza essere interrogati. In quanto al riso, esso non godeva buona fama tra i monaci primitivi, ma non si proibisce il riso in senso assoluto, bensi` la facilita` al ridere, la leggerezza, il ridere in ogni luogo e ad ogni futile occasione, sgangheratamente.

Al v.60 SB sostituisce rationabilia <parole sensate> a sancta <parole edificanti> della RM: non chiede ai monaci la capacita` di edificare il prossimo, ma semplicemente ragionevolezza e autocontrollo.

Nell'undicesimo gradino al v.61 SB introduce la citazione con le parole "come sta scritto" che in genere si riferiscono alla S.Scrittura; non e` escluso che egli citi a orecchio pensando che si tratti di una frase biblica dei libri sapienziali (come gli e` gia` successo in RB.7,33); invece la sentenza, sapiente e bella, si trova in una raccolta di massime di Sesto, un filosofo pitagorico, tradotte da Rufino nel IV secolo.

62-66: 12^ GRADINO: umilta` in tutto l'atteggiamento esteriore della persona

In questo gradino il monaco e` investito in tutta la persona, fino alla corporeita`, dall'atteggiamento di umilta` che nasce dalla coscienza della presenza di Dio, raggiungendo un tale grado di custodia di se`, da cambiare anche gli atteggiamenti piu` irriflessivi.

Appare chiara la relazione di questo ultimo gradino con il primo. Dobbiamo notare specialmente che il giudizio di Dio che nel 1^ gradino appare come un orizzonte lontano anche se terribile (v.11, nel 12^ gradino e` presente: il monaco umile "si vede gia` davanti al tremendo giudizio di Dio" (v.64), perche` la sua fede e il ricordo continuo dei suoi peccati ha operato questa specie di anticipazione di una realta` escatologica. Tema comune ad ambedue gli estremi gradini della scala, il peccato stabilisce fra loro una sequenza paradossale: mentre nel primo si raccomanda al monaco di guardarsi costantemente dal peccato e dai vizi (v.12), il monaco arrivato all'ultimo gradino "si sente in ogni istante colpevole dei propri peccati" (v.64). Progresso sorprendente: uno si guarda costantemente dal peccato per sentirsi alla fine piu` peccatore che mai! Ma il paradosso si spiega con l'esperienza dei santi e la logica propria della scala dell'umilta` in cui non si sale se non abbassandosi.

Notiamo al v.65 che la citazione riguardo al pubblicano (Lc.18,13) e` fatta a mente e composta quasi come un mosaico della descrizione che Luca fa del pubblicano e delle parole che questi dice.

67-70: Epilogo

Come la scala di Giacobbe, la scala dell'umilta` non termina in questo mondo, conduce "all'esaltazione celeste" (v.5). Per questo la RM, alla "carita` perfetta" che corona la scala come in Cassiano, aggiunge con logica una lunga descrizione del cielo (RM.10,92-122), presa dall'apocrifa "Passione di S.Sebastiano". SB, eliminando la conclusione escatologica della RM, restituisce importanza alla conclusione di Cassiano, secondo cui al timore succede l'amore gia` su questa terra e mantiene la scala dell'umilta` nei limiti del progresso spirituale in questa vita, anche se cosi` in RB c'e` un'incongruenza tra il preambolo, che parla di una scala levata verso il cielo, e l'epilogo in cui non c'e` piu` la prospettiva escatologica.

La RB in effetti adotta la teoria di Cassiano sullo scopo e l'obiettivo a cui deve tendere la vita monastica, che e` il "Regno di Dio". Attraverso il timor di Dio, la rinuncia al mondo e alla propria volonta`, l'obbedienza, il cammino nell'umilta` - considerata specialmente come imitazione e sequela di Cristo nella sua "kenosis" - che riassume tutto il laborioso processo di estirpazione dei vizi e acquisto delle virtu`, la Regola cerca di portare il monaco alla purezza del cuore (v.70: "nel suo operaio ormai purificato dai vizi e dai peccati"), alla perfezione delle virtu` (v.68: "senza alcuna fatica, quasi spontaneamente in forza della consuetudine" e v.69: "per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtu`"), alla carita` (v.67: quella carita` che divenuta perfetta scaccia via il timore") che e` l'ultimo scopo della vita monastica.

Notiamo al v.69 un'interessante aggiunta di SB al testo di Cassiano e della RM: "amore Christi" <per amore di Cristo>. Si noti in tutto il brano dei vv.67-69 l'abbondanza degli incisi che definiscono la condizione di chi e` ormai ispirato e condotto solo dall'amore; e` lo stesso tono incoraggiante della finale del Prologo, quando alla visione delle asprezze e delle difficolta` segue quella dell'indicibile dolcezza con cui si corre per le vie di Dio con il cuore dilatato dall'amore (Prol.49, proprio di SB). "Tutto questo il Signore operera` nel "suo operaio" (Prol.14) per mezzo dello Spirito Santo" (v.70).


CONCLUSIONE

L'umilta`, nella RB come nella tradizione patristica e monastica anteriore, esprime un concetto completo con molti e diversi elementi, un compendio di cammino ascetico; ma una ascesi che non solo sbocca alla contemplazione, ma include gia` in se stessa una levatura mistica di grande efficacia. Perche` umilta` significa anzitutto imitazione di Cristo secondo la prospettiva paolina; cioe` non solo l'imitazione esterna dell'esempio di Gesu` storico, ma la comunione intima con i suoi sentimenti, la partecipazione alla "kenosis" di Colui che "non considero` un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio", ma preferi` la nostra pochezza e miseria, e nel suo amore arrivo` a dare la vita per noi sulla croce.

Lungo tutta la salita dell'umilta` avanza Cristo con il monaco, o meglio il monaco accompagna Cristo fino al profondo del suo annichilimento. I momenti piu` dolorosi di questo cammino di croce, tanto difficile per la nostra natura umana, rappresentano altrettante modalita` dell'imitazione di Cristo. Cosi` nel 2^ gradino il monaco ripete: "Non sono venuto a fare la mia volonta`, ma la volonta' di colui..." (Giov.6,38); nel 3^ obbedisce con Cristo "fattosi obbediente sino alla morte..."

(Fil.2,8); nel 4^ - il gradino del martirio dell'obbedienza - ripete: "Per te siamo messi a morte ogni giorno, siamo considerati come pecore da macello" (salmo 43,22). Altre frasi tremende mette SB sulla bocca del monaco umile nel 6^ e 7^ gradino, fino a "Io sono verme e non uomo" (salmo 21,7) di Cristo sulla croce. Siamo proprio alla piu` alta vetta dell'umilta` (RB.7,5). E allora precisamente il monaco arriva a quel grado di "amore di Dio che, divenuto perfetto, scaccia via il timore" (RB7.67) e si realizza la grande trasformazione interiore per opera dello Spirito Santo; come si verifico` in Cristo quando, giunto al fondo della sua "kenosis", "proprio per questo Dio lo esalto` e gli diede un nome che e` al di sopra di ogni altro nome" (Fil.2,9).

Ecco dunque la scala dell'umilta`. Siamo partiti con il timor di Dio, siamo condotti lungo il cammino da Cristo e procediamo con Cristo e, al termine di questa pedagogia arriva lo Spirito Santo e si comincia ad operare con quella carita` perfetta che scaccia il timore e si va avanti senza sforzo, naturalmente. Cosi`, lungo la scala dell'umilta`, operano nel monaco Padre, Figlio e Spirito Santo.

 


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net